Ciao!
E mille grazie a tutti che
hanno letto e anzi recensito questa storia! Spero che non vi
deluderò…
CAPITOLO
DUE
I
wonder how,
I
wonder why.
(Fools'
Garden, Lemon Tree)
Quando
si
svegliò la mattina seguente, Charlie si sentiva uno
straccio. Aveva ancora
dolori dappertutto e si sentiva come se avesse della febbre. Si
toccò la
fronte. No, sembrava tutto normale; grazie a Dio! Aveva talmente tanto
da fare,
in ogni caso: non aveva alcun bisogno di una malattia.
Siccome
aveva
ancora un po’ di tempo fino alla sua prima lezione,
tentò un po’ di risolvere i
problemi sulla lavagna in garage. Il computer non aveva ancora finito
la sua
parte di lavora durante la notte, ma malgrado questo Charlie non ebbe
tempo di
annoiarsi. Fece qualche calcolo alla lavagna finché non si
fece ora di
raggiungere la CalSci.
Nel
pomeriggio
presto aveva già concluso per quel giorno e tornò
a casa. Finalmente anche il
computer aveva adempiuto al suo dovere e Charlie riuscì a
seguire le tracce dei
virus. Questo doveva bastare al team come inizio, pensò tra
di sé, e andò alla
centrale dell’FBI.
I
quattro
agenti all’inizio non si accorsero di lui intenti a cercare i
possibili motivi
dell’assassino – se ce n’era davvero uno.
«Forse
una
degli infermieri…?» stava proponendo Megan.
«Non sarebbe la prima volta:
qualcuno che danneggia qualcun altro per smania di mettersi in luce,
perché vuole poi mostrarsi come un eroe. E per un
infermiere sarebbe
stato facilissimo far circolare i virus fra i pazienti, no? Avrebbe
potuto dire
che erano antidolorifici o qualcosa di simile».
«E’
possibile…»
si intromise Charlie e gli altri si voltarono a lui. Ignorò
l’improvvisa onda
di nausea che tentò di opprimerlo.
«…però non è perfettamente
adatto a quello
che ho trovato io».
«Ehi
Charlie.
Allora che cosa hai trovato?»
Charlie
si
avvicinò alla lavagna di magnete dove erano elencate le
informazioni più
importanti del caso.
«Sembra»
cominciò, «che i virus venissero somministrati ai
pazienti con delle medicine,
perché la maggior parte delle persone ammalate è
isolata dagli altri pazienti
che hanno l’influenza. Però non sono riuscito a
trovare un medicinale specifico
che potrebbe essere stato somministrato a tutti i pazienti.
Naturalmente è
possibile che il medicinale sia stato dato in segreto, ma per
distinguerlo si
dovrebbe analizzare il sangue di ciascuno degli ammalati.
Così ho cercato altre
possibilità. Se guardo la faccenda con l’aiuto del
mio sistema, sembra che
siano stati modificati col virus medicinali completamente diversi,
sempre
in modo di campioni, siccome tanti pazienti non hanno nessuna
sorta di
problema. Ecco i possibili medicinali che hanno causato le
malattie».
Si
voltò verso
la lavagna per elencare i diversi medicinali che a suo giudizio
dovevano essere
tenuti in considerazione come mezzo di trasporto per i virus. Le stelle
stavano
danzando davanti ai suoi occhi, ma le ignorò.
Si
voltò di nuovo
verso il team. Aveva già aperto la bocca per dare ulteriori
spiegazioni, quando
una nuova ondata di nausea lo travolse. Per un attimo stette
semplicemente in
piedi tra la lavagna e il team, tentando di reprimere il conato
finché non ce
la fece più.
«Scusatemi
un
attimo» biascicò e scappò dalla sala
verso bagno degli uomini.
David,
Colby,
Megan e Don si guardarono l’uno l’altro in
confusione.
«Ma
che
cos’ha?» chiese David, ma nessuno sapeva una
risposta. Tutti volsero uno
sguardo interrogativo a Don.
«Penso
che sia
meglio che lo segua» mormorò Don che si era
già levato a mezzo.
Nessuno
gli
contraddisse.
Quando
Don
entrò nel bagno dei maschi non ci volle molto per trovare
Charlie. Senza
esitare andò verso la cabina da cui si potevano sentire i
suoni di vomito e bussò
alla porta.
«Ehi
Charlie? Stai
bene?»
Tosse
e affanno
da dentro. E poi finalmente la risposta. «Certo. Non sono mai
stato meglio».
Don
non sapeva
che cosa pensare. «Dimmi un po’, sei incinto
o cosa?»
Invece
di una
risposta Don sentì la sciacquatura della toilette e poi il
suono metallico
della chiusura. La porta si aprì e Charlie uscì.
«Anche
tu
avresti dovuto accorgerti finora che dagli homo sapiens sono le femmine
che
diventano incinte».
Se
non fosse
stato così pallido, Charlie ce l’avrebbe quasi
fatta a far credere a suo
fratello che tutto fosse a posto. Ma siccome le cose erano
così, Don toccò la
fronte umida di sudore di Charlie malgrado la resistenza di quello.
«Hai
la febbre»
constatò poi in modo serio.
«E
anche se
fosse?» Charlie lo sbrigò.
«Finché non svengo non me ne importa».
Don
credette di
aver capito male.
«Sei
matto o
cosa?! Quando sverrai sarà forse già troppo
tardi!»
«Posso
vivere
con questo rischio».
«No,
Charlie,
con questo rischio puoi morire! Non ti ricordi come la
mamma…»
«Ma
dai, non
esagerare!» ribatté Charlie in modo impaziente e
irritato. Qualche volta lo
snervava davvero il fatto che il suo fratello maggiore si arieggiasse
tanto a
suo protettore.
«Dobbiamo
tornare dagli altri» tagliò corto Charlie.
Così
dicendo si
mosse con decisione attraverso il corridoio, seguito da vicino da Don.
Dopo
quell’increscioso incidente i fratelli tornarono
nell’ufficio in silenzio. A
Don tornò alla mente quell’incidente davanti
all’ospedale, e i due casi che
erano così innocui di per sé, ottenevano, messi
insieme, una causticità
spiacevole. Certo, conosceva quel proverbio delle lucciole e delle
lanterne, ma
qualcosa gli diceva che c’era qualcosa che non andava.
Osservava suo fratello
accuratamente, ma quello non dava a vedere neanche la più
minima debolezza.
Arrivato
alla
sala di conferenza continuò la spiegazione della sua teoria
come se non fosse
successo niente. Ma Don non fece più attenzione alle sue
parole, ma piuttosto
ai suoi gesti e al suo aspetto. Charlie era sempre pallido, ma questo
non era
tutto. I suoi movimenti erano più stanchi, le spalle erano
spostate un po’ in
avanti come se fossero sotto un carico invisibile. E più
volte Don colse suo
fratello quando quello, apparentemente per coincidenza, si appoggiava
leggermente contro la lavagna o si aggrappava al tavolo, probabilmente
per
procurarsi così di un po’ di appoggio.
All’improvviso
fu strappato dalle sue osservazioni. Tutti lo guardavano.
«E
che cosa ne
pensi tu, Don?» lo stava incitando Megan.
Don
tentò di
non arrossire. Apparentemente Charlie aveva appena spiegato il punto
più
importante della sua teoria e gli altri avevano detto che cosa ne
pensavano.
«Eh…
che cosa
dico di che cosa?»
«Dimmi
un po’,
hai ascoltato ciò che ho detto?» Charlie sembrava
un po’ irritato.
«Certo.
È
solamente la fine che non ho ben capito».
Megan,
David e
Colby si guardarono. Secondo loro Charlie si era espresso molto
chiaramente. I
due fratelli si comportavano stranamente quella mattina.
«La
fine non
l’hai ben capita» Charlie ripeté pieno
di scetticismo. «Allora dimmi un po’ che
cosa è talmente incomprensibile quando dico “Penso
che sia l’opera del
fornitore di medicinali”?»
Il
cervello di
Don lavorava a massimo, cercando una risposta adeguata. Non trovava
niente.
«Eh
beh» cercò
di cavarsela, «perché dovrebbe farlo?»
«E’
lavoro
vostro di trovare i motivi».
«Sì…
sì, certo.
Hai veramente fatto un lavoro eccellente».
Il
desiderio di
essere gentile con suo fratello era venuto completamente
all’improvviso. Quando
si era accorto di quanto male stava Charlie già in
apparenza. Si alzò e gli
dette un colpetto sulla schiena.
«Sono
contento
di poter sempre contare sul tuo aiuto».
Charlie,
confuso, fece un passo indietro, fissandolo per qualche secondo, senza
parole.
«Dimmi
un po’,
sei diventato un po’ matto?» chiese poi.
Non
sarebbe
stato giusto dire che Don non l’aveva mai ringraziato, no. E
Charlie era
contento quando Don gli mostrava la sua gratitudine. Ma ora stava
esagerando un
po’.
«Perché
me lo
chiedi? Non posso essere gentile con il mio fratellino per una
volta?» Diventò
di nuovo serio di colpo. «Vieni qua per un attimo?»
E
senza
aspettare risposta tirò un Charlie confuso con sé
nella cucina, lontano dai
suoi colleghi, finché non furono soli.
«Cosa
intendi
fare ancora oggi?»
Charlie
aggrotto la fronte. Dove - per tutto il mondo - voleva andare a parare
Don?
«Devo
ancora
andare al CalSci» rispose esitando.
«Ah
sì». Una
pausa minima. «E non sarebbe meglio se ti riposassi un
po’? Penso che lo stress
non ti faccia bene».
Ecco
come
stavano le cose! Don si preoccupava ancora a causa di quello stupido
attacco di
nausea di prima!
«Lascia
perdere» rispose Charlie con un sorriso cauto.
Voleva
andarsene il più velocemente possibile. Tutta quella storia
davanti ai colleghi
di Don era stata abbastanza imbarazzante per lui. E inoltre voleva
evitare che
Don facesse ancora altre domande.
«Adesso
devo
andare. In bocca al lupo!» aggiunse quando passò
oltre il team e scivolò tra le
porte dell’ascensore.
Don
uscì dalla
sala e lo guardò senza avere la minima idea di cosa pensare
finché si accorse
che c’era silenzio attorno a lui. Accidenti, i suoi
colleghi lo stavano
osservando! Meglio se fingeva di stare a riflettere sul caso.
«Avete
un’idea
voi?» chiese, deliberatamente senza contesto.
«Di
che cosa
stai parlando?» chiese Megan. «Il caso o
Charlie?»
«Naturalmente
il caso» rispose Don troppo candido se fosse stato lui a
giudicare. «Perché,
cosa c’entra Charlie?»
Avrebbe
dovuto
essere chiaro a Don che non credevano alla sua spensieratezza. Ma
adesso non se
ne importava. Sarebbe stato in grado di deviarli di questa faccenda. I
suoi
affari privati non erano affar loro. Inoltre probabilmente non
c’era niente di
che preoccuparsi. Probabilmente Don stava semplicemente di nuovo
esagerando e
si preoccupava più del necessario come se sospettasse sempre
che ci fossero
guai ovunque. Era un’abitudine di lavoro diffusa un
po’ in tutta l’FBI. Sì - si
persuase Don - probabilmente non c’era niente. Charlie aveva
semplicemente un
giorno brutto. Ne avevano uno tutti ogni tanto.
«In
ogni caso
proporrei di scoprire chi fornisce l’ospedale di medicinali
e…»
«Ma
Charlie
l’ha già detto!» intervenne David.
«Quel farmacista di George Street. Come si
chiamava?»
«Glennfield»
rispose Colby subito.
«Sì,
esatto»
prese di nuovo parola Don, chiedendosi nello stesso istante quanto
avesse
ancora perso del discorso del fratello. «Propongo di andare
da lui per
interrogarlo».
La
proposta -
che Don effettivamente aveva fatto solo perché non aveva
potuto pensare ad una
cosa migliore in quel momento - fu accettata e così lui e
Megan se ne andarono,
mentre Colby e David cominciarono a cercare ulteriori informazioni
sulla
fornitura di medicinali e sulla farmacia.