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Autore: Quebello    01/08/2010    8 recensioni
"Coloro che desiderano la pietra, a loro volta sono da essa stessa desiderati."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La chiamò e la chiamò ancora.

 

Ma sua sorella continuò a correre per i cunicoli senza ascoltarla – sebbene “correre” fosse un verbo inadeguato per i movimenti scomposti di Mjrn, paragonabili solo a quelli di una marionetta il cui burattinaio fosse in preda a violente convulsioni. Come trascinata da una forza invisibile che non rispettava l’integrità stessa di quel corpo, Mjrn schizzò qua e là addentro le profondità di Henne, avvolta da un manto di myst denso come Fran raramente ne aveva visti.

 

Balthier e gli altri la raggiunsero a fatica, l’avevano persa nel momento in cui aveva visto sua sorella con la coda dell’occhio.

“Il fetore degli huma. Del potere.”

 

La voce della sua dolce sorellina era irriconoscibile, sovrapposta a un coro di voci maschili e femminili che sembravano venire da un altro mondo.

 

Ashe si portò accanto a Fran, in apprensione: “Cosa le accade?”

 

Mjrn, o qualunque cosa fosse, sgranò gli occhi con orrore e indicò la principessa urlando: “Stà lontana, huma ingorda di potere!”

Basch si frappose tra l’indice di lei e la sua principessa, ma non sguainò la spada: si voltò verso Fran come per chiedere conferma. E in quel preciso momento il corpo di Mjrn si mosse di nuovo come una bambola afferrata per i capelli e corse a zig-zag verso il fondo di un tunnel.

 

“Mjrn…” Fran sembrò riprendersi dallo stupore e guardò il capitano.

 

“Vostra sorella… non le torcerò un capello in più o in meno di ciò che dite voi.”

 

“Mjrn…” la nota affranta nella voce di Fran colse tutti di sorpresa “…io… non lo so… non so cosa le prenda.”

 

Balthier armeggiò un po’ con il marsupio che portava sul fianco. Tirò fuori quattro cilindri lunghi color oro che Vaan non aveva mai visto, li strinse tra un dito e l’altro e poi li mise davanti al volto di Fran.

 

“Ricordati, socia, che sono il protagonista di questa storia. Questo è proprio il tipo di situazioni che il protagonista risolve con un lieto fine insperato lasciando tutti di stucco.”

 

A Vaan sembrò proprio un ottimo momento per rivoltargli la faccia con un ceffone, era il genere di reazione che riusciva bene ad Ashe; e puntualmente costei si mise davanti al pirata con aria sdegnata.

 

“Ti sembra il momento di esibire la tua vanità?”

 

“Ha ragione” la contraddisse incredibilmente Fran sorridendo “ce la farà. Sicuro che cinque basteranno?”

 

“Ne basterà una. O metti in dubbio la mia mira? Che ribalderia! Avrai modo di scusarti dopo.”

 

Corsero entrambi verso il tunnel buio dov’era sparita Mjrn, con inspiegabile buonumore.

 

“Ma che gli prende?” si domandò Penelo con aria smarrita.

 

Ma Vaan invece di risponderle gli corse dietro: “Voglio proprio vedermela tutta questa!”

 

“Bè…” esordì Larsa con un sorriso gentile “È meglio che noi sani di mente non restiamo separati dal gruppo.”

 

“Già” confermò Basch apprezzando la battuta.

 

In quel preciso istante però, le pareti iniziarono a tremare, e con un rumore di legno spezzato una trave cadde ad ostruire il passaggio.

 

“Bella disdetta, un terremoto proprio adesso” osservò Larsa.

 

“Non è un terremoto” corresse la principessa “ma qualcosa di peggio. Conosco la sensazione.”

 

Dietro di lei Belias, il Gigante-Stregone, prendeva forma manifestando agitazione.

 

“Il passaggio è bloccato, che si fa?” la voce di Penelo tradiva la sua preoccupazione.

 

“Basch, cerchiamo di spostare i detriti” ordinò Ashe, mentre l’esper si preparava all’opera.

 

********************************************************************************

 

Vaan non seppe dire quanto aveva corso praticamente al buio, due o tre volte aveva rischiato d’inciampare rovinosamente. I commenti dei due pirati riecheggiavano distorti e incomprensibili per le pareti di roccia, fin quando la luce delle lanterne non iniziò ad affacciarsi dal fondo.

 

Arrivò nel grande spiazzo che costituiva probabilmente una venatura di magilite completamente esaurita. Fran e Balthier erano in piedi, immobili, mentre Mjrn continuava a muoversi in una danza inumana.

 

“È difficile centrarla…” riflettè Balthier ad alta voce mentre cercava faticosamente di seguire i movimenti con la canna del fucile “…il che renderà ancor più significativo il tiro magistrale che seguirà.”

 

Fran ribattè con un ghigno: “Sento parlare ma non vedo sparare.”

 

“Ma che cavolo combinate voi due?”

 

In quel preciso istante il corpo di Mjrn si fermò, e un’ampia apertura luminosa comparve sotto i suoi piedi, una forma circolare che aveva centro nel palmo di lei, ben poggiato a terra. Balthier rimase interdetto dall’imponente figura che stava venendo fuori dal cerchio, e arrivò addirittura ad abbassare l’arma. Fran perse ogni minima traccia di allegria.

 

“Fermati! Mjrn! Non puoi!”

 

La vibrazione magica fu tale che a Vaan sentì una sensazione di solletico. Poi, quella familiare percezione d’irrealtà che accompagnava la comparsa di un esper. Pezzi di cava vennero giù, e anche dall’entrata arrivò l’eco di un crollo.

 

“Socia, da uno a dieci, quanto è brutta la situazione? …Fran? …così brutta?”

 

La viera continuava a fissare la figura. Poi, semplicemente, si inginocchiò.

 

Davanti a lei stava la figura di un vecchio barbuto con ampie corna, interamente formata da rami secchi, rovi, sterpaglie e radici. Il suo corpo sembrava infestare un macchinario antico di metallo dorato, nel cui nucleo pulsava di un bagliore smeraldino; a Vaan ricordava una grossa bilancia, più sofisticata di qualunque ne avesse mai visto nella bottega di Migelo. Sembrava cercare di contenere nei suoi piatti due massi incandescenti, che tremavano costantemente come se scalpitassero.

 

Nessun esper traspirava quanto questo una sapienza perduta e ancestrale, ma anche una follia insondabile e oscura. Vaan e Balthier rimasero incerti sul da farsi, mentre Fran non osò alzare il capo.

 

“Salute, totem del popolo viera, Exodus di Libra, l’Arbitro, albero sacro di Salika, maestro di meteo e comet. Su di noi pende il tuo equo giudizio: che sia fatto il tuo volere.”

 

Persino Vaan sapeva cosa fosse un totem, la divinità tutelare che gli dei antichi, nelle leggende, legavano ad un popolo imponendogli di servirlo. I bangaa, i viera, i numou, gli huma e i moguri avevano tutti ricevuto un totem.

 

Exodus iniziò a muovere le mani come se dirigesse un concerto. I frammenti di roccia si scatenarono in bruschi movimenti che sbilanciarono il macchinario per intero.

 

“Fran-” chiamò il pirata, confuso.

 

La voce di Balthier si perse nel nulla, e così la sua figura. A Vaan sembrò quasi che ogni elemento del mondo come lo conosceva volasse via spargendosi al vento, come una foglie secche. L’ultima cosa che vide fu Fran, ancora a testa bassa.

 

“Non muoverti, non muoverti per nessun motivo.”

 

“Cosa?”

 

“Rimani immobi-” anche lei, e la sua voce, scomparvero.

 

Vaan era in un luogo che non aveva mai visto: una distesa di pietra grigia massacrata da innumerevoli crateri circolari, intervallata da chiazze di alberi scheletriti piegati uniformemente –in tutta evidenza- da violente esplosioni. Qua e là il calore aveva mutato il terreno in un cristallo violaceo e acuminato. Il cielo era percorso da più comete di quante il ragazzo ne avesse visto in tutte le notti della sua vita, e non solo il cielo: qualcuna piombava giù, andando a infrangersi da qualche parte in lontananza generando violenti rumori e spostamenti d’aria; due volte, sferzate di polvere rovente arrivarono fino alle guance di Vaan.

 

Girandosi intorno, distinse una rupe aguzza in lontananza: sotto di essa il cielo sembrava curvarsi. E nella cima, distinse ancora l’esper del segno della bilancia, Exodus, che armeggiava scompostamente. Fran l’aveva chiamato “maestro di meteo e comet”, nomi che aveva sentito tanto tempo prima nelle storie del vecchio Dalan: forze indomite che neanche i maghi neri più esperti padroneggiavano senza problemi.

 

Gli venne da chiedersi per quale esatto motivo un meteorite non arrivava esattamente sulla sua testa, obliterandolo dal creato: gli venne la nausea quando si rese conto che non ne aveva la più pallida idea. Poteva benissimo trattarsi di una clemenza del caso, in sostanza di semplice fortuna.

 

Per quasi un intero minuto non fece che rimanere immobile, come gli aveva detto Fran, eccetto gli occhi con cui cercava qualsiasi cosa che fosse familiare in quel mondo alieno. Poi si rassegnò, dentro di lui si combattevano l’euforia per la situazione incredibile e il terrore di non avere alcun controllo sulla sua vita o sulla sua morte.

 

Portò gli occhi all’esper: i suoi gesti raggiunsero un climax, e s’inarcò all’indietro come fosse all’apoteosi di un’esibizione impareggiabile. In quell’esatto istante si ritrovò nella miniera, con Fran e Balthier accanto, e Mjrn sul fondo della cava; per il totale disorientamento cadde seduto a terra, mentre notava la scomparsa di Exodus, svanito nel nulla assieme al mondo in cui li aveva, per pochi istanti, trascinati tutti e tre.

 

“Presa!” Balthier fece fuoco, centrando in pieno petto Mjrn.

 

Il proiettile generò uno scoppio di luce color limone che si suddivise in molteplici filamenti, come una rete. Questa si chiuse, bloccando il corpo di Mjrn e i suoi movimenti scomposti e legandola ben stretta

 

“Un capolavoro di scienza alchemica, richiede anni di preparazione… e viene sparato in poco meno di un secondo! Ah, è appropriato: così è la bellezza, così è il genio, ineffabile e fugace” poi si voltò verso Fran e aggiunse “mi devi da bere socia. Portiamo a casa la tua scapestrata sorellina.”

 

Mjrn sollevò la testa e parlò ancora con la sua voce ultraterrena: “Famran!”

 

“Come?” chiese Vaan, gli occhi fissi su quelli della viera, che sembravano attraversarlo.

 

“Famran! Perché rifuggi il tuo destino?”

 

“Io non mi chiamo Famran..: io…”

 

“Ti nascondi dietro un nome non tuo, falso come la tua identità, rinnegando il tuo destino. Rifiuti la grandezza che ti spetta. Lasci soli coloro che hanno bisogno del tuo aiuto!”

 

“Non capisco di cosa parli!”

 

La voce prese quasi una nota di tristezza: “I tuoi sogni come pirata… preferisci render vere le tue fantasie infantili che adempiere al tuo ruolo nella storia di Ivalice?”

 

“Il mio ruolo nella storia…?” dopo aver ripetuto quelle parole, restò in silenzio.

 

“Famran! Tu…!”

 

Un secondo sparo, e un’esplosione ai piedi del corpo imprigionato di Mjrn generò sbuffi di fumo colorato, una festa di rosa salmone, azzurro ghiaccio, cobalti e violetti che avvolse l’esile viera. Subito dopo averla respirata, crollò a terra in un sonno artificiale e profondo. Balthier lasciò cadere la cartuccia con una insolita espressione gelida.

 

Nello stesso istante gli cadde di mano una grossa pietra scura che Vaan riconobbe subito come negalite artificiale, la quale si sbriciolò con facilità innaturale. Come vapore da una teiera che si spacca il myst uscì libero dai frammenti e prese forma.

 

Era una figura ultraterrena, dissimile da qualsiasi cosa che appartenesse al mondo di Ivalice, il mondo che Vaan conosceva. Il corpo sembrava scolpito in grezzo cristallo nero, con finissimi intarsi che si avvolgevano in volute e spirali, così da sembrare al contempo qualcosa di assolutamente naturale e mai toccato da mano umana, quanto un’opera d’arte meticolosamente studiata. Era privo di braccia e gambe, come fosse stato creato per fluttuare, e se aveva un volto era coperto dall’ombra di un’apertura simile al cappuccio di una tunica incoronato dalle forme di due ali. Dalla tenebra sotto il cappuccio scolpito nella pietra si distinguevano solo due globi di luce tondi, due occhi che splendevano indifferenti.

 

 

 

Fu un’ attimo, in cui squadrò tutti loro con quegli occhi inumani. Poi anche quella cosa svanì nell’aria.

 

“Scusate, non ero in vena di sermoni” si spiegò Balthier rinfoderando il fucile “e poi sembrava strapazzata. Una dormita le farà bene.”

 

“Cos’era quella cosa… che aveva dentro?”

 

Il pirata strinse le spalle, anche Fran scosse la testa mentre si metteva al capezzale di Mjrn.

 

“È stata quella cosa a dire quelle parole, Vaan… e a dirmi che sono ingorda di potere” concluse Ashe, che doveva essere apparsa alle loro spalle pochi secondi insieme a Penelo, Larsa, e ovviamente Basch.

 

Quest’ultimo la guardò con apprensione, ma badò a non farsi sorprendere appena la principessa cercò a sua volta i suoi occhi.

 

“Ha parlato di me… del mio nome… del mio destino… che cavolo significava quella roba?”

 

“E chi lo sa?” tagliò corto Balthier.

 

“Come sarebbe… ecchilosà?” sbottò il ragazzo “Se tu fossi destinato a qualcosa di grandioso, non vorresti saperlo?”

 

“Ma io so già di essere destinato a grandi gesta. Sono il protagonista.”

 

“Tu hai sempre pensato comunque di essere destinato a qualcosa di grandioso, giusto Vaan?” osservò scetticamente Penelo.

 

“Tanto meglio! Voglio sapere cos’era quel coso volante!”

 

“Lo chiederemo a lei appena si sveglia” suggerì Larsa, riferendosi alla viera dai capelli corti che Fran teneva amorevolmente tra le braccia.

 

“Sei tu?”

 

Mjrn aveva aperto a fatica gli occhi per distinguere appena la sorella, che annuiva. Subito dopo, con un sorriso, piombò ancora nel sonno profondo.

 

 

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Il soporifero alchemico di Balthier cessò i suoi effetti dopo circa un’ora. Dopo che tutti l’avevano aspettata impazientemente, come un parente ammalato di cui si aspetta la diagnosi, finalmente Mjrn fu completamente sveglia.

 

A quel punto dedicò delle occhiate interrogative al gruppetto, intuendo che si trattasse degli amici huma di sua sorella. Dopo un po’ di doverose presentazioni, fu abbastanza in sé da trascinarla fuori dalla cava, fino ad una galleria molto ampia che sembrava più sicura.

 

Dopo un paio di domande sulla sua salute, Fran si decise a chiedere come era arrivata lì. Mjrn ci mise un po’ a rimettere assieme i ricordi, prima di iniziare a parlare.

 

“Quando i soldati huma attraversarono la foresta, il villaggio ne mostrò scarso interesse… fintanto che la foresta stessa non ha nulla da temere, a noi viera poco importa cosa succede nel mondo esterno. Ma in me cresceva il disagio… volevo sapere perché erano venuti…”

 

“Quindi sei venuta qui per saperne di più, e ti sei fatta acciuffare” riassunse Balthier, e al cenno affermativo di Mjrn aggiunse “sei spericolata come tua sorella.”

 

Fran e Balthier si scambiarono un sorriso complice.

 

“Quindi mi hanno presa, e mi hanno sistemato vicino una pietra… hanno detto che il myst sarebbe fluito in me, che le viera sono adatte a questo… allora ho visto la luce venire dalla pietra, e-”

 

“Lo abbiamo visto già” interruppe Fran “Sulla Leviathan, il Frammento d’Aurora ha portato anche me a tale furia… ma lei non è stata presa dal Frammento d’Aurora…”

 

“Negalite artificiale” annuì Larsa “ma questo significa… Penelo, hai ancora la pietra che ti ho regalato?”

 

In risposta al tono stranamente allarmato del giovane, Penelo infilò una mano nel fagotto di Vaan, ed estrasse la pietra geometricamente squadrata, di color blu scuro: “Sicuro, eccola…”

 

“Questa cosa è pericolosa persino oltre ciò che pensavo. Non avrei mai dovuto dartela. Perdonami, non lo sapevo.”

 

Penelo gli sorrise per confortarlo: “L’ho sempre considerato una specie di portafortuna. E se anche è pericolosa, sul Leviatano ci ha protetto.”

 

Ashe ripensò alla massa di fuoco evocata da Ghis, che era stata risucchiata dal Leviatano giusto prima che li obliterasse. Poi diede voce ai suoi pensieri.

 

“C’è uno scopo per ogni cosa, anche per oggetti tanto pericolosi.”

 

Basch rabbrividì alla sottile ma percepibile nota di bramosia nella voce della principessa. Coloro che desiderano la pietra sono a loro volta da essa stessa desiderati, così aveva detto il Gran Capo Garif. Evidentemente la pietra aveva ancora presa su di lei.

 

“Sì, bè, speriamo tu abbia ragione” liquidò Vaan distrattamente.

 

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Il morbido verde di Ozmone, e i relitti metallici che riposavano tranquilli accogliendo il rumore del vento, fecero prendere aria al gruppo, appena uscito dalle miniere. Marciarono per qualche ora, Fran teneva sempre Mjrn a spalla, e lei faceva svariati tentativi di camminare da sola, ciascuno dei quali si interrompeva bruscamente quando constatava che non aveva ancora il pieno controllo delle sue gambe.

 

Dopo un po’ decisero di fermarsi all’ombra di un grosso motore schiantatosi dentro un crepaccio e ormai ricoperto di edera. Stesi all’ombra, per un po’ non dissero nulla e gustarono i rumori naturali della pianura, e quelli dei loro pensieri.

Vaan riprese a pensare alle parole dell’entità misteriosa. Gli davano un autentico senso di gioia: aveva sempre pensato di essere destinato a qualcosa di più della sua misera vita da ladruncolo e ora, seppur non sapendo bene in che modo e perché, ne aveva avuto conferma. Ripensò a quello che aveva detto ad Ashe a Jahara – che le sue fantasie erano solo una fuga, che la morte di suo fratello, la sua impotenza, ogni cosa gli era ancora insopportabile. Ma adesso aveva in mano qualcosa, seppur minima, che era concreta e reale. Un’apparizione che tutti avevano potuto vedere ed udire, che affermava che lui avrebbe cambiato il mondo.

 

Penelo ripensò alla bottega di Migelo, a Migelo stesso che li aveva accuditi, alle sue amiche. Era passato poco tempo, eppure sembrava così tanto, da quando era solo una giovane aiutante rabanastrese con l’hobby segreto e pericoloso di studiare gli incantesimi. Allora era convinta che aprire certi libri fosse la cosa più rischiosa che avrebbe mai fatto e invece solo l’affetto per Vaan era bastato per arrivare fino a quel punto, stupendo più di tutti sé stessa.

 

 

Ashe ripensò a Rasler e ai segni che l’avevano guidata fino a quel punto. In pochi mesi lei e le persone che la accompagnavano avevano visto cinque esper, e tra questi due totem, Adrammelech ed Exodus, ed era certa che nei giorni a seguire sarebbero, per una ragione o per un’altra, incappati nei rimanenti. Erano segni e, come tali, erano prova di un destino, le tracce che gli dei le avevano posto davanti e che si schiudevano l’una dopo l’altra dinnanzi ai suoi occhi. Aveva perso ogni affetto, poi il suo esercito, il suo uomo di fiducia, il potere della Negalite che era suo di diritto. Ma finchè poteva credere che facesse parte di un cammino verso la giusta conclusione, allora era giusto.

 

Basch ripensava a Noah, al morbo chiamato vendetta che affliggeva suo fratello e che un tempo aveva divorato lui, e che certamente insediava ad ogni momento, ad ogni secondo la ragazza fragile e disperata che aveva giurato di proteggere, tentando di farle perdere sé stessa. A Vossler, che aveva voluto a modo suo spezzare quel circolo vizioso di odio e morte, e aveva fallito, e infine alla fede, la sua scelta consapevole di credere in Ashelia B’Nargin Dalmasca, che gli aveva fatto scegliere di difendere lei da Vossler e non viceversa. La fede non richiedeva ragionamenti o elucubrazioni: solo la forza della convinzione.

 

 

Balthier ripensava al suo passato, e subito si dirigeva su altri pensieri. Su Fran, sulla prima volta che avevano fatto l’amore, su Ashe e –gli era lecito sperare- la prima volta che lo avrebbe fatto con lei, sulle donne che aveva avuto prima e dopo Fran. Imprese ancora da compiere, sfide ancora da lanciare, beffe ancora da ideare, piatti da gustare, donne da conquistare. Qualsiasi cosa che potesse distrarlo, qualsiasi storia non fosse la sua vera storia, il suo vero nome, e la persistenza con cui, dall’inizio di quella avventura, il suo passato lo stava lentamente risucchiando verso di sé.

 

Fran e Mjrn si riposarono l’una sulla spalla dell’altra, come da tanto tempo non succedeva e probabilmente, pensò Fran, non sarebbe accaduto più. Sì, ne era convinta – avrebbe rifatto le stesse scelte che l’avevano portata a quel punto, a quel momento. E tuttavia, era anche consapevole di quanto aveva perso. Ma anche di quanto aveva guadagnato: qualcuno che potesse comprendere la sua solitudine e condividerla, ma anche qualcuno che, come lei, era pronto a viaggiare, a scoprire l’ignoto, a riscoprire sé stesso, a rimettersi in gioco. Qualcuno che valeva la pena seguire in questa avventura non sua.

 

 

 

 

 

 

Larsa ripensò a suo padre, suo fratello, e alla sua cara Drace. Ciascuno di loro si sarebbe battuto per la propria idea dell’Impero e per la sua idea del mondo, insomma per la sua giustizia. Lui si ostinava a credere che tutto ciò potesse risolversi in un lieto fine per tutti loro, in un mondo dove ognuno avrebbe potuto vivere in pace. Ed era consapevole di quanto ingenuo potesse sembrare quella speranza, eppure era convinto che fosse proprio quel sogno irrealistico a dare la forza di rendere il mondo migliore a chi ci credeva.

 

Ciascuno lasciò vagare i suoi pensieri, e si riposarono quanto serviva. Alla fine fu Larsa a rompere il silenzio, rivolgendosi alla viera più giovane.

 

“Come vi sentite, Mjrn?”

 

Lei sorrise a quello huma tanto gentile: “Esausta. Ho evocato il totem della nostra gente, stento ancora a crederci; persino i nostri sacerdoti crollerebbero dopo uno sforzo simile. Di certo non avrei mai tentato di farlo, non volontariamente.”

 

Vaan si girò verso di loro: “Ecco, a proposito di questo, Fran… che accidenti è successo prima? Perché quel coso non è riuscito a ucciderci?”

 

“Exodus di Libra non vuole uccidere. Vuole solo giudicare. Egli conduce nella sua dimensione coloro che vuole giudicare, e li mette alla prova. Una prova che noi abbiamo saputo superare.”

 

“Cosa significa questo?” insistette Larsa.

 

Fu Mjrn a rispondere: “L’Arbitro fu creato dagli dei infondendo giudizio ad un albero sacro di Salika, perché nella sua sapienza secolare giudicasse e facesse ordine. Nessuno sa di preciso cosa gli sia successo dopo… qualcuno afferma che assorbì la malvagità del mondo che giudicava… o forse si rese conto che l’ordine perfetto era irraggiungibile nella mutevole realtà delle cose. Sia come sia, maturò l’ambizione di portare l’ordine assoluto: il nulla eterno e sconfinato, il Void. Per questa ambizione si ribellò agli dei che lo condannarono a subire il sigillo e, in seguito, ne fecero dono al mio popolo.”

 

“So che i sovrani degli huma ricevettero l’esper del segno dei pesci come totem” commentò Ashe.

 

Fran annuì: “l’acquario andò ai sapienti moguri, il capricorno ai coraggiosi bangaa, la vergine ai pii numou.”

 

“Ma non avete spiegato un accidente” si lagnò Vaan.

 

Fran ebbe una punta impercettibile d’impazienza: “Gli dei hanno punito Exodus conferendogli il dominio su meteo e comet… i poteri del caos assoluto, che colpiscono a caso, e risparmiano a caso. La legge dell’Arbitro Exodus è la legge del caos, proprio come il giudizio della giungla è affidato al caos; non può essere ingannato, convinto, sviato, intimidito o corrotto: il caos è equo. Questa verità paradossale rappresenta la maledizione degli dei, che lo ha condotto alla follia, ma per noi viera rappresenta il giudizio definitivo.”

 

“Insomma se ho capito bene… non siamo morti per puro caso?” insistette dando voce ai suoi sospetti.

 

“È un modo di intendere la cosa” assentì lei.

 

“Bella roba!” sbuffò il ragazzo “voi viera state proprio fuori.”

 

“Si può considerare un segno anche questo” considerò Ashe “e cosa significa stare proprio fuori?”

 

Vaan ignorò la domanda: “Sembri contenta, Ashe… ma per me tutto sto casino dei segni e delle profezie e del sangue reale… è proprio scocciante.”

 

“Prego?”

 

“Bè pensaci… siamo abituati a queste storie pazzesche, queste leggende… ma quanti di noi ci credono veramente?”

 

“A dire il vero noi viera… ci abbiamo sempre creduto” disse Mjrn, timidamente.

 

“Noi huma no… o meglio… non ci poniamo proprio il problema!”

 

“Temo che il punto non mi sia chiaro” rimarcò Ashe, senza però nascondere l’interesse.

 

“Sono un cesso con le spiegazioni…”

 

“Sei un… un che?”

 

“Ehm… cerca di dire che non è molto bravo!” s’interpose Penelo, evitando un ulteriore imbarazzo.

 

“Cerco di dirlo meglio… Le leggende sono leggende giusto? Non ci tocca di chiederci cosa succederebbe se fossero vere. Ma se esistono gli esper… se esistono gli Dei…”

 

“…allora non siamo padroni di nulla” chiuse Balthier, che era rimasto in silenzio.

 

“Dico, se qualcuno scrivesse la nostra storia per noi… che cavolata sarebbe!”

 

“Non capisco” fece Ashe, stupita “è proprio questa l’idea di fede, giusto? Che all’origine ci sia sempre una ragione per ogni cosa… che tutto sia parte di un grande disegno… questo predica il kiltias… no, qualsiasi religione! La fede ispira gli uomini, dà speranza, non la toglie.”

 

“La fede vive del dubbio. Se si perde il dubbio, se si tocca la prova con mano, cessa di essere fede e diventa schiavitù. E gli dei cessano di essere dei e diventano tiranni.”

 

Le parole di Balthier colpirono il giovane Larsa: “Sapete, ho già sentito queste parole…”

 

“Ho rubato la citazione, ma non ricordo a chi. Uno famoso? Un pirata di successo non può ricordarsi a quanta gente ruba!” tagliò sbrigativamente il pirata, ma a Larsa non convinse affatto, e anche Fran guardò il suo compagno storcendo la bocca contrariata.

 

“Non so. Io vorrei decidere da solo cos’è giusto. Mi seccherebbe se qualcuno me lo dicesse” concluse Vaan.

 

Basch annuì: “Il bene non si trova nei libri di religione, nelle leggende o nelle dottrine. Ciò che è giusto fare dobbiamo saperlo noi, cercando nel nostro animo. La giustizia viene da noi.”

 

Penelo guardò Vaan in ammirazione. Era certamente cresciuto, e sarebbe probabilmente cresciuto ancora, pensò. Tutto sommato non aveva rimorsi per averlo seguito.

 

Ashe, invece, guardò il cielo, guardò al futuro, ancora una volta piena d’incertezze.

 

“C’è un’altra ragione per cui l’esper della bilancia è il totema del mio popolo” riflettè Mjrn ad alta voce “come per Exodus, la nostra esistenza è la ricerca di un equilibrio… tra i nostri sogni e la nostra missione di proteggere la foresta. Sono sempre meno le viera che riescono a rinunciare alla ricerca della felicità per rispettare la Parola Verde… nei secoli passati, molte hanno lasciato il villaggio mischiandosi agli huma.”

 

Fran accarezzò affettuosamente i capelli a caschetto di Mjrn, stringendosi addosso quel suo viso così simile al suo, sebbene dai contorni più dolci.

 

“Ho sempre pensato che la ricerca della nostra giustizia fosse una maledizione per noi, come per il nostro totem” continuò lei “ma forse non ha nulla a che vedere con l’essere viera o non esserlo. Forse, ogni essere di Ivalice è alla ricerca di un equilibrio… di ciò che è giusto.”

 

“Certamente! Huma e viera non sono poi così diversi, no?” considerò Vaan.

 

“Già!” rispose Mjrn, con un sorriso carico d’allegria.

 

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“Ho già saputo… ho sentito la foresta sussurrarmi.”

 

Jote aveva allungato la mano lasciandone cadere qualcosa, che Vaan afferrò in caduta giusto in tempo. Era una gemma dalla forma affusolata, che splendeva di molteplici colori chiari.

 

“La Lacrima di Lente. È un lasciapassare, attraversate la foresta e lasciateci. Andatevene altrove.”

 

Vaan aspettò che aggiungesse qualcosa, ma nulla. Non gli restò che voltarsi per andarsene con aria rassegnata, imitato dagli altri.

 

“Non può essere tutto qui!” sbottò Mjrn “L’ho visto, fuori da questo villaggio… Ivalice sta cambiando! Noi viera possiamo stare qui a non far nulla?”

 

La rabbia di Mjrn si scontrò con l’impassibilità nel volto e nella voce della sorella: “Ivalice è per gli huma; la foresta, e soltanto la foresta, è per noi.”

 

“Ma questo è sbagliato! Ci nascondiamo tra gli alberi mentre il mondo là fuori è in movimento!”

 

Finalmente, per una volta, le viera sparse qua e là per il villaggio parvero accorgersi di qualcosa, e risvegliarsi dal torpore. Ma gli sguardi che rivolsero a Mjrn non lasciavano dubbi: erano tutt’altro che convinte dalle sue parole appassionate.

 

“Anche io voglio vivere libera… lasciare la foresta!”

 

Girandosi arrabbiata, si trovò Fran a pochi centimetri dal suo volto.

 

Fu perentoria: “Non lo fare.”

 

Mjrn sembrò colpita in piena faccia da qualcosa. Gli affiorarono lacrime negli occhi.

 

“Devi stare lontana dagli huma

. Vivi nella foresta. Insieme, con la foresta. Questa è la tua strada.”

 

“Ma Fran… sorellina!”

 

“Non sono più una di voi. Ho rigettato la foresta e il villaggio… ho conquistato la mia libertà. Ma il mio passato è perso per sempre… le mie orecchie non sentono più la Parola Verde. Questa… solitudine è ciò che vuoi, Mjrn?”

 

Balthier guardò Fran, la sua amata socia. Non dubitò che ogni parola di quel discorso fosse stata meditata per decenni, che ogni sillaba gli costasse moltissimo. Ma Fran non mostrava esitazioni e Mjrn, come lei aveva voluto, era visibilmente scossa.

 

“Sorellina…” chiamò, implorante, ancora una volta.

 

“No, Mjrn” la fermò lei, e aggiunse con durezza “Ti resta solo una sorella ora. Dimentica la mia esistenza.”

 

Fu troppo per lei. Scappò via piangendo, e gli occhi di Fran poterono finalmente, per una frazione di secondo, mostrare tristezza. E così quelli di sua sorella Jote, che era rimasta in silenzio, mostrarono la stessa tristezza e anche, sorprendentemente, comprensione e solidarietà.

 

Appena Mjrn se ne fu andata, le viera intorno a loro ripresero la loro meditazione impenetrabile, dimenticandosi di Fran e dei suoi compagni, e dimostrando una volta per tutte che le viera esistevano ad Eruyt fintanto che ne rispettavano le leggi: per questo la ribellione di Mjrn era stata presa in considerazione mentre la presenza di Fran veniva ignorata; Fran non era che un’ombra ormai, uno spettro venuto dal mondo esterno indegno della loro attenzione.

 

“Mi spiace avertelo fatto fare” disse Jote appena riuscì a riprendere il suo contegno.

 

“Lei va contro le leggi della foresta. Io ho rigettato queste leggi. Era meglio che ci parlassi io che colei che deve far rispettare quelle stesse leggi.”

 

Jote chinò il capo in segno di riconoscenza.

 

“Ho una richiesta... ascolta la Verde Voce per me. Io ho paura… ho paura che la foresta mi odi.”

 

Balthier non ricordò di aver mai sentito quel tono vulnerabile e quasi infantile in Fran, e certamente in futuro non l’avrebbe sentito per molto altro tempo. Lo inquietò: temeva per lei, per la risposta che poteva ricevere.

 

Jote allargò le braccia e di nuovo come alla loro prima visita il vento soffiò nel bianco delle foglie come mai si era sentito fuori da Eruyt. La sacerdotessa respirò profondamente. Poi guardò Fran, con un sorriso confortante e insolito su quel volto severo.

 

“La foresta ha nostalgia di te. Della bambina che teneva fra i suoi rami.”

 

Anche Fran sorrise, era un sorriso ironico e triste: “Una bugia gentile, questa.”

 

Appena diede le spalle a Jote, lei aggiunse: “Fa attenzione. La foresta prova invidia per gli huma che ti hanno portata via.”

 

“Sono una di loro ora. Non è così?” minimizzò lei.

 

L’espressione di Fran non mutò di una virgola, ma Balthier capì che sforzo le costava guardare Jote in faccia mentre pronunciava queste parole: “Addio, sorellina.”

 

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Solo dopo qualche minuto il gruppo notò che Fran si era immobilizzata a guardare una parete ricoperta di vegetazione lussureggiante e Balthier tornò indietro quasi a scuoterla per una spalla.

 

Fran non distolse un solo istante gli occhi dal pendio, e Balthier realizzò che si muoveva ritmicamente, come respirasse. Vide la sua compagna affascinata e intimorita al contempo dall’entità che pian piano si staccava dal groviglio della giungla.

 

La massa di liane aggrovigliate, foglie verdeggianti, rocce aguzze, funghi ammassati, rossi fiori carnosi, si spostava paziente ma inesorabile verso la viera e il pirata, mentre gli altri cinque dietro di loro si forzarono ad avvicinarsi al duo, per non lasciarli soli. Prendeva una sagoma che chiunque, su Ivalice, conosceva bene: un enorme dragone, ricoperto dalla Giungla di Golmore che gli era cresciuta addosso per secoli.

 

Persino Vaan sapeva che i draghi, tra gli esseri più antichi di Ivalice, erano tutti, senza eccezione alcuna –o così credeva- costretti da un enorme anello magico di metallo lavorato che gli cingeva il collo, simbolo chiaro e inequivocabile degli dei che, prima ancora dell’Alleanza di Galtea, li avevano sottomessi e costretti all’obbedienza. Il fatto che quel drago fosse in tutta evidenza libero da qualsivoglia anello o altra forma di costrizione significava avere al cospetto un essere che aveva resistito persino agli Dei del mondo antico, di prima del kiltianesimo. La paura si mescolò, come sempre gli accadeva, all’entusiasmo che gli attraversava la pelle, l’estasi dell’avventura.

 

Fran si lasciò scappare un sorrisino ironico: “Avevi ragione, Jote… la foresta è gelosa.”

 

“Un altro… giudice, o arbitro, o quel che sia, della tua gente?” domandò seraficamente Balthier al suo fianco, mentre la mano scivolava con calma verso il fucile, tentando di non indispettire la bestia con movimenti affrettati.

 

Gli occhi si aprirono, fissandoli con malizia. Il respiro del drago produsse un fragore che sembrò scuotere gli alberi di Golmore dalle fondamenta fino alle cime, invisibili agli occhi.

 

“No. Egli è l’Antico, un dragone già vecchio quando la foresta doveva ancora nascere. Per noi rappresenta la passione e la brama.”

 

“Fico” commentò Vaan mentre la creatura sembrava sgranchirsi, facendo tremare la terra “come lo stecchiamo questo bestione?”

 

“È meglio che ve ne andiate” ribattè Fran “il suo veleno è letale per chi non appartiene al mio popolo.”

 

“Nessuno ti lascerà qui!” protestò immediatamente Penelo.

 

“Vi raggiungo dopo. Del resto, se io non fossi con voi, avrebbe continuato a dormire.”

 

Il drago si scrollò di dosso qualche pianta di troppo, e puntò il gruppo come un qualsiasi predatore.

 

L’esortazione di Vaan fu coperta dal rumore di aria pressurizzata. Da ogni singolo poro dell’Antico un gas denso, dall’odore dolce e intossicante, spruzzava in getti ordinati verso l’alto, ammassando una coltre nubiforme sopra le loro teste.

 

“Troppo tardi per il bel discorsetto eroico, si direbbe!” ironizzò Balthier dando una gomitata d’intesa a Vaan “ora si crepa tutti.”

 

“E se così fosse cos’hai da ridere?” si stizzì il biondino.

 

“Rido perché sei scemo” spiegò tranquillamente Balthier “e, comunque, non ho mai sentito di qualcuno che si salvasse la vita piangendo e strappandosi i capelli, quindi meglio andare all’altro mondo col sorriso.”

 

Ma mentre parlava gli tremava la voce per i nervi. Nessuno di loro poteva semplicemente voltarsi e scappare, certi che avrebbero ricevuto una zampata altrettanto fulminea –e mortale- alla schiena se ci avessero provato. Restavano così, come topi incantati da un serpente.

 

Il gas iniziò a scendere verso il basso dividendosi in filamenti che rifrangevano la luce del attraverso i rami. Ovunque fossero andati, sarebbero stati comunque avvelenati e, stando a Fran, rapidamente sarebbero morti.

 

“Dovete andare” ripetè Fran, indicando con gli occhi un’apertura sotto delle spesse radici.

 

Ma a quello che successe subito dopo, persino lei sgranò gli occhi. Ogni singola particella di gas nell’aria s’incendiò, muovendosi disordinatamente come se un vento infuocato soffiasse dal basso.

 

Dietro di lei, dietro le spalle di Ashe, Belias di Aries agitava la sua arma mandando a fuoco la nube di spore. L’odore dolciastro svanì lasciando posto all’aria bruciata.

 

“Principessa…” sbalordì Balthier.

 

“Non uno di noi sarà perso lungo la strada. Siete tutto l’esercito di cui dispongo. Fran! Il Gigante-Stregone lo tratterrà. Fuggi anche tu con noi! Adesso!”

 

Il dragone e l’esper si fronteggiavano, ciascuno dei due tenendo l’altro sotto scacco. Ma persino Belias sembrava intimorito al cospetto dell’Antico.

 

“Non c’è molto tempo, Fran!”

 

Vaan prese la viera per il braccio: “Per una volta sono d’accordo con Ashe!”

 

“Sottoscrivo” aggiunse Balthier.

 

Tutti e sette s’infilarono nel cunicolo, un attimo prima dell’impatto violentissimo tra le due creature mitologiche.

 

 

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Chiedo scusa a tutti. Questo capitolo che state leggendo, seppure scritto in ampia parte ex-novo rispetto alla prima stesura, era in effetti pronto già ad aprile. I mesi che sono seguiti da aprile ad oggi sono stati traumatici per me, l’inizio di un periodo –ancora in corso- tutt’altro che lieto, ed ecco perché non l’ho postato fino ad adesso. Mi spiace molto.

 

Comunque sia sono tornato, per quanti hanno avuto la pazienza di aspettarmi finora. Non vale un granchè come giustificazione (anzi) ma, in questo periodo, non siete certo i primi nè gli ultimi che ho deluso profondamente. Spero che almeno voi perdoniate! Il capitolo di settembre arriverà... entro settembre, si spera!

 

  
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