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Autore: Yoko_kun    10/08/2010    1 recensioni
-Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te- & -In una notte di tempesta è più forte il giunco o la quercia?-
Questa one-shot nasce proprio da una piccola riflessione su questo detto e sulla domanda “filosofica”(da cui il titolo).
Incentrata principalmente su Nnoitra e poi un po’ anche su Neliel.
[ Non aveva nessuna voglia di avere a che fare con lei. Non ancora, non oggi.
“In un giorno di tempesta resiste di più ai colpi del vento una quercia o il giunco…” gli aveva chiesto all’improvviso con voce pacifica mentre i suoi occhi restavano incollati alle righe del libro che teneva in mano “…Nnoitra?” aveva concluso in fine, proferendo il suo nome con un tono strano, che lui non sapeva identificare, ma che era certo servisse a invitarlo a rispondere.
Probabilmente si era accorta subito che si era svegliato e anche che la stava bellamente ignorando.
Lui non le rispose, si limitò a far scorrere la sua unica pupilla lungo l’azzurro del cielo che lo sovrastava allontanandola così dal punto in cui si trovava l’interlocutrice.]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Neliel Tu Oderschvank, Nnoitra Jilga
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti, prima di lasciarvi alla storia vorrei dire un paio di cose. Innanzitutto Nnoitra Jilga non è mai stato uno dei miei personaggi preferiti, anzi devo ammettere che non mi è mai stato simpatico.
Ciò non toglie che sia un personaggio con una certa caratterizzazione e di un certo interesse, nel bene e nel male. Inoltre avendo sempre trovato interessante il suo “rapporto” strano e a volte ambiguo che ha e ha avuto con Neliel non potevo esimermi da fare un lavoro su questo.
Così quando per caso mi sono ritrovata a fare una piccola riflessione su il detto “non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te” mi è venuto subito in mente lui e il suo essere crudele con gli altri al fine di ricevere la stessa crudeltà in cambio.
Poi il lavoro si è sviluppato e alla fine ho preso dentro anche la classica domanda “in un giorno di tempesta resiste di più la quercia o il giunco?” a questo punto era fin troppo facile giocare sul legame tra lui e Nel e soprattutto sul fatto che uno poteva essere considerato la quercia e l’altra il giunco.
Detto ciò credo di aver detto tutto. Spero vi possa piacere questo lavoro e spero di aver reso Nnoitra IC visto che è il mio primo lavoro su di lui.
Buona lettura.



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Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te.


“Non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te” un principio tanto conosciuto e comune da far venire da vomitare.
Una cosa del genere la sapeva chiunque.
Probabilmente era una delle poche cose di cui tutti erano coscienti.
Tutti compreso Nnoitra Jilga, la quinta espada.
Lui questo principio lo sapeva a memoria. Tanto bene che gli veniva la nausea a provare anche solo a pronunciarlo mentalmente. Ormai quel principio era parte integrante di lui, quasi fosse uno pezzo del suo stesso DNA.
Ed era proprio in vece di ciò che agiva come agiva.
Perché lui faceva agli altri quello che voleva fosse fatto a lui.
Attaccava con crudeltà tutti i suoi avversari senza distinzione, non aveva mai nei loro confronti la benché minima briciola di pietà e soprattutto li ammazzava tutti quasi fossero bestie da macello; e tutto ciò per un semplice motivo: voleva essere ripagato con la stessa moneta.
Voleva essere attaccato con crudeltà da chiunque, voleva che i suoi avversari non avessero neppure una briciola di pietà nei suoi confronti e soprattutto voleva essere ammazzato come una bestia.
Voleva finire i suoi giorni respirando l’aria colma dell’insalubre sapore metallico del sangue, voleva che il suo corpo giacesse in un lago di sangue e voleva che divenisse parte dello scenario di carcasse maciullate che la guerra e le estenuanti battaglie generavano attorno a sé.
Voleva insomma finire bruciato da quella droga che per lui era il combattere.
C’era andato parecchie volte vicino alla fine, ma ogni volta sembrava voler prendere per il culo persino la morte, salvandosi e sopravvivendo sempre. Sembrava quasi una beffa.
Ma in realtà la beffa maggiore non era lui a farla, lui era quello che la subiva.
E quell’assurda beffa aveva un nome ancor più assurdo: Neliel Tu Oderschvank.
Era l’essere più odioso che il suo occhio ametista avesse mai avuto la sfortuna di vedere. L’arrancar più vomitevole che per la disperazione del suo stomaco aveva avuto il dispiacere di conoscere. Ma soprattutto era la donna che più di chiunque altro il suo corpo bramava di uccidere.
Era colei con cui il detto non fare agli altri quello che non vuoi sia fatto a te, o meglio con cui la versione di Jilga di quel detto, cioè: fai agli altri quello che vuoi sia fatto a te, non funzionava.
E questo lo mandava in bestia.
Perché per quanto lui la detestasse e desiderasse abbatterla senza pietà, lei non lo detestava e non bramava minimamente abbatterlo.
Perché per quanto lui si comportasse come un vile con lei e la insultasse quanto più possibile, lei non si comportava mai in maniera vile e non rispondeva neppure mai ai suoi insulti.
Perché per quanto lui desiderasse ammazzarla con ferocia, lei non lo aveva mai ammazzato, non aveva mai neppure una singola volta desiderato farlo.
E questa, a lui, risultava una cosa assolutamente intollerabile.
Perché a suo parere solo un’idiota poteva rispondere all’odio con la pacatezza, perché solo un rincoglionito poteva controbattere agli insulti con una noncurante scrollata di spalle o un sospiro, perché solo una fottutissima puttana poteva ricambiare la sua voglia omicida con pietà.
Ed era per questo che tra tanti arrancar si era accanito contro di lei.
All’inizio era per il motivo che aveva riferito a Tesla: “Non sopporto che sul campo di battaglia una femmina occupi un posto più alto di un maschio. Tutto qui”
In principio sul serio il motivo era tutto lì. Ma poi, di scontro in scontro, aveva finito per lasciar sbiadire nel dimenticatoio quella motivazione e aveva lasciato che prendesse il sopravvento un altro incitamento a ucciderla: gli aveva usato pietà, e ancor peggio lo aveva difeso classificandolo come più debole di lei.
Che cosa odiosa.
Odiosa come lei, odiosa come i discorsi che talvolta si spendeva a fargli, quasi a lui gliene sfottesse qualcosa.
Normalmente ne ascoltava solo metà –il che voleva dire quasi nulla visto che Neliel era sempre molto concisa- poi semplicemente, dopo neppure un minuto li cancellava dalla sua testa. Nulla di ciò che lei diceva gli serviva, per cui perché doveva perdere tempo e memoria in filosofeggiamenti che gli davano il voltastomaco?
Uno però gli era rimasto impresso nella mente.
Glielo aveva propinato dopo una delle loro solite battaglie, quando lui era disteso a terra, con lo sguardo rivolto verso quella schifosa cupola che ricordava il patetico cielo umano. A dire il vero aveva smesso già da un pezzo di prestarle attenzione, da quando, alcuni minuti prima, si era risvegliato e aveva fatto finta di non vederla.
Non aveva nessuna voglia di avere a che fare con lei. Non ancora, non oggi.
“In un giorno di tempesta resiste di più ai colpi del vento una quercia o il giunco…” gli aveva chiesto all’improvviso con voce pacifica mentre i suoi occhi restavano incollati alle righe del libro che teneva in mano “…Nnoitra?” aveva concluso in fine, proferendo il suo nome con un tono strano, che lui non sapeva identificare, ma che era certo servisse a invitarlo a rispondere.
Probabilmente si era accorta subito che si era svegliato e anche che la stava bellamente ignorando.
Lui non le rispose, si limitò a far scorrere la sua unica pupilla lungo l’azzurro del cielo che lo sovrastava allontanandola così dal punto in cui si trovava l’interlocutrice.
Non voleva che il suo occhio cedesse alla stupida tentazione di rivolgerle uno sguardo.
Ma per quanto lui perseverasse nell’idea di ignorarla il sentirsi appiccicato il suo sguardo magnetico e dello stesso colore del metallo fuso lo stava innervosendo. Per cui dopo un po’ pensò che se gli dava ciò che voleva si sarebbe tolta dalle palle finalmente.
“Che cazzo vuoi che ne sappia?” rispose in fine con tono burbero e acido, intenzionato il più possibile a risultarle sgradevole.
A quella risposta per un attimo lei fece nuovamente scorrere le sue iridi perlate verso l’interlocutore, poi le ricondusse alle parole stampate sul foglio del libro. “Non hai una tua ipotesi?” domandò con costanza lei, mantenendo sempre il suo tono di voce ugualmente mite.
“Che palle, perché ti interessa?” volle sapere lui, parlando con voce tagliente mentre la sua fine pupilla scivolò per un attimo ad osservare il profilo dalla linee morbide della donna.
Il moro si maledì all’istante per ciò.
Lei semplicemente sospirò e poi chiuse con calma il libro che stava leggendo, poggiandolo sulle gambe.
Lui si sentì di nuovo quello sguardo addosso, lo sentì come piombo fuso che lentamente scendeva lungo il suo corpo, appiccicandosi alla sua pelle e ustionandola.
Questa volta Jilga maledì quel maledettissimo paio di occhi.
“La quercia” sentenziò in fine augurandosi che quella maledetta si decidesse a levarsi dai coglioni.
Lei per alcuni attimi lo osservò ancora, poi spostò al sua attenzione verso il cielo.
“In una notte di tempesta la quercia non si flette e resiste ai colpi del vento, ma questa sua resistenza la rende destinata a spezzarsi. Il giunco invece asseconda i colpi del vento e piegandosi sotto la sua azione resiste, così che quando la tempesta sarà passata potrà rialzarsi indenne” spiegò pazientemente lei, con voce quasi atona. Sembrava quasi che stesse recitando da sola una predica rivolta a sé stessa.
Una smorfia di disgusto e noia apparve nel volto dell’uomo deformandolo un po’.
“Che immenso cumulo di puttanate” asserì in fine sentendosi nauseato da quella specie di sermone.
“Chissà” fu la sibillina replica che Neliel gli servì, voltandosi poi per andarsene.
Era strano. Solitamente si sprecava a dargli qualche altra ammonizione.
Beh, doveva dire che anche lui quella volta era stato insolitamente civile, più per il fatto che aveva preferito ignorarla che urlarle dietro come sempre, che per altro.
Eppure alla fine della fiera la sorte aveva mostrato che aveva ragione lui: era tutto un cumulo di puttanate.
E la dimostrazione ce la aveva ora, davanti agli occhi.
Era il corpicino indifeso e infantile di quella donna, con il cranio e la maschera spezzati, che giaceva nella sabbia come uno scarto sanguinante.
“Stk! Alla fine Neliel il vento ha lasciato a terra il giunco senza spezzare la quercia” si concesse di rinfacciarle guardandola per la prima volta dall’alto in basso, prima di andarsene inghiottito dai muri bianche di Las Noces.
  
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