CAP. 3 — DANNATI DONI
“E che fatica andare avanti e non sapersi arrendere,
fingendo d’essere fra
i tanti che fanno vuoto a perdere,
poi sostenere un’altra volta che l’uomo può anche
vivere,
trovare il tempo per giocarmi la vita che ho da spendere.”
Ottantasette di P.A. Bertoli
È cosa risaputa che a Sunnydale il periodo natalizio, con le sue lunghe ore di buio e la
sua ressa di umani distratti dallo shopping e resi imprudenti dai loro propositi di buona
volontà, coincide con l’epoca di massima attività demoniaca.
I vampiri in particolare a dicembre amano uscire presto la sera e rientrare tardi la mattina,
dopo una lunga e operosa notte di massacri; ma persino le creature a cui la luce del sole non
dà nessun fastidio preferiscono nascondersi nelle ombre della sera e approfittano volentieri
delle maggiori occasioni di vita all’aperto che la stagione offre.
Così per un motivo o per l’altro tutti i demoni di Sunnydale hanno poco tempo da perdere in
tinture e permanenti e di conseguenza gli affari al salone languono.
E questo è anche l’unico motivo per cui la mia padrona mi ha permesso di iniziare il
lavoro più tardi dal giovedì al sabato consentendomi così accettare un impiego part-time in
centro da Stevens & Stevens.
Così per quattro pomeriggi alla settimana mi si può trovare dietro il banco della
profumeria, intenta a vendere creme e belletti a una clientela almeno in apparenza
completamente umana armata del mio migliore sorriso e di un grazioso cappellino rosso con un
campanellino in cima che tintinna ad ogni mio movimento.
Sembro proprio un piccolo felice folletto di Babbo Natale, ma non importa: se questo
servirà come spero a farmi trovare l’acconto per prendere in affitto un piccolo appartamento
tutto per me sarei disposta anche a cantare Jingle Bells sgambettando sul bancone. E
sarò eternamente grata a Clem, la mia privata agenzia di collocamento, che mi ha trovato anche
questo lavoro.
Almeno non sono allergica al tessuto del cappello come la mia collega, poverina, che ha
starnutito tutto il giorno peggio di Sassassa post attacco mannaro e a quest’ora ha ormai gli
occhi più rossi del cappello.
- Hai provato a lavarlo con acqua e aceto? Magari sei allergica all’amido con cui lo fanno
stare tutto ritto così…
- Mia madre le ha provate tutte, tranne la benzina naturalmente perché sono allergica alla
benzina. Dev’essere proprio il tessuto.
- A me sembra nylon o qualcosa del genere; e tu non sei allergica ai collant o alla biancheria
intima o…
- Beh, alle calze no. Ma avevo un reggiseno blu che mi faceva venire l’orticaria. – Sophie si
ferma per starnutire ed asciugarsi gli occhi.
- C’è una cliente. Etciù. La sai una cosa? Quei ragazzini là davanti al profumo in offerta non
mi pagano l’occhio, Tula. Non vorrei che sgraffignassero qualcosa.
- Allora corri a spaventarli con una raffica di starnuti, Sophie: qui ci penso io. Buona sera,
signorina, posso aiutarla?
La cliente è giovanissima, poco più di una bambina, ed è così assorta a contemplare le
confezioni regalo di Max Factor nella vetrina sotto il banco che sussulta nel sentire la mia
voce.
Mi guarda con grandi occhi azzurri che nel giro di un paio d’anni faranno girare la testa
a più di un uomo e mi sorride con un dolce sorriso che farà venire ai medesimi di cui sopra una
gran voglia di proteggerla contro le insidie del mondo.
Ha un viso graziosissimo, spiritoso e delicato, con labbra morbide e ancora un po’ infantili e
una carnagione perfetta che renderebbe possibile qualsiasi trucco; e come al solito mi sembra
di averla già incontrata da qualche parte.
- Io… stavo cercando un regalo per mia sorella.
Nemmeno questo tono vagamente lamentoso mi suona nuovo.
- Avevi in mente qualcosa di preciso?
- No, ma credo che una di queste cose qui faccia sempre piacere a una ragazza, no?
Cerca di non darlo a vedere ma anche lei mi scruta di sottecchi come se stesse tentando di far
combaciare la mia faccia con un nome. Non le sarà facile vedendomi con questo cappello e il
vestito di compromesso – come lo chiama il direttore – cioè i jeans classici e la camicetta
verde bottiglia che ho accettato di indossare al posto del mio solito completo in nero totale:
lui avrebbe voluto che mettessi una gonna verde, un gilet rosso e una camicia bianca o qualcosa
di altrettanto vistosamente natalizio. Ma poiché avrei dovuto vestirmi a spese mie, non ha
insistito più di tanto e alla fine si è accontentato che rinunciassi al nero integrale. Mi
sento nuda, anche se la vicina vedendomi uscire oggi mi ha guardato con aria quasi di
approvazione e ha persino risposto al mio saluto con quello che poteva passare per l’inizio di
un sorriso.
- E non sono solo molto belli, sono anche prodotti molto buoni – la incoraggio io.
- Ma ha già tante cose del genere…
Esitante.
- Allora devi prendere una novità per essere sicura. Guarda, ad esempio quella confezione lì a
45 dollari è nuovissima, l’hanno fatta apposta per questo Natale. Crema colorata e fard
coordinati. Tua sorella ha la tua stessa carnagione?
- Lei è meno chiara di me. I suoi capelli sono più biondi, però.
- Ci sono anche quegli astucci di ombretti e matite, quello ad esempio è proprio carino,
secondo me.
Ragazzina molto graziosa, alta e sottile, con occhi a mandorla e lunghi capelli chiari,
lisci e lucenti come seta. Con una sorella maggiore più bionda e probabilmente tinta. Dove ci
saremo già incontrate?
Apro la vetrina, dispongo gli articoli sul ripiano mettendo in evidenza quelli più costosi,
come mi hanno insegnato, e procedo ad illustrarle le caratteristiche di ciascun prodotto. Non
sarò un granché in quanto a tecniche di vendita ma qui sono nel mio elemento e non temo
confronti – del resto è proprio per questo che ho avuto il posto. Quando mi sono presentata per
il colloquio il direttore aveva già cominciato a guardarmi storto ma come ho preso a
snocciolargli nomi, marche e prestazioni gli è gradatamente comparsa in viso un’espressione di
meraviglia mista a un certo rammarico, come se riconoscesse anche se di malavoglia la necessità
di dare questo lavoro proprio a me.
- È che non vorrei prenderle niente di troppo pretenzioso, capisci? Non stiamo facendo molti
preparativi natalizi, quest’anno.
Questo per quanto mi riguarda fa guadagnare punti alla mia cliente: non per sputare nel piatto
in cui spero di mangiare, ma tutta questa frenesia natalizia non mi ha mai convinto.
- Beh – dico – un regalino così fa sempre piacere. Non è come se le regalassi una fiammante
macchina sportiva.
- Dio mio, no. Del resto, lei va quasi sempre a piedi. Per fortuna.
- Anch’io, da quando mi hanno rubato la macchina. Dicono che sia un’abitudine molto sana.
Guarda questa confezione: ha un piccolo grazioso Babbo Natale sul coperchio. È festoso senza
essere eccessivo.
Brava, Tula, bella scelta di aggettivi: festoso senza essere eccessiva. Bisogna proprio che
questa me la tenga a mente.
- È così preoccupata, non so nemmeno se sia accorta che è quasi Natale.
- L’associazione commercianti ha fatto le cose in grande, quest’anno: bisognerebbe essere
ciechi per non… - mi mordo le labbra perché mi è venuto in mente all’improvviso che questa
misteriosa preoccupata sorella che va a piedi potrebbe proprio essere cieca.
La cliente si accorge della mia esitazione e sorride
- No, è solo che c’è una persona che vorrebbe aiutare e non sa come fare e così… In questo
astuccio qui c’è anche il mascara?
- Sì, eccolo. Ed è anche molto buono, cosa che non sempre può dirsi dei prodotti delle
confezioni regalo.
- Questi ombretti mi sembrano un po’ troppo sul verde… Non so se starebbero bene a mia sorella.
- Il verde è un colore un po’ difficile, soprattutto per le bionde.
Guardo la ragazza, chiedendomi se userei un po’ di verde scuro sulla palpebra per mettere in
risalto quegli occhi azzurri: sono incerta, non so, magari se avesse un vestito verde acceso…
Ma poi perché mai qualcuno dovrebbe vestirsi di verde acceso, per amor del Cielo?
Ed ecco che mi torna in mente: la sorellina della Cacciatrice, la ragazzina a cui Spike mi ha
presentato non appena siamo entrati nel salone in cui si sarebbe dovuto tenere il ricevimento
di nozze di Xander Harris.
- Tu sei…, aspetta, Dawn Summers, giusto? Ci siamo incontrate l’anno scorso al matrimonio di
Harris. Tu eri una delle damigelle. Cioè, lo saresti stata se…
- Ma certo, tu sei la ragazza che Spike ha portato al matrimonio. Siamo anche state presentate,
mi sembra. Scusa se non ti avevo riconosciuto.
- Non ti avevo riconosciuto nemmeno io: senza il vestito da damigella sembri diversa.
- Vuoi dire che non sembro un cespo di insalata – ride lei, poi piega la testa da un lato per
guardarmi bene – così tu sei l’appuntamento di Spike.
- Veramente di solito è lui ad essere il mio appuntamento – ribatto io e davanti alla sua
espressione interrogativa chiarisco – Nel senso che sarei la sua parrucchiera: sono io che gli
faccio i capelli.
- Un mistero che si svela, finalmente – dice Dawn Summers – Pensa che quand’ero più giovane e
ingenua, lui sosteneva che i suoi capelli crescessero in quel modo da soli. Come sono in
realtà?
- Mi dispiace, segreto professionale. Ma ormai dovresti poterlo vedere da sola: è parecchio che
non viene da me.
Ora Dawn mi sembra a disagio: stringe le labbra e non mi guarda negli occhi, come se stesse
cercando di decidere se mettermi o meno a parte di qualcosa che lei sa ed io evidentemente
no.
- Lo hai visto di recente, immagino – insisto.
- Non tanto di recente, veramente.
- Ma non ha lasciato Sunnydale. Lo avrei saputo se avesse lasciato Sunnydale.
- No.
- Senti, io e Spike… potremmo dire che siamo amici, in un certo senso. Mi ha salvato la vita un
paio di volte e io gli sono grata. Se sta male di nuovo o se… insomma, mi sentirei in dovere di
dargli una mano.
Dawn sospira e guarda la trousse che stava valutando, quella con il piccolo Babbo Natale sul
coperchio.
- Se è per quello, ha salvato la vita un paio di volte anche a me. Ma poi sono successe delle
cose e adesso non siamo più amici.
ù
Solleva lo sguardo e mi dice con improvvisa franchezza:
- È nei guai, se lo vuoi sapere. E per una volta, non è nemmeno colpa sua.
- Che cosa gli è successo?
- Dei… dei delinquenti hanno fatto una razzia in casa nostra, qualche settimana fa. Hanno
distrutto tutto e beh, hanno portato via Spike.
Dei delinquenti? Sarà stata una grossa banda di demoni o magari saranno stati quei
sinistri figuri senza occhi che andavano in giro ad affettare la gente con le spade la sera che
incontrai Thomas. Ma se la piccola Summers che è nata e cresciuta nella stessa casa della
Cacciatrice preferisce parlare di delinquenti, chi sono io per obiettare?
- Aspetta: è Spike la persona che tua sorella sta cercando di aiutare ma non ci riesce, vero?
All’improvviso mi si rivela in tutta la sua chiarezza la gravità della situazione: la
Cacciatrice non riesce a salvare Spike dal guaio in cui si trova. Non è che non voglia, è che
proprio non ci riesce. Buffy Summers non riesce ad avere la meglio sugli spadaccini accecati o
su un qualche altro cattivone che le ha devastato la casa e le ha portato sotto il naso il suo
vampiro addomesticato.
Queste non sono buone notizie sotto nessun punto di vista.
Stiamo a fissarci imbarazzate senza avere nient’altro da dire finché lei abbassa la testa in
una muta risposta affermativa e dice:
- Credo che dopotutto seguirò il tuo consiglio e prenderò questa trousse col piccolo Babbo
Natale.
So già che non mi dirà nient’altro, anzi probabilmente si sta rimproverando per avermi
lasciato capire più di quanto volesse: George diceva sempre che rispetto agli amici della
Cacciatrice, i picciotti della mafia non sono che degli instancabili chiacchieroni. Del resto
che cosa potrebbe dirmi? Che potrei non rivedere mai più Spike vivo o per la precisione non-
morto? Che a Sunnydale la gente scompare facilmente e difficilmente fa ritorno? Tutte cose che
sappiamo già molto bene entrambe.
- Le piacerà. Vuoi un pacchetto regalo? Te lo posso fare intanto che vai a pagare alla
cassa.
Il direttore, che sta passando di qui proprio in questo momento, mi dice di aver mandato
Sophie a casa prima e scorta personalmente la piccola Summers verso la cassa. Sarà che a Natale
siamo tutti più buoni, ma credo proprio di aver visto balenare l’ombra di un sorriso tra i
quarantaquattro denti da squalo del signor Wilkins.
…
Sono al salone e sto cercando di convincere una cliente ad accorciare la lunghissima
frangia color stoppa che le cala sugli occhi: non so proprio come dirglielo gentilmente, ma il
fatto è che quando si ha una faccia come la sua secondo me non si dovrebbe fare proprio niente
per dare un ulteriore aiuto alla natura che ci ha voluto rendere tali e quali a un pechinese.
La cliente è molto giovane in tutti i sensi, cioè vampirizzata da poco tempo quando era poco
più di una ragazzina; mi dicono che il vampirismo curi molti mali – come ad esempio la
tubercolosi, l’asma e le carie – ma di sicuro non rende le persone più intelligenti o più furbe
di quello che erano da vive, perciò la ragazza sembrerebbe tuttora discretamente stupida e
relativamente ingenua.
Anzi mi meraviglia che non si sia ancora imbattuta nel paletto della Cacciatrice o non abbia
avuto la peggio in qualche scontro con i suoi simili: la fortuna dei principianti,
probabilmente. Mi chiedo anche chi sia il deficiente che non si è accontentato di prosciugarla
a morte ma ne ha voluto fare una piccola vampira con la faccia e l’intelligenza di un cagnolino
da salotto. A sentire le leggende il sire – come dicono loro pomposamente – dovrebbe
rivendicare la proprietà del nuovo rinato, ma da quello che ho visto io invece il più delle
volte se ne frega come un libertino che vada in giro a seminare la sua progenie a casaccio.
Chissà dove sarà ormai la mente geniale che ha aggiunto questo bell’elemento alla nostra
popolazione di vampiri e alla specialissima clientela del salone in cui lavoro.
- Senti – le dico pazientemente – io se vuoi la frangia te la lascio, ma pensaci un attimo: ti
copre gli occhi e a te invece serve vedere bene. Al buio. Con la tua supervista potenziata.
Mi guarda mettendo il broncio in un modo che porta l’effetto cane pechinese a livelli quasi
inquietanti, poi riesce con evidente sforzo a mettere in piedi il solito ambaradan: le zanne,
nuove e candide come nella pubblicità di un dentifricio, l’increspatura sulla fronte e gli
occhi gialli. Sui quali cala come una tendina la sua stupida frangia color can che scappa.
Nello specchio alle sue spalle lei naturalmente non c’è – ci sono io, con il mio grazioso
camice color prugna e il mio sorriso professionale inchiodato alle labbra e c’è la mia padrona,
con un camice identico al mio anche se di una dozzina di taglie più grande, che sta osservando
dall’altra parte della stanza la scena con una smorfia amichevole di approvazione sul suo
cordiale faccione ammuffito.
- Visto? – dico io.
- Taglia – sospira rassegnata la vampiretta con voce impastata dalla presenza di quelle zanne a
cui evidentemente non si è ancora abituata.
- Ecco… dovresti, scusa, se non ti dispiace…
- Cosa? Oh, certo.
Con altrettanta fatica di prima la ragazza riesce laboriosamente a rientrare nella sua faccia
umana e io sto prendendo le forbici pronta a tagliare prima che cambi idea di nuovo quando vedo
Sassassa sulla porta.
Potrebbe benissimo essere qui per farsi tagliare i peli che gli crescono nelle orecchie;
per farsi smaltare di blu le unghie degli zamponi così sarebbero in tinta con la pelle; per
tingersi il pelo della testa a righe nei colori della sua squadra del cuore. E allora perché
devo pensare subito che voglia parlare con me?
Perché ho un sesto senso, ecco perché.
- Questo signore dice di essere amico tuo, Tula mia cara – mi dice infatti la padrona dopo aver
parlottato con lui per un po’.
- Beh, in un certo senso – rispondo io senza sollevare gli occhi dal mio lavoro.
I vampiri reagiscono particolarmente male se li tagli. Non ho mai capito perché, visto che non
rischiano certo di morire dissanguati: comunque sia, se li ferisci per sbaglio, quella che
rischia di morire dissanguata sei tu.
Mi allontano di un passo per controllare se sono andata dritta: sì, ho fatto un buon lavoro. Un
pochino ancora sulla sinistra, forse.
- Ciao, Tarantula.
- Sassassa. Come va?
- Posso parlarti un minuto?
- Non appena ho finito di ta…. Scusa, ma se fai così viene storto – redarguisco severamente la
cliente che si è girata per vedere chi mi stava parlando.
Chi girerebbe la testa di scatto mentre gli stai accorciando la frangia con una forbice?
Solo qualcuno che non ci tiene alle pupille dei suoi occhi o che è così stupida da non aver
capito che anche se lei non viene più riflessa nello specchio le leggi dell’ottica vanno avanti
come al solito per il resto del mondo.
Credo proprio che la poverina non abbia mai visto un demone Sfrayano in tutta la sua vita e in
tutta la sua non-morte perché trovandosi davanti quella specie di grosso pupazzo animato
ricoperto di pelo bianco sobbalza sulla poltrona e spalanca gli occhi.
Ma non è niente rispetto alla mia reazione quando sento quello che Sassassa è venuto a
chiedermi. Ha chiesto molto rispettosamente alla padrona il permesso di rubare dieci minuti del
mio tempo e mi ha portato da Willy, dove siamo gli unici a non bere né alcool né sangue ma solo
caffè.
Nonostante sia così vicino al lavoro, non posso certo dire che sia il mio locale preferito ed
anzi faccio sempre del mio meglio per girare al largo; ma devo ammettere che tra i molti e
spesso discutibili talenti di Willy c’è anche quello certamente sotto utilizzato di saper fare
un eccellente caffè. Inoltre gli sono simpatica e mi fa la corte: non che io voglia avere
niente a che fare con questo viscido informatore doppiogiochista ma le attenzioni di un uomo
vero – vero non nel senso che non si rade i peli del petto, quanto nel senso del DNA – danno
sempre un certo senso di conforto.
Qualche eone fa suo padre era amico del mio e giocavano insieme a bowling; a quei tempi Willy
era un ragazzetto ancora quasi imberbe ma già trafficone, precocemente corrotto dall’aria di
Sunnydale e felice di sguazzare nel pantano morale della nostra bella cittadina.
Mi guarda con i suoi occhietti furbi mentre parlo con Sassassa e so che sta aguzzando le sue
umane orecchie per ascoltare la nostra conversazione, ma con questi quattro vampiri messicani
mezzi ubriachi al tavolo vicino che cantano Paloma non c’è verso che riesca a capire
qualcosa.
- Ma neanche per idea – protesto io vivacemente per la terza volta di fila.
Sono così agitata che mi scotto la lingua col caffè troppo caldo. Sassassa mi guarda con occhi
purpurei ed imploranti e fa del suo meglio per assomigliare a un grosso inoffensivo pupazzo di
peluche.
- Lo prometto: non ti darò nessunissimo fastidio.
- Perché proprio nel mio garage? Non avevi una bella casa asciutta e non so che cos’altro dalle
parti della stazione?
- Demolita.
- Demolita?
- L’altro ieri ho fatto una gita a Los Angeles e quando sono tornato, ci crederesti?, ho
trovato solo un mucchio di macerie. Per fortuna che avevo un arredo minimalista.
- Strano: mettono dei cartelli sugli edifici prima di demolirli.
- Davvero? Ecco che cos’erano quei manifestini che continuavo a trovare appiccicati
dappertutto.
- Senti, Sassassa, mi dispiace che tu sia sotto i ponti…
- Non c’è un maledetto ponte in questa città. Ho dormito su un camion che puzzava terribilmente
di frutta marcia. Perché qualcuno dovrebbe darsi la pena di trasportare frutta marcia da una
parte all’altra, secondo te?
- Non ne ho idea. E tuo cugino, quello che ti incatena?
Il demone scuote il testone: è così abbattuto che le orecchie mi sembrano attaccate più in
basso del solito; spero proprio che sia solo un’impressione.
- È a casa per un matrimonio.
- Ottimo: così non solo vuoi venire ad abitare nel mio garage ma non hai nemmeno un guardiano che ti impedisca di entrare in casa ed ammazzarmi nel sonno quando ti trasformi, scusa la franchezza, in una belva sanguinaria.
- No, no, no. Non metterei mai la tua vita in pericolo. Guarda: ho finalmente trovato una cura.
Mette sul tavolo una scatolina e la apre: dentro ci sono quattro fialette di vetro piene di un liquido arancione.
- Niente droghe nel mio locale, bellezza! – grida subito dal suo posto Willy, che non ci ha ancora staccato gli occhi di dosso.
- È una medicina, idiota – grido io di rimando.
- Lo conosco da molti anni – spiego a Sassassa che sembra scandalizzato dai miei modi – Dove hai trovato quella roba?
- Me l’ha preparata una strega di qui.
- La Rosenberg ? Avevo sentito dire anni fa che stesse cercando una cura contro il mannarismo.
- No, si chiama Amy Madison. Si dà un mucchio di arie ma secondo me ha trovato la formula per caso. E comunque questa roba mi è costata un occhio della testa.
- Cribbio, se ha trovato un modo per impedire alla gente di trasformarsi in lupo mannaro farà una fortuna. Funziona?
- Non sugli esseri umani. Funziona solo sui demoni Sfrayani e solo in questo mondo. Praticamente questa roba funziona solo su di me e quindi quella ragazza è una vera approfittatrice, ma non importa perché mi ha tolto dai guai. A proposito, posso pagarti l’ affitto di quel garage.
Lascio cadere l’allusione non troppo velata al fatto che se gli facessi pagare un affitto mi comporterei come un’approfittatrice, anche se non vedo proprio perché dovrei lasciare vivere un demone nel mio garage e per di più gratis; ma sono altre le cose che mi preoccupano al momento.
- E chi mi garantisce che la berrai?
- Ti sembro il tipo che è contento di andare in giro ad aggredire le persone e ad ammazzare i cani?
- Se non te lo ricordi nemmeno.
- Ma le implicazioni morali mi preoccupano ugual… - si interrompe osservando il mio sguardo scettico – E dove le metti quelle terribili crisi di starnuti? Mi si stava consumando il naso.
Sospiro e finisco il caffè: devo tornare al lavoro e non ho tempo di continuare a discutere.
- D’accordo, mi hai convinto; ma è una cosa provvisoria. Solo perché è Natale e siamo tutti più buoni. Ma per l’anno nuovo devi essere fuori.
- D’accordo. Grazie, Tarantula, sei un tesoro.
- Non ho finito: c’è una condizione.
- Tutto quello che vuoi. Non devo farmi sentire da tuo padre, vero? Non ti devi preoccupare perché…
- No. Gli dirò che il pastore Bliss mi ha chiesto un favore. Tanto, non c’è pericolo che si incontrino. Gli dirò che un vagabondo dormirà per un po’ nel nostro garage e che in cambio dell’ospitalità ci farà qualche piccolo lavoretto. Perciò mi aspetto che tu tagli l’erba del prato e dia una mano di vernice allo steccato.
E che adesso mi dia pure dell’approfittatrice, se ne ha il coraggio.
…
Il giorno dopo vengono in coppia gli altri due: la strega e il bibliotecario, che detto così
sembra il titolo di un filmetto giallo-rosa. Lei è la signorina Willow Rosenberg, ex-
studentessa modello dell’ex-liceo di Sunnydale ed ex molte altre cose, almeno a quanto ho
inteso da frammenti di conversazioni pronunciate sottovoce; lui è il maturo ma ancora
affascinante signor Rupert Giles, ex-bibliotecario e anche ex-proprietario del Magic Box, una
delle numerose attività commerciali di Sunnydale che nel corso degli anni sono state chiuse
dopo aver subito misteriose devastazione vandaliche. Si sarebbe quasi portati a pensare che in
questa città ci sia il racket peggio che nella Chicago anni 20.
Io e Sophie stiamo approfittando di un momento di calma per riordinare le vetrinette e togliere
i segni di ditate che i clienti continuano a lasciarci sopra; nel frattempo lei mi elenca tutti
i fiori a cui è allergica e che pertanto non potranno essere usati al suo matrimonio, la
prossima primavera. Niente rose, niente garofani e niente gladioli, restano le fresie, i
tulipani e le orchidee; oppure restano i fiori di plastica, come le ha suggerito un esasperato
fiorista; o magari il “niente fiori ma opere di bene” che di solito si usa ai funerali ma nulla
vieta dopotutto di estendere anche ai matrimoni.
I nuovi clienti tossicchiano educatamente per attirare la nostra attenzione e Sophie dice:
- Vado io.
Mentre finisco di richiudere la vetrinetta dei profumi francesi, sento dei tipici squittii
femminili di riconoscimento e quando mi giro vedo che Sophie e la nuova venuta si stanno
scambiando convenevoli e si stanno mettendo reciprocamente al corrente di quanto è accaduto di
rilevante nelle rispettive vite a partire dal loro ultimo – e presumibilmente anche primo e
unico – incontro. Sophie dice che questo lavoro è molto meglio di quello che aveva al fast-food
ed annuncia trionfante che lei e Richard si sposeranno in aprile; Willow Rosenberg parla un po’
meno trionfalmente di un’estate in Inghilterra. So che Sophie sta glissando su alcuni eventi
meno piacevoli ma forse altrettanto rilevanti, come le improvvise nozze di suo padre con una
spogliarellista o lo shock anafilattico che ha rischiato di ucciderla solo il mese scorso e
suppongo che la nostra strega sia stata anche più reticente, dal momento che non ha accennato
per niente al suo recente tentativo di distruggere il mondo. Si dichiara invece deliziata di
sapere che Sophie e Richard si sono fidanzati – borbottando qualcosa su “non tutto il male vien
per nuocere” – e infine le presenta il signor Giles, che Sophie non può conoscere perché non ha
mai frequentato il liceo di Sunnydale. Intanto che va avanti tutta questa manfrina arriva una
signora grassa con due bambinetti ancora più grassi al seguito che vuole comprare delle perle
di olio da bagno da regalare alla suocera mentre quello che voglio io sarebbe solo impedire ai
due pargoletti di mettere le loro ditine appiccicose dappertutto.
- Non so se siano una buona idea le perle, signora, soprattutto se sono per una persona non più
tanto giovane: a volte le perle rendono un po’ scivolosa la vasca.
In altre parole: se la vecchia carampana si romperà l’osso del collo non dire che non ti avevo
avvertita.
Nonostante uno sguardo sognante abbia attraversato per un attimo i suoi occhi affondati nel
grasso, la mia cliente finisce con il comprare una confezione regalo di bagnoschiuma e acqua di
colonia; la mando alla cassa, ripulisco con lo spray e senza farmi troppo notare le quattro
manine unte che ora adornano il vetro del banco e procedo a impacchettare la merce. Sto dando
il tocco finale arricciando i nastrini di carta con la lama delle forbici quando la voce di
Willow Rosenberg si alza di un’ottava rispetto al sommesso chiacchiericcio intanto che Sophie
le stava mostrando le confezioni regalo natalizie:
- Che carino questo piccolo presepe sul coperchio! Chi non vorrebbe averne uno?
- Tu perché sei ebrea - osserva puntigliosamente il signor Giles con la sua piacevole voce ben
impostata e il suo perfetto accento oxfordiano - Buffy perché, se non ricordo male le sue
esatte parole, ha detto che non vuole vedere in giro orpelli natalizi. E io perché non mi
sembra affatto appropriato mettere un presepio in miniatura su una scatola di cipria.
Il signor Wilkins si avvicina al banco e mi sibila:
- Credevo che fossimo rimasti d’accordo che non ti saresti vestita di nero per venire a
lavorare.
- Non è nero: è grigio scuro – protesto io sottovoce aggiungendo un festoso “Auguri” a
beneficio della signora grassa che è venuta a ritirare il suo pacchetto.
Oggi indosso un paio di jeans di un grigio così scuro da rendere assolutamente comprensibile
l’errore del signor Wilkins e una canotta che più nera non si può ma che nelle mie intenzioni
la camicia grigia avrebbe dovuto nascondere quasi completamente.
Il direttore mi guarda accigliato – devo dire che se è inquietante quando sorride, da
accigliato non è tanto meglio.
- E poi ci sono dei ghirigori d’argento sui polsini della camicia – insisto io – dei ghirigori
molto natalizi. Davvero.
E srotolo una delle maniche per farglieli vedere: si tratta in realtà di un girotondo di
piccolissimi teschietti molto graziosi ma potrebbe benissimo passare per una ghirlanda di
agrifoglio e io confido proprio sul fatto che il signor Wilkins sia leggermente presbite.
E non sbaglio.
- Così può andare – ammette infatti rabbonito – Ma non tenere le maniche arrotolate: sembri
così… luttuosa.
- Ma fa un caldo infernale.
Il signor Wilkins fa una risatina che dire diabolica è usare un eufemismo e prima di andare a
tormentare qualcun altro mi lascia di sasso rispondendomi:
- Siamo a Sunnydale. Che cosa ti aspettavi per Natale, la neve?
Forse tutto sommato il nostro direttore non è tanto presbite quanto malvagio.
Il magazziniere – un giovanotto misterioso e taciturno che secondo me o sta scrivendo un
romanzo nel suo tempo libero o sta meditando di farci tutti quanti a pezzi con un’accetta e di
nascondere i nostri resti negli scatoloni vuoti – sbatte poco cerimoniosamente una pila di
scatole sul banco davanti a me e resta immobile a guardarmi in silenzio tenendo in mano un
documento di trasporto lungo come un lenzuolo che si trascina sul pavimento. Non so esattamente
che cosa voglia e poiché non sono la commessa titolare del reparto ma solo un aiuto stagionale
non è nemmeno previsto che lo sappia. Inoltre questo ragazzo mi innervosisce e meno tempo passo
a fissarlo negli occhi da pazzo e a chiedermi che cosa gli stia frullando in testa meglio é,
pertanto mi limito a chiamare Sophie e a passarle la patata bollente.
- Scusate tanto ma con queste consegne dell’ultimo momento non ci si capisce più niente. Tula,
lascia stare che ci penso io. Sostituiscimi tu con questi signori. Eccomi, Paul, un minuto e
sono da te – cinguetta subito Sophie, che esattamente come Clem é sempre pronta a pensare il
meglio di chiunque ed è infatti l’unica di tutto il personale a ritenere che il magazziniere
sia solo un po’ timido.
- Paul – la sento dire – Lo sai che non devi venire a portarmi la merce quando ci sono dei
clienti.
Ahia, l’ha rimproverato: scommetto che quando sarà il momento Paul farà il suo corpo a
pezzetti più piccoli di quelli di chiunque altro di noi.
E così sfuggo a un potenziale maniaco omicida per ritrovarmi invece davanti alla graziosa
rossa con l’aria da brava ragazza che mi dicono sia stata sul punto di farci sprofondare tutti
quanti nel nulla meno di un anno fa.
- Avete visto qualcosa che vi piace? – chiedo professionalmente affabile.
Ovviamente hanno messo gli occhi sulla identica confezione regalo che ha preso ieri Dawn
Summers, quella festosa ma non eccessiva col piccolo Babbo Natale. Qui mi si pone un
problema di deontologia professionale, perché se nulla mi autorizza a farmi i fatti loro, resta
pur vero che non è bello vendere due regali identici che finiranno con tutta probabilità sotto
il medesimo albero.
D’altra parte Willow Rosenberg è una di quelle clienti perennemente indecise che prima ti fanno
tirar fuori articoli a dozzine e poi se ne vanno senza aver comprato assolutamente niente
lasciandoti col banco carico di roba da metter via. Nel giro di dieci minuti ha già cambiato
idea dieci volte e poi è di nuovo tornata a prendere in considerazione la stessa scatola di
cipria con il presepe sul coperchio, quella che non piace al signor Giles.
La presenza di un uomo al fianco di una cliente indecisa può a seconda dei casi essere
considerata una fortuna, perché il disgraziato accompagnatore potrebbe convincerla a scegliere
una cosa qualsiasi solo per andarsene; o un’aggravante della situazione perché il disagio del
suddetto accompagnatore può arrivare a un punto tale da portare il pover’uomo – di solito
adducendo pretesti come la scadenza del parcheggio o inesistenti appuntamenti d’affari – a
trascinarla fuori dal negozio praticamente di peso proponendo alternative classiche quali un
mazzo di fiori o una scatola di cioccolatini; e nel peggiore dei casi può anche sfociare in una
lite furibonda davanti all’imbarazzatissima commessa, come è successo proprio a Sophie
settimana scorsa.
All’inizio il signor Giles si limita a osservare il comportamento della giovane strega con
quello che si potrebbe definire paterna indulgenza, lasciando cadere qua e là frasi come “Se ti
sembra una buona idea, Willow, allora prendilo pure” ma in seguito una certa impazienza
comincia ad affiorare nel suo contegno tipicamente flemmatico.
- Credo che dovremmo arrivare ad una decisione; e non vorrei sembrare scortese ricordandoti che
siamo attesi.
- Ha proprio ragione, signor Giles – sospira Willow e poi si volta e sorride a me in modo che
se avessi i suoi stessi gusti troverei adorabile.
Anzi, a dir la verità lo trovo adorabile anche se non condivido le sue preferenze
sessuali.
– Senza contare che stiamo tormentando questa povera ragazza.
– È il mio lavoro. E qualche volta scegliere il regalo giusto è difficile.
– Ed è esattamente il motivo per cui io le avrei comprato un libro – dice il signor Giles.
- Un libro? – ride Willow – A Buffy? Oh, no. No e poi no. Sarebbe come regalare un paio di
scarpe a me.
- Sarebbe forse, uhm, un regalo un po’ troppo personale quello di un paio di scarpe, non ti
pare?
- Un libro – ripete Willow scuotendo la testa – Un libro per tirare Buffy su di morale. Solo a
lei poteva venire in mente un’idea del genere.
- È un’idea da bibliotecario – osservo io mentre cerco di fare un po’ di ordine nella
confusione di merce che c’è sul banco. Penso che la Rosenberg potrebbe almeno prendere una
decisione su quello che sicuramente non va bene; e penso anche di sapere che cosa piacerebbe a
Buffy Summers. Qualcosa mi dice infatti che in qualità di cittadina di Sunnydale mi convenga
tenermi buone tutte e due – la strega e la Cacciatrice.
- Non faccio più il bibliotecario da quattro anni. Come mai…
- Mi ricordo di lei: ho fatto i primi due anni di liceo alla vecchia scuola. Prima che venisse
distrutta.
- Oh, ecco…
- Non si ricorda di me, vero? Non mi meraviglia: non era molto facile prendere a prestito un
libro in quella biblioteca. Del resto, avevate altre cose a cui pensare – replico io
tranquillamente.
Mi guardano tutti e due come se mi fosse cresciuta una seconda testa. Non ho mai esattamente
capito questa loro passione per la segretezza – senza contare che dopo la battaglia della
cerimonia del diploma era un po’ difficile pensare che gli studenti che vi avevano partecipato
non si lasciassero sfuggire qualcosa.
- Avremmo dovuto essere tutti sordi e ciechi per non capire che costa stava succedendo. In
fondo le hanno anche regalato un ombrello alla… a Buffy Summers, voglio dire. La nostra
protettrice e via dicendo. E a proposito, visto che il regalo è per lei, vorrei farvi vedere
questa trousse per il trucco degli occhi perché i suoi se non ricordo male sono di un nocciola
dorato. Sono tutti i nuovi colori di moda quest’anno, c’è questo giallo acido ad esempio…
Mi interrompo notando che non mi seguono più: diversamente da Buffy Summers, questi due non
distinguerebbero una rivista di moda da un catalogo di giardinaggio. Inoltre il signor Giles mi
guarda con un certo sospetto, quasi che adesso dovesse accadere chissà che cosa solo perché ho
ammesso apertamente di essere sempre stata al corrente della sua vera attività come principale
collaboratore della Cacciatrice: come se la copertura della biblioteca avesse potuto ingannare
qualcuno per più di dieci minuti. Tutti sapevamo: il preside di allora, gli insegnanti dal
primo all’ultimo, e quasi tutti gli studenti. Ovviamente facevamo anche tutti finta di non
sapere niente in uno sforzo collettivo di recitazione che definire superbo è forse
riduttivo.
La signorina Rosenberg invece passa in rassegna la merce per l’ennesima volta e intanto mi
guarda con la coda dell’occhio con un’espressione che non so decifrare, come se la sua mente
superiore stesse valutando contemporaneamente quale regalo sia il più adatto e anche se sono
inoffensiva o meno; riguardo a questo secondo punto spero ardentemente che il responso sia
positivo, perché non ho idea di quello che potrebbe accadermi se mi considerasse un
pericolo.
Si dice tra l’altro che quando le prendono i dieci minuti sia capace di incollarti al soffitto
come un pannello termoisolante: e se devo essere sincera la sua espressione adesso mi
sembra tutt’altro che adorabile.
Ma anche se non provassi verso la magia quel timore reverenziale che altrove di solito i bravi
cittadini provano nei confronti della legge, prenderei queste due persone molto sul serio
perché so perfettamente che questa ragazza che sembra persino più giovane di quello che è e
questo beneducato signore di mezz’età che pare più inglese della regina e quasi altrettanto
folkloristico costituiscono per così dire il reparto informativo dello stato maggiore della
Cacciatrice: pianificazione, informazione ed elaborazione tattico-strategica hanno sempre fatto
capo principalmente a questi due. Ed è parere generale che la graziosa e misticamente imbevuta
di potere Buffy Summers stia a sentire quello che costoro le dicono – beh, almeno quando non si
tratta del suo abbigliamento, o della sua pettinatura; o dei suoi amori.
- Sono sicuro che questa… come si chiama? trousse per gli occhi piacerebbe a Buffy –
osserva il signor Giles – E credo che dovremmo comprarle anche qualcosa per quando fa il bagno.
Quelle nuove ragazze possono essere alquanto invadenti quando si tratta dei prodotti da
toilette degli altri: parlo per esperienza personale.
- Quelle nuove ragazze possono essere molto invadenti davvero – conferma Willow
enfaticamente, poi mi sorride e mi dice – Sai, abbiamo in casa delle studentesse per uno
scambio internazionale.
Non solo non ci credo per un attimo, ma nemmeno credo che Willow creda che io ci abbia
creduto: eppure eccomi rimessa al mio posto, quello del civile inconsapevole che si bea nella
sua serena ignoranza degli avvenimenti.
Scambio internazionale dei miei stivali, ma chi sono io per discutere con una strega? Per il
momento mi accontento di sapere che non ritiene la mia esistenza un pericolo per la sua cricca
di segreti benefattori.
Alla fine li mando via con tre graziosi pacchetti: la famosa confezione di ombretti, una
piccola scorta di finissimo sapone profumato e un vaso di vetro molto carino di impalpabile
talco coordinato col sapone. Il talco è il mio preferito e spero proprio che le piaccia, visto
che se potessi permettermi di acquistarlo credo proprio che farei il bagno tre volte al giorno
solo per avere il piacere di usarlo; e dopo averlo avvolto in carta rossa come il sangue ho
anche fatto con le mie manine un fiore di carta velina nera come la notte e l’ho appuntato con
un nastrino argentato. E se questa non è una confezione regalo adatta alla Cacciatrice, non so
proprio che cosa si potrebbe pretendere di meglio.
…
Il tutto comincia come una normale rapina in una normale serata di scalogna, solo che quelli che cercano di rapinarmi sono tre piccoli demoni, alti poco più di un metro e mezzo, con le orecchie appuntite e la carnagione rosea: sembrerebbero elfi un po’ bruttini, non fosse per quella strana protuberanza che sporge dal centro della loro fronte – una via di mezzo tra un corno floscio e una corta proboscide – e dalle pieghe di pelle che si trovano proprio dove ci si aspetterebbe invece un naso.
Per il resto sono molto simili a degli esseri umani: arti come i nostri sia per numero che per posizione, mani con cinque dita e unghie alquanto sporche, occhi scuri e a mandorla come li hanno gli Asiatici, lunghi capelli castani legati in treccia con l’aiuto di uno di quegli elastici rivestiti di spugna colorata che si comprano al supermercato in confezioni assortite. Particolare quest’ultimo del tutto ininfluente ma che il mio occhio professionale non ha potuto fare a meno di cogliere e passare al cervello.
E come degli esseri umani questi demoni rapinatori sembrano principalmente interessati ai miei soldi e solo in subordine a danneggiare più o meno irreparabilmente qualche pezzo della mia anatomia.
L’idea viene loro dopo che hanno constatato che il portafoglio che hanno preso dalla mia borsetta contiene moneta per circa dieci dollari, uno scontrino della lavanderia e null’altro; mentre uno dei tre controlla il portafoglio, gli altri due mi tengono ferma per le braccia e mi minacciano con dei coltellini dalla lama arrugginita che sembrano temibili più per il rischio d’infezione tetanica che per quello derivanti da gravi ferite.
In un primo momento sono più seccata che spaventata, forse perché trovo difficile avere paura di tre creature che mi arrivano si e no al mento, per quanto brutte siano e per quanto turpiloquio mostrino di conoscere.
- Il portafogli di questa puttana di merda è più vuoto della figa di una monaca - si lamenta il demone ad ispezione avvenuta.
Non è colpa sua, probabilmente, ma ha la voce sgraziata di un adolescente che la sta cambiando e a me sembra proprio che mi stiano rapinando tre ragazzini delle medie in costume da Halloween.
- Tagliuzziamole la faccia con un coltello a questa puttana. Tanto questa stupida troia i soldi per i nostri dannati doni di Natale non ce l’ha – propone quello che mi tiene il braccio sinistro agitandomi il coltello sotto il naso.
Non c’è niente che mi dia più fastidio che venir insultata con gli insulti sbagliati: voglio dire, se io fossi veramente una puttana, cioè se vendessi le mie prestazioni sessuali un tanto a botta, dovrei avere più di dieci dollari nel portafogli, giusto? E allora che mi date della puttana a fare, idioti? Datemi piuttosto, che ne so, della barbona, che almeno sarebbe pertinente.
E a proposito di soldi: ho quasi centocinquanta dollari arrotolati e infilati nella tasca dei pantaloni – un’abitudine nata non tanto dal timore di rapine quanto dal desiderio di tenere i miei soldi dove le mani di mio padre non possano raggiungerli nell’ipotesi non troppo peregrina lo cogliesse un insopprimibile impulso all’acquisto di alcool che non si potesse realizzare senza derubare la sua unica figlia – ma non vedo perché dovrei dirlo a questi tre delinquenti da operetta.
Il primo dei tre, quello che ha vuotato la mia borsa e che mi sembra il capo, allunga una mano e mi strappa all’improvviso la catenina dal collo facendomi un male cane, poi morde ostentatamente il ciondolo a forma di mezzaluna e fa una faccia disgustata accorgendosi che non è oro. Cribbio, quel ciondolo è viola: se non ha capito da solo che non è oro glielo potevo dire io che cosa è. Acciaio smaltato, che un rigattiere potrebbe valutare più o meno come un pezzo di casseruola rotto. E se il demone rapinatore si è scheggiato un dente, ben gli sta.
A questo punto l’ultimo dei tre, quello che non ha ancora parlato, dimostra di essere più propenso all’azione che alle chiacchiere e alza il coltello verso la mia guancia, io mi sposto istintivamente da un lato per schivare il colpo, lui mi tira dalla parte opposta e non so come ci ritroviamo tutti e due in ginocchio e io sento caldo sulla fronte e mi rendo conto che quel suo coltellino lurido mi ha scalfito la pelle.
A questo punto mi spavento e mi metto a urlare. I tre si mettono a urlare oscenità – sempre ribattendo sul chiodo fisso del mio supposto meretricio – mentre mi saltano addosso tutti e tre assieme intralciandosi l’un altro per il troppo entusiasmo.
Io scalcio e mi dibatto cercando di liberarmi e mi becco un pugno sulla bocca abbastanza forte da farmi vedere le stelline per il male più una serie di colpi meno sensazionali ma non esattamente piacevoli in varie parti della faccia e del corpo.
I tre demonietti sono così scarsi nel corpo a corpo che riesco in qualche modo a scrollarmeli da dosso e col coraggio della disperazione do uno strattone alla treccia di uno, un calcio alle parti basse di un altro e mi allontano carponi lasciando un pezzo della mia bella camicia grigia con i teschietti d’argento nelle mani del terzo.
Mi tiro in piedi e comincio a correre urlando con tutti e tre che mi arrancano dietro lanciandomi improperi poco fantasiosi; dopo un po’ smetto di urlare pensando che mi conviene tenere il fiato per la corsa, e visto che non sono mai stata una grande praticante del mezzofondo sono piuttosto sorpresa di constatare che riesco a distanziarli con una certa facilità. Immagino che avere le gambe più lunghe sia di un qualche aiuto, ma può anche essere che questa razza di piccoli demoni sia lenta di natura. Dopo un paio di isolati sto già rallentando e tirando il fiato, facendo conto di arrivare presto alla relativa salvezza di casa mia, quando me li vedo improvvisamente davanti al primo angolo.
La sorpresa è tale che a momenti ci resto secca: mentre filo nella direzione opposta come se avessi il diavolo alle calcagna – che poi è più o meno esattamente quello che sta succedendo – cerco inutilmente di capire come hanno fatto ma poiché mi riesce particolarmente difficile ragionare mentre corro a perdifiato rinuncio e ricomincio invece ad urlare perché ormai sono a due passi da casa e spero che mio padre mi senta e venga ad aiutarmi.
Riesco già a scorgere il camino della casa dei Bruebacker quando il mio naso sbatte all’ improvviso contro un pugno e io ruzzolo a terra trascinata dal contraccolpo e sbatto la testa sul selciato: questa volta sono meno sorpresa di prima perché una parte di me in fondo se lo aspettava, in compenso sono molto più preoccupata perché comincio a pensare che se andiamo avanti di questo passo non riuscirò mai a seminarli.
- Corri, corri, brutta baldracca – mi prendono in giro con la loro voce prepubere – che quando ti sarai stancata di scappare ti facciamo la festa.
Non faccio in tempo a cedere al terrore perché non hanno ancora finito di parlare che vedo cambiare l’espressione delle loro brutte facce e una grande zampona bianca entra nel mio campo visivo.
- Ma che cosa succede, Tula cara, cosa fai lì sdraiata per terra? Forse che questi… – Sassassa fa una pausa ad effetto mentre mi rimette in piedi – signori ti hanno dato fastidio?
- Mi hanno rubato la borsa – piagnucolo io mentre mi tasto la nuca in cerca del bernoccolo – e adesso mi corrono dietro con le loro gambette corte e tutte le volte in cui credo di averli seminati me li ritrovo davanti.
Probabilmente i miei inseguitori non hanno più tanta voglia di scherzare davanti al grosso demone Sfreyano ma l’aver io parlato esplicitamente della brevità dei loro arti inferiori – imprudenza dovuta principalmente allo stato confusionale in cui verso al momento – pare abbia rinfocolato il loro spirito combattivo, così si buttano addosso tutti insieme al povero Sassassa menando pugni e calci là dove possono, cioè nella metà inferiore del suo corpaccione, con un particolare accanimento verso le zone universalmente più sensibili in tutte le razze di tutti i mondi.
Il mio grosso amico, che al di fuori delle particolari circostanze in cui l’ho conosciuto ha sempre dimostrato un’indole gentile e pacifica, sembra indignato e sorpreso dalla loro reazione e tenta più che altro di scrollarseli da dosso come un orso che cercasse di liberarsi da tre cagnetti che si fossero afferrati al suo folto pelo con i loro dentini aguzzi. Mi facesse meno male la testa e non avessi il fiatone per tutto quel correre, potrei persino trovare lo spettacolo divertente.
Sto ancora radunando come posso le mie capacità intellettive, che a quanto pare quando ho battuto la testa hanno deciso di andarsene a spasso, per trovare un modo per aiutare il mio povero Sassassa quando il demone Sfreyano riesce ad afferrare saldamente sotto le braccia uno dei suoi tre assalitori e lo scaglia ad almeno tre metri di distanza, dove questi s’impiglia con la treccia in un tombino mezzo sollevato e resta lì ad agitare le sue braccine e le sue gambette come una tartaruga che si fosse disgraziatamente rovesciata sul dorso.
Reso baldanzoso da questo successo, Sassassa comincia a picchiare sul serio gli altri due e riesce anche a far volare via il coltello dalle mani di uno dei demonietti; io sto guardando con un certo sentimento di rivalsa il mio paladino che sta pestando energicamente una delle sue zampone sulla testa dell’ultimo dei tre quando improvvisamente comincia a girarmi la testa come un mulinello e crollo in ginocchio sul selciato in preda a un attacco di nausea.
Contemporaneamente un nuovo suono si aggiunge ai gridolini striduli dei miei assalitori: si tratta di un cupo ringhiare che sembra provenire dalle profondità della terra ma è invece il modo in cui si annuncia la repentina trasformazione del mio amico in un grosso demone mannaro sanguinario e quasi completamente privo di raziocinio.
La sorpresa dei demonietti rapinatori a questa imprevista evoluzione della situazione è più che comprensibile; ed anche se non lo dicono immagino si stiano pentendo di aver pasticciato di nuovo con la linea temporale, evocando anzitempo la solita crisi serotina di mannarismo di Sassassa ed impedendogli di assumere la sua dose di antidoto: perché adesso si trovano di fronte a una belva enorme col pelo color bianco sporco che si butta su di loro a quattro zampe e con la bava alla bocca.
In quanto a me, sapendo che finché dura la crisi Sassassa non farà distinzioni tra amici e nemici, non mi trattengo a vedere come butta ma mi tiro invece in piedi come posso e corro verso casa con tutte le energie che mi sono rimaste sperando di mettere al più presto una robusta porta di legno tra me e il demone mannaro scatenato.
Mentre corro sbandando di qua e di là mi viene in mente che forse avrei dovuto suggerire ai tre di investire Sassassa con il getto del primo idrante che trovano per strada, ma a giudicare da come stanno urlando dubito che avrebbero la possibilità materiale di seguire il mio consiglio.
Nel rientrare in casa zoppicando sono così stremata che non penso ad altro che a liberare i piedi doloranti dalle scarpe e mi dirigo ciabattando in bagno per riempire la vasca di acqua calda borbottando tra me e me “Dio, ti prego, fai che mi sia ricordata di accendere il boiler stamattina”.
- Taylor, che cosa ti è successo? –
Accidenti, mi ero scordata del periodo di sobrietà natalizio. Mio padre mi sta guardando con occhi allarmati dal corridoio attraverso la porta aperta del bagno, con gli occhiali da lettura sul naso e un vecchio poliziesco in mano, circostanza che da sola dovrebbe bastare a provarmi che ha di nuovo smesso di bere perché significa che sta di nuovo attingendo alla libreria del salotto – dove sono rimasti i vecchi libri gialli della mamma – invece che alla credenza della cucina dov’è abitualmente stivata la scorta di alcolici.
Quand’ero più giovane e più ingenua commisi l’errore di nascondere le bottiglie ma le conseguenze nefaste di iniziative del genere mi hanno persuasa da tempo a lasciarle dove stanno; così come è passata l’epoca in cui credevo ancora che i propositi natalizi di sobrietà di mio padre potessero durare oltre la prima settimana di gennaio.
Ma per il momento siamo ancora alla metà di dicembre, le luminarie natalizie sfavillano per le strade di Sunnydale e la buona volontà di mio padre non ha ancora cominciato a vacillare: sobrio, anzi soberrimo, esamina con occhio fermo le tracce evidenti dello scontro di stasera sulla mia persona e sul mio abbigliamento.
- Niente di grave, vorrei solo farmi un bel bagno – minimizzo e faccio per chiudergli la porta sul naso.
Ma dovrei sapere che quando mio padre non ha bevuto non si lascia sviare così facilmente.
- Camicia strappata, labbro gonfio, lividi assortiti. E zoppichi. Hai avuto uno scambio di idee col tuo ragazzo?
- Non ho un ragazzo e anche se ce l’avessi non gli permetterei di mettermi le mani addosso.
Mio padre, che da sobrio è dotato di un’eccellente memoria, alza un sopracciglio in modo significativo: va bene, è vero, ci sono stati dei precedenti, anche se non mi sembra il momento per ricordarmelo.
- Eric era un caso clinico e ti ricordo che l’ho anche denunciato. Adesso scusa ma vorrei proprio…
- E allora chi è stato? –
Sono troppo stanca per inventare una storia qualsiasi.
- Demoni.
Non solo mio padre non sembra particolarmente sorpreso ma non fa nemmeno finta di esserlo; per di più non insinua che io abbia cominciato a fare uso di droghe pesanti, non minaccia di mandarmi dallo psichiatra e non mi chiede nemmeno se ho preso una botta in testa, domanda quest’ultima a cui tra l’altro non potrei che dare una risposta affermativa; ma si limita ad entrare in bagno, e si siede sul bordo della vasca come se si aspettasse un prolungamento di questa conversazione.
- Demoni come? – mi chiede.
Lo aggiro per aprire il rubinetto dell’acqua e mettere il tappo, tanto per chiarire che presto dovrà andarsene e lasciarmi sola in ogni caso, che le mie risposte gli siano piaciute o meno.
- Demoni con le orecchie appuntite e il naso al posto della fronte e viceversa. Brutti, piccoli, con un brutto carattere. Ma soprattutto capaci di manipolare il tempo.
- Manipolare il tempo come in Ritorno al futuro? – mi chiede mio padre tutto serio dopo averci pensato un po’.
- Più manipolare il tempo come in Un attimo prima ero là adesso sono qui e ti do un pugno in faccia. Io continuavo a scappare ma loro riuscivano sempre a starmi davanti.
- Quanti erano?
- Tre. Grandi più o meno come un ragazzino di dodici anni.
- Come hai fatto a cavartela?
- Un altro demone. Li avrà fatti a pezzi, credo: non sono rimasta lì a guardare.
- Quell’uomo che dorme in garage non si è accorto di niente?
- Non credo proprio: la luce era spenta.
Non so se sia il momento di spiegare a mio padre chi è Sassassa, che cosa gli succeda di tanto in tanto e soprattutto perché sia venuto ad abitare nel nostro garage.
- Dormirà della grossa: deve aver sgobbato tutto il giorno per essere riuscito a fare un così bel lavoro con lo steccato. Volevo proprio andare a ringraziarlo ma poi ho ricordato quello che mi hai detto…
Peccato che io invece non ricordi esattamente quello che gli ho detto per tenerlo alla larga dal nostro misterioso ospite, forse qualcosa sul fatto che avrebbe una dannata paura degli estranei.
- Hai fatto bene a non dirgli niente: il reverendo Bliss si è tanto raccomandato.
Spero che tirare in ballo un uomo di Chiesa nelle mie menzogne non mi abbia procurato per così dire le aggravanti davanti al Grande Giudice. In quanto al reverendo Bliss, non verrà qui a contraddirmi, almeno non finché mio padre non crolla sbronzo fradicio davanti al suo portone e lui se lo carica in spalla – è un omone grande e grosso, il reverendo Bliss – e me lo porta a casa come è già successo. Ma la fine del periodo di sobrietà natalizia è ancora lontana, per fortuna.
Ma mio padre non pensa già più al pittore di steccati.
- Non si può andare avanti così, Taylor – dice gravemente – Questa volta ti è andata bene, ma la prossima?
- Hai mica visto il mio bagnoschiuma, per caso? È un flacone rosa con il tappo blu…
- Guarda nell’armadietto: lo avrò messo lì.
Di primo acchito tutto quello che mi viene da pensare è che mio padre abbia preso ad usare il mio bagnoschiuma; poi mi chiedo chi sia la donna misteriosa che viene a fare il bagno in casa nostra mentre io non ci sono; solo quando apro l’armadietto e vi trovo il flacone rosa allineato con i suoi compagni flaconi di shampoo e di balsamo mi rendo conto improvvisamente che quest’anno il periodo di sobrietà sembra comprendere anche la pulizia straordinaria della stanza da bagno.
- Hai messo in ordine.
- Ti dispiace? Dopotutto tu hai due lavori e non è giusto che debba occuparti anche della casa.
Mi dispiace? Se mio padre non bevesse come una spugna, si potrebbe andare avanti così bene noi due: lui non perderebbe di continuo il lavoro, io farei persino la spesa e il sabato potrei mettere su l’arrosto prima di andare a lavorare e trovarlo freddo e affettato e pronto da mangiare per quando torno tardi con lo stomaco che brontola. Collaboreremmo a tenere la casa in ordine, poi lui riparerebbe i rubinetti che perdono e io comprerei al centro commerciale fodere nuove per i cuscini del divano.
Se mio padre smettesse veramente di bere potrebbe persino trovarsi una fidanzata – una donna perbene e gentile che mi tratterebbe con riguardo sperando di diventare la mia matrigna – e avere degli appuntamenti, in occasione dei quali io potrei arrivare al punto di stirargli una camicia e di aiutarlo a scegliere la cravatta. Quand’ero ragazzina non ero certo l’unica nella mia classe i cui genitori avessero divorziato, ma probabilmente ero l’unica ad augurarmi che mio padre mi portasse in casa una matrigna: era un sogno modesto, ma fu quello che mi consentì di tirare avanti dopo che mi resi conto che mia madre non sarebbe mai tornata con papà e cominciai ad avere paura che i servizi sociali gli togliessero la patria potestà e mi dessero in affidamento chissà dove facendomi perdere quel poco che mi era rimasto, cioè i miei amici e la mia casa.
- Non si può andare avanti così – insiste mio padre.
Così come? Lui che smette di bere ma ricomincia sempre e io che pettino vampiri e ospito demoni nel garage? Forse no, ma siamo andati avanti così per anni ormai – a parte Sassassa nel garage – e non ce ne siamo mai preoccupati più di tanto.
- Ormai non si può più vivere in questa città. Bisognerebbe proprio fare qualcosa – chiarisce invece mio padre.
Io apro il flacone e verso una dose abbondante di bagnoschiuma nella vasca e intanto penso che quello che dice mio padre merita seria considerazione da parte mia. Magari non in questo momento, in cui tutto quello che voglio è spogliarmi ed immergermi tra quelle belle bolle colorate. E smettere di tremare, perché mi accorgo solo adesso che sto tremando.
- Ma tu stai tremando – dice infatti mio padre alzandosi dal bordo della vasca prima che la schiuma gli bagni i vestiti – Hai freddo? O stai male…
- No, no, sto bene, almeno credo. Dev’essere la reazione, quella cosa che dicono di quando l’ adrenalina cala e uno ripensa a quello che gli è successo...
- Lo shock – traduce mio padre – è lo shock. Adesso ti lascio in pace: un bagno caldo ti farà bene. Non stare a riordinare, dopo, lascia tutto come sta che ci penserò io domani mattina.
Prende lo sgabello, lo avvicina alla vasca e vi appoggia sopra un telo da bagno pulito.
- Non chiudere la porta a chiave, casomai ti sentissi male. Io aspetto che tu abbia finito prima di andare a dormire.
- Grazie – mi sento una tremenda stanchezza addosso e se mio padre non fosse qui a guardarmi probabilmente me ne andrei a letto senza nemmeno togliermi questi vestiti sporchi – forse è meglio così. Non mi sento molto sicura.
- Intanto ti preparo una bella tazza di tè e te la metto sul comodino.
- Abbiamo del tè in casa? Non ricordo.
Ma lui sta già uscendo tutto compreso nel ruolo insolito di genitore amorevole; prima di richiudere la porta mette di nuovo dentro la testa.
- Scusa per prima: non intendevo dire che… sì, insomma, lo so che non sei il tipo di ragazza che si lascia maltrattare dal suo fidanzato. E poi quel giovanotto biondo tutto abbronzato con cui uscivi mi sembrava una brava persona.
E dopo avermi dispensato quest’ultima perla di sollecitudine paterna, chiude la porta e se ne va con il suo giallo e i suoi occhiali, presumibilmente in cerca di quel tè che alligna nella nostra dispensa da tempi immemorabili. Strano, non mi sembrava che lui e Thomas si fossero incontrati, anche perché è mia abitudine tenere uomini potenzialmente interessanti alla larga dal mio papà ubriacone, ma evidentemente deve averlo visto attraverso la finestra in qualcuna delle occasioni in cui il bravo ragazzo texano paladino delle cugine smarrite mi ha accompagnato a casa.
…
Il panorama di cui si gode dalla mia finestra non è niente di speciale: il giardino dei
Bruebacker dove scorrazza il loro nuovo cane, un barboncino giocherellone che se mai
incontrasse un demone mannaro andrebbe a rintanarsi sotto il portico; la strada secondaria che
prendevo per andare a scuola e di cui conosco a memoria ogni sasso, ogni lampione e ogni
singola recinzione scrostata; la casa con le finestre sprangate e il prato invaso dalle erbacce
in cui viveva un tempo la vecchia signora Smithers con i suoi quattro vecchissimi gatti.
Non so perciò che cosa sia a spingermi a scostare la tenda e a guardare fuori dalla finestra
mentre sorseggio la indefinibile bevanda che mi ha portato papà, forse semplicemente l’istinto
di buttare di sotto quel disgustoso intruglio dolciastro in cui galleggiano in modo sospetto
frammenti di tè d’epoca: ed ecco che la vedo.
Buffy Summers, la Cacciatrice.
Proprio la Prescelta in carne ed ossa - più ossa che carne per la verità - che cammina lungo la
strada con la sua andatura da reginetta di bellezza, i capelli biondi raccolti in coda che
ondeggiano al ritmo dei suoi passi, intenta alla sua duemillesima notte di ronda o giù di lì.
Non capita spesso da queste parti, la Prescelta: non ci sono cimiteri nel nostro quartiere,
cosa a cui tra l’altro si potrebbe attribuire il tasso di sopravvivenza insolitamente elevato
tra i miei vicini di casa, né luoghi di divertimento notturno che attirino una numerosa
clientela e di conseguenza le attenzioni di vampiri affamati.
Quando Buffy passa sotto il lampione al confine della proprietà dei Bruebaker e il loro nuovo
cane, fedele alla consegna di far la guardia e ingrato verso chi invece la sta facendo all’
intera città, le abbaia contro col muso infilato tra la siepe, lei si sposta istintivamente
verso il centro della strada: in quel momento la luce del lampione le cade in pieno sul volto e
mi rendo conto che non sono l’unica ad avere fatto dei brutti incontri oggi. Occhio nero,
labbro gonfio, graffi sulla fronte: per una volta tanto, la Cacciatrice deve aver trovato
qualcuno che gliene ha date almeno quante ne ha prese e se le cose non migliorano, quello che
le sarà più utile tra tutti regali di Natale che le hanno comprato ultimamente sarà sicuramente
la crema colorata. Anche se avrei fatto bene a suggerire pure uno stick per coprire le
occhiaie, perché non c’è niente di meglio per nascondere i lividi.
E anche se ho sempre saputo che la Cacciatrice è piccola di statura – ho incontrato bambini
di dodici anni più alti di lei – questa sera è la prima volta in vita mia che riesco anche a
vederla piccola.
Dicono che possa sentire la presenza di un vampiro a cinquanta passi, ma dal momento che io non
sono un vampiro non può accorgersi di me se non guarda verso la mia finestra; e credendo
infatti di essere sola, si concede un momento di pausa, si massaggia il collo con le mani e
sospira prima di riprendere il cammino zoppicando leggermente.
Ma quello che ho visto è stato abbastanza: le sue labbra sono serrate, i lineamenti tirati
dalla stanchezza, il suo abbigliamento pratico ai limiti della sciatteria.
In poche parole tutto fa supporre che Buffy Summers sia terribilmente preoccupata.
Non so se sia per via di Spike – non ho mai capito che cosa ci sia esattamente tra di loro;
o se sia invece per gli stessi motivi che hanno spinto mio padre poco fa a parlare in modo
insolitamente chiaro.
No, non so esattamente che cosa stia succedendo e l’esperienza mi dice che o non lo saprò mai o
lo saprò quando sarà troppo tardi o quando sarà tutto risolto. Ma c’è una cosa che purtroppo so
con assoluta certezza: che se Buffy Summers è preoccupata, allora tutti noi ci troviamo in guai
molto grossi.