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Autore: _Tess_    01/08/2010    5 recensioni
Il tragico episodio dell'abbandono in New Moon vissuto attraverso i pensieri di Edward Cullen
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fine (L'abbandono dal punto di vista di Edward)

Vedevo la sua morte, continuamente, come una pellicola sbiadita che scorreva davanti ai miei occhi; gli scenari erano ogni volta differenti così come i volti dei carnefici...

carnefici che erano sempre dei vampiri e lei, la vittima, era sempre Bella.

Come potevo essere stato così egoista?

Come avevo potuto pensare solo per un attimo di proteggerla, quando la mia sola presenza era un costante pericolo per la sua vita?

Ed ecco farsi strada nella mia mente un altro scenario di morte, ma questa volta l'assassino ero io.

Aprii gli occhi, fino a quel momento serrati, come se volessi svegliarmi da un incubo e vidi la mia immagine sbiadita riflessa sulla vetrata della mia camera; mi sembrava di osservare uno sconosciuto, un mostro, un assassino...

Senza neanche voltarmi, afferrai la lunga lampada che stava alle mie spalle e la scagliai contro la finestra. Il rumore di vetri infranti riempì la casa e rimbalzò per le pareti fino a spegnersi. Nessuno disse niente, la casa era già vuota.

Sulla finestra era rimasto solamente un lembo di vetri che rimandava il mio viso spezzato in un macabro mosaico di frammenti; quella immagine era vicina alla verità più di ogni altra cosa.

Avevo trascorso le ultime due ore divorato dalla tentazione di andare da lei, cercando di controllare l'impulso di vederla dormire per l'ultima volta. Alla fine ero giunto fin sotto la sua finestra ed avevo ascoltato il suo respiro, ma non ero entrato. Respirava, stava bene anche senza di me; sarebbe stata meglio senza di me. Non potevo cedere, non quando la mia decisione era stata presa, non quando avevo deciso di lasciarla per sempre e non mi potevo arrendere al desiderio di entrare di notte nella sua camera proprio ora che avevo deciso di uscire definitivamente dalla sua vita.

Ero tornato a casa quasi camminando, nel tentativo di rallentare anche i miei pensieri che cercavano di sfuggire veloci e insidiosi al mio controllo, non avevo alcuna fretta di vedere sorgere il giorno più difficile della mia eterna vita.


Quando si è immortali il tempo non ha più valore, è come un conoscente che ti accompagna nel tuo cammino, ma che in realtà non ti racconta niente di nuovo. Le lancette scorrono, la sabbia delle clessidre scivola via, le albe si susseguono ed io rimango sempre in questo mondo, come una statua, scolpita nella pietra, che non chiude mai gli occhi.

Eppure quella mattina contai le ore, i minuti e i secondi...

Le lezioni mi parvero volare mentre assaporavo la sua presenza e la guardavo e vedevo che aveva dormito male, che era stanca e forse preoccupata.

E tutto a causa mia.

Ero mentalmente estraniato dalla realtà che mi circondava, come se avessi voluto vedere come sarebbe stato lo scenario di Bella senza di me, come se facessi finta di essere già andato via. E l'esperimento fu dolorosamente efficace perché mi resi conto che questo era il suo mondo e non il mio. Si muoveva con disinvoltura fra le classi e gli insegnanti, aveva amici che le volevano bene e la stimavano e questo lo potevo leggere chiaramente. Aveva persone che le avrebbero voluto anche troppo bene...

Ecco, questo faceva male....

Eppure ero orgoglioso di lei, della sua forza, della sua tenacia e sapevo che ce l'avrebbe fatta ad andare avanti ed ero certo che in questo sarebbe stata molto più brava di me..

Alla fine delle lezioni la accompagnai al suo pick-up, era evidentemente accigliata e sapevo che se l'avessi lasciata parlare per prima non avrei avuto il coraggio di proseguire nel mio intento, quindi le chiesi cercando di controllarmi:

-Ti dispiace se vengo da te, oggi?-

-Certo che no-

Era sorpresa dal mio tono.

-Adesso?- domandai.

-Certo. Prima però passo a spedire una lettera a Renée. Ci vediamo a casa.-

Le presi la lettera dalle mani e le dissi cercando di sembrare disinvolto:

-Ci penso io, e vedrai che arriverò per primo-

e sfrecciai via pensando che non se l'era bevuta.


Ero nella sua camera e sentivo già la sua mancanza in una maniera dolorosa. Era come se fossi entrato nella stanza di una persona morta e ne sentissi ancora la nostalgica e lancinante presenza. Guardavo le sue cose e immaginavo le sua azioni, respiravo il suo profumo e vedevo il suo viso. Mi sentivo già in lutto per la tragica perdita che stavo per affrontare.

Meccanicamente presi il mio CD dal suo stereo e sfilai dal suo album tutte le mie fotografie. Stavo per andare via, quando mi mancò il coraggio. Guardai la refurtiva che avevo fra le mani e mi sentii meschino e crudele. Senza quasi pensarci, mi chinai, sollevai un asse del pavimento e vi adagiai le foto e il CD. Forse non l'avrebbe mai trovate, ma quelle cose sarebbero rimaste là, accanto a lei. Se avessi potuto avrei nascosto anche me stesso sotto quelle assi...

Risi amaramente del mio pensiero ed uscii per l'ultima volta dalla sua camera.


Mi sentivo spento e mi muovevo come per inerzia.

-Facciamo una passeggiata-

Così iniziai.

Le parole che seguirono furono una violenza per me stesso e nonostante le sentissi uscire dalla mia bocca era come se provenissero da un estraneo. Seguivo un copione che mi ero prefissato e recitavo le battute di una tetra commedia che si stava trasformando nella peggiore tragedia della mia vita. Cercavo di non soffermarmi troppo sui suoi occhi spaventati, ma quei brevi attimi che cedetti fui sul punto di prenderla fra le mie braccia per sussurrarle che l'amavo da impazzire.

E invece la stavo inondando di menzogne.

E lei credette alle mie bugie, e le sue parole morirono sulla sua stupenda bocca, quando le dissi che lei non era la persona giusta per me. Mi sentii morire quando capii che aveva creduto così facilmente a quello che le avevo detto. Avevo masochisticamente sperato di doverla supplicare di credermi e magari avevo sperato di non riuscire a portare fino in fondo il mio piano...

E invece fu tutto tremendamente facile.

Come poteva dubitare del mio amore?

Come poteva pensare che desideravo una vita senza di lei?

Avrei voluto dirle che non era giusta, lei era PERFETTA per me. Ma ero io ad essere sbagliato per lei...letalmente sbagliato.

Le baciai la fronte.

-Fai attenzione.-

E me ne andai.


Sentii il mio essere farsi a brandelli mentre mi allontanavo a grande velocità da lei.

Ero certo che avrebbe provato a seguirmi, che magari si sarebbe inoltrata nella foresta, conoscendola sarebbe caduta inciampando in qualche radice, si sarebbe fatta male...

Mi fermai.

Mi voltai.

I muscoli erano tesi e pronti a correre da lei.

Mi passai nervosamente una mano fra i capelli.

Non potevo tornare, non DOVEVO tornare.

Sapevo che stavo facendo la cosa giusta per lei, e non dovevo cedere ora; sarebbe stato crudele dopo tutto quello che le avevo detto.

Non era un gioco, ne andava della sua vita. E la sua vita era sembrata alla morte un bottino troppo succulento, da quando aveva incontrato me.

No, dovevo andarmene.

Mi voltai e sentii dietro di me tutto il peso di quello che mi stavo lasciando alle spalle.

Sentii il peso di tutta la felicità a cui stavo rinunciando,

il mio piccolo paradiso che ora era perduto per sempre.

Corsi senza sosta, corsi senza tempo

nella effimera illusione di sedare quel dolore lancinante che si stava espandendo nel mio petto,

quel dolore che mi avrebbe ricordato nel lungo giorno della mia eternità che avevo perso il mio amore,

per sempre.




  
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