Film > The Phantom of the Opera
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Autore: Alkimia    05/08/2010    2 recensioni
E se Christine si innamorasse di Erik fin dall'inizio? E se i direttori del teatro assoldassero qualcuno per indagare sul Fantasma dell'Opera e stanarlo? E se, per tutti, le cose si rivelassero ancora più complicate di quanto sembrano?... Non sono una grande fan della coppia Erik/Christine, ma mi sono sempre chiesta se le cose potevano andare diversamente, questa è la risposta che mi sono data.
Genere: Azione, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aggiornamento mordi e fuggi prima della partenza... che parto a fare? E' brutto tempo e pare lo sarà per tutta la settimana in cui starò via, suppongo sia la punizione divina per gli aggiornamenti a tempo di lumaca e per aver disertato le risposte alle vostre recensioni (si, anche stavolta.... sorry).

 Gli aggiornamenti di questa e dell'altra storia in corso sono sospesi fino a fine mese causa vacanze.
 Intanto, grazie a tutti e buon prosieguo d'estate ^^


******************

CAPITOLO VENTISEIMO
Nel fondo della speranza

Quegli occhi erano come i suoi. Gli occhi di Alexandre che guardavano gli alberi rincorrersi oltre i vetri della carrozza.
Il viaggio era lungo così come i loro silenzi, intervallati da poche parole che soffocavano le domande che avrebbero voluto scambiarsi. E tutto quel vuoto lasciava spazio a pensieri che si facevano sempre più dolorosi nella loro mente.
Erik pensava a Christine che aveva rischiato la vita per la sua follia e per il suo orgoglio. E pensava che stava scappando come aveva sempre fatto, quando fino a poco prima si era illuso che l'amore lo avesse reso un uomo migliore. Non la meritava!
E poi c'erano quegli occhi... no, non erano come i suoi. Erano occhi buoni che non avevano mai visto un uomo esalare l'ultimo respiro. Ma erano occhi che avevano domande, che cercavano nel suo sguardo l'affetto, la gratitudine, la consapevolezza... non meritava nemmeno lui, quel fratello che stava mettendo in pericolo se stesso per aiutarlo.
Gli occhi di Erik si arrossarono di lacrime amare, ma lui le ricacciò indietro e abbassò le palpebre, sognando di essere un ragazzo, cresciuto con la sua famiglia, che aveva aiutato suo fratello con i primi studi, che aveva dormito tra le lenzuola ricamate da sua madre... ma quel sogno si infrangeva come cristallo appena nella sua mente si faceva strada la realtà, l'immagine del suo stesso viso che affiorava nei suoi pensieri e gli ricordava che ormai non poteva avere indietro quello che il destino gli aveva tolto.
Erik strinse nervosamente le dita attorno all'imbottitura del sedile. Avrebbe voluto gridare di fermare la carrozza, di tornare indietro, che era tutto inutile. Sarebbe sempre stato braccato, perché i veri mostri erano quelli che gli straziavano l'anima, agitandosi nei suoi pensieri, prendendo forma nel sonno quando alla sera si fermavano da qualche parte a cercare di riposare.
«Erik cosa c'è?» domandò Alexandre guardandolo con apprensione.
L'uomo sollevò le palpebre e fissò il giovane. Ora sapeva perché lo aveva perseguitato tanto: quel ragazzo gli ricordava quanto fosse sporca la sua anima.
«Dovrei essere morto... vorrei esserlo» sussurrò cupo. Avrebbe voluto esserlo, anche in quel momento, quando nel suo cuore germogliavano le speranze fragili dell'essere marito e padre.
Alexandre deglutì, aveva trascorso gli ultimi giorni a bordo di una carrozza, dividendo uno spazio angusto con l'uomo che aveva appena scoperto essere suo fratello, l'assassino che aveva rincorso per mesi in quel teatro! Avrebbe voluto imparare a conoscerlo, avrebbe voluto che lui desiderasse di farsi conoscere almeno quanto lui desiderava aiutarlo, ma non era facile aspettarsi che Erik aprisse il suo cuore a lui... il figlio fortunato, quello che aveva avuto tutto, persino la grazia di un bell'aspetto.
«Se tu fossi morto Christine sarebbe infelice, molto infelice» concluse il giovane con aria grave.
«Lei sarebbe più felice con un uomo come te... persino con un uomo come il visconte» replicò Erik secco.
Se solo quel ragazzo avesse saputo quante volte aveva cercato la morte, quante volte era arrivato così vicino a far fermare il suo cuore. E ora aspettava un figlio dalla donna che amava ma nemmeno questo riusciva a portare via le ombre dal suo cuore.
«Ma lei ha scelto te» replicò energicamente Alexandre.
Il Fantasma non fece subito caso a quelle parole ma poi si accorse di quanto fossero eloquenti e il volto di Christine riaffiorò come la luce di un faro in mezzo alla tempesta di amarezza.
«Sei mai stato innamorato, ragazzo?» domandò al suo interlocutore
«No» ammise il giornalista
«L'amore fa fare cose folli... e forse il fatto che Christine abbia scelto me è ancora più folle delle pazzie che ho fatto io per averla».
Alexandre sorrise sarcastico,
«Vuoi darti a tutti i costi una scusa per essere infelice» commentò aspro. «Forse perché non hai davvero tutta questa voglia di tenerti strette le cose che ami».
Erik digrignò i denti e gli lanciò un'occhiata dura,
«Mi credi un debole? Se io fossi stato debole non sarei sopravvissuto... ma tu non puoi capire» concluse per poi additare la maschera che aveva sul viso. «Ci sono cose che bisogna provare sulla propria pelle».
Il giornalista ammutolì, di un tratto si ricordò che non sapeva cosa c'era sotto quella maschera, quale era la condanna che quell'uomo aveva portato sulle spalle in tutti quegli anni. Il motivo di tutto ciò che stava accadendo loro era una striscia di pelle nascosta da un'ala di cuoio bianco.
Erik scosse il capo e si voltò per tornare a guardare fuori dal finestrino, come a lasciare intendere che la discussione era conclusa, invece Alexandre si gettò in avanti e prima che l'uomo potesse accorgersene gli strappò via la maschera.

Il cocchiere sentì improvvisamente un tonfo sordo provenire dall'interno della vettura, ma non pensò nemmeno per un attimo di fermarsi. Aveva avuto l'ordine di proseguire e non fare domande e poi, l'uomo mascherato gli faceva abbastanza paura da impedire alla sua bocca di articolare parole che andassero oltre la frase “ci fermiamo a far riposare i cavalli”, quindi proseguì per la sua strada nonostante gli scossoni che sentiva arrivare dall'interno della carrozza.
Il tonfo che aveva sentito il cocchiere era quello di Alexandre che era stato scagliato violentemente contro la parete posteriore della carrozza. Un attimo dopo Erik gli fu addosso con la ferocia di una belva.
«Come hai osato?!» ringhiò a un palmo dal viso del giovane stringendolo per il colletto della camicia. «Cosa credi ti dia il diritto di farmi una cosa del genere? Non aspettavi altro da quando ci siamo messi in viaggio, vero? Volevi proprio vedere il mostro? Ebbene, ragazzo tu di mostri non ne sai nulla».
Dopo un attimo di intontimento Alexandre si scosse e reagì all'assalto tirando una ginocchiata ad altezza dello stomaco dell'uomo che capitolò indietro a sua volta finendo contro il sedile. Il giornalista si rimise seduto muovendosi maldestramente a causa del forte dolore provocato dalla botta che aveva preso,
“Ora capisco...» disse ansimando mentre una scintilla di ilarità gli accendeva lo sguardo. «Non è la tua faccia il problema, è il tuo pessimo carattere».
Erik era rimasto senza forze per il colpo subito e per la fitta che gli aveva avvolto la pancia, spinse debolmente via il ragazzo,
«Ridammela...» rantolò indicando la maschera.
Alexandre gli rivolse una smorfia sprezzante e minacciò di gettare l'oggetto che gli aveva preso via dal finestrino.
In un impeto di rabbia Erik si alzò e lo colpì di nuovo facendolo urtare con la testa sul taglio dello schienale del sedile ma un attimo dopo sobbalzò rendendosi conto di essere stato davvero troppo violento. Il ragazzo rimase per qualche secondo immobile, riverso sul sedile con gli occhi chiusi, Erik trattenne il respiro sperando di non aver commesso l'irreparabile, poi però Alexandre sollevò lentamente le palpebre. L'uomo lo guardò aprendo la bocca come per parlare ma si scoprì incapace di trovare qualsiasi cosa da dire: quel ragazzo stava tentando di aiutarlo e lui gli aveva fatto del male.
«Capisco...» mormorò Alexandre con voce spenta ma allargando un sorriso canzonatorio. «Non hai avuto occasione di picchiarmi quando ero piccolo e ora vuoi recuperare il tempo perso...».
Erik si lasciò cadere sul sedile reprimendo un sospiro di sollievo,
«Se ti funziona ancora quella linguaccia lunga che hai allora non ti ho fatto così male» concluse aspro.
«Mah, magari la prossima volta usa un sacco di fieno al posto mio» replicò il ragazzo raccogliendo la maschera che nel mentre era caduta in un angolo della vettura.
Erik la prese tra le mani e la guardò facendo scorrere il dito sul profilo dello zigomo modellato sulla superficie bianca,
«Ora forse puoi lontanamente immaginare cosa ho dovuto patire» aggiunse in tono inespressivo.
«Sì, forse... ma è passato del tempo» replicò Alexandre. «Capita che qualcuno venga al mondo diverso...»
«Diverso... ti ringrazio per la delicatezza» lo rimbeccò Erik con una risatina stizzita.
«Quello che sto cercando di dirti... Dio, non essere sempre così prepotente! Il fatto che tu sia il fratello maggiore non ti da il diritto di interrompermi mentre parlo! Dicevo, che quello che intendevo è che non devi per forza vivere da emarginato, che non ce n'è più bisogno. Tieniti pure quel pezzo di cuoio sulla faccia se ti fa sentire più sicuro ma non usare il tuo viso per giustificare la tua paura del mondo»
«Stai di nuovo giudicando senza capire, ragazzo. Io non ho paura del mondo»
«Davvero?» mormorò Alexandre in tono di sfida. «Allora sei rimasto rintanato nei sotterranei dell'Opera perché ti piaceva il clima?»
«Non avevo scelta» borbottò Erik.
«D'accordo non avevi scelta, ma ora ce l'hai. Quando Christine si sarà rimessa potrà raggiungerti a Saint-Gaudens , potreste vivere qui e crescere qui vostro figlio...»
«Sì... ti piacciono i lieto fine, eh ragazzo»
«Piantala di prendermi in giro!».
Erik appoggiò il gomito sul bracciolo e scrutò il suo interlocutore,
«Mi dispiace» disse all'improvviso.
«Per il colpo alla testa? Ah, non preoccuparti, è già quasi passato» rispose il giovane.
«Mi dispiace per ogni cosa» precisò Erik notando che fuori il sole cominciava a tramontare. «Ma ora sta' zitto e vedi di farti una dormita o sarò costretto a colpirti ancora»
«Bene, immagino sia il tuo modo per dirmi che sei sulla buona strada per affezionarti a me. Direi che per cominciare può andar bene» lo canzonò Alexandre.
«Ti ho detto: dormi» borbottò suo fratello sbuffando e chiudendo gli occhi.
Sì, si stava affezionando a lui. Ma le sue labbra avevano conosciuto solo parole di rabbia e minaccia per trovare le cose giuste da dire per confessare un affetto che era affiorato dentro di lui inatteso e quasi non voluto. Un giorno, forse, avrebbe imparato a non avere tanta paura di ciò che provava, a non sentirsi fuori luogo davanti allo sguardo dolce di quel ragazzo... ma in quel momento il suo cuore aveva bisogno di silenzio.
Alexandre socchiuse gli occhi e spiò il volto di Erik appoggiato contro la fiancata della vettura, aveva indossato di nuovo la maschera e le sue labbra si stavano arricciando nell'espressione imbronciata che assumeva quando dormiva.
Nell'ultima luce del tramonto il giornalista scorse il profilo di un campanile della chiesa di un paesino che conosceva. Forse entro un giorno sarebbero arrivati a Saint-Gaudens. E lui avrebbe scritto a sua madre e a Christine rassicurandole che erano al sicuro. Avrebbe scritto anche a Raoul dicendogli di portare lì Christine appena fosse stata in grado di mettersi in viaggio.
Dentro di sé il ragazzo volle concedersi la speranza che tutto sarebbe tornato a posto.

*

I giorni non avevano forma né suono visti da quel letto, se non quando sognava. Quando si addormentava poteva vedere i suoi desideri prendere forma, disegnare il profilo di un casa abitata da lei, da suo marito e dal loro bambino: un piccoletto pestifero con i ricci e gli occhi chiari. Ma poi arrivava il mattino e lei si svegliava con la tranquillità dei sogni che lasciava il posto alla nostalgia e a tutti i timori che essa portava con sé.
Ogni volta arrivava il domani e lui non c'era, e lui non era lì. Quell'assenza che rendeva il tempo incredibilmente lento riempiva il suo cuore di brutti presagi, di sensazioni funeste che non aveva il coraggio di confessare nemmeno a se stessa. Christine sentiva che qualcosa sarebbe andato male, ma si diceva che era solo la tristezza per la lontananza di Erik a farle vedere tutto nero. Non aveva mai vissuto lontano dal suo Angelo e ora si stava rendendo conto di quanto la presenza di Erik era necessaria per lei.
Anche quella mattina Raoul era venuto a farle visita e aveva provato a convincerla a seguirlo nella tenuta della sua famiglia, a trasferirsi lì finché non sarebbe stata in condizioni di affrontare il lungo viaggio verso Saint-Gaudens, ma ancora una volta lei aveva detto di no.
«Non capisco, a casa mia avresti maggiore assistenza» replicò il visconte dopo l'ennesimo rifiuto della sua proposta da parte della ragazza.
Christine sorrise ma lo guardò con decisione,
«Ti ringrazio Raoul ma preferisco stare qui» rispose.
Il giovane sospirò e cedette, si limitò a sedersi su una poltrona accanto al letto e a fissarla in silenzio,
«Ah, ti prego, togliti quello sguardo di commiserazione dalla faccia!» esclamò lei a un tratto.
«Scusa... è che... Dio, ti vedo così triste» si giustificò Raoul.
Lei scrollò le spalle
«Non sono triste, sono preoccupata» rispose. «Quanti giorni di viaggio ci vogliono da qui a  Saint-Gaudens? Perché non abbiamo ancora loro notizie? Può essergli successo qualcosa?»
«Christine, Christine... calmati tesoro, avanti. Non si può stabilire una durata per un viaggio così lungo, ma tu non devi preoccuparti, Alexandre sa il fatto suo e mi pare anche che Erik non se la cavi così male».
La giovane sospirò e il visconte dovette trattenersi dal mordersi la lingua. Il solo pronunciare il nome di quell'uomo lo innervosiva.
«Ho un brutto presentimento, Raoul» aggiunse Christine stropicciando nervosamente l'orlo del lenzuolo.
«Non temere, andrà tutto bene» la rassicurò lui. «E comunque, non devi preoccuparti. Se anche dovesse accadere qualcosa a Erik, io non ti lascerò da sola, né te né tuo figlio».
La ragazza sorrise tristemente,
«Sei molto caro Raoul, ma la mia felicità sta viaggiando su una carrozza diretta verso i Pirenei e se non potessi raggiungerla temo che il mio cuore non lo sopporterebbe».
Il visconte annuì e si avvicinò alla finestra. Guardò Parigi muoversi frenetica e il profilo della cupola del tetto del teatro disegnarsi in lontananza in fondo alla strada, oltre le case e i lampioni. Si sentì impotente e meschino davanti alla tristezza di Christine e pensò che non c'era altro da fare che aspettare che si rimettesse e riportarla dall'uomo che amava. Un uomo che non era lui.
Restò un'altra ora a parlare con lei, poi si congedò e tornò a casa sua nella speranza che la lettura dei documenti sulla gestione del patrimonio della sua famiglia lo aiutassero a distrarsi.

Madame Ginette entrò nella stanza reggendo un vassoio con il pranzo che appoggiò su un piccolo tavolino da letto di legno intarsiato. Aiutò Christine a mettersi seduta con la schiena appoggiata ai cuscini e le accarezzò il viso. Quella ragazza era diventata il motivo per cui ogni mattina si alzava dal letto, si dedicava alla casa e faceva ciò che facevano tutti gli altri. Il potersi occupare di lei, di rendersi utile alla fanciulla amata dal figlio che aveva creduto perso, la stava facendo guarire dal male dell'anima che l'aveva tormentata in tutti quegli anni. E Christine lo sapeva. Era per questo che aveva rifiutato l'ospitalità di Raoul ed era rimasta in quella casa. Forse quella donna non aveva meno bisogno di cure e attenzioni di quanto ne avesse lei.
«La cameriera oggi ha trovato delle verdure veramente fresche al mercato» disse madame Ginette. «Ho fatto preparare una zuppa squisita».
Christine sorrise e assaggiò un cucchiaio dal piatto fumante,
«Avete ragione, madame, è davvero buona» rispose.
«Vuoi che ti apra un po' la finestra, Christine? Ti farà bene prendere aria».
La ragazza annuì, la donna scostò le tende e aprì i vetri, una folata di aria gelida invase la camera. Fuori era ancora inverno.
«Lascerò aperto solo qualche minuto, non voglio che ti venga un malanno” aggiunse madame Ginette.
«Grazie, siete molto gentile con me» mormorò la giovane con sincera gratitudine.
«È il minimo che possa fare» rispose la donna abbassando lo sguardo sentendosi a disagio. Era stata vigliacca ed egoista abbandonando suo figlio e ora avrebbe fatto qualsiasi cosa per poter anche solo minimamente fare ammenda ai suoi errori passati.
Christine finì di mangiare in silenzio, poi la donna portò via il vassoio con le stoviglie sporche e dopo qualche minuto tornò nella stanza della ragazza, si mise seduta sul bordo del letto e la guardò,
«Parlami di lui» le chiese. Tre parole pronunciate con una tale malinconia che Christine sentì il cuore saltare un battito.
«Cosa volete che dica una donna dell'uomo che ama?» rispose arrossendo.
A quelle parole la donna sorrise quasi raggiante,
«Il fatto che tu lo ami già dice molte cose di lui... cose belle. Ma vorrei sentire di più» mormorò.
Christine annuì e cominciò a raccontarle la sua storia dal principio. La storia di una bambina che aveva visto avverarsi la favola della sua infanzia fino a quando quella favola si era trasformata in una realtà ancora più sorprendente di ogni fantasia.

*

L'uomo si guardò intorno con gli occhi sottili di chi cerca risposte, come se potesse leggere su quelle pareti di pietra strani linguaggi capaci di rivelargli ciò che voleva sapere.
Dunque era lì che aveva vissuto il Fantasma dell'Opera in tutti quegli anni, era lì che in quei mesi si era nascosto da lui facendo fallire i suoi tentativi di stanarlo e facendolo apparire un incapace agli occhi di pagava la sua parcella da investigatore!
Bertrand era tornato nei sotterranei e ora stava curiosando indisturbato tra le suppellettili e gli oggetti della Dimora sul Lago, lì ad altezza del quarto sottopalco immerso nella tetra luce di poche candele accese, in quella che gli sembrava essere più la tana di un animale che il rifugio di un uomo.
Si mosse cauto sul rialzo di roccia che il Fantasma dell'Opera aveva abbellito tanto da riuscire quasi a dare alla pietra nuda un tocco di calore umano. Scorse i suoi disegni lasciati in disordine sullo scrittoio, gli schizzi delle scenografie e dei costumi del Don Juan ammassati accanto al modellino in scala del teatro.
L'investigatore prese tra le mani le statuine che completavano la miniatura dell'Opera così sapientemente realizzata in ogni particolare, poi si voltò e scagliò i piccoli oggetti lontano facendoli finire in acqua. Continuò a muoversi per la grotta e vide i ritratti di Christine appesi alla parete, li staccò per guardarli meglio e rise tra sé e sé.
«E così il mio mostro è un sentimentale» disse ad alta voce con una profonda nota di scherno, poi accartocciò i ritratti e li gettò a terra.
Si avvicinò all'organo che era appoggiato sullo sperone roccioso più alto come su una sorta di altare, toccò i tasti a casaccio e lo strumento emise delle note sorde che vibrarono nell'aria umida. L'investigatore percorse con le dita le linee degli intarsi di madreperla e ottone che decoravano le fiancate dell'organo, poi afferrò un pesante candeliere e lo scagliò con forza contro la tastiera. Alcuni tasti si spezzarono e volarono via in una pioggia schegge lucide, poi l'uomo cominciò a colpire le fiancate di legno fino a quando non le distrusse completamente, infine scagliò il candeliere contro le canne di ottone che salivano verso il soffitto di pietra, l'oggetto ammaccò una delle canne e poi ricadde ruzzolando nell'acqua verde del lago.
Al Fantasma non piaceva perdere...

Ma c'è sempre una prima volta!...

“C'è  sempre una prima volta” sibilò Bertrand.

C'è sempre una prima volta, Erik!

Bertrand prese un altro candeliere e cominciò a scagliarlo con forza contro ogni oggetto che gli capitava a tiro. Distrusse le statue, le suppellettili, i bauli. Poi raccolse i libri, le carte e parte dei pezzi di legno in cui aveva ridotto gli arredi della Dimora sul Lago, portò tutto sul letto e lanciò una candela in mezzo alle lenzuola di raso. In meno di un minuto il letto e tutto quello che c'era sopra prese fuoco.
L'investigatore osservò il piccolo rogo per un po', poi si voltò e cadde in ginocchio sul pavimento di pietra sopraffatto dalla rabbia.
A guardarlo con quelle fiamme che ardevano alle sue spalle, disegnando nettamente il profilo della sua figura piegata a terra sarebbe sembrato il dipinto di un demonio realizzato da un pittore blasfemo.
«Ti troverò, Erik» promise l'uomo parlando al vuoto. «Ti troverò».


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Informazione di servizio: l'autrice ha adorato scrivere la scazzottata nella carrozza! XD


Capitolo reinserito il 29\12\2011
   
 
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