Crossover
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Autore: Dk86    11/08/2010    2 recensioni
Nell’Universo ci sono un sacco di cose.
Per la maggior parte si tratta di fenomeni interessanti e visivamente spettacolari ma non molto utili all’atto pratico, come giganti rosse, pulsar o nane brune. I buchi neri, se non altro, possono risultare efficaci se ci si vuole liberare di qualcosa di scomodo… Sempre che il buco bianco corrispondente non decida di aprirsi proprio davanti alla persona a cui si stava tentando di nascondere il problema in questione (ed era successo almeno una volta, a quanto si diceva).
Pianeti e satelliti invece sono molto meglio, soprattutto perché c’è la possibilità che ospitino forme di vita intelligente, o quantomeno non troppo stupida. Inoltre possono rivelarsi ottimi luoghi di villeggiatura, come la ciurma della Crazy Diamond aveva imparato a proprie spese.
E poi, ogni tanto, ci sono anche delle astronavi.
(dal capitolo 14, "Salvare l'Omniverso e altri sport estremi")
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anime/Manga, Fumetti, Libri, Telefilm, Videogiochi
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO DECIMO – IL FIORE CHE DANZA IN PATRIA, PARTE SECONDA


“Vattene”.
La voce di Long rimbombò nella caverna scura, spaventando un piccolo stormo di pipistrelli che iniziarono a berciare acuti dalle parti del soffitto.
Critical riusciva a vedere appena i contorni della figura dell’uomo, che se ne stava seduto nei pressi di una stalagmite, la testa china. “Vattene?”, ripeté. “E da quando saresti in una posizione da darmi ordini?”. Levitava a circa mezzo metro da terra, le braccia incrociate e gli occhi scuri che fissavano dall’alto in basso il Santo della Bilancia.
“Non è un ordine”, rispose lui. “Si tratta di una preghiera”. A dispetto delle parole, il tono della sua voce non era affatto lamentoso.
Critical iniziò a scendere, centimetro dopo centimetro, fino a che i suoi piedi toccarono il suolo. “E da quando esaudisco preghiere?”, domandò, avvicinandosi con passi lenti a Long. I sassolini sul pavimento della grotta iniziarono a vibrare, come se un martello pneumatico silenziosissimo fosse entrato in azione. Finalmente, arrivò davanti all’uomo seduto a terra. “Perché invece non facciamo così: tu torni indietro senza fare storie e io eviterò di farti sputare la cistifellea. Che dici?”.
Lui alzò la testa di un paio di millimetri. Anche nella semioscurità, le lenti rotonde dei suoi occhiali riuscirono a catturare qualche filamento di luce. “Perché sei venuta?”.
“Settimana scorsa ho mandato qui Toro, ma come al solito lui è troppo buono… Ecco perché mi sono scomodata io”.
Long non rispose, ma si limitò a sospirare.
“Oh, e ora che farai, Bilancia? Ripartirai con la tua manfrina: “Sono un mostro, nessuno dovrebbe avvicinarsi a me, buhuhu!”? Perché, detto sinceramente, ne ho le palle piene”.
“Ma è questo che sono. Un mostro”. Long sembrava impossibile da smuovere.
Ovviamente, aveva fatto i conti senza Critical.
Un secondo dopo, l’uomo si trovò inchiodato alla parete opposta della grotta, mentre i pipistrelli si levavano in volo impazzati riempiendo l’ambiente di strida. Le mani della donna erano strette intorno al suo collo, in una morsa fin troppo forte anche per i muscoli tonici delle sue braccia. “Ho detto”, scandì lei, una sillaba più pesante dell’altra. “Che. Ne. Ho. Le. Palle. Piene. Probabilmente la prima volta non avevi capito, ma te lo ripeto: ora tu verrai con me, la pianterai di frignare come una bambina e tornerai a fare quello che fanno tutti gli altri Santi. Altrimenti te lo farò vedere io”, le dita di Critical quasi affondarono sotto la pelle, fin nella giugulare dell’uomo. “Chi fra noi due è il vero mostro”.


Sigla d’apertura: Agony, di Kotoko


“Le regole sono semplici”, spiegò Belphegor. “Dovrete sconfiggere i miei sottoposti. Ovviamente in scontri uno contro uno, non voglio che il divertimento finisca troppo in fretta”.
Il demone con la testa da elefante si volse verso l’alto. “Ma, o Sommo, ci sottovalutate così?”, si lamentò. Aveva un vocione gutturale e confuso, come se parlasse attraverso un basso tuba. Sarà colpa della proboscide, concluse Ed.
Belphegor ridacchiò. “Siete voi che state sottovalutando quei tre, Vetala”, rispose. “Ti assicuro che dovrete impegnarvi parecchio, per evitare che non vi uccidano”.
“Noi non uccidiamo nessuno, a meno che non sia assolutamente necessario”, precisò Yue. “È una delle nostre regole”.
Dal gruppetto dei demoni se ne staccò uno. Il suo volto grigio, segnato da tatuaggi rossi – o forse erano cicatrici? – era deformato in una smorfia arrogante. “Sarà, ma a me sembra un discorso da mammolette. In un combattimento il più forte sopravvive, lo sconfitto no. Questa è l’unica regola che conta, per me”.
“Interessante”, ghignò Ed facendosi avanti a sua volta. “Come hai detto di chiamarti?”.
“Sono Surt, Signore delle Fiamme, Prospettore degli Incendi e…”.
“Sì, credo di avere afferrato”. L’alchimista alzò gli occhi verso Belphegor.
“Bene, il primo incontro allora sarà fra Surt e…”.
“Gray Fullbuster, Santo dell’Acquario!”.
Ed si voltò, gli occhi larghi come piattini da caffé. “COSA!?”, esclamò.
Gray, intanto, stava finendo di ammonticchiare con calma i pezzi di Cloth che si era tolto: addosso gli erano rimasti sono gambali, schinieri ed elmo, petto e braccia rigorosamente e ostentatamente nudi. “Quello che ho detto”, rispose. “Lui usa le fiamme, no? Bene, era da un po’ che volevo prendere a calci qualcuno con quel tipo di magia”.
“Ma lo stavo per dire io! Dovevi pensarci prima, scusa!”.
“Perché invece non te ne stai un po’ tranquillo tu, nano?”.
“A CHI AVRESTI DATO DELLO GNOMO DA GIARDINO!?”.
“A TE, MICROBO! SEI UN BATTERE, UN’AMEBA, UN PARAMECIO, UN PIDOCCHIO!”.
“SCOMMETTO CHE NON SAI NEMMENO COS’È, UN PARAMECIO! E POI SEI LA PROVA VIVENTE DI COME GLI IDIOTI NON SI AMMALANO MAI, CON TUTTO IL TEMPO CHE TE NE STAI MEZZO SVESTITO MI STUPISCO CHE TU NON ABBIA SEMPRE LA DIARREA!”.

“Ora basta”. Yue tese le braccia e afferrò i suoi due compagni – che ormai erano muso a muso e minacciavano di darsele da un attimo con l’altro – per le spalle, costringendoli ad allontanarsi l’uno dall’altro. “Tenete l’energia per i combattimenti”.
Gray sospirò in maniera teatrale. “Finalmente sento di essere entrato nell’umore giusto per lottare”. Si voltò verso l’alchimista. “È tutto merito tuo, Ed”, e alzò il pollice della mano destra con aria convintissima.
Ed lo fissò perplesso per un paio di secondi, poi sollevò il pollice dell’automail. “Quando vuoi!”, esclamò. Mentre Gray si dirigeva baldanzoso verso Surt voltò la testa dall’altra parte e borbottò “Idiota”.
“Bene, vediamo di non perdere tempo!”, disse il demone delle fiamme, scrutando il suo avversario. “Piuttosto, sei sicuro di non voler indossare tutta l’armatura? Guarda che non ho intenzione di andarci leggero”.
Gray incrociò le braccia. “Un vero uomo combatte sempre a petto nudo. E questa è una mia regola!”.
Surt annuì. “Vedo che ci troviamo d’accordo!”. In effetti il demone indossava soltanto un mantello. “Sei simpatico, per un essere umano!”.
Come si dice, chi si assomiglia si piglia…, pensò Ed. Mentre Gray e Surt continuavano a scrutarsi con aria d’approvazione, l’alchimista sobbalzò: qualcosa gli si stava arrampicando su per la schiena. Soppresse a stento un gemito di disgusto, e già si preparava a voltarsi per fronteggiare la bestiaccia infernale, quando Mokona gli si arrampicò in testa. “Dannata palletta di pelo, avvertimi prima di fare una cosa del genere! Vuoi farmi pigliare un infarto?”.
“Non posso mica stare su Gray mentre combatte”, replicò pratico l’animaletto.
“Forza, cominciate!”, tuonò Belphegor dall’alto del suo gabinetto.
“Con vero piacere!”, gridò Surt. “MARAGI!”. Nelle sue mani aperte sbocciarono all’istante due fiamme. “Vediamo come te la cavi con questo, Cavaliere!”. E riunì i palmi: i due fuochi crearono un raggio bruciante che si diresse verso Gray.
“ICE MAKE… BARRIER!”. Le mani tese in avanti, il Santo dell’Acquario si limitò a creare una muraglia di ghiaccio di fronte a sé. Il Maragi vi impattò con violenza, iniziando a scavarvi un foro da cui si levavano nuvole di vapore, ma la barriera resse. “Phew, se il tuo attacco fosse durato un secondo di più me la sarei vista davvero brutta!”, esclamò, fissando la sua barriera quasi del tutto squagliata.
“Scemo! E glielo dici anche?”. Ed non riuscì a trattenersi dall’urlargli contro.
“Buono a sapersi!”, ghignò Surt, qualche fiammella che ancora gli crepitava sulle unghie.
“Ecco, visto?”, continuò il Santo dell’Ariete.
“Ma stai zitto!”, lo rimbeccò Gray. “È ovvio che non è vero, posso tenere la barriera in piedi molto più a lungo! Sto solo cercando di fregarlo facendogli credere il contrario, così riuscirò a coglierlo alla sprovvista!”.
Un momento di silenzio generale.
“Lo sapevo che dovevo portarmi dietro Pesci e Capricorno…”, sentenziò Yue, la cui faccia da poker era più vicina che mai a incrinarsi.
“Ehm… d’accordo, basta parlare!”. Surt sembrava essere riuscito a mantenere una parvenza di serietà. “Abbiamo un combattimento in corso, insomma!”.
“Oh, giusto!”, esclamò Gray, mentre la temperatura intorno a lui calava di almeno una dozzina di gradi. “ICE MAKE… DIAMOND DUST!”; e lanciò un diretto destro che nemmeno si avvicinò all’avversario, ma gli rovesciò contro una vera e propria tormenta di neve.
Surt, per nulla intimorito, si limitò a frapporre il mantello fra sé e la tecnica. “Su, umano, sono sicuro che puoi fare di meglio!”, disse, scrollando i cristalli di neve rimasti attaccati al tessuto. “Questo non mi ha fatto nemmeno il solletico!”.
“Davvero?”, rispose Gray, stupito. “Beh, riproviamo, allora! ICE MAKE… DIAMOND DUST!”.
Questa volta la tecnica passò ad almeno mezzo metro alla sinistra di Surt, senza neppure sfiorarlo. “Che c’è, combatti da meno di cinque minuti eppure sei già così stanco che non riesci a prendere bene la mira?”, disse il demone, con la chiara intenzione di provocare l’avversario.
“ICE MAKE… DIAMOND DUST! DIAMOND DUST! DIAMOND DUST!”. Il Santo dell’Acquario rispose con altri tre colpi in rapidissima successione… Nessuno dei quali, però, arrivò al bersaglio.
Surt non sembrava granché divertito. “Ti ho sopravvalutato, pare”, ringhiò, scoprendo i denti appuntiti. “Non sei degno di essere mio avversario… Ti finirò con la mia tecnica più potente, anche se usarla su uno come te è un vero spreco!”. La sua smorfia si trasformò all’istante in un sorriso gongolante.
A me invece sembra che voglia usarla eccome e che non aspettasse altro…, pensò Ed.
Gray, dal canto suo, sembrava spazientito. “D’accordo!”, esclamò. “Allora anch’io ricorrerò al mio colpo migliore, e vedremo chi avrà la meglio!”.
“Prima ti conviene migliorare la mira, idiota!”, lo rimbeccò il demone. “Ma non preoccuparti, una volta che sarai morto avrai un’eternità per esercitarti!”. Le cicatrici che fasciavano il suo corpo iniziarono a virare dal rosso all’arancione, poi al giallo fino a raggiungere il calor bianco. Le piante rachitiche che punteggiavano la steppa si incenerirono nel raggio di una ventina di metri. “Ora sarai sottoposto al giudizio delle fiamme che gli stessi dei temono! Ragnarok!”.
“Parli troppo per essere uno sicuro di vincere”, disse Gray, mentre concentrava il proprio cosmo. L’aria intorno a lui si tinse di una sfumatura azzurra, come se si trovasse immerso nell’acqua.
Surt scoppiò a ridere di gusto; i denti gli brillavano come gemme e piccole scintille gli rotolavano sulla lingua fino alle labbra. “Usando il ghiaccio non potrai mai vincere contro il fuoco! Tu puoi arrivare al massimo allo zero assoluto, mentre le mie fiamme bruciano a milioni di gradi!”. La sabbia intorno ai suoi piedi iniziò a fondersi, creando dei cristalli di vetro che riflettevano il bagliore emesso dal corpo del demone prima di squagliarsi nuovamente.
“Perché queste cose non le vai a raccontare a Dark Schneider?”, gridò il Santo, portando indietro il braccio destro per poi lanciare un ennesimo diretto contro l’avversario. “ICE MAKE… FREEZING COFFIN!”.
Sulle labbra di Surt era già pronto un sogghigno, che però si spense in un attimo. La ventata di gelo stavolta era decine di volte più intensa delle precedenti, un uragano di neve e ghiaccio che lo colpì in pieno; i suoi piedi e le sue gambe, prima che avesse il tempo di reagire, furono avvolti in un sarcofago durissimo e trasparente che continuava ad avanzare implacabile verso l’alto. “E-ehi, bastardo, non avevo ancora finit…”, provò a protestare, prima che il gelo gli raggiungesse la bocca.
“L’hai… l’hai ucciso?”, mormorò Ed, avvicinandosi alla bara di ghiaccio. Surt era perfettamente incastonato all’interno, come un insetto fra due vetrini da laboratorio, un’espressione sconcertata sul volto grigio. Le sue bruciature erano tornate del consueto colore rosso vivo.
Gray si riaggiustò l’elmo, scrollandosi dai capelli le gocce di sudore cristallizzate. “Certo che no!”, esclamò. “Fra un po’ il ghiaccio si scioglierà da solo, e lui sarà tale e quale a prima”.
“Fra un po’ quanto?”.
“Un paio di decenni, credo”.
Cosa!?”.
“Ci sono andato leggero, eh”.
Gli altri due demoni non sembravano granché turbati o rattristati per la sorte del loro compagno: fra gli esseri infernali lo spirito di squadra non doveva essere un sentimento molto diffuso. Quanto a Belphegor, era certo che lo scontro lo avesse divertito. “Era ora che qualcuno desse a quel montato di Surt la lezione che meritava!”, ghignò fra una risata e l’altra. Nella polvere ai piedi del water gigante precipitò una lacrima che da sola sarebbe bastata a riempire una piscina gonfiabile. “Sei stato davvero incredibile, umano!”.
“Grazie!”, rispose Gray con aria fiera. “D’altronde, non potevo certo lasciarmi sconfiggere da uno del genere!”.
“Pare che lo abbiamo sottovalutato”, commentò Yue rivolto verso Ed. “A quanto pare quei Diamond Dust lanciati a caso in realtà servivano a raffreddare l’aria intorno a Surt. Così, nonostante il calore del Ragnarok, la Freezing Coffin ha comunque avuto effetto”. Il famiglio era pericolosamente vicino a sorridere. “Il Santo dell’Acquario è un combattente molto più intelligente di quanto non lasci supporre”.
“Certo, se fossi riuscito a colpirlo con i Diamond Dust ci avrei messo molto meno!”, esclamò Gray giusto un secondo dopo.
Ed lanciò uno sguardo di sbieco a Yue. “Dicevi?”, domandò, con un sogghigno.
Il viso del Cavaliere del Sagittario era tornato ad essere impenetrabile. “Spesso la prima impressione è quella giusta”, commentò.
Nel frattempo, Gray si era avvicinato ai compagni di squadra. “Allora, come vi sono sembrato?”, domandò, con un sorriso a trecento denti.
“Incredibile, incredibile”, si complimentò Ed, con una punta di ironia tanto sottile da essere a stento rintracciabile. “Ma fammi capire, chi era questo Dark Schneider?”.
“Storia lunga”, si limitò a rispondere l’altro. “Quando torneremo al santuario te la racconterò”.
L’alchimista sollevò gli occhi. “Forza, palla di pelo, torna sul tuo trespolo. Adesso tocca a me combattere”. Prese in mano Mokona e la appoggiò sulla spalla di Gray – per mettergliela in testa avrebbe dovuto sollevarsi sulle punte, cosa che voleva evitare – poi si diresse verso i due demoni rimasti (la scultura di ghiaccio di Surt era stata trascinata da parte, accanto al gabinetto). “Forza, chi è il mio avversario?”.
L’umanoide dalle quattro ali e la testa di leone si fece avanti. “Sono Pazuzu”, disse semplicemente.
“Bene, signor Pazuzu, che ne dici se non perdiamo tempo? Non vedo l’ora di andarmene da questo postaccio!”, rispose Ed, picchiando insieme i palmi. “Stardust Transmutation!”, gridò, mentre li separava: una luce accecante si irradiò dalle mani del Santo, costringendo i presenti a distogliere lo sguardo.
“Devo ammetterlo… sei davvero… davvero forte…”. La voce di Pazuzu suonava affannata, e quando tutti recuperarono la vista capirono perché: una delle sue quattro ali era stata ridotta a brandelli, e dal mozzicone d’osso rimasto colava del fluido nerastro e lattiginoso. “Non… non credo di poter competere…”.
Ed fece spallucce, per quanto i grossi corni dell’Ariete glielo permettessero. “Puoi sempre arrenderti”, suggerì.
Pazuzu scoprì una zanna in una smorfia obliqua; gocce di sudore gli imperlavano il pelo color sabbia. “Vero”, disse. “Oppure posso fare questo”. E si lanciò in avanti, dritto verso il suo rivale.
Ed si mise in posizione di guardia. “Non so cosa speri di fare, ma…”, iniziò.
Poi, Pazuzu scomparve.
Vetala sospirò attraverso la proboscide, un suono basso e dolente che sembrava uscito da una cornamusa. “Riecco che comincia con quei suoi trucchetti…”, borbottò.
“Quali trucchetti?”, domandò Gray, un po’ confuso. “E comunque dov’è finito Paz… Pazu… quello là?”.
“Pazuzu”, lo corresse Yue. “E sono sicuro di avere già sentito questo nome”.
Ed scoppiò a ridere, e non era un suono che proveniva dai suoi polmoni; era basso e gorgogliante, come qualcosa di enorme che nuota dentro una fogna. “Ce l’ho fatta!”, gracchiò una voce gutturale attraverso le labbra del Cavaliere. “Prendere il controllo di questo deficiente è stato più facile del previsto!”.
“Ma certo, Pazuzu!”, esclamò Mokona. “Mi sono ricordata chi è! Era in un film che ho visto con la padrona Yuko qualche settimana fa!”.
“Beh, a questo punto tanto che cosa fa lo abbiamo già capito tutti…”, disse Gray.
Ed ruotò la testa di centottanta gradi, fissando i suoi compagni. La sua faccia sembrava l’incrocio fra quella di Darth Vader senza il casco e una maschera di Hallowe’en. “C’è tua madre qui con noi, Yue”, disse, in tono malignamente sadico. “La vuoi salutare?”.
Il Cavaliere del Sagittario mosse un muscolo. “Madre?”, ripeté. “Sono stato creato dalla magia, non ne ho mai avuta una”.
“Anche Mokona!”, ci tenne a precisare l’animaletto.
Ed/Pazuzu sembrò colto alla sprovvista. “Ehm…”, borbottò, voltando la testa verso Gray. “Allora c’è tua madre!”.
Il mago alzò le spalle. “E allora? Anche se fosse sono orfano e non l’ho mai conosciuta, quindi…”.
“Maledizione, possibile che nessuno abbia una madre, da queste parti?”, ringhiò il posseduto.
“Io no”, rispose Vetala.
“Nemmeno io”, aggiunse Belphegor dal suo cesso. “Privilegi di essere stati creati direttamente dal Grande Capo lassù”.
Gray scoppiò a ridere. “In effetti hai scelto proprio l'unica persona che non avresti dovuto possedere”.
Ed spalancò la bocca, rivelando una chiostra di denti appuntiti e marcescenti. “E perché?”.
Il Cavaliere dell’Acquario scrollò le spalle. “Beh, è l’unico con una mamma morta!”.
L’alchimista rimase lì, con le fauci aperte, come se stesse cercando una risposta abbastanza intelligente. Poi, dal fondo della sua gola iniziò a levarsi un basso, incomprensibile mormorio.
“Che è successo?”, domandò Gray a Vetala. “È andato in tilt?”.
Il demone elefante scosse il testone. “Non l’ho mai visto fare così… Di solito possiede la gente e ogni tanto vomita qualcosa, ma non molto di più”.
Il mormorio diventava di secondo in secondo sempre più forte. “Non… non è possibile!”, gridò Pazuzu disperato. “Una cosa simile non può accadere!”.
“Non osare… non osare… non osare…”. La seconda voce era finalmente diventata comprensibile. La mano destra di Ed iniziò a sollevarsi, chiusa a pugno.
“Che stai cercando di fare!?”, strillò Pazuzu, quasi isterico.
Nonosarenonosarenonosarenonosarenonosarenonosare”. Il braccio continuava ad alzarsi.
“La mia possessione è perfetta! Perfetta!”.
NON OSARE PARLARE MALE DI MIA MADRE!”, gridò Ed, prima di tirarsi un pugno in piena faccia. Pazuzu schizzò fuori dal corpo dell’alchimista e volò per una decina di metri prima di atterrare di faccia fra gli sterpi bruciacchiati, come se il cazzotto lo avesse colpito in pieno. “E lei è di sicuro in paradiso, chiaro?”, ci tenne a precisare Ed, che ora esibiva un vistoso livido sulla guancia destra. Poi si massaggiò il collo con la mano sana. “Mi farà male per una settimana, cazzo…”, si lamentò a bassa voce. “E perché ho questo sapore schifoso in bocca?”.
“Ahahahahah!”. Belphegor si era lasciato prendere da un altro accesso di risa. “Piccoletto, sei davvero incredibile!”.
A CHI AVRESTI DATO DELLA CREATURINA A STENTO VISIBILE?”.
“A-aspettate!”. Pazuzu era riuscito a rialzarsi sui suoi artigli, anche se piegato e ansimante. “Il duello non è ancora finito!”.
Ed sbuffò. “Certo che potevi pure startene per terra e far finta di essere svenuto, eh?”. Il cosmo iniziò a raccogliersi intorno, dorato come i suoi occhi. “Beh, ormai non è più importante… STARLIGHT EXTINCTION!”.
Dal pugno che Ed scagliò contro il demone si irradiò di nuovo una luce troppo intensa perché lo sguardo potesse reggerla… e quando si fu dissipata, Pazuzu era scomparso.
“Oh, no!”, esclamò Mokona, nervosa. “Ha posseduto qualcun altro!”.
“Nah”, rispose Gray per Ed. “È semplicemente l’effetto di quella tecnica: trasporta l’avversario fuori dalla battaglia. E lo può trasportare ovunque”.
“E allora perché non l’avete usata per arrivare qui?”.
“Semplice”, disse il Santo dell’Ariete. Sembrava un po’ imbarazzato, mentre si grattava il mento con un dito dell’automail. “È vero che posso mandare qualcuno ovunque, ma non posso mica decidere dove! Chissà dov’è finito Pazuzu, in effetti…”.


’Cos you make me feel, you make me feel…”. Nella sua stanza da letto su Eidolon – stanza da letto debitamente insonorizzata – Albus Silente si preparava per andare a dormire.
You make me feel…”. Come ogni sera, però, aveva acceso il modernissimo impianto stereo e ora cantava e ballava per la stanza con indosso una vestaglia di lamè rosa e un paio di pantofolone pelose dello stesso colore. Una bella impresa, per un ultracentocinquantenario.
Like a natural woma… ah?”. Il mago interruppe la sua esibizione: al centro della stanza era apparso un grosso demone ferito ad un’ala, che si guardava intorno con aria spaesata.
“Dove… dove sono?”, domandò la creatura.
Silente sorrise, ma non si trattava del tipo di sorriso che la gente ama vedersi rivolgere. “La pregherei di non raccontare a nessuno ciò che ha appena visto”, disse, estraendo la bacchetta da una delle tasche della vestaglia. “A nessuno”.


“E così, adesso tocca a me”. Yue non dimostrava molta voglia di combattere; il che, a ben pensarci, era normalissimo, visto che non dimostrava mai molto di niente. Ciononostante si fece avanti, pronto a fronteggiare Vetala.
Il demone elefante sembrava aver ritrovato un po’ della sua baldanza iniziale. “Sei sfortunato a combattere proprio contro di me”, confidò a Yue. “In confronto al mio potere quelli di Surt e Pazuzu sono trucchetti buoni al massimo a spaventare i bambini”. E concluse il suo intervento con uno squillo di proboscide, una nota alta che sembrava un segnale di carica suonato con una tromba.
Il famiglio non era né impressionato né spaventato dalla dichiarazione: fra le sue dita pallide si materializzò un arco di luce, con una freccia già incoccata. “Posso andare?”, domandò, levando lo sguardo su Belphegor.
“Prego”, rispose quello, con un ampio gesto della mano. Sembrava sempre più divertito.
“E-ehi, un attimo!”, balbettò Vetala, sollevando le sue zampone callose. “Mi ci vuole un po’ di preparazione prima di usare le mie tecniche, e…”.
“Mi dispiace, ma non sono mai stato un tipo paziente”, rispose l’altro con il tono di chi sta pronunciando un verdetto di colpevolezza senza possibilità di appello. “Moonlight Break”. E scoccò la freccia.
“Wow”, esclamò Ed qualche secondo dopo, mentre si avvicinava al corpo fumante del demone, crivellato da decine e decine di dardi luminosi. “Questo mi farà ricordare che è meglio non farti incazzare”.
“Non preoccuparti, sopravviverà”, disse Yue, mentre la sua arma gli si dissolveva dalle mani. “Non ho colpito nessun punto vitale”.
“Sì, ma di quelli non vitali non ne hai mancato uno, vedo!”, replicò Gray, studiando Vetala con aria critica.
L’ennesimo accesso di risate catarrose impose il silenzio sui Cavalieri. “Complimenti, avete superato la prova”, chiocciò Belphegor, omaggiando i tre con un breve applauso. “Ora tocca a me rispettare la mia parte del patto”. Poi fece qualcosa di incredibile e di inaspettato: si alzò in piedi.
“Ehi, ma che…”, iniziò Ed, prima che un’enorme mano viola e guantata calasse dall’alto e afferrasse lui, Gray, Mokona e Yue, sollevandoli di quasi un centinaio di metri fino al volto barbuto di Belphegor. “Ehi, che intenzioni hai?”, strepitò l’alchimista, tentando di liberarsi dalla presa senza grandi risultati. “Vuoi per caso mangiarci, bastardo?”.
“Ariete, rilassati”, disse Yue. “Non ci succederà niente”.
“E invece a me pare proprio una di quelle situazioni in cui succederà qualcosa eccome! Che poi proprio tu parli di rilassarsi, che hai sempre quella faccia da lobotomizzato!”.
“Ora stai straparlando”.
Proprio in quel momento il demone lasciò la presa. I quattro nemmeno ebbero il tempo di urlare, prima di impattare contro l’acqua.
“Ehi, avreste potuto almeno avvertirci”, disse Gray, quando fu riemerso. “Non è mica facile nuotare con tutto questo metallo addosso!”.
“Ma… dove…”, balbettò Ed, guardandosi intorno. I Cavalieri erano stati gettati in un lago dalla forma più o meno tondeggiante, dalle pareti bianche e digradanti. Pareti che sembravano proprio fatte di ceramica. “Ma che schifo!”, urlò, mentre i suoi occhi si riempivano di consapevolezza e di terrore. “Ci ha buttati nel cesso!”.
“Beh, ma mi sembra bello pulito”, osservò il Santo dell’Acquario.
Ma non è questo il punto, idiota!”.
Belphegor si piegò su di loro, con un ghigno sardonico che emergeva dalla barba. “Salutate la Fanciulla dell’Inferno da parte mia!”. E tese la mano verso il pulsante di scarico.
“Non ci provare nemmeno!”, protestò Ed; ma fu tutto inutile: dal fondo dell’enorme water si levò un gorgoglio che suonò come lo schianto di un autocarro e l’acqua iniziò a ruotare creando un colossale vortice da film catastrofico ambientato in mezzo all’oceano. Prima di venire risucchiato dal gorgo, il Santo dell’Ariete riuscì a gridare: “UN GIORNO RIUSCIRÒ A VENDICARMI, BASTARDOOOOOOOOOOOOOOOOOOH…”.
Belphegor sollevò le dita dal pulsante e osservò l’acqua che tornava calma e ferma. Si concesse un’ultima, piccola, simbolica sghignazzata e tornò a sedersi sul suo trono, attendendo l’arrivo di qualcosa o qualcun altro che riuscisse a divertirlo.


Il viaggio via gabinetto fu molto più breve di quanto i Cavalieri avrebbero potuto sperare: solo mezzo minuto dopo erano seduti sulle sponde di un laghetto – stavolta, per fortuna, niente ceramica bianca nelle vicinanze – e si stavano riprendendo dagli effetti dell’insolito mezzo di trasporto.
“Mokona si è divertita un sacchissimo!”. Esclamò l’animaletto, saltellando sulla testa di Gray. “Lo rifacciamo, lo rifacciamo?”.
Alcuni si erano ripresi più in fretta di altri.
“Ma nemmeno per sogno!”, rispose (ovviamente) Ed, che stava tentando di liberarsi dall’acqua finitagli nelle orecchie. “Non voglio rivedere quel tizio disgustoso mai più!”.
“Piuttosto, dove siamo?”, domandò Gray. Il luogo in cui Belphegor li aveva scaricati era immerso in un crepuscolo color del sangue; accanto alla riva del lago crescevano larghe chiazze di asfodeli, con i lunghi petali bianchi tanto diafani da sembrare soffiati nel vetro. Non c’era vento, né stormire di foglie; perfino il battito d’ali delle rare farfalle nere che giungevano a succhiare il nettare dei fiori non produceva alcun rumore.
“È ancora più inquietante della palude di prima, vero?”, continuò il Santo dell’Acquario. Nessuno rispose.
“Che cosa facciamo?”, chiese Ed, qualche minuto dopo.
“Aspettiamo”, disse Yue. Nonostante il bagno forzato, sembrava perfettamente asciutto.
“Aspettiamo cosa?”.
“Ehi, ma guarda chi c’è!”, esclamò una voce di donna. I tre Cavalieri e Mokona si voltarono, scoprendo che due figure ora sostavano a pochi metri da loro: la proprietaria della voce, bella, magra, pallida e abbigliata con un kimono dagli eleganti motivi astratti, e un ragazzo dal taglio degli occhi tanto stretto da farli sembrare serrati. “Siete gli… amici della padrona”, disse quest’ultimo, un po’ sorpreso. “Che ci fate da queste parti?”.
Ed sospirò. “Meno male, allora il vecchio bastardo barbuto non ha mentito…”.
Yue chinò il capo di fronte ai nuovi arrivati. “Signor Ichimoku, Donna delle Ossa, è un piacere vedervi. Immagino che Cancro non sia lontana”.
I due si fissarono, scambiandosi un sorriso complice. “Certo”, rispose la Donna delle Ossa. “È in casa, insieme a Wanyuudo”.
“Casa?”, domandò Gray. “Quale casa?”.
La soluzione arrivò dalla cima della sua testa. “Quella davanti a noi”, disse Mokona, le braccine incrociate sul petto. “Non la vedete?”.
I tre Santi socchiusero gli occhi, come se una luce troppo intensa li avesse costretti ad abbassare le palpebre. Per qualche secondo l’aria di fronte a loro tremolò in maniera simile alle onde di calore estive che si levano dall’asfalto, ma alla fine la casa comparve. Era in sobrio stile giapponese, più simile ad un santuario scintoista che a un’abitazione vera e propria. Ed distolse quasi subito lo sguardo da quelle pareti di legno e carta di riso. È come se fosse abbandonata, pensò, tornando a fissare il lago. Anzi, è come se sapesse di essere abbandonata.
“La vostra guida è davvero incredibile”, si complimentò Ren Ichimoku. “Riuscire a scrutare attraverso le illusioni dell’Inferno non è cosa da tutti”. E indirizzò un sorriso galante a Mokona, che rispose con una serie di borbottii compiaciuti.
La Donna delle Ossa intanto aveva salito i gradini del portico, che avevano scricchiolato lugubri sotto i suoi piedi nudi, si era inginocchiata davanti allo shoji e lo aveva fatto scorrere. “Prego, signori”, invitò. “Mi raccomando, toglietevi i calzari prima di entrare”.
Agli occhi dei tre Cavalieri fu necessario qualche secondo per abituarsi alla semioscurità. La grande stanza in cui si trovavano era spoglia: l’unico arredamento era rappresentato da un tavolino laccato di nero e a un vecchio Macintosh spento nell’angolo più buio. In piedi accanto al PC c’era un signore anziano dall’aspetto distinto con una fedora marrone calcata in testa, che senza dire una parola sollevò un dito a dividere in due metà le labbra sottili. Infine, accomodata sul pavimento, c’era la Fanciulla dell’Inferno.
Dimostrava circa una ventina d’anni, anche se era impossibile capire quale fosse la sua vera età. Yue aveva spiegato a Ed che quando ancora lavorava come traghettatrice infernale di anime aveva l’aspetto di una bambina, ma con l’unione degli universi era riuscita ad invecchiare, per così dire, visto che la maledizione che la vincolava a quell’incarico era venuta meno. La sua pelle era così bianca che le vene bluastre sottostanti sembravano canali scavati nella carne; il semplice kimono candido che indossava non faceva che renderla ancora più cadaverica. I suoi capelli, in netto contrasto, erano neri e lucidi, lunghi quasi quanto quelli di Yue. Gli occhi grandissimi e scarlatti erano quelli di un uccello notturno.
“Ai, ricordati della tua vecchia nonna… Ultimamente vieni a trovarmi così di rado!”. A parlare era stata una sagoma d’ombra, la cui proprietaria si trovava china dall’altro lato di una parete di carta di riso. Dall’aspetto e dalla voce doveva trattarsi di una vecchietta, intenta a filare con un arcolaio d’altri tempi.
“Sì, nonna”, rispose Ai Enma. La sua voce sottile e sommessa era niente più che il frullio dell’ala di una civetta. “Mi dispiace di non venire più spesso”.
“Non preoccuparti”, mormorò la donna, continuando nel suo lavoro. “A me basta sapere che stai bene”.
Ai annuì in maniera quasi impercettibile. “Sto bene”. Una piccola pausa. “Arrivederci, nonna”.
“Ciao, Ai. Torna quando ti sarà possibile”. Il cigolio dell’arcolaio si era fatto quasi assordante. “Io sarò sempre qui. Sempre qui”.
“Sì”, rispose la Fanciulla dell’Inferno, prima di alzarsi in piedi e fronteggiare i nuovi arrivati. “Voi non dovreste essere qui”. Non era una domanda, un’accusa o una lamentela; si stava solo limitando ad enunciare un dato di fatto.
“Siamo venuti a cercarti, Cancro”, disse Yue facendosi avanti. “Te ne sei andata senza dire nulla, che cosa avremmo dovuto fare?”.
“Dovevo venire a trovare mia nonna”, rispose lei. Nell’altra stanza la vecchia signora continuava a filare senza fermarsi un attimo. “E avevo qualcosa di importante da fare”.
I tre Santi attesero, senza risultati. “E… pensi di dircela, prima o poi, questa cosa importante?”, domandò Ed, un minuto dopo.
Ai spostò su di lui gli enormi occhi ossi, e l’alchimista non riuscì a trattenere un brivido sotto la Cloth. “Ultimamente l’Inferno non è più stabile come un tempo”, spiegò. “Sono venuta per scoprire perché”.
Altro minuto di silenzio, rotto solo dall’arcolaio.
“Dunque?”, sbottò Ed.
“Ho scoperto perché”, rispose la ragazza. “I demoni non ne parlano, la maggior parte perché non sanno, gli altri perché non vogliono o non possono. Ho dovuto viaggiare fino al Cocito per scoprire la causa”. Tacque, e già gli altri Cavalieri temevano che fosse ripiombata in un altro dei suoi silenzi; poi, però, con estrema, esasperante lentezza, socchiuse di nuovo le labbra. “Il trono dell’Inferno è vuoto”, disse. “Lucifero ha abbandonato il suo regno”.






NAGI: Ho una domanda per te, Hayate!

HAYATE: Mi dica pure, signorina Nagi.

NAGI: Che cosa non può mai mancare, in un anime che si rispetti?

HAYATE: Beh, intende cose tipo due protagonisti che si mettono insieme nel finale ma che per tutta la vicenda sono più che amici ma meno che amanti, oppure i personaggi principali che partono come le ultime ruote del carro ma che in realtà sono gli unici a poter sconfiggere il boss finale?

NAGI: …Ehm, anche. Ma la risposta giusta in questo caso è: un episodio in spiaggia!

HAYATE: Wow! Quindi potremo vedere le ragazze di bordo in bikini?

NAGI: …HAYATEEEEEEEE!

HAYATE: Waaah, mi scusi, signorina Nagi, non intendevo quello!

TAMA: L’undicesimo capitolo di “Il cielo è un’ostrica, le stelle sono perle” si intitola “Il mare è pieno di stelle”. E ricordate, sono io il personaggio mascotte di questa serie!

NAGI & HAYATE: NON CREDO PROPRIO!









Ok, la parte sui Gold Saint per il momento è conclusa. Ai è stata recuperata, si è scoperta una cosa importante ai fini della trama… Non è stato un capitolo completamente inutile, insomma! (si abbassa per schivare uno Starlight Extinction lanciatogli da Ed)

Ma passiamo alle risposte ai commenti:

Per Morens: sì, in effetti io in questa storia tendo a mettere personaggi da praticamente qualsiasi cosa abbia letto e/o visto… Quindi c’è anche gente assurda e decisamente poco conosciuta! Chiedo perdono per andare a pescare serie e opere misconosciute, ma è tremendamente divertente! E poi chissà, magari a qualcuno viene la curiosità di scoprire come sono…

Per Anonimo: ah, il water non è idea mia, eh! Belphegor/Belfagor viene spesso rappresentato seduto proprio su un gabinetto gigante! Per amor di precisione, comunque, la particolare rappresentazione del nostro demone (e dei suoi tre sottoposti) viene dalla serie di videogiochi “Shin Megami Tensei”, mentre Caronte è ispirato al misterioso impiegato che si vede all’inizio di “Drifters”. E mi raccomando, l’ovetto tienilo d’occhio!^^

Ci tengo come al solito a ringraziare tutti i miei lettori! In particolare, stavolta, il mio grazie va a SweetVincent e a S_theinsanequeen che hanno aggiunto la storia fra le preferite. Se in futuro vorrete lasciare un commento, mi rendereste davvero felice!^^

Per il momento, comunque, vi saluto. Ci vediamo, se vi va, al prossimo capitolo!
Saluti dal Giappone!
Davide

  
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