Anche nell'abitazione con il numero 4, che faceva bella mostra di sul portoncino, le luci erano accese.
Nella cucina il signor Vernon Dursley stava finendo di bere il suo bicchiere di limonata ghiacciata. Assaporate le ultime goccie, riempì un altro bicchiere per sua moglie Petunia, rimise la caraffa in frigorifero e si voltò per raggiungere le scale. Le salì lentamente, sbuffando. Arrivato al pianerottolo però non si diresse subito verso la sua camera da letto. Silenziosamente, quasi in punta di piedi, si avvicinò alla porta della vecchia camera da letto di suo figlio Dudley. Posò delicatamente l'orecchio alla porta e rimase in ascolto, con attenzione, per qualche minuto. L'espressione e il colorito paonazzo, di cui si stava tingendo il suo viso, facevano capire chiaramente che quello che sentiva non gli piaceva. Afferrò la maniglia della porta deciso a fare irruzione. Questa volta avrebbe messo fine a tutte a quelle stranezze – penso furibondo - che andavano avanti, praticamente, da quando il ragazzo era tornato dalla sua scuola per svitati! Ma, dopo qualche attimo, lasciò ricadere la mano e desistette, come era successo molte altre notti sino ad allora. Che diamine, non che avesse paura di quel ragazzino pelleossa, certo che no! Semplicemente faceva troppo caldo per mettersi a discutere e poi che avrebbero pensato i vicini se si fosse messo ad urlare nel bel mezzo della notte? Rassicuratosi che questo fosse esattamente il motivo per cui lasciava nuovamente correre, si diresse soddisfatto verso la sua camera da letto. Passando davanti alla camera del figlio posò la mano sulla porta, quasi carezzandola. Per fortuna al mondo esistono bravi e normali ragazzi – pensò il signor Durlsey – soprattutto normali, tenne a sottolineare a se stesso. Dopodichè rientrò in camera da letto e si richiuse la porta alle spalle.
Buttato dentro un altro pezzzo di legna e ravvivatene le fiamme, Harry risistemò
il parafiamma davanti al camino; osservò il fuoco ardere ancora un istante
poi si voltò e tornò verso il grande letto che occupava buona
parte della stanza. Harry sapeva che il fuoco non si sarebbe spento, che egli
ci badasse o meno, ci aveva pensato la McGranitt con un semplice incantesimo
di fiamma autoalimentante; allora perchè perdeva tempo?
"Non sono utile nemmeno a questo."disse, in un sussurrò carico
di amarezza, rivolto alla figura sepolta sotto le pesanti coperte. "Non
servo nemmeno a ravvivare il fuoco. Non c'è nulla che io possa fare per
te" Ma questo non era vero, Harry lo sapeva, lo sapeva bene. C'era una
cosa che poteva fare per lei, una sola cosa. Starle accanto sino alla fine,
quale che essa fosse. "Non ti lascerò mai sola. Mai." disse.
Si diresse alla sedia, su cui aveva passato così tanta parte degli ultimi
giorni, a fianco del letto. Si sedette. Da sopra la cassapanca alla propria
destra prese un catino e delle pezze, ne inumidì una e la passò
sul volto della ragazza, osservando e cercando un segno di vita. I momenti di
oblio della giovane riempivano Harry di tensione. Sapeva bene che quei coma,
in cui l'azione combinata delle pozioni di Severus e gli infusi di Neville la
trascinavano, erano gli unici momenti in cui il dolore in lei si placava e pensò
con gratitudine ai due che, da settimane ormai, lavoravano senza sosta nell'oscuro
laboratorio di Pozioni o nella serra, fianco a fianco, uniti da un unico scopo.
Nonostante sapesse questo, la paura che ella potesse scivolare, in quei momenti,
dal sonno alla morte senza alcun preavviso, lo soffocava. Erano ore terribili
di attesa impotente.
Come a volerlo rassicurare, come se avesse percepito la disperazione nei suoi
pensieri, la giovane donna riaprì lentamente gli occhi e lo fissò.
"Ciao"disse con voce sottile e stentata. Sollevò una mano e
sfiorò il volto di Harry.
Harry le prese la mano, cercando di mascherare l'immenso sollievo che provava,
se la portò alle labbra e la baciò. "Ciao a te, amore"
rispose.
Rimaserò così per parecchio tempo, Harry non avrebbe saputo dire
quanto.
Fu lei a rompere il silenzio: "Ho paura."sussurrò, gli occhi
lucidi di pianto.
Harry si chinò e le sfioro le labbra con un bacio."Non devi. Andrà
tutto bene te lo prometto."
Lo disse cercando di impedire alla voce di tremare, non era mai stato bravo
a mentire.
La promessa suonò vuota, banale. Eppure ella lo fissò con occhi
così pieni di fiducia che Harry senti il cuore farsi pesante come non
mai.
Che cosa ho fatto – pensò - per meritare tanto amore? Ti ho trascina
con me nel buio, amore mio, e tu mi sorridi come se ti avessi dato gioia e felicità
e non morte e dolore.
D'improvviso la mano che stringeva quella di Harry ebbe un tremito, poi si serrò
con forza sulla sua, schiacciandogli le dita. La ragazza inarcò la schiena,
gli occhi chiusi, i denti serrati in urlo silenzioso che diventò un sospiro
quando l'ondata di dolore finalmente calò sino a svanire. La stretta
della mano si allentò. Harry, costretto ancora una volta ad assistere
impotente all'agonia di lei, rimase pietrificato. Una lacrima scese piano sul
volto della ragazza, una sola. Poi tutto fu silenzio. Restò con lei senza
dire altro, sapendo che non era più tempo di vuote parole.
Harry osservò la ragazza: le piccole rughe intorno alla bocca sempre
più frequentemente contratta da smorfie di dolore; le ombre scure sotto
gli occhi; i capelli che sfuggivano alla treccia in cui ella aveva cercato di
imbrigliarli. Un solo pensiero gli sovvenne: è bellissima; e poi: è
tutta la mia vita.
Lentamente il respiro di lei si fece meno affannoso, più regolare: l'oblio
la accolse nuovamente portandole conforto e il viso si rasserenò. Seduto
accanto al letto Harry chinò la testa e la poggiò nell'incavo
tra il collo e la spalla di lei. L'odore di sudore misto a quello delle decine
di pozioni che le somministravano sperando che una, almeno una, fosse efficace
per più di qualche ora gli giunse pungente, poi però l'aroma della
pelle di lei che aveva imparato a conoscere cosi bene si fece strada e respirandolo,
respirando di lei, il sonno giunse anche per Harry.
"Insomma ragazzo, ti vuoi muovere?" Harry si trovò in piedi
prima ancora di svegliarsi del tutto.
Cercò di mettere a fuoco l'immagine dello zio Vernon; che stava fermo
a gambe larghe e con i pugni piantati sui fianchi, sulla soglia della porta
spalancata della sua camera. Allungò la mano verso il comodino per prendere
gli occhiali, non trovando ne il comodino ne, tantomeno, gli occhiali. Intendiamoci,
il comodino era accanto al letto, dove avrebbe dovuto essere; era lui, Harry,
a non essere nel suo letto. Incredibile a dirsi, tutto faceva pensare che avesse
dormito seduto sulla sedia di fianco al letto stesso. Si guardò intorno,
confuso. Nel frattempo zio Vernon gli rivolgeva occhiatacce in cui si coglievano
ora disgusto, ora rassegnazione. Harry intuiva quali pensieri stessero passando,
uno dopo l'altro, nel testone dello zio, mentre questi osservava quella che
giudicava come l'ennesima prova della anormalità – peggior insulto
nel vocabolario Dursley non esisteva – del nipote.
"Tua zia si sta sgolando da oltre mezz'ora perchè tu venga di sotto.
Vedi di muoverti!" e urlato questo se ne andò sbattendo la porta
alle sue spalle così forte da far tremare i vetri della finestra.
Harry osservò la sedia, perplesso. Strano, davvero strano. Ricordava
perfettamente di essersi messo a letto; di essersi tolto gli occhiali; di essere
rimasto a fissare il soffitto, pensando che con il caldo che faceva sarebbe
stato difficile stavolta prendere sonno. Niente altro sino alla fragorosa entrata
spaccatimpani dello zio.
Quando si era seduto sulla sedia? E aveva davvero dormito in quella posizione
scomoda? Decisamente si - disse a se stesso - quando una forte fitta gli attraversò
la schiena. Se questo episodio fosse stato accompagnato dalla ben nota fitta
di dolore alla testa avrebbe forse dato un peso diverso all'accaduto; ma la
cicatrice a forma di saetta sulla fronte, il suo infallibile campanello di allarme,
non gli faceva male. Esattamente come era stato sin dal momento del ritorno
da Hogwarts. Sembrava, ma Harry non ci sperava assolutamente, che Voldemort
fosse svanito. In realtà era più probabile che Voldermort stesse
estremamente attento a non attivare il legame che lo metteva in comunicazione
con Harry, non volendo concedere all'Ordine alcun vantaggio.Qualunque cosa gli
fosse accaduta, la notte appena passata, Harry si sentiva certo che non avesse
a che fare con il suo oscuro nemico. Il caldo fa brutti scherzi, si disse. Inforcando
gli occhiali, liquidò la stranezza accaduta con una scrollata di spalle.
Altri pensieri si affacciarono, ben più urgenti, nella sua mente. All'indomani
Lupin ed altri dell'Ordine sarebbero venuti a prenderlo. Ancora un giorno e
una notte e l'agonia della compagnia dei Dursley avrebbe avuto fine. Con quel
pensiero felice in mente, che eclissava qualunque altro, si avviò verso
la porta. Si era sentito distante da tutto e da tutti alla morte di Sirius;
come se nessuno potesse capire quello che provava. Ad aggiungere confusione
a confusione c'era stata la rivelazione della profezia della Cooman. Adesso
che un po' di tempo era passato, Harry pensava ancora che difficilmente qualcuno
dei suoi amici avrebbe potuto capire cosa provava. Sapeva con certezza però
che con tutto il cuore avrebbero cercato di riuscirci. Questo a lui bastava.
La rabbia e l'odio incontrollato che per un po' aveva provato si era placato.
I volti dei suoi amici, su tutti Ron e Hermione, si materializzarono davanti
ai suoi occhi. Con quei volti ben presenti in mente Harry scese le scale e si
diresse in cucina.