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Autore: Miguel    01/12/2003    9 recensioni
E' la prima volta che mi confronto con una storia che coinvolge personaggi non creati da me. Harry e soci mi hanno stregato. Non ho resistito. CIAO!!! La trama si sviluppa a partire dal 5° libro, e fa ampio riferimento ai fatti accaduti in esso. Sesto anno ad Hogwarts per il terzetto che ben conosciamo. Harry è preda di strane trance e l'unica certezza che ha, nonostante i dubbi di Ron e Hermione, e che non sia opera di Voldemort. Nel frattempo qualcuno è alla ricerca di un oggetto per cui ritiene valga la pena rischiare il tutto per tutto, arrivando a fare razzia nella sezione proibita della biblioteca della scuola e saccheggiando addirittura l'ufficio di Silente. I rapporti tra i tre amici e non solo tra loro, si complicano. Le ricerche di Harry, Hermione e Ron di una spiegazione alle sempre più frequenti trance proseguono e si intrecciano imprevedibilmente con la caccia del misterioso ladro. Tutto ruota attorno ad un solo oggetto: la pergamena di Grise.
Genere: Drammatico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Il trio protagonista
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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La sera stava cedendo il passo alla notte a Privet Drive eppure, sorprendentemente, le luci ancora accese nelle case che si affacciavano sulla via erano numerose. Il caldo soffocante, che aveva stretto d'assedio l'intera Inghilterra, sembrava intenzionato a stabilire un altro record di temperatura quella notte. L'estate si era presentata, sin dal suo inizio, eccezionalmente calda; le giornate scorrevano soffocanti e appiccicose, tuttavia le notti erano state clementi. Questo sino all'arrivo di Luglio, quando la situazione era precipitata e le notti erano diventate insopportabili quanto i giorni. Non era raro, da allora, che in molti decidessero di rinunciare a dare la caccia ad un sonno che tardava a venire e scegliessero, invece, di cercare refrigerio sotto la doccia, oppure saccheggiando il frigorifero, attardandosi a chiuderne la porta per godere qualche attimo della frescura che ne emanava.
Anche nell'abitazione con il numero 4, che faceva bella mostra di sul portoncino, le luci erano accese.
Nella cucina il signor Vernon Dursley stava finendo di bere il suo bicchiere di limonata ghiacciata. Assaporate le ultime goccie, riempì un altro bicchiere per sua moglie Petunia, rimise la caraffa in frigorifero e si voltò per raggiungere le scale. Le salì lentamente, sbuffando. Arrivato al pianerottolo però non si diresse subito verso la sua camera da letto. Silenziosamente, quasi in punta di piedi, si avvicinò alla porta della vecchia camera da letto di suo figlio Dudley. Posò delicatamente l'orecchio alla porta e rimase in ascolto, con attenzione, per qualche minuto. L'espressione e il colorito paonazzo, di cui si stava tingendo il suo viso, facevano capire chiaramente che quello che sentiva non gli piaceva. Afferrò la maniglia della porta deciso a fare irruzione. Questa volta avrebbe messo fine a tutte a quelle stranezze – penso furibondo - che andavano avanti, praticamente, da quando il ragazzo era tornato dalla sua scuola per svitati! Ma, dopo qualche attimo, lasciò ricadere la mano e desistette, come era successo molte altre notti sino ad allora. Che diamine, non che avesse paura di quel ragazzino pelleossa, certo che no! Semplicemente faceva troppo caldo per mettersi a discutere e poi che avrebbero pensato i vicini se si fosse messo ad urlare nel bel mezzo della notte? Rassicuratosi che questo fosse esattamente il motivo per cui lasciava nuovamente correre, si diresse soddisfatto verso la sua camera da letto. Passando davanti alla camera del figlio posò la mano sulla porta, quasi carezzandola. Per fortuna al mondo esistono bravi e normali ragazzi – pensò il signor Durlsey – soprattutto normali, tenne a sottolineare a se stesso. Dopodichè rientrò in camera da letto e si richiuse la porta alle spalle.

Buttato dentro un altro pezzzo di legna e ravvivatene le fiamme, Harry risistemò il parafiamma davanti al camino; osservò il fuoco ardere ancora un istante poi si voltò e tornò verso il grande letto che occupava buona parte della stanza. Harry sapeva che il fuoco non si sarebbe spento, che egli ci badasse o meno, ci aveva pensato la McGranitt con un semplice incantesimo di fiamma autoalimentante; allora perchè perdeva tempo?
"Non sono utile nemmeno a questo."disse, in un sussurrò carico di amarezza, rivolto alla figura sepolta sotto le pesanti coperte. "Non servo nemmeno a ravvivare il fuoco. Non c'è nulla che io possa fare per te" Ma questo non era vero, Harry lo sapeva, lo sapeva bene. C'era una cosa che poteva fare per lei, una sola cosa. Starle accanto sino alla fine, quale che essa fosse. "Non ti lascerò mai sola. Mai." disse.
Si diresse alla sedia, su cui aveva passato così tanta parte degli ultimi giorni, a fianco del letto. Si sedette. Da sopra la cassapanca alla propria destra prese un catino e delle pezze, ne inumidì una e la passò sul volto della ragazza, osservando e cercando un segno di vita. I momenti di oblio della giovane riempivano Harry di tensione. Sapeva bene che quei coma, in cui l'azione combinata delle pozioni di Severus e gli infusi di Neville la trascinavano, erano gli unici momenti in cui il dolore in lei si placava e pensò con gratitudine ai due che, da settimane ormai, lavoravano senza sosta nell'oscuro laboratorio di Pozioni o nella serra, fianco a fianco, uniti da un unico scopo. Nonostante sapesse questo, la paura che ella potesse scivolare, in quei momenti, dal sonno alla morte senza alcun preavviso, lo soffocava. Erano ore terribili di attesa impotente.
Come a volerlo rassicurare, come se avesse percepito la disperazione nei suoi pensieri, la giovane donna riaprì lentamente gli occhi e lo fissò.
"Ciao"disse con voce sottile e stentata. Sollevò una mano e sfiorò il volto di Harry.
Harry le prese la mano, cercando di mascherare l'immenso sollievo che provava, se la portò alle labbra e la baciò. "Ciao a te, amore" rispose.
Rimaserò così per parecchio tempo, Harry non avrebbe saputo dire quanto.
Fu lei a rompere il silenzio: "Ho paura."sussurrò, gli occhi lucidi di pianto.
Harry si chinò e le sfioro le labbra con un bacio."Non devi. Andrà tutto bene te lo prometto."
Lo disse cercando di impedire alla voce di tremare, non era mai stato bravo a mentire.
La promessa suonò vuota, banale. Eppure ella lo fissò con occhi così pieni di fiducia che Harry senti il cuore farsi pesante come non mai.
Che cosa ho fatto – pensò - per meritare tanto amore? Ti ho trascina con me nel buio, amore mio, e tu mi sorridi come se ti avessi dato gioia e felicità e non morte e dolore.
D'improvviso la mano che stringeva quella di Harry ebbe un tremito, poi si serrò con forza sulla sua, schiacciandogli le dita. La ragazza inarcò la schiena, gli occhi chiusi, i denti serrati in urlo silenzioso che diventò un sospiro quando l'ondata di dolore finalmente calò sino a svanire. La stretta della mano si allentò. Harry, costretto ancora una volta ad assistere impotente all'agonia di lei, rimase pietrificato. Una lacrima scese piano sul volto della ragazza, una sola. Poi tutto fu silenzio. Restò con lei senza dire altro, sapendo che non era più tempo di vuote parole.
Harry osservò la ragazza: le piccole rughe intorno alla bocca sempre più frequentemente contratta da smorfie di dolore; le ombre scure sotto gli occhi; i capelli che sfuggivano alla treccia in cui ella aveva cercato di imbrigliarli. Un solo pensiero gli sovvenne: è bellissima; e poi: è tutta la mia vita.
Lentamente il respiro di lei si fece meno affannoso, più regolare: l'oblio la accolse nuovamente portandole conforto e il viso si rasserenò. Seduto accanto al letto Harry chinò la testa e la poggiò nell'incavo tra il collo e la spalla di lei. L'odore di sudore misto a quello delle decine di pozioni che le somministravano sperando che una, almeno una, fosse efficace per più di qualche ora gli giunse pungente, poi però l'aroma della pelle di lei che aveva imparato a conoscere cosi bene si fece strada e respirandolo, respirando di lei, il sonno giunse anche per Harry.

"Insomma ragazzo, ti vuoi muovere?" Harry si trovò in piedi prima ancora di svegliarsi del tutto.
Cercò di mettere a fuoco l'immagine dello zio Vernon; che stava fermo a gambe larghe e con i pugni piantati sui fianchi, sulla soglia della porta spalancata della sua camera. Allungò la mano verso il comodino per prendere gli occhiali, non trovando ne il comodino ne, tantomeno, gli occhiali. Intendiamoci, il comodino era accanto al letto, dove avrebbe dovuto essere; era lui, Harry, a non essere nel suo letto. Incredibile a dirsi, tutto faceva pensare che avesse dormito seduto sulla sedia di fianco al letto stesso. Si guardò intorno, confuso. Nel frattempo zio Vernon gli rivolgeva occhiatacce in cui si coglievano ora disgusto, ora rassegnazione. Harry intuiva quali pensieri stessero passando, uno dopo l'altro, nel testone dello zio, mentre questi osservava quella che giudicava come l'ennesima prova della anormalità – peggior insulto nel vocabolario Dursley non esisteva – del nipote.
"Tua zia si sta sgolando da oltre mezz'ora perchè tu venga di sotto. Vedi di muoverti!" e urlato questo se ne andò sbattendo la porta alle sue spalle così forte da far tremare i vetri della finestra.
Harry osservò la sedia, perplesso. Strano, davvero strano. Ricordava perfettamente di essersi messo a letto; di essersi tolto gli occhiali; di essere rimasto a fissare il soffitto, pensando che con il caldo che faceva sarebbe stato difficile stavolta prendere sonno. Niente altro sino alla fragorosa entrata spaccatimpani dello zio.
Quando si era seduto sulla sedia? E aveva davvero dormito in quella posizione scomoda? Decisamente si - disse a se stesso - quando una forte fitta gli attraversò la schiena. Se questo episodio fosse stato accompagnato dalla ben nota fitta di dolore alla testa avrebbe forse dato un peso diverso all'accaduto; ma la cicatrice a forma di saetta sulla fronte, il suo infallibile campanello di allarme, non gli faceva male. Esattamente come era stato sin dal momento del ritorno da Hogwarts. Sembrava, ma Harry non ci sperava assolutamente, che Voldemort fosse svanito. In realtà era più probabile che Voldermort stesse estremamente attento a non attivare il legame che lo metteva in comunicazione con Harry, non volendo concedere all'Ordine alcun vantaggio.Qualunque cosa gli fosse accaduta, la notte appena passata, Harry si sentiva certo che non avesse a che fare con il suo oscuro nemico. Il caldo fa brutti scherzi, si disse. Inforcando gli occhiali, liquidò la stranezza accaduta con una scrollata di spalle. Altri pensieri si affacciarono, ben più urgenti, nella sua mente. All'indomani Lupin ed altri dell'Ordine sarebbero venuti a prenderlo. Ancora un giorno e una notte e l'agonia della compagnia dei Dursley avrebbe avuto fine. Con quel pensiero felice in mente, che eclissava qualunque altro, si avviò verso la porta. Si era sentito distante da tutto e da tutti alla morte di Sirius; come se nessuno potesse capire quello che provava. Ad aggiungere confusione a confusione c'era stata la rivelazione della profezia della Cooman. Adesso che un po' di tempo era passato, Harry pensava ancora che difficilmente qualcuno dei suoi amici avrebbe potuto capire cosa provava. Sapeva con certezza però che con tutto il cuore avrebbero cercato di riuscirci. Questo a lui bastava. La rabbia e l'odio incontrollato che per un po' aveva provato si era placato. I volti dei suoi amici, su tutti Ron e Hermione, si materializzarono davanti ai suoi occhi. Con quei volti ben presenti in mente Harry scese le scale e si diresse in cucina.

  
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