Bene. Rieccomi.
Avevo già detto che gli
aggiornamenti sarebbero stati irregolari –ovvero, come mi gira quel giorno- e
ora voglio già pubblicare il primo capitolo, pur con solo due recensioni. E vi
dico anche il perché: E’ un capitolo d’introduzione, piuttosto inutile ai fini
della storia, che ho ribaltato dal secondo capitolo in poi.
Altra cosina: Non mi importa
tanto che i lettori siano uno o cinquanta, però, se ci siete, vorrei chiedervi
un piccolo favore: Datemi un segnale.
Non per forza una recensione, potete anche mettere la storia tra le seguite/
ricordate o semplicemente scrivermi in privato. Poi, se non volete, ok. Vivrò
lo stesso :3
E ora i ringraziamenti.
Maggie_Lullaby: Una mia graditissima Lettrice
Fedele, che piacere vederti anche qui! Spero sul serio che ti piaccia la
storia, e ti ringrazio dieci, mille, cento volte per la recensione, anche se
eri stanca e non hai potuto scrivere molto. Questo primo capitolo è tutto per te dato che gli altri l’hanno già
letto. Quindi spero doppiamente che soddisfi le tue aspettative.
Titty90: Beh, che dire? *-* Ti
sposo (Anche se so che preferiresti sposare Lui x°D).
La tua recensione, comparsa proprio adesso a far compagnia a quella di Maggie, è piacevole almeno quanto la sua. Quindi grazie
anche a te. Il capitolo l’hai già letto, c’è qualche insignificante modifica a
livelli di vocaboli, niente di più.
Minako_86: Anche se sei in
vacanza, ti ringrazio lo stesso per aver pensato
di recensirla- perché lo so che l’hai fatto *punta pistola*. Hahaha. Siccome la
connessione non ti consente di visualizzarla te la faccio passare, ma solo perché
sei tu!
Capitolo 1
I
Fawn erano una famiglia numerosa. Abitavano in una graziosa casa a due piani di
mattoncini rossi e color corda ed erano ciò che i vicini più educati definivano
una famiglia non esattamente tranquilla. Andrew, meglio conosciuto come Drew,
era il terzo di cinque figli ed aveva già diciannove anni. Molti credevano che
fosse un “ragazzo complicato”; Era piuttosto solitario, si muoveva spesso su
uno skateboard malandato e teneva la
chioma rosso fiamma sempre coperta dal cappuccio di una felpa grande di almeno
due taglie più del dovuto. Era silenzioso, assente
… c’erano molte dicerie riguardo ai suoi stati d’animo; Alcuni credevano che
avesse sorriso per l’ultima volta alla festa dei suoi dieci anni, quando ancora
era un bambino spensierato. Quando ancora aveva amici, e, soprattutto, organizzava feste di compleanno. In realtà Drew aveva maturato col
tempo l’idea che l’amicizia-o meglio, il concetto odierno che la gente aveva di
quel sentimento- fosse soltanto una bella fregatura. Le uniche persone a cui
era legato indissolubilmente erano i suoi famigliari.
Oh
e, beh, poi c’era Charlie. Charlotte
era una buffa sedicenne che odiava il suo nome intero e faceva la cameriera due
volte alla settimana in un localino di proprietà di suo zio, in periferia. Drew
l’aveva conosciuta a scuola, quando urtandola involontariamente in corridoio le
aveva fatto cadere una pila di libri per terra.
Stringere
in un’amicizia profonda per loro due era stato inevitabile; Difatti vivevano
entrambi isolati dal resto dei compagni, immersi lui nell’i-POD e lei nei suoi
libri. Il loro profondo disprezzo per i coetanei si era trasformato in una
grande complicità. A Drew piaceva Charlie perché poteva starsene in silenzio anche
per ore intere. Si divertiva standola a guardare mentre trafficava con grossi
volumi polverosi, seduto alle radici di una quercia, e trovava conforto nei
suoi abbracci insicuri. Era una ragazza riservata, silenziosa –a parte quando
lavorava troppo, allora sì che scoppiava-
ed Andrew oramai aveva imparato a conoscerla bene.
Quel
pomeriggio, come ogni volta che era nervoso, se ne stava rinchiuso in camera,
il silenzio della casa irrotto solo da una melodia soave al piano di sotto; Sua
sorella maggiore, Malice, viveva letteralmente di quel pianoforte – un C. Bechstein
del 1980 ereditato da suo nonno, che era un maestro. Tutto sommato Mal e suo
fratello si somigliavano, e non solo a livello di chioma. Anche lei era sempre
stata un tipo piuttosto introverso, che sfogava la sua apparente frustrazione
in Mozart, Chopin, Beethoven e Schubert, i suoi compagni più fedeli.
Erano
un po’ tutti strani, i figli di Cecil;
Lei stessa era etichettata come una “donna assolutamente pericolosa, con più di una
rotella fuori posto”. Aveva una strana fissazione per i gatti e i bouganville
rossi, con cui aveva adornato il giardino, e folti capelli ricci. I ricchi
abitanti delle villette a schiera tra le quali spiccava quella dei Fawn,
sostenevano che fosse talmente fuori di testa da rifiutarsi di accettare la
morte di suo marito, un militare in missione che oramai non tornava a casa da circa
sei anni. Inoltre molte ipotesi raccapriccianti erano scaturite dai dubbi su
tutti i soldi che quella famiglia dimostrava di avere: Erano troppi, visto e considerato che lei non
lavorava. Decisamente troppi.
Intanto
in camera di Drew, che stava contando le crepe sul soffitto, aveva fatto
irruzione la piccola di casa, Sophie. Era una bambina bionda curiosa e
spigliata, ma soprattutto intelligente e impossibile da separare dal suo
coniglietto di pezza rosa, Mr. Carrot. Ed era l’unica a cui il fratello
permettesse di entrare in quella stanza senza autorizzazione, l’unica a sapere
esattamente cosa contenesse...
Non
molto, in realtà; Era una camera luminosa e decisamente ordinata per un maschio
della sua età. Sulla destra c’era il letto, accuratamente rivestito con una trapunta blu, sul muro troneggiava un
arazzo con due lupi al tramonto. Accanto, appeso a una mensola, oscillava un
acchiappasogni. Sulla sinistra, subito dopo l’ampia finestra, una scrivania su
cui era sistemato un MacBook di ultima
generazione, non lontano da un’immensa libreria che Sophie si fermava spesso a osservare.
Ovviamente non avrebbe mai capito i titoli d’avventura sistemati con precisione
maniacale, ma le copertine colorate di rosso, arancio, verde, viola attiravano
inevitabilmente la sua attenzione.
«Non
piove più.» Annunciò la bambina con la serietà di un messaggero che porta al suo re notizie di
guerra.
Drew,
affondato nel suo letto, la ignorò. Conosceva Londra e il suo maledetto clima e
ci avrebbe messo la mano sul fuoco che il temporale sarebbe scoppiato nuovamente
nel giro di mezz’ora. Tuttavia …
Un
frastuono proveniente dal corridoio li fece sobbalzare; Diana, la primogenita,
aprì la porta sfoderando un gran sorriso.
«Sto
bene!» Disse agitando i capelli
lunghissimi. «Quello stupido tappeto!
Comunque mamma ha detto … »
Ma
il fratello non la stava più ascoltando. Si alzò di scatto, attraverso la
camera e, schivando prima Sophie e poi Diana, si lanciò giù per le scale.
«Che
modi!» Lo apostrofò la voce della
maggiore dalla cima.
Scrollò
le spalle e afferrò le chiavi; Fu in strada nel giro di pochi secondi. La
brezza fredda gli graffiava il viso e un sole debole filtrava attraverso le
nuvole, incapace di riscaldare quell’ostile atmosfera novembrina. L’aria era ancora
impregnata dell’odore aspro della pioggia, che, per qualche motivo, a Drew
diede un gran senso di sollievo, come se si fosse liberato di un gran peso.
Quando
arrivò, Charlie aveva appena ripreso fiato da un’intensa giornata lavorativa.
Lo salutò con un sorriso appena riconobbe la sua andatura ciondolante.
“The Old Moon” era un posticino niente
male. Le pareti dovevano esser state tinte da poco di un intenso color
pervinca, che ben si accostava al pavimento in legno scuro. Sul muro in fondo
alla stanza era stato dipinto un murales raffigurante fate che danzavano. I
tavoli –non più di dieci- erano coperti da tovaglie bianche, ricamate con lo
stesso colore delle pareti; Anche i camerieri, o meglio, l’unica cameriera di
quel giorno, Charlie, indossava un grembiule azzurrino.
«Menomale
che sei arrivato, non ne posso più.» Confidò a Drew quando si fu avvicinato. «
Nadine, l’altra ragazza, è in maternità e zio Oscar non ne ha voluto sapere di
assumere qualcun altro per un paio di giorni, così mi son beccata lo
straordinario. » Drew piegò lievemente le labbra in senno di assenso. « Però ho
… oh, accidenti! »
I
suoi occhi si sgranarono in un’espressione di panico puro, puntati verso
l’entrata. Mentre l’amico si voltava a vedere chi fosse appena arrivato
–nessuno che conoscesse, solo un ragazzo con i capelli ricci e uno con gli
occhiali- Charlie si abbassò, nella speranza che il bancone la nascondesse del tutto.
«Mio
Dio, tu non sai chi è quello.»
Gemette, mordendosi il labbro.
«Chi?»
Chiese Drew interessato, e si guardò intorno nella speranza di scorgere
qualcuno d’importante. Vide solo una ragazza intenta a scrivere qualcosa su un
quaderno stropicciato e una coppia d’innamorati che ridacchiavano. D’altronde,
pensò, lanciando un’occhiata all’orologio a parete, erano appena le sette e
mezza.
«Quello … quello riccio.» Sussultò, come
scossa da un ricordo che solo lei poteva conoscere. «Io … non sai che figura ci
ho fatto! E- ero completamente fuori di me … qualche settimana fa … lui … mi
avevano fatto un brutto scherzo, con tutta quella vodka … e poi ero rimasta
tutta la notte sveglia a studiare … Con che faccia mi presento adesso a
prendere le ordinazioni?»
Drew
sospirò.
«Charlie
… vodka?» Sgranò gli occhi,
realizzando improvvisamente ciò che stava dicendo l’amica, che non era certo un tipo da wild life. «Comunque, ehm , ascolta … »
Ma
lei scattò in piedi, illuminata. «Idea! Ci andrai tu. »
«No,
non credo proprio.»
«Oh
ti prego, che ti costa?» Aveva già acchiappato un altro grembiule e ora glielo
stava schiaffando in mano. « Dai, è questione di minuti! Mettiti questo e sarai
perfetto. A parte forse … » Tirò giù la zip della sua felpa e se ne appropriò,
ignorando i suoi brontolii di protesta. « Beh, uhm … Bene» Disse, lanciando uno
sguardo non troppo convinto alla fila di cerchietti d’argento sull’orecchio
destro di Drew, che si stava sistemando la “divisa” . «E ti servirà questo.»
Gli porse un piccolo block notes scarabocchiato e lo spinse con foga verso i tavoli.
Drew
si morse il labbro inferiore e tirò su le maniche della maglia leggera. Osservò
i due ragazzi che parlottavano sommessamente,
la faccia preoccupata del riccio, il sorriso incerto dell’altro, alzò la
testa e si diresse a grandi passi verso di loro. Aveva come la strana
sensazione di conoscerli.
«Che
vi porto?» Domandò, sforzandosi per mantenere un tono di voce che fosse
udibile, dato che era abituato a grugnire, più che parlare. Si bloccarono e gli
parve che il ragazzo con gli occhiali lo stesse letteralmente squadrando.
«Per
me una birra.» Rispose pronto, con un sopracciglio alzato. L’altro, però non era
evidentemente intenzionato a rispondere. Visibilmente incazzato, sembrava che
non si fosse minimamente accorto di Drew e fissava ancora l’altro, accigliato,
come in attesa di una risposta.
«Joe … »
«Facciamo
due birre.» Si affrettò ad aggiungere quello. «Anzi,
cambia la seconda birra con una Red Bull.» E con una sola occhiata gli fece
intendere che era meglio squagliarsela.
Andrew
tornò al bancone sbuffando per il sollievo, gli occhi azzurri sgranati. «Ma tu, come fai a fare questo per tutta la
giornata?» Domandò a Charlie quando la vide ricomparire sommersa dai piatti.
*
Eppure,
forse per la presenza dell’amica che era rimasta per cena o perché suo fratello
Keith dopo cena tracannò proprio una Red Bull, quegli assurdi pensieri non
abbandonarono Drew per tutto il resto della serata.
Era
certo di aver già visto quei ragazzi,
ma non ricordava quando. Stava diventando una questione di orgoglio, e se c’era
un punto debole di Drew era esattamente l’amor proprio. Nella sua testa
qualcosa c’era qualcosa di molto simile a un bombardamento; I pensieri
correvano, esplodevano, si dimenavano … ma non morivano mai.
Strano?
Insolito? Di più. Andrew Lewis Fawn era noto per essere un ragazzo
menefreghista e anche un po’ svampito, non per fissarsi a quel modo su
questioni futili riguardo un ragazzo riccio e uno con gli occhiali di nome …
«…
Joe.» Mormorò senza accorgersene.
«Cosa?»
Charlie sembrava stupita. Abbandonò il cubo di rubik che teneva in mano sul
tavolo e lo fissò, curiosa. «Che hai detto?»
«Niente»
Balbettò Drew, ma un lieve rossore comparsogli d’un tratto in viso,
evidenziando le lentiggini, lo tradì.
«Niente.»
Charlie balzò in avanti con l’agilità di un felino per guardare l’amico
bene in faccia. «Certo. E io sono Marylin Monroe.»
«
Ehi, che fine ha fatto la ragazzina timida e dolce che balbetta quando gli
parlo? »
«Temo
che tu le abbia dato troppa confidenza.»
Si
fissarono, annegati in un silenzio ansioso, finché Diana non irruppe in camera
con due grosse coppe di gelato.