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Autore: KatNbdwife    08/08/2010    8 recensioni
In "Dopo di te" Lea e Bill si sono conosciuti, amati, lasciati. Ora come vivranno il resto della loro vita lontani?
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Kaulitz
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Buona lettura! ^_^

**

La reazione di Lea, contrariamente a quanto Bill avesse temuto prima di porgergli la domanda (e durante), fu sorprendentemente calma. La ragazza accettò con piacere di conoscere la madre di Bill, arrossendo solo leggermente nel confermarglielo.
Bill decise di non perdere tempo. La loro relazione, spesse volte, era stata messa a dura prova da parecchi imprevisti che, in alcuni casi, avevano anche rischiato di farla collassare così scese velocemente dal letto, cercò il cellulare e chiamò la madre, per avvisarla che lui, Tom e “una persona che ti voglio far conoscere” avrebbero pranzato da lei.

Lea osservava lo sguardo eccitato del suo ragazzo, che si mordicchiava un dito mentre parlava al telefono, facendo attenzione a non mordere troppo per non rovinare lo smalto. Erano quelle le piccole cose che l’avevano fatta capitolare del tutto. Le sembrava impossibile, arrivati a quel punto, tirarsi indietro. Mentre il cuore le scoppiava di felicità, Lea pensò che, qualsiasi cosa Bill le avesse chiesto quel giorno, lei avrebbe accettato.

Tom dormiva ancora beatamente, quando Bill aprì piano la porta per comunicargli la notizia. Vedendo la faccia del gemello premuta contro il cuscino, la bocca leggermente aperta e i rasta scompigliati, mentre un timido raggio di sole che penetrava dalla tapparella gli conferiva un’espressione angelica, decise di non svegliarlo.
Erano le undici passate e la madre li aspettava per l’una. Tom avrebbe fatto in tempo a prepararsi, tra i due lui era quella più veloce in bagno, lo era sempre stato.

Richiudendo piano la porta raggiunse Lea in cucina, che lo aspettava seduta al tavolo, davanti a due tazze di caffè fumante.
Bill si sedette di fronte a lei e ridacchiò: “Mia madre era curiosissima, prima al telefono! Non ha fatto domande, ma ho sentito il tono della sua voce”
“E se non le dovessi piacere?”
“Beh, l’importante è che piaci a me, no?” rise Bill, bevendo del caffè.
“Ah beh, grazie!” rispose Lea, assumendo un’espressione buffa, tra il divertito e il preoccupato “Ma lei è tua madre! Metti che le sto antipatica?”
“Piantala Lea! Io sono sicuro che le piacerai, proprio come sei piaciuta a me”
“E’ diverso, insomma…”

Il suono del telefono di Bill interruppe la loro conversazione. Entrambi si guardarono negli occhi, zittendo. Il ragazzo si alzò in fretta, andò in stanza, raccolse il telefono da dove l’aveva lasciato e guardò il display: era David.

“David?”
“Bill per fortuna ti trovo! E’ successo un disastro!” Bill avvertì un tuffo al cuore.
“Cosa è successo?”
“Mi hanno appena chiamato dalla Cherry Tree, sono in studio nonostante là sia notte fonda perché per un problema di carattere tecnico, si sono perse delle tracce che avevate già registrato e inviato. Se non le risistemiamo entro la fine del mese, dovremo posticipare di nuovo l’uscita del nuovo album”
“Andiamo subito in studio, le registriamo in giornata”
“I loro server si sono bloccati, non potremo comunque inviargliele, non oggi almeno. Dobbiamo partire, raggiungerli a Los Angeles. E’ questione di un paio di giorni, dovrete solo registrare nuovamente due canzoni, non ci vorrà molto tempo”
“David ma io non posso partire oggi!”
“Bill, devi fare qualcosa di più importante della registrazione del vostro nuovo album?”

Bill non rispose: in silenzio, con il telefonino premuto contro l’orecchio, pensò a Lea. Lea che, a differenza di una canzone, poteva sentirsi abbandonata. Lea che, a differenza di una canzone, si sarebbe sentita messa da parte di nuovo, che avrebbe avuto la conferma di come la loro unione sarebbe sempre stata una scelta continua. Lea che si sarebbe stufata e sarebbe tornata in Italia, senza nemmeno aspettare spiegazioni che, a quel punto, le sarebbero parse inutili.

“Bill?” David era impaziente.
“Non possiamo partire nel tardo pomeriggio?”
“C’è un aereo privato che ci aspetta tra un’ora e mezza. Toby è già andato a prendere Gustav e Georg, mancate solo tu e Tom. Non ti preoccupare dei bagagli, ci ha già pensato Dunja”
“Avresti potuto dirmelo subito che la decisione era già stata presa” brontolò Bill.
“E’ importante, Bill. Lei capirà. Passiamo a prendervi tra mezz’ora” sussurrò David. Bill non si stupì dell’intuizione di David. Gli aveva parlato di Lea in passato, soprattutto nei lunghi mesi dopo Parigi.
“Non credo” rispose, riattaccando.

Gettando il telefono sul letto, vi si sedette, le mani appoggiate alle ginocchia. Lea comparve sulla soglia, gli occhi bassi.

“Lea, era David”
“Lo so, ho sentito. Non era mia intenzione origliare, ma quando ti ho sentito fare il suo nome non ho resistito. Ho sentito tutto, o meglio, ho sentito quello che hai detto tu. Devi andartene?”
“Los Angeles, tra mezz’ora. Lea non sai quanto…”
“Lo so, lo so. Lo so sempre” rispose, rassegnata.
“Non è colpa mia, non pensavo che…”
“Non è colpa di nessuno, Bill. E’ successo, come succede sempre, come succederà ancora. Adesso vai a svegliare Tom, dai”

Bill si alzò meccanicamente, senza guardarla. Un nodo gli serrava la gola ed era un terribile misto di rabbia nei confronti di David e di quegli imbecilli che avevano perso le registrazioni e di tristezza nel vedere Lea così affranta, tristezza per non essere stato capace di mantenere una promessa.

**

Tom apprese la notizia con scarsa vivacità. Gli piaceva viaggiare, ma detestava gli imprevisti. Comunque, mantenendo fede alla sua puntualità, riuscì a lavarsi e cambiarsi in tempi record.
Dopo venti minuti, i due gemelli e Lea erano già in cortile, ad aspettare la macchina che avrebbe portato tutti quanti all’aeroporto.

“Sei ancora in tempo per venire con me, Lea” la pregò Bill “Ci sarà anche Dunja con noi, potrai dormire con lei nel caso in cui David non riuscisse a trovare una stanza libera”
“Lasciami stare, per cortesia. E già abbastanza difficile così, non ti ci mettere anche tu con le tue teorie” rispose, stizzita. Era arrabbiata, anzi no, era furente.
Furente con Bill, perché veniva continuamente schiavizzato dal suo lavoro, furente con sé stessa, per essere tornata da lui nonostante avesse deciso di lasciarlo, furente con il mondo, che non girava mai per verso giusto. Quando arrivò la macchina che li avrebbe scortati in aeroporto, tirò un lungo sospiro e aspettò che Toby caricasse i suoi bagagli prima di salire.
Il tragitto fino all’aeroporto lo passò in silenzio, interrotto solo da una rapida conversazione con Dunja e David che le chiesero come stava.
Bill cercò la sua mano, aveva bisogno di stringergliela prima di lasciarla nuovamente, ma la ragazza si divincolò malamente.

Dopo venti minuti circa, l’auto si fermò e il gruppetto, scortato da Toby e dagli altri membri della sicurezza, varcò la soglia dell’aeroporto. Camminando a passo spedito, Bill si avvicinò a Lea senza farsi notare e le sussurrò: “Lea vieni con me, ti prego”
La ragazza non rispose, ricacciò indietro le lacrime e continuò a camminare.
Giunti al check in, David si fermò per salutarla: “Il nostro aereo ci aspetta sulla pista 10. Lea, sicura di non voler venire con noi?”
“La ringrazio, preferisco tornare a casa” rispose, compita.
“Sbaglio o ci davamo del tu?” disse lui, nel tentativo di alleggerire l’atmosfera.
“Sì, scusa. Comunque, grazie ma torno a Roma. Fate buon viaggio” poi, lanciando uno sguardo furtivo a Bill, aggiunse “Ci sentiamo”
Il ragazzo cercò di dire qualcosa, ma nulla di sensato gli venne in mente. Imbronciato, seguì David e gli altri fino alla pista numero 10, dove un elegante jet privato li attendeva con i motori già accesi.

**

“Marie, sono Lea”
“Lea? Dove sei? Cos’è questo rumore?”
“Sono in aeroporto, sto tornando”
“Non dirmi che avete litigato nuovamente, ti prego!”
“E’ una storia lunga, ti spiegherò quando arrivo. Prendo il primo aereo disponibile, ti mando un messaggio quando so l’orario della partenza”
“Stai bene?”
“Sì” mentì la ragazza “Ci sentiamo dopo”

Spense il telefonino, per resistere alla tentazione di mandare un messaggio a Bill e si avviò verso la biglietteria, intenzionata a comprare un biglietto per il primo volo disponibile per Roma. Ma, mentre si recava a grandi passi verso la sua destinazione, le dita della sua mano avvertirono la presenza di qualcosa di freddo e liscio nella tasca del giubbotto. Si fermò, il trolley in una mano e, dalla tasca, estrasse un anello. Come un flashback, ricordò la sera in cui Bill l’aveva portata allo studio di registrazione e al momento in cui se l’era tolto, perché gli prudeva un dito. Le aveva chiesto di tenerglielo, per non rischiare di perderlo e la ragazza se l’era infilato nella tasca del giubbotto, dimenticandosi poi di restituirglielo.
Scrutando l’anello, vi vide riflessa la sua vita senza lui. Fredda e liscia come il mare d’inverno.
Ma il mare era immenso e libero, mentre lei senza Bill si sentiva piccola e in prigione.

Affidandosi solo al suo istinto, ricacciò l’anello in tasca, sollevò il trolley dal terreno e cominciò a correre verso la pista numero 10.

Quattro mesi dopo…

“No, non lì! Piano… no! Tom no! Guarda che lo spacchi!”
“Ma no, non lo spacco!” un tonfo sordo seguì le parole del chitarrista che, ridendo, si abbassò per raccogliere l’oggetto che gli era sfuggito dalle mani.
Lea si affrettò a raggiungere il rasta, pulendosi le mani sporche di vernice sui jeans sbiaditi e inveendo contro al chitarrista che non smetteva di ridere.

“L’hai rotto?!”
“Ma no! Che rompipalle che sei! Se penso che dovrò vederti pure quando sono in ferie, mi viene voglia di cambiare stato!” rise il ragazzo.
“Che simpatico!” rispose Lea, facendogli la linguaccia.

In quel momento, Bill varcò la soglia della piccola villetta a schiera che, da un mese a quella parte, era di proprietà di Lea. Distava solo cento metri dalla casa dei gemelli, era caldo e confortevole e Lea aveva scelto un arredamento sobrio ma, nello stesso tempo, adatto ad una ragazza della sua età.

“Come procedono i lavori?” chiese il cantante, avvicinandosi a lei e posandole un bacio sulla fronte.
“Bene, a parte tuo fratello che sta cercando di distruggermi la casa!” ridacchiò Lea, guardando Tom che continuava ad armeggiare con il quadro che aveva fatto cadere poco prima.
“Ho portato qualcosa da mangiare, è quasi l’una” spiegò Bill “Direi che ci vuole una pausa”
“Sì, direi! Tu, con la scusa di andare a prendere da mangiare, non hai fatto un cazzo!” lo apostrofò Tom, ridendo e dirigendosi verso la cucina.
“Ormai manca solo da sistemare il salotto, il resto della casa è a posto” spiegò Lea, seguendo Bill in cucina “Sta uscendo bene. Non vedo l’ora di farla vedere a Marie!”

**

Quattro mesi prima, proprio quando Bill stava per sparire dalla sua vita, Lea aveva trovato il coraggio di fare dietrofront e correre dall’unica persona che l’aveva fatta capitolare, definitivamente.
Bill stava salendo sul jet che lo avrebbe condotto in America, quando la voce di Lea lo aveva fatto voltare. Si erano scambiati solo poche parole, concitate e confuse dal rumore dei motori dell’aereo, ma Bill aveva capito che Lea lo avrebbe aspettato a Berlino. Per sempre, questa volta.

Al suo ritorno, la ragazza era in aeroporto, stretta in un cappotto nero e con un grosso paio di occhiali da sole sugli occhi.
Lui le si era avvicinato con circospezione, fingendo quasi di non conoscerla ed insieme erano saliti su una grossa macchina scura che li aveva condotti a casa.

Una volta soli, Lea aveva comunicato a Bill la sua decisione: “Compro casa a Berlino. Ho pensato che potrei trascorrere qui i mesi in cui tu sei libero, potrei fermarmi tutte le volte in cui gli impegni ti permettono di tornare a casa e, per il resto dell’anno, continuare a vivere a Roma”

Bill l’aveva guardata a lungo, senza essere in grado di parlare. Non sapeva trovare una parola, solo una, che spiegasse a Lea cosa significasse per lui quel gesto.
Ci aveva pensato lei a rompere quel lungo silenzio: “So che tu saresti vissuto su un aereo solo per raggiungermi ogni volta che avresti potuto, ma sei già costretto a spostarti per lavoro e io non voglio che la nostra relazione diventi un viavai di saluti all’aeroporto. Con una casa mia, qui in Germania, sarà tutto più facile”
“Sei sicura?” aveva chiesto lui, ai limiti della commozione.
“Sicura. Quando stavi partendo mi è capitato fra le mani l’anello che mi avevi dato allo studio di registrazione” lo tolse dalla tasca e glielo porse, poi continuò “In un attimo, mi sono resa conto di quanto mi sarebbe costato vivere senza di te. Ho pensato che se la vita mi aveva regalato questo sogno, sarebbe stato un peccato, anzi no, sarebbe stato un vero affronto rinunciarvi. C’è gente che sogna tutta la vita un amore come questo e io non mi sono sentita di mandarlo all’aria. Non so perché non me ne sia resa conto tempo fa, forse credevo di non aver bisogno di te. Ma, paradossalmente, quando ho capito che saresti partito di nuovo mi sono sentita in gabbia, proprio io che non ho mai avvertito la necessità di un legame. A volte, libertà non significa solitudine”
Bill l’aveva lasciata parlare, tenendole le mani, fino a quando non l’aveva stretta a sé così forte da farle quasi mancare il respiro.
Ora, sentiva che la sua vita era davvero un sogno.

**

“Non mi hai mai detto come ha reagito Marie, dopo la notizia dell’acquisto della casa”

Lea e Bill erano seduti in salotto, o meglio, in quello che sarebbe stato il salotto della nuova casa di Lea. Il pavimento era cosparso di giornali e divano e poltrone erano avvolti nel cellophane.

“Beh, è rimasta spiazzata all’inizio. Ma quando le ho spiegato della mia, come dire, doppia residenza, ha accettato di buon grado il mio trasferimento. Così come lo hanno accettato Mandy, Sue e Phil”
“Sei felice?” le domandò Bill, all’improvviso.
“Sì” si voltò e lo fissò dritto negli occhi, in quegli occhi color cioccolato che le scaldavano sempre il cuore “Sono felice. Ho avuto paura, soprattutto dopo la firma del contratto d’acquisto. Ma ora sono felice. So che questo non mi impedirà di vedere la mia famiglia, le mie amiche o di continuare i miei studi. Questa è una parte della mia vita. Senza di te, non sarebbe stata completa”
“Non avrei mai pensato che ti saresti decisa. So che per te non è stato facile, ed è per questo che apprezzo ancora di più il tuo gesto. Lo sai che io avrei viaggiato giorno e notte per raggiungerti, ma ora che sei qui…”
“Ora che sono qui, devi solo fare cento metri a piedi” sghignazzò lei, avvicinandosi alle sue labbra.
“Aspetta…” il ragazzo si alzò da terra, si avvicinò alla radio che Lea aveva sistemato in un angolo e che le teneva compagnia durante i lavori e la accese.
Poi spense le luci e lasciò che fosse la luna ad illuminare, dalla grande portafinestra, la stanza.

Quando tornò a sedersi al suo fianco, le note di una canzone a loro ben nota, invasero la sala.
“Oddio Bill” mormorò Lea, accoccolandosi fra le sue braccia.
“E’ lei, è lei…” sussurrò il ragazzo, riferendosi alla canzone.
“E’ un segno del destino?”
“E’ una promessa…”

Every breath you take
Every move you make
Every bond you break
Every step you take
I’ll be watching you…

FINE

**

Anche questa storia è finita. Grazie a tutte, ma davvero a tutte, per i commenti e per la lettura!
Ora lascio a voi la parola! ;)
Kate
   
 
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