Titolo: Ridi, Pagliaccio
Raiting: Verde
Genere: drammatico- introspettivo
Disclaimer: non possiedo i diritti sulla canzone che qui io cito, il cui autore è Ruggero Leoncavallo (http://it.wikipedia.org/wiki/Vesti_la_giubba). Con questo mio scritto non ho intenzione di offendere l'autore.
Si sedette davanti allo specchio, guardandosi
immobile per qualche secondo, come se stentasse di riconoscersi in quelle iridi
opache riflesse dalla superficie lucida. Prese a fare gesti meccanici e lenti,
perfezionati dal continuo ripetersi, ma svuotati, senza significato. Si
raccolse i capelli in una crocchia disordinata, senza badare troppo all’ordine
e iniziò a cospargere il viso di pallida polvere, più pallida del suo
incarnato, e non riusciva a coprire l’insonnia e la preoccupazione che le
accerchiavano gli occhi come nemici troppo potenti. Il soffice pennello correva
sugli zigomi, ma lei aveva la testa altrove, ormai.
Recitar! Mentre preso
dal delirio,
non so più quel che dico,
e quel che faccio!
<< Che senso ha tutto questo ormai? >>
Voleva essere dove non era, in quel momento. Il
suo ultimo pensiero era prepararsi per la giornata che stava per iniziare,
piena di impegni, di cose da fare, di persone da vedere. Non aveva più la forza
di recitare, ormai. Gettò il pennello lontano. Nulla andava nella direzione
giusta, ogni elemento della sua vita sembrava aver preso il largo e poi aver
perso la bussola. I suoi frammenti navigavano impazziti nel mare del dolore e
dell’oblio. Non aveva senso svegliarsi ogni mattina e mascherarsi per
affrontare le altrui espressioni, altrettanto artefatte. Perché non esporre al
pubblico ludibrio e compassione il proprio dolore? Sarebbe stato comunque più
vero…
Eppur è d'uopo, sforzati!
Bah! sei tu forse un uom?
Tu se' Pagliaccio!
Non era più una donna, era un fantoccio inutile che
si buttava qua e là in modo casuale, rimbalzando sugli eventi e sulle persone.
Non era più una donna, era solo un pagliaccio, pronto per la commedia ogni
giorno, un pagliaccio triste, pieno di rabbia e dolore da cui tutti
pretendevano un sorriso. Persino lo specchio, che non osava più guardare.
Vesti la giubba,
e la faccia infarina.
La gente paga, e rider vuole qua.
Raccolse il pennello che aveva scagliato
lontano. Preparò quindi il travestimento dovuto: un po’ di ombretto, un
rossetto rosso acceso, un’acconciatura sofisticata sopra un sorriso spento. Non
si sfugge al destino, mai. Sotto strati e strati di trucco, dietro un notevole
volume di sconforto, l’anima rinsecchita si nascose. Era quello che la gente
voleva no? Era quello che lei voleva no? Che tutti fossero felici. Lo scopo
della sua vita era sempre stato quello.
E se Arlecchin t'invola Colombina,
ridi, Pagliaccio, e ognun applaudirà!
Tramuta in lazzi lo spasmo ed il pianto
in una smorfia il singhiozzo e 'l dolor, Ah!
Le persone nella vita non chiedono altro che
d’esser felici, anche a discapito d’altri. Perciò si infilò quel vestito
colorato e quelle scarpe a fiori che avrebbero dovuto renderla allegra, almeno
all’esterno, per farli tutti contenti. Nascose i singhiozzi dietro un sorriso,
le occhiaie dietro al trucco, la stanchezza dentro un vestito rosso. Tutti
sarebbero stati felici di vedere che lei stava bene. E avrebbe portato la
maschera fino alla fine. Restava comunque la notte, per stare ancora col
dolore.
Uscì di casa con un sorriso sulle labbra, un
sorriso che, appena nato, si era già infranto.
Ridi, Pagliaccio,
sul tuo amore infranto!
Ridi del duol, che t'avvelena il cor!
Note: questa OS è stata concepita e scritta in un momento estremamente difficile. Non credo sia formalmente perfetta, spero solo di essere riuscita a metterci tutti i sentimenti che provavo. Grazie