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Autore: Sharwin    01/08/2010    0 recensioni
Rachele si alzò di soprassalto, aveva il cuore che batteva forte in gola. Aveva sentito davvero quell'urlo o era stato solo un brutto incubo?
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un urlo di dolore squarciò il silenzio della notte. Rachele si alzò di soprassalto, aveva il cuore che batteva forte in gola. Aveva sentito davvero quell’urlo o era stato solo un brutto incubo? Si mise a sedere sul letto e spostò le ciocche di capelli dalla fronte mandida di sudore. No, il sogno che aveva fatto se lo ricordava benissimo, e non c’era nessuno che urlava o che era spaventato. Si alzò dal letto e uscì dalla sua stanza senza fare alcun rumore, la moquette morbida assorbiva il suono dei suoi passi. Scese al piano inferiore senza nemmeno accorgersene: le sue gambe si muovevano da sole e la stavano conducendo in una stanza precisa, come se qualcosa la richiamasse lì.  Il corridoio era buio, ma conosceva a memoria ogni passo che doveva fare. La camicia da notte le frusciò sulle cosce quando si fermò davanti a una porta socchiusa. Rachele aveva 13 anni e non metteva piede in quella stanza da quando ne aveva 6. Quello era lo studio di suo padre,un importante avvocato conosciuto in tutta la città. L’ultima volta che vi era entrata era sulle ginocchia del padre a giocare, ma, con un movimento brusco delle braccia, aveva fatto rovesciare una boccettina di inchiostro sulle carte di lavoro del padre.  Lui non si era arrabbiato con lei, ma anzi l’aveva posata dolcemente a terra, rimproverando se stesso di aver lasciato la boccetta aperta e averle fatto rovinare il vestitino. La madre, invece, l’aveva colpita con un sonoro schiaffo sulle guance paffute, sia per aver rovinato il vestitino ora irrecuperabile, sia per aver distrutto il lavoro del padre. Inoltre, le aveva proibito di entrare ancora in quello studio e l’aveva rimproverata di “essere sempre la solita”. Rachele odiava quella donna, che non era nemmeno la sua mamma naturale, era la seconda moglie del padre. La madre biologica aveva lasciato la famiglia quando Rachele aveva 3 anni, gli unici ricordi che ne aveva erano una fotografia tenuta con grande cura sulla scrivania del padre e le lacrime di lui quando cercava di parlarne. Ora però Rachele doveva rompere il divieto  di non entrare in quella stanza. Doveva farlo. Posò la mano sulla maniglia d’ottone e sentì una sostanza viscida. Nel buio non riusciva a capire cosa fosse, ma quando posò lo sguardo a terra vide che anche i suoi piedi erano sporchi: la moquette era impregnata da quella sostanza. Non sapeva cosa fosse, ma l’odore la nauseava. Spinse la porta e rimase abbagliata dalla luce che ne proveniva. Socchiuse gli occhi e quando li riaprì si trovò nella stessa stanza dell’ultima volta che vi era entrata, non era cambiato nulla: stessi scaffali, stessa poltrona, sessa scrivania. Questa volta, però, non c’era nessuno. Rachele era convinta che suo padre dovesse essere lì.. abbassò lo sguardo e vide la moquette blu divenuta marrone, bagnata dallo stesso liquido che le aveva sporcato i piedi e che ora si concentrava in una macchia più grande visibile appena da sotto la scrivania.  Il cuore le pompava  a mille mentre muoveva un passo dopo l’altro verso quella chiazza, finché ebbe un sussulto.  Suo padre giaceva a terra riverso sulla schiena, la bocca storta e gli occhi spalancati; tutti i muscoli erano rigidi. I piedi di Rachele erano pieni di sangue, lo stesso sangue sgorgato da una ferita al petto del padre che aveva sporcato la camicia bianca e gran parte della moquette che ricopriva il pavimento della stanza.

 Rachele cadde sulle ginocchia e iniziò a singhiozzare forte, affondando le mani nel braccio inerte del padre.

  
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