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Autore: y3llowsoul    04/08/2010    3 recensioni
Aprì gli occhi. Si accorse immediatamente che qualcosa non andava. Era confuso. Nonostante tutto stesse girando, lui poteva distinguere che la prospettiva che se gli presentava davanti era molto inconsueta. Chiuse di nuovo gli occhi, un po’ per le vertigini, un po’ perché non dovesse più sopportare quell'angolatura.
Un Eppes ha una malattia grave e non sa come dire agli altri. Come reagiranno loro?
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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leucemia 2

Ciao! E mille grazie a tutti che hanno letto e anzi recensito questa storia! Spero che non vi deluderò…
 

CAPITOLO DUE

 

I wonder how,

I wonder why.

(Fools' Garden, Lemon Tree)

 

Quando si svegliò la mattina seguente, Charlie si sentiva uno straccio. Aveva ancora dolori dappertutto e si sentiva come se avesse della febbre. Si toccò la fronte. No, sembrava tutto normale; grazie a Dio! Aveva talmente tanto da fare, in ogni caso: non aveva alcun bisogno di una malattia.

Siccome aveva ancora un po’ di tempo fino alla sua prima lezione, tentò un po’ di risolvere i problemi sulla lavagna in garage. Il computer non aveva ancora finito la sua parte di lavora durante la notte, ma malgrado questo Charlie non ebbe tempo di annoiarsi. Fece qualche calcolo alla lavagna finché non si fece ora di raggiungere la CalSci.

 

Nel pomeriggio presto aveva già concluso per quel giorno e tornò a casa. Finalmente anche il computer aveva adempiuto al suo dovere e Charlie riuscì a seguire le tracce dei virus. Questo doveva bastare al team come inizio, pensò tra di sé, e andò alla centrale dell’FBI.

I quattro agenti all’inizio non si accorsero di lui intenti a cercare i possibili motivi dell’assassino – se ce n’era davvero uno.

«Forse una degli infermieri…?» stava proponendo Megan. «Non sarebbe la prima volta: qualcuno che danneggia qualcun altro per smania di mettersi in luce,  perché vuole poi mostrarsi come un eroe. E per un infermiere sarebbe stato facilissimo far circolare i virus fra i pazienti, no? Avrebbe potuto dire che erano antidolorifici o qualcosa di simile».

«E’ possibile…» si intromise Charlie e gli altri si voltarono a lui. Ignorò l’improvvisa onda di nausea che tentò di opprimerlo. «…però non è perfettamente adatto a quello che ho trovato io».

«Ehi Charlie. Allora che cosa hai trovato?»

Charlie si avvicinò alla lavagna di magnete dove erano elencate le informazioni più importanti del caso.

«Sembra» cominciò, «che i virus venissero somministrati ai pazienti con delle medicine, perché la maggior parte delle persone ammalate è isolata dagli altri pazienti che hanno l’influenza. Però non sono riuscito a trovare un medicinale specifico che potrebbe essere stato somministrato a tutti i pazienti. Naturalmente è possibile che il medicinale sia stato dato in segreto, ma per distinguerlo si dovrebbe analizzare il sangue di ciascuno degli ammalati. Così ho cercato altre possibilità. Se guardo la faccenda con l’aiuto del mio sistema, sembra che siano stati modificati col virus medicinali completamente diversi, sempre in  modo di campioni, siccome tanti pazienti non hanno nessuna sorta di problema. Ecco i possibili medicinali che hanno causato le malattie».

Si voltò verso la lavagna per elencare i diversi medicinali che a suo giudizio dovevano essere tenuti in considerazione come mezzo di trasporto per i virus. Le stelle stavano danzando davanti ai suoi occhi, ma le ignorò.

Si voltò di nuovo verso il team. Aveva già aperto la bocca per dare ulteriori spiegazioni, quando una nuova ondata di nausea lo travolse. Per un attimo stette semplicemente in piedi tra la lavagna e il team, tentando di reprimere il conato finché non ce la fece più.

«Scusatemi un attimo» biascicò e scappò dalla sala verso bagno degli uomini.

David, Colby, Megan e Don si guardarono l’uno l’altro in confusione.

«Ma che cos’ha?» chiese David, ma nessuno sapeva una risposta. Tutti volsero uno sguardo interrogativo a Don.

«Penso che sia meglio che lo segua» mormorò Don che si era già levato a mezzo.

Nessuno gli contraddisse.

Quando Don entrò nel bagno dei maschi non ci volle molto per trovare Charlie. Senza esitare andò verso la cabina da cui si potevano sentire i suoni di vomito e bussò alla porta.

«Ehi Charlie? Stai bene?»

Tosse e affanno da dentro. E poi finalmente la risposta. «Certo. Non sono mai stato meglio».

Don non sapeva che cosa pensare. «Dimmi un po’, sei incinto o cosa?»

Invece di una risposta Don sentì la sciacquatura della toilette e poi il suono metallico della chiusura. La porta si aprì e Charlie uscì.

«Anche tu avresti dovuto accorgerti finora che dagli homo sapiens sono le femmine che diventano incinte».

Se non fosse stato così pallido, Charlie ce l’avrebbe quasi fatta a far credere a suo fratello che tutto fosse a posto. Ma siccome le cose erano così, Don toccò la fronte umida di sudore di Charlie malgrado la resistenza di quello.

«Hai la febbre» constatò poi in modo serio.

«E anche se fosse?» Charlie lo sbrigò. «Finché non svengo non me ne importa».

Don credette di aver capito male.

«Sei matto o cosa?! Quando sverrai sarà forse già troppo tardi!»

«Posso vivere con questo rischio».

«No, Charlie, con questo rischio puoi morire! Non ti ricordi come la mamma…»

«Ma dai, non esagerare!» ribatté Charlie in modo impaziente e irritato. Qualche volta lo snervava davvero il fatto che il suo fratello maggiore si arieggiasse tanto a suo protettore.

«Dobbiamo tornare dagli altri» tagliò corto Charlie.

Così dicendo si mosse con decisione attraverso il corridoio, seguito da vicino da Don.

 

Dopo quell’increscioso incidente i fratelli tornarono nell’ufficio in silenzio. A Don tornò alla mente quell’incidente davanti all’ospedale, e i due casi che erano così innocui di per sé, ottenevano, messi insieme, una causticità spiacevole. Certo, conosceva quel proverbio delle lucciole e delle lanterne, ma qualcosa gli diceva che c’era qualcosa che non andava. Osservava suo fratello accuratamente, ma quello non dava a vedere neanche la più minima debolezza.

Arrivato alla sala di conferenza continuò la spiegazione della sua teoria come se non fosse successo niente. Ma Don non fece più attenzione alle sue parole, ma piuttosto ai suoi gesti e al suo aspetto. Charlie era sempre pallido, ma questo non era tutto. I suoi movimenti erano più stanchi, le spalle erano spostate un po’ in avanti come se fossero sotto un carico invisibile. E più volte Don colse suo fratello quando quello, apparentemente per coincidenza, si appoggiava leggermente contro la lavagna o si aggrappava al tavolo, probabilmente per procurarsi così di un po’ di appoggio.

All’improvviso fu strappato dalle sue osservazioni. Tutti lo guardavano.

«E che cosa ne pensi tu, Don?» lo stava incitando Megan.

Don tentò di non arrossire. Apparentemente Charlie aveva appena spiegato il punto più importante della sua teoria e gli altri avevano detto che cosa ne pensavano.

«Eh… che cosa dico di che cosa?»

«Dimmi un po’, hai ascoltato ciò che ho detto?» Charlie sembrava un po’ irritato.

«Certo. È solamente la fine che non ho ben capito».

Megan, David e Colby si guardarono. Secondo loro Charlie si era espresso molto chiaramente. I due fratelli si comportavano stranamente quella mattina.

«La fine non l’hai ben capita» Charlie ripeté pieno di scetticismo. «Allora dimmi un po’ che cosa è talmente incomprensibile quando dico “Penso che sia l’opera del fornitore di medicinali”?»

Il cervello di Don lavorava a massimo, cercando una risposta adeguata. Non trovava niente.

«Eh beh» cercò di cavarsela, «perché dovrebbe farlo?»

«E’ lavoro vostro di trovare i motivi».

«Sì… sì, certo. Hai veramente fatto un lavoro eccellente».

Il desiderio di essere gentile con suo fratello era venuto completamente all’improvviso. Quando si era accorto di quanto male stava Charlie già in apparenza. Si alzò e gli dette un colpetto sulla schiena.

«Sono contento di poter sempre contare sul tuo aiuto».

Charlie, confuso, fece un passo indietro, fissandolo per qualche secondo, senza parole.

«Dimmi un po’, sei diventato un po’ matto?» chiese poi.

Non sarebbe stato giusto dire che Don non l’aveva mai ringraziato, no. E Charlie era contento quando Don gli mostrava la sua gratitudine. Ma ora stava esagerando un po’.

«Perché me lo chiedi? Non posso essere gentile con il mio fratellino per una volta?» Diventò di nuovo serio di colpo. «Vieni qua per un attimo?»

E senza aspettare risposta tirò un Charlie confuso con sé nella cucina, lontano dai suoi colleghi, finché non furono soli.

«Cosa intendi fare ancora oggi?»

Charlie aggrotto la fronte. Dove - per tutto il mondo - voleva andare a parare Don?

«Devo ancora andare al CalSci» rispose esitando.

«Ah sì». Una pausa minima. «E non sarebbe meglio se ti riposassi un po’? Penso che lo stress non ti faccia bene».

Ecco come stavano le cose! Don si preoccupava ancora a causa di quello stupido attacco di nausea di prima!

«Lascia perdere» rispose Charlie con un sorriso cauto.

Voleva andarsene il più velocemente possibile. Tutta quella storia davanti ai colleghi di Don era stata abbastanza imbarazzante per lui. E inoltre voleva evitare che Don facesse ancora altre domande.

«Adesso devo andare. In bocca al lupo!» aggiunse quando passò oltre il team e scivolò tra le porte dell’ascensore.

Don uscì dalla sala e lo guardò senza avere la minima idea di cosa pensare finché si accorse che c’era silenzio  attorno a lui. Accidenti, i suoi colleghi lo stavano osservando! Meglio se fingeva di stare a riflettere sul caso.

«Avete un’idea voi?» chiese, deliberatamente senza contesto.

«Di che cosa stai parlando?» chiese Megan. «Il caso o Charlie?»

«Naturalmente il caso» rispose Don troppo candido se fosse stato lui a giudicare. «Perché, cosa c’entra Charlie?»

Avrebbe dovuto essere chiaro a Don che non credevano alla sua spensieratezza. Ma adesso non se ne importava. Sarebbe stato in grado di deviarli di questa faccenda. I suoi affari privati non erano affar loro. Inoltre probabilmente non c’era niente di che preoccuparsi. Probabilmente Don stava semplicemente di nuovo esagerando e si preoccupava più del necessario come se sospettasse sempre che ci fossero guai ovunque. Era un’abitudine di lavoro diffusa un po’ in tutta l’FBI. Sì - si persuase Don - probabilmente non c’era niente. Charlie aveva semplicemente un giorno brutto. Ne avevano uno tutti ogni tanto.

«In ogni caso proporrei di scoprire chi fornisce l’ospedale di medicinali e…»

«Ma Charlie l’ha già detto!» intervenne David. «Quel farmacista di George Street. Come si chiamava?»

«Glennfield» rispose Colby subito.

«Sì, esatto» prese di nuovo parola Don, chiedendosi nello stesso istante quanto avesse ancora perso del discorso del fratello. «Propongo di andare da lui per interrogarlo».

La proposta - che Don effettivamente aveva fatto solo perché non aveva potuto pensare ad una cosa migliore in quel momento - fu accettata e così lui e Megan se ne andarono, mentre Colby e David cominciarono a cercare ulteriori informazioni sulla fornitura di medicinali e sulla farmacia.

 
  
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