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Autore: Kiruri    02/08/2010    0 recensioni
Sono dita morte quelle che reggono la penna che graffia la ruvida carta mentre la città di Parigi fuori dalla mia spenta finestra mormora e mugola, sono occhi morti quelli illuminati dalla fioca luce di questa candela.
Ma andiamo con ordine.
Ho una storia da raccontare, una storia di sangue e di amore e di morte. Ecco come tutto iniziò…
Genere: Drammatico, Mistero, Poesia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco il 3°capitolo

3.Passeggiate. Le abitudini di Flavio.

Quella che facemmo subito dopo fu solo una delle tante passeggiate che usavamo avere spesso durante tutto il periodo che io abitai al maniero von Karnstein, i giardini ed i campi che circondavano le sue proprietà erano davvero rigogliosi e fantastici, ricordo che adoravo la sensazione del sole sulla pelle quando passeggiavamo per i prati erbosi in direzione del famoso luogo che lui mi aveva indicato durante la nostra prima passeggiata. Seguendo il sentiero di graniglia in direzione opposta a quella della reggia del re Sole, si arrivava ad un piccolo spiazzo dove si trovava una chiesetta romanica in abbandono da diverso tempo, superatala si entrava in un fitto boschetto dove la luce del sole che raramente giungeva creava effetti fatati, dopodichè ci si trovava nuovamente in una piccola radura, quindi in un cimitero piccolo e antico colonizzato dalle conifere e dall’edera.
"I poeti sono spesso ispirati dal senso di morte e di decadenza che questi posti suscitano…" Mi ripeteva spesso Flavio, che tuttavia non si pronunciava mai in proposito della sua vita prima di giungere a Parigi, ed effettivamente non si sbottonava nemmeno in quella che svolgeva lì al di fuori dal culto misterico di Lethitia.
Lui non mi parlava mai di se, ed era abituato a non scendere mai prima di mezzogiorno quando alla mattina ci alzavamo, mangiava pochissimo e spesso quando glielo facevo notare con preoccupazione perché pensavo che fosse quello la cagione del suo stare male continuo (i suoi movimenti erano terribilmente languidi, la forza vitale pareva sempre essere assente in lui); ma ogni volta lui respingeva le mie critiche –che volevano essere assolutamente costruttive- e mi sfuggiva dicendomi che stava bene e che non mi sarei dovuto preoccupare più di tanto.
All’epoca non immaginavo nemmeno quale che fosse la causa della sua malattia, se solo l’avessi immaginato forse ora non starei scrivendo questo racconto, tuttavia ogni mio tentativo più o meno diretto di scoprire qualcosa in proposito della sua vita, della sua casa, o delle sue domestiche, la cui presenza si poteva unicamente apprezzare a causa dell’ordine perfetto del castello, veniva eluso con maestria dalle sue parole che apparivano davvero molto strane.
"Non posso rivelarti nulla amor mio", mi diceva "ho dei giuramenti da mantenere, non posso credere che tu mi voglia spingere a tradire i miei stessi ideali ed il mio antico onore, credevo che tu fossi mio amico e che ti fidassi delle mie decisioni."
Non lo vidi mai piangere, ma mi sentivo davvero colpevole in quei momenti e nonostante non lo desse realmente a vedere io capivo che soffriva, forse troppo, per le mie domande legittime. In quei momenti mi accostavo a lui e come un predatore mi afferrava in un abbraccio disperato, come quello che i bambini offesi riservano ai propri genitori dopo che vengono ingiustamente sgridati.
"Non volevo ferirti, né metterti in testa strane idee con la mia eccessiva curiosità, sono solo stupito della tua riservatezza."
A quel punto, sempre con il suo materno modo di fare mi baciava in testa e attraverso i capelli io percepivo il gelo delle sue labbra esangui e riprendeva a parlare.
"No, no. Le tue domande sono più che regolari, è solo che io percepisco il tuo dolore, la tua frustrazione riguardo ai miei misteri. Io non voglio ferirti, io non voglio causarti imbarazzi. C’è solo una cosa che tu devi sapere, finché ci sarò io tu non dovrai temere alcun male, io ti proteggerò sempre, io ti capirò sempre, io comprenderò il tuo animo poetico ferito dalla brutalità di questa società corrotta. Quando il tuo cuore piange il mio piange con il tuo, e sono lacrime di sangue le nostre, lacrime sacre e miracolose, ogni amore richiede i suoi sacrifici e sugli antichi altari non vi erano sacrifici senza il sangue."
Il tempo sembrava non scorrere mai al maniero von Karnstein, gli orari dei pasti erano scanditi semplicemente dal mio bisogno di mangiare, dico del mio solamente perché sembrava sempre che Flavio non fosse mai affamato e mangiasse unicamente perché voleva tenermi compagnia, durante le mattinate quando lui non c’era io provavo sempre a scrivere qualcosa, ma gettavo sempre via i miei componimenti, di tanto in tanto lui mi chiedeva di leggerne qualcuno e quando rispondevo che nessuno mi soddisfaceva mai lui si vestiva prontamente e mi trascinava tra le lapidi del cimitero nel bosco a discorrere di antichi miti greci e di come le più grandi tragedie della storia dell’umanità fossero in realtà riconducibili agli antichi classici. Parlava sempre come se avesse potuto ammirare il teatro sacro di Atene o ridere delle parodie romane nei circhi.
Nonostante i miei fallimenti artistici, mi resi conto di come quello fosse realmente il periodo più felice che io avessi mai vissuto, andavamo a letto sempre molto tardi, d’altronde ci alzavamo anche molto tardi e raramente lui appariva prima dell’ora in cui io scendevo nella cucina e cominciavo a mangiare, la sua stanza rimaneva sempre chiusa a chiave durante i periodi in cui lui era assente.
Un tardo pomeriggio mentre eravamo di ritorno dal nostro luogo segreto, il cimitero, incontrammo una vecchia zingara piagata dai segni del tempo che ci veniva incontro. Io in qualità di bohemien amavo molto la figura dello zingaro, in questo caso della zingara, e ne fui molto rallegrato.
Flavio nonostante il suo ostentato dandismo sembrò provare ripugnanza, infatti mentre io salutai calorosamente la zingara che si fermò lui si tenne a distanza, la cosa mi sembrò molto strana, e solo ora comprendo che era per i segni che la vecchiaia aveva inciso nella carne della donna che lo faceva e non per il suo appartenere all’etnia zingara.
"Noi zingari abbiamo poteri profetici", disse la vecchia in un francese stentato, "venite signore per una sola moneta sono disposta a leggervi la mano."
"Ah!", ribattè il mio amico con acidità, "Razza di Caino gli zingari, tutti ladri e briganti, lascia perdere queste leggende da contadino Lawrence."
Mi stupì molto la sua superficialità borghese, tuttavia lo guardai con insistenza, lui non seppe resistere alla mia richiesta silenziosa. Sbuffò e tirò fuori dai suoi abiti –sempre rigorosamente neri- una moneta e me la porse, sembrava non volere entrare neppure in contatto con l’aria respirata dalla donna.
Io ovviamente diedi la moneta alla zingara e lei mi ringraziò benedicendomi nel nome del signore, poi mi prese la mano sinistra e la scrutò con molta attenzione.
I suoi piccoli occhi rugosi si dilatarono e cominciò a dirmi cosa vedeva.
"Giovane signore, una vita lunga, ma gli anelli si interrompono bruscamente, può significare una disgrazia o un cambiamento molto bello nella sua esistenza."
Fece scorrere il suo dito scuro lungo i polpastrelli e sulle linee della mia mano, rosa contro la sua color della terra, o del miele vecchio e continuò a parlare: "Vediamo, si, un amore molto importante, ma esso scende moltissimo e scivola fino agli anelli della vita, è proprio l’amore che cambia il la sua vita signore, ma non c’è matrimonio…"
I miei ideali bohemien di amore e bellezza, di libertà dagli schemi tradizionali andavano profilandosi all’orizzonte dei miei pensieri e mi stavo compiacendo delle predizioni della zingara quando ad un certo punto lei allontanò da se stessa la mia mano e si segnò. Tirò fuori dalle sue vesti logore la moneta che le avevo dato e la gettò per terra.
"Signore il Diavolo, il Diavolo è sopra di voi! Che Pçuvushi ti protegga!"
Non mi resi conto di quel che accadde poco dopo, so solo che mentre la vecchia accennava a fare un gesto di benedizione nei miei confronti Flavio avanzò e la spinse con violenza all’indietro mandandola lunga distesa per terra, mai avevo visto un’ espressione del genere sul suo viso, sembrava quello di una bestia, o come pensai più tardi, quello di una cagna madre che vede il proprio cucciolo minacciato da un innocuo infante e gli si avventa contro per sbranarlo.
"Tu vecchia sudicia! Come osi dire cose terribili sul nostro conto! Tu che appartieni a quella stirpe degenere! Come osi alzare le tue umili magie e le tue false benedizioni contro di noi, noi che siamo i vostri padroni, noi che comandiamo come pastori su una mandria!"
Quando vidi che stava allungando una mano contro la vecchia che si schermava pateticamente con le braccia lo trattenni per una spalla, mai dal suo corpo esile mi sarei aspettato tanta forza, mise a dura prova il mio fisico robusto d’educazione inglese.
Non fu la mia forza imparagonabile alla sua a trattenerlo, fu il mio tocco a farlo rinsavire da quello stato bestiale, bloccandolo come in una fotografia. Notai che stava ansimando come una bestia domata. La mano sospesa a mezz’aria davanti al volto della vecchia zingara, lei notò l’anello con lo stemma a forma di drago (lo stesso del culto a cui entrambi eravamo appartenuti e che si trovava in molti degli arazzi nel maniero)e afferrando la mano lo baciò.
"Scusatemi signore, scusatemi, io non sapevo."
Lo ripetè più volte.
Vidi che Flavio si era del tutto calmato in quel momento, con il languore usuale e la dolcezza che permeava ogni suo gesto impedì alla vecchia di baciare ulteriormente il suo anello e la rimise in piedi.
"Scusatemi voi vecchia, mi sono solo spaventato. Se davvero il male incombe sul mio giovane amico anche io sono in pericolo, so che voi zingari siete esperti di talismani, permettetemi di acquistarne un paio per entrambi e accettate la moneta che avete gettato per terra, sono sicuro che il vostro dio Pçuvushi potrà purificarla dal male."
La vecchia divenne affabile e accettò con garbo le monete che Flavio le offrì, dopodichè ci consegnò delle cordicelle intrecciate dicendoci che nulla proteggeva dal male più della corda di un impiccato, trovai la cosa lugubre ma non lo diedi a vedere per educazione. Il resto della passeggiata fino a cena fu silenzioso e quella sera andammo a dormire prima del solito.
Nessuno dei due menzionò più il suo scatto d’ira anche se io cominciai a coltivare il sospetto che Flavio soffrisse di una qualche forma di pazzia, sospetto che andava intensificandosi giorno dopo giorno, notte dopo notte.
Capitava alle volte che Flavio si introducesse di nascosto nella mia stanza nelle più impensabili ore della notte, con passo felpato mi si avvicinava ed io me lo vedevo apparire come uno spettro famelico al fianco del mio letto. Allora spesso balzavo in piedi e ridevamo dei suoi strani scherzi, tuttavia, quando ero in piedi spesso mi afferrava da dietro in un abbraccio e con dolcezza mi trascinava verso il grande specchio che si trovava appeso al muro, a quel punto cominciava a salmodiare strane melodie che mi calmavano l’anima fin nel profondo come le dolci ninnananne di una madre affettuosa. Una sera, nella morbida luce della lampada ad olio mi sospinse fino allo specchio come suo solito, ma anziché cantare indicò il nostro riflesso.
I miei capelli castano chiaro e mossi contrastavano con i suoi corvini, i miei occhi verdi con i suoi tenebrosi, la mia pelle rosea con la sua bianca e la mia barba notturna con il suo volto perennemente rasato. Sembrava quasi che lui me lo volesse far notare, poi cominciò a parlare e disse cose strane che all’epoca non seppi capire: "Vedi, così diversi appariamo ora, così simili, magici e splendidi appariremo poi, tu non mi capisci, ma io non ti lascerò morire perché tu sei il mio amore e mi ami e mi amerai, oppure mi odierai; non importa, odio e amore sono le diverse facce della stessa medaglia, lo farai e lo farai fino alla tomba ed oltre."
Mi separai da lui e risi: "Lasciarmi morire? Io non sono malato."
Sembrò recuperare la lucidità , come se fino a quel momento fosse stato posseduto da uno spirito folle e burlone, vide la mia espressione divertita e sorrise tristemente.
"Oh, si che lo sei", mi disse, "Voi tutti lo siete. Scusami, non voglio spaventarti. È solo che quando il sole tramonta vengo colpito da strane forme di malinconia."
Poi si allontanò, mi augurò la buona notte e si andò a chiudere in camera, lo scatto della serratura echeggiò in tutto il maniero ed io lo imitai.


Bene,ed e finito un'altro capitolo,ho aggiornato il piu infretta possibile anche perchè il 10 partirò e tornero poi il 21 qndi cerco di aggiornare il piu velocemente possibile ora ^_^
Ringrazio la Hellister per aver commentato e anche chi a solamente letto,Continuate mi raccomando,a presto!
  
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