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Autore: PattyOnTheRollercoaster    01/08/2010    1 recensioni
"Tutto quello che facciamo, le nostre azioni, sono così ordinarie se guardate da un certo punto di vista. Ma non sta a gli altri decidere che la nostra vita debba essere noiosa, o una brutta responsabilità. Sta a noi decidere, dobbiamo trovare il lato bello nelle cose. E se ci sforziamo di trovarlo, prima o poi le cose belle arriveranno da sole”.
“Quindi secondo te è questione solo di esercizio?” domandai, scettico.
“Esercitarsi ad essere ottimisti”.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La strana storia di come incontrai un angelo



Fanculo.
Fanculo tutti.
Anzi no, andiamo con ordine: prima fanculo la gente che vuol dirmi cosa fare.
Poi fanculo Lydia che mi ha lasciato e fanculo le persone che mi fermano per strada.
E poi possono venire tutti gli altri. State in fila, ordinati mi raccomando.
Erano le otto di sera ed io ero appena fuggito da una cena di lavoro per andare a rintanarmi in uno dei miei posti preferiti: il parco attorno al castello. Era già quasi buio, si vedeva molto poco, ma c’erano ancora diverse persone in giro, perché c’era un piccolo concerto in un’area apposita. Sconfortato, mi sedetti a terra, le luci del concerto mi colpivano la schiena e sentivo il suono dei bassi e delle chitarre in lontananza. Ricordai quando, da ragazzino, avrei adorato fare un concerto lì con i miei amici.
Presi a rimuginare sui fatti miei, e presto giunsi alla conclusione che non ero mai stato tanto frustrato in vita mia come allora: la mia ragazza mi aveva appena mollato, c’era uno stuolo di gente che mi diceva cosa fare e cosa non fare, e recitare non mi dava più quella bella sensazione che mi dava prima. Ora era diventato il mio lavoro, solo questo. Un peso, una cosa da fare, una responsabilità.
Senza neanche rendermene conto avevo iniziato a strappare rabbiosamente tutta l’erba che avevo a portata di mano. La prendevo a manciate e la strappavo, lanciandola via con grugniti di disperazione.
“Brutta giornata?” chiese una voce roca femminile dietro di me. Mi voltai, ma vidi solo una sagoma con le mani sui fianchi, contornata dalla luce giallo intenso che proveniva dal palco.
“Si” borbottai, e tornai a girarmi.
La ragazza si sedette affianco a me, sospirando. “Non è bello questo posto?” chiese puntellandosi sulle mani e guardandosi attorno.
“Si, mi piace”.
“E perché?”.
“Non lo so. Forse perché ci sono gli alberi secolari. O perché ci fanno i concerti. E’ rilassante” conclusi guardando quel poco che ancora si poteva scorgere del parco. “A te piace?” chiesi.
“Molto”.
“E perché?”.
“Perché di solito ci viene gente simpatica. Soprattutto d’estate: ci sono i gruppi di ragazzi seduti per terra, che di solito stanno là” e indicò un punto buio lontano. “Poi ci sono i bambini nel parco giochi, e una volta ho visto una coppia di anziani davvero simpatici. Quando la gente viene qui sembra che non abbia pensieri per la testa … tranne te, immagino”.
“Hai visto?” chiesi in tono amaro abbassando lo sguardo. Avevo cercato di carpire qualcosa dal viso della sconosciuta, ma non riuscivo a vederne che una leggera sagoma tracciata dalla luce biancastra della luna. M’infastidiva il fatto che fosse lì, avrei preferito restarmene per conto mio ad auto-compiangermi ancora po’. Poi forse una birra e una telefonata a Tom sarebbero stati d’aiuto per risollevare il morale. Assieme a quella buonissima torta al cioccolato che facevano nel bar di una traversa di Gradnful St.
“Sei venuto qui perché questo posto rilassa?”.
“Non lo so, non ci ho fatto nemmeno caso quando ci venivo. E’ uno dei miei posti preferiti comunque” confessai. Non avevo più tempo per venirci spesso, ma qualche anno fa lo facevo quasi tutti i giorni assieme ai miei amici. “Una volta qui ho trovato per terra un penny, e credevo che questo posto mi avrebbe portato fortuna” ricordai all’improvviso.
“Non hai mai trovato un penny da nessun’altra parte?”.
“No”.
Restammo in silenzio. L’aria della sera era fredda e mi pungeva le braccia. Vedevo le sagome delle persone che si avviavano lentamente al concerto. C’era una tale tranquillità, ma non era noioso stare lì, avrei volentieri bloccato quel momento per viverci tutta la mia vita. E dovevo ammettere,a malincuore, che parlare con la sconosciuta, per quanto non fosse raccomandabile, era un buon diversivo contro i pensieri, pessimistici fino alla depressione, che avevo.
“Vuoi una gomma?” mi chiese la ragazza dopo un po’ porgendomi qualcosa. “Sono quelle per i denti, alla menta”.
“Grazie” dissi io prendendo dalle sue mani il pacchetto e mettendo in bocca la gomma. Ne prese una anche lei e restammo in silenzio per un altro po’.
“Le persone, di solito”, cominciò all’improvviso la ragazza, “agiscono senza pensare alle conseguenze. Magari credono di aver considerato tutte le possibilità, ma non è così. E’ per questo che sbagliamo spesso, ma di solito siamo in buona fede”. Non so da dove era uscito quel discorso, ma sembrò così azzeccato in quel momento!
“Hai ragione. Però non puoi biasimare una persona che ha subìto un torto se si arrabbia con chi glielo ha fatto” osservai.
“Certo che no. Però, sai, da un certo punto di vista la vita è cortissima, mentre da un altro è lunghissima. Però, comunque sia … non possiamo prendercela per ogni piccola cosa. Dobbiamo imparare a lasciar perdere, a volte. O possiamo anche sfogarci con qualcuno, che è liberatorio. Possiamo urlare addosso a quella persona che ci da’ fastidio, se ci sembra proprio il caso. Oppure, non so …”.
“Possiamo riderci su” dissi annuendo, riflettendo ad alta voce.
“Esatto. Tutto quello”, la ragazza si sistemò e poggiò i gomiti sulle ginocchia, “tutto quello che facciamo, le nostre azioni, sono così ordinarie se guardate da un certo punto di vista. Ma non sta a gli altri decidere che la nostra vita debba essere noiosa, o una brutta responsabilità. Sta a noi decidere, dobbiamo trovare il lato bello nelle cose. E se ci sforziamo di trovarlo, prima o poi le cose belle arriveranno da sole”.
“Quindi secondo te è questione solo di esercizio?” domandai, scettico.
“Esercitarsi ad essere ottimisti”.
“Ma è talmente logorante, a volte” mormorai, più a me stesso che a lei.
“Cosa è logorante? Tutti i problemi inutili che ci facciamo? Le cose importanti, alla fine, sono poche” disse scrollando le spalle.
“Dipende da persona a persona”.
“Potremmo vivere con lo stretto indispensabile se volessimo. E chi lo sa se staremmo meglio di così?”.
Restai un poco in silenzio, riflettendo sulle sue parole. Me ne convinsi. Alla fine dissi: “Lo sai? Hai proprio ragione. Dobbiamo trovare il lato bello, il lato curioso della nostra vita. Ogni cosa è curiosa se ci pensi, e tutto vale la pena di essere analizzato a fondo. Non credo che esista qualcosa o qualcuno che sia … che non abbia ragione di esistere”.
“Quindi per te tutti esistono per un motivo?” chiese lei.
“No. Tutti esistono e basta, ma nessuno è uguale ad un altro. Siamo tutti abbastanza diversi e abbastanza uguali da essere interessanti. Ecco …”.
“Le cose cambieranno prima o poi Robert. Non credo sia il caso di buttarsi giù. Come hai appena detto, siamo tutti interessanti” disse la sconosciuta con tono serio, lo sguardo rivolto verso il basso.
“Ti ho detto il mio nome? Nemmeno mi ricordavo” dissi con un mezzo sorriso. E in quel momento pensai che forse mi aveva riconosciuto.
“Ah, allora vuol dire che stai proprio fuori” disse lei sorridendo. La sentii muoversi accanto a me e prese il telefono. Lo aprì, e una luce bluastra le illuminò il volto. Purtroppo neanche allora riuscii a scorgere bene il suo viso, ma riuscii ad intuire un naso pronunciato e una bocca sottile. “Si è fatto tardi, devo andare” disse chiudendo il cellulare con uno scatto e rimettendoselo in tasca. “Mi ha fatto piacere parlare con te Robert” disse alzandosi.
“Anche a me ha fatto piacere parlare con te. Grazie”.
“Di nulla” disse lei allontanandosi, dirigendosi verso la parte più oscura del parco.
“Aspetta!” gridai, ricordandomi improvvisamente di una cosa. La vidi voltarsi. “Come ti chiami?!” Lei urlò qualcosa di rimando, ma io non riuscii a sentire.
Mi sdraiai a terra con la pancia verso l’alto e la testa appoggiata alle mie braccia incrociate.
Non conoscevo il suo volto. Non conoscevo il suo nome. Però lei conosceva me, e mi aveva anche tirato su di morale. Anzi, di più, potrei perfino dire che con quelle due parole mi aveva aiutato. Tutta la mia filosofia di vita doveva essere riconsiderata solamente da quelle poche frasi. Fatto sta che io non er mai stato tanto ottimista.
Ma non mi importava di non sapere nulla di lei. Forse era proprio grazie al mistero che le aleggiava attorno come un interessante profumo che le avevo dato ascolto.
Non faceva più così buio.
Dopo un po’ mi alzai e me andai a casa a piedi, guardandomi attorno come se tutto quello che vedessi mi fosse nuovo. Come un cieco che ha ritrovato la vista. Le poche persone che incontrai erano le più varie che avessi mai visto in vita mia. C’era un caos di personalità. Felici, tristi, euforiche, depresse, serie, ironiche, colorate. Non successe nulla di così speciale in effetti, quella volta, ma dentro sentivo ogni mio gesto nuovo e tranquillo.
Dimenticai quel fatto pochi giorni dopo, e non lo raccontai mai a nessuno.
Però, doveva per forza essere un angelo.




Fine



Non conosco Robert Pattinson e lui non ha dato l’autorizzazione per questa fan fiction, scritta per puro divertimento e non a scopo di lucro.





Patrizia
   
 
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