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Autore: Mr. Puffin    13/08/2010    0 recensioni
"A volte, quando scende la sera sulle lande ghiacciate della mia terra e sono solo, la mia mente vaga senza meta e spesso ripercorre i sentieri dei ricordi di una vita..."
>Islanda centric< !Nordics!
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Islanda, Nordici
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Desclaimers: Ipersonaggi non mi appartengono.
Il nome di Islanda non è quello vero, ho preso una piccola licenza.
Spero possa piacervi.
Ringrazio infinitamente per le recensioni.


La mia madre adottiva fu Freya. E fu lei che mi salvò e mi diede il suo stesso nome dopo aver decretato che fossi un maschio: Freyr.
Non so né come, né dove, né quando mi ha trovato.
So che dopo un tempo indeterminato dopo aver chiuso gli occhi avevo sentito una voce sorpresa, tante domande, uno scalpiccio veloce tra la neve e poi mi sono svegliato.
Non dove sono nato ma in una stanza piccola e tiepida, odorava di legna e carne secca speziata. Un viso rugoso incorniciato da capelli bianchi mi apparve nel campo visivo facendomi sobbalzare. Aveva una voce gracchiante ma piacevole.
"Ben svegliato principino. Come stai?"
Mi fissava con degli occhi verde-azzurro, ansiosi di sentire la mia voce. Anche avessi voluto non avrei potuto risponderle, non sapevo ancora parlare. Come seppi in seguito mostravo la stessa età di un umano di poco più di due anni anche se avevo solo poche ore di vita.
La vecchia sospirò ma non si perse d'animo:
"Piccolino, dove sono i tuoi genitori? Come si chiamano? Magari li conosco, non credi?"
Continuava a scrutarmi in attesa.
I miei genitori? Che ne sapessi io non ne avevo, non sapevo nemmeno cosa fossero i 'genitori'.
Bisbigliai un nome, l'unica parola che conoscevo e che mi veniva in mente.
"Come hai detto piccolo? In ogni caso io sono Freya." si indicò quando pronunciò il suo nome "Tu chi sei?"
La fissai interrogativo. Poi misi in moto testa, mani e lingua.
Con una manina le toccai il viso.
"Freya." che voce flebile che avevo...
"Bravo bambino."
La interruppi portandomi una mano sul mio petto, indicandomi.
"Islanda." l'unica parola che conoscevo.
Prima mi fissò, poi sorrise e indicò il pavimento di terra battuta.
"No, la terra è Islanda. Tu come ti chiami?"
"Islanda."
E poi successe qualcosa di strano, che non mi spiego ancora oggi.
L'anziana signora spalancò gli occhi, mormorò qualche volta il mio nome. Mi accarezzò il viso e i capelli.
"Islanda." tacque un poco "Lo so che è il tuo nome ma ti chiamerò come me... Anche se, credo che tu sia un bel giovanotto anziché una giovane donzella, quindi sarai Freyr."
Quel nome mi piacque. Non so perché, forse era il calore che sentivo al posto del gelo che avevo nel cuore. Toccai il mio petto:
"Freyr." poi di nuovo lei "Feyra." sentii per la prima volta il mio viso contorcersi in una smorfia strana e istintiva.
"Bravo ragazzo. Sai sorridere allora, piccoletto. Allora guarda cosa ti da Freya visto che sei così bravo."
Mi diede da mangiare e mi allevò come il figlio e i nipoti che non ha mai potuto avere in vita sua. Si prese cura di me per anni, conobbi la mia terra, le sue usanze, le tradizioni: ogni volta che vedevo o toccavo qualcosa, oppure ogni volta che sentivo un odore o ascoltavo un canto era come se un ricordo lontano si ridestasse dalle profondità della mia mente. Una parte di me, non sapevo né credo saprò mai quanto cosciente conosceva già tutto. Seguivo la mia "mamma" dappertutto ansioso e avido di apprendere e conoscere cose nuove. Freya mi insegnò tutto quello che sapeva: mi insegnò a riconoscere le erbe e i loro usi, la mitologia, a parlare diversi dialetti...
A volte mi chiedo se avesse capito chi fossi, se sapesse chi ero e cosa rappresentavo.
A volte credo di no: per lei ero uno dei tanti bambini che si incontravano per strada o in braccio ai genitori.
Eppure non potrò mai e poi mai dimenticare quella volta, l'ultima volta che la vidi, quando nei suoi occhi antichi lessi tutto il dolore, la perdita, la rabbia e la tristezza che la stavano travolgendo nel momento in cui urlavo disperato, trascinato via, ferito e in lacrime.
Il nostro villaggio, mio e di Freya, era piccolo e vicino alla costa. Potevo vedere il mare ogni giorno e in tutte le stagioni anche quando ghiacciava tutto o infuriava la bufera.
A volte la terra si spaccava e uscivano getti di vapore caldi, l'estate il ghiaccio di spaccava per far uscire i fiori e le piante. Ho visto molte stagioni avvicendarsi in quel paesino, scandite dai malanni che Freya guariva, o dal mare, o da quanto utilizzavamo la grande stufa nella casa... E poi è finito tutto. Sul porticciolo dove le piccole imbarcazioni dei pescatori erano ormeggiate ogni tanto arrivavano gabbiani e pulcinelle di mare. Io andavo a vederle e a guardare il mare sognando di diventare, un giorno, un bravo pescatore con una barca tutta mia: io steso ignoravo che fossi e cosa sari diventato...
Quel giorno era tutto limpido e bello: c'erano tante pulcinelle, le rincorrevo o gli lanciavo i pesci più piccoli e le lische.
All'orizzonte, poi, spuntarono tanti puntini. Li guardai sbalordito chiedendomi cosa fossero. Quando furono più vicini mi resi conto che erano barche, enormi e inquietanti. Scappai urlando da Freya.
"Navi! Ci sono tante navi! Grandi, grandi mamma!"
Mi accarezzò sulla testa mentre affondavo il viso nella sua gonna larghissima abbracciandola ai fianchi.
"Saranno i mercanti che arrivano in anticipo, Freyr. Perché sei così spaventato?"
"Non lo so ma ho avuto paura. Ho paura ancora adesso!"
Non ebbe nemmeno il tempo di rispondermi: la campana dell'allarme iniziò a suonare forte.
Si erano sentite notizie sui nuovi pericoli che venivano dal mare. Mercanti, pellegrini e messaggeri raccontavano di uomini stranieri alti e armati, avidi di merci e provviste, a volte rapivano giovani donne.
"Andiamo piccolo. Non sarò di certo una bella ragazza da rapire ma qui non voglio né farmi né farti trovare. Prepara una sacca con il minimo indispensabile, veloce!"
In strada la gente gridava e si affollava in strada per scappare. I bambini piccoli piangevano, quelli più grandi si aggrappavano alle sottane delle madri chiedendo il perché di tutto quello che accadeva. Gli uomini caricavano quanto potevano i miseri averi e le provviste sui carretti trainati da tozzi ronzini o buoi macilenti.
Freya imprecava mentre rovistava tra le sue erbe officinali scegliendo con cura quali portare con noi. Alcuni sacchetti li caricò anche nel mio sacco, immagino che avesse paura che potessi perdermi e rimanere solo.
"Siamo povera gente che diavolo vorranno da noi... Se li porti il diavolo, li inghiottisca il mare! Freyr, vieni qui, bambino. Tieni prendi anche le garze. Attento. Ah, maledetti! Poveri noi..."
Guardavo la mia dolce mamma adottiva anche con un piccolo sorriso. Mi divertiva sentirla sbraitare in quel modo. Nonostante capissi molte cose che ai miei coetanei sfuggivano, la mia giovane età non mi permetteva di certo di adeguarmi perfettamente a determinate situazioni.
Un tonfo sordo ci avvisò che era troppo tardi.
Freya sbiancò e io mi strinsi a lei.
"Presto, Freyr! Andiamo, esci, esci!!"
Aprii la porta.
Gli uomini alti, stavano sbattendo a terra una pesante e massccia tavola di legno. Mi scappò dalle labbra un verso strano e richiusi la porta sbattendola.
"Sono qui stanno scendendo!"
E come se non bastasse iniziai a piangere e singhiozzare.
"Shh, zitto Freyr! Va' nella dispensa e chiudi!"
"E tu mamma? Vieni anche tu, ti prego! Non voglio stare solo!"
"Muoviti! Fa' quello che ti ho detto."
Avevamo firmato la nostra condanna e non lo sapevamo. Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe successo se invece di tornare dentro fossimo scappati fuori come gli altri. Forse ci avrebbero catturati, torturati e uccisi, forse avrebbero scopetto anche gli altri fuggitivi e sarebbe stata la fine dell'intero villaggio. Oppure avremmo avuto la possibilità di salvarci e continuare a vivere insieme.
É totalmente inutile che ci pensi eppure a volte, a distanza di secoli ci mi torna ancora in mente.
Freya ebbe appena il tempo di chiudermi dietro lo sportello della piccola dispensa che la porta fu sfondata da un solo colpo. Da un piccolo spiraglio potevo osservare la scena.
Freya gridò forte per lo spavento. Mi dava le spalle e la sua figuretta era sovrastata da un uomo alto da lunghi capelli biondi spettinati. Indossava una pelliccia irsuta e aveva in mano una grande ascia bipenne dal lungo manico, probabilmente era stato lui a infrangere la porta.
"Sta zitta, vecchia! Perché non te ne sei andata via anche tu? Io non lascio superstiti." il giovane abbaiò quelle parole con un forte accento che le rese quasi incomprensibili.
"Significa che avrai la possibilità di vantarti dell'impresa di aver ucciso una povera vecchia indifesa, caprone straniero!" replicò la mia Freya.
L'ascia si abbatté a pochi centimetri da lei frantumando il tavolino dove mangiavamo. Trasalii, soffocando un gemito premendomi una manina sulla bocca.
"Vecchia, non farmi perdere la pazienza o potresti pentirtene seriamente. Tira fuori ogni cosa, ADESSO! MUOVITI!"
Sentii un rumore secco, un gemito di dolore.
L'aveva colpita: uno schiaffo o un pugno.
"Non ho niente, maledetto!"
La colpì ancora e ancora. Piangevo e piangevo, non doveva farle del male.
"No!" uscii fuori con urlo strozzato a metà tra un miagolio e un singulto.
"E tu da dove cazzo sbuchi, bastardello albino?!"
"Freyr, no!"
Non mi scorderò mai il viso insanguinato di mia "madre".
Lo straniero mi afferrò per la mantella.
"Ehy, sei il nipote di questa vecchiaccia? Lascia che la sistemi come merita e poi mi occuperò di te."
Mi sbatté a terra. Piangevo a dirotto.
"G-gu-gue-rra-a-a! " singhiozzai "Guerra!" barcollando per rialzarmi.
Lasciò perdere Freya per dedicarsi di nuovo a me.
"Guerra? Guerra? Cosa credi che sia in gioco per mocciosi come te?"
Lo guardai male dietro un velo di lacrime.
"Via dalla mia terra! Lontano da me!"
Mi colpì mandandomi di nuovo a gambe in aria.
"Sta al tuo posto, moccioso."
Stava per colpirmi ancora quando si fermò a guardarmi.
"Freyr! Freyr! Scappa, vattene via!" mi urlava la mia mamma adottiva non la sentivo.
Sembrava che per me e lo straniero il tempo si fosse congelato: eravamo rimasti a fissarci.
"Freyr! Freyr... Ascoltami! Ascoltami, Islanda! Islanda!"
Mi riscossi alzandomi da terra.
Mi sentivo tremare, non arrivavo che a mezza coscia dell'uomo.
"Vattene da qui, non sei il benvenuto per me. Non sei il benvenuto né in Islanda né per l'Islanda."
Lo fissavo con odio puro, lo vidi sistemarsi l'ascia in mano ed ergersi in tutta la sua altezza.
"E così tu saresti l'Islanda moccioso." mi guardava con uno sguardo strano che mi metteva tanta paura. Sembrava che improvvisamente fossi diventato una preda ambita più di tutte le provviste del villaggio intero.
"Cosa vuoi fargli? È solo un bambino! Ti prego risparmialo, lascialo andare!"
Freya cercava ancora di difendermi. Non poteva immaginare cos'era accaduto.
Il giovane uomo la colpì ancora.
"Ho detto che devi tacere vecchia!"
Gli saltai addosso colpendolo come potevo anche se sapevo benissimo che non gli stavo facendo niente.
Mi afferrò per la casacca portandomi all'altezza dei suoi occhi.
"L'Islanda vuole dichiararmi guerra e attaccarmi?" mi agitai frenetico per colpirlo senza riuscirci.
Sorrise con una smorfia che mi fece urlare di rabbia.
"Sappi che la Danimarca accetta."
Urlai forte, ansioso di colpirlo. Freya gli si gettò addosso per fare altrettanto ma venne respinta e scaraventata contro il muro.
"Freya! Freya! Mamma! Mamma!"
L'uomo mi colpì forte sul viso scaraventandomi a terra. Mi ferii con le schegge del tavolo spaccato. Freya era immobilizzata contro il muro e mi guardava con uno sguardo che mi spezza il cuore ancora oggi. Mi aveva perso, io l'avevo persa. Ci eravamo persi. La guardavo attraverso una nebbia rossa che mi era calata sul campo visivo. La chiamavo e continuai a chiamarla anche quando fui scaraventato in una stanza che sapeva di salsedine e polvere, consumato da dolore fisico e emotivo.
   
 
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