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Autore: nuria    13/08/2010    3 recensioni
Quattro mesi dopo la nascita dell’Impero, l’oscurità dei Sith avvolge la Galassia. Con gli ultimi Maestri Jedi in esilio su pianeti diversi, non sembra esservi alcuna speranza per un futuro libero.
Nel frattempo, Anakin Skywalker, ora Darth Vader, deve convivere con le conseguenze delle sue scelte, sotto gli occhi preoccupati di sua moglie, l’ex Senatrice Amidala.
Di ritorno da una missione nell’Orlo Esterno che ha provato la sua convinzione nei nuovi ideali, il giovane Sith deve affrontare il proprio Maestro, e i suoi nuovi piani per il dominio della Galassia…
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Anakin Skywalker/Darth Vader, Obi-Wan Kenobi, Padmè Amidala
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Ceneri della Repubblica'
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   Il Nuovo Ordine

 

 

 Uno 

 

Tutti s'aspettavano che sarebbero arrivate altre incrociatrici, e invece da Coruscant arrivò un'intera luna grigia, che galleggiava nell'etere buio dello spazio carica di minacce senza nome.

A bordo, l'imperatore incappucciato aspettò che i suoi soldati - perché a lui tutti avevano giurato fin dalla culla eterna fedeltà - sfilassero all'interno della nuova, letale base spaziale di ultima generazione, un'arma capace di distruggere un intero pianeta con un fascio di luce terribile. S'informò con i suoi generali sulla condizione delle truppe, sulle perdite e sui feriti e poi aspettò che il suo apprendista sbarcasse all'interno di uno degli hangar.

Il caccia di Anakin ruppe l'atmosfera e si ritrovò nel buio senza fine a quello che sembrava un niente da una nuova luna sbucata attorno all'orbita di Generis. Pareva una luna in tutto e per tutto, decorata com'era da un grosso cratere, ma la sua corazza liscia a grandi placche tradiva la sua natura artificiale. A vedere di rado i progetti gli era parsa una base dalla forma originale, una stravaganza degli ingegneri; ora vedeva un pallone immenso, un'eccitante follia che non aveva precedenti nella storia. Gli venne una quasi irrefrenabile voglia di sostare lì a mezz'aria e osservare quell'abominio, ma seppe che non era possibile. S'avviò quindi dove gli veniva indicato, verso la bocca nera di uno degli hangar che correvano affiancati come tante celle all’equatore della sfera.

Passò con un brivido vicino all'immenso cratere, al centro del quale s'estendeva la temibile lente del superlaser. Viaggiando vicino alla superficie liscia della sfera apparivano migliaia di minuscole luci dalle finestrelle, puntini bianchi e gialli e rossi.

La bocca aperta dell’hangar lo risucchiò. Dietro il suo caccia si chiusero all'istante i portelloni e parcheggiò nell'ambiente enorme e sconosciuto. Uscì dall’abitacolo e alla sua sinistra da un portellone sbucarono degli ufficiali in divisa verde e dei cloni coi caschi in mano in un curioso comitato di benvenuto.

‹‹Generale Skywalker, benvenuto sulla Base Orbitante Prima.››

‹‹L'imperatore è qui?››

Uno degli ufficiali, con una targhetta appuntata al petto che leggeva 'Lee', annuì e parlò con tono trepidante.

‹‹Vi sta aspettando, generale.››

Anakin aveva letto i progetti della base, e mentre passeggiava per i suoi corridoi ben illuminati, un non piccolo progresso rispetto all'aria cupa che di solito regnava nelle navi e nelle basi spaziali, gli pareva di conoscerla già. Sapeva della sua divisione interna: dei due emisferi, il settentrionale, dedicato per lo più all'armamentario e alla mastodontica arma laser, e il meridionale, dove si trovavano le cittadelle per le truppe e altri armamentari; conosceva le ventiquattro sezioni superficiali, gli ottantaquattro livelli e i duecentocinquantasette sottolivelli in cui era divisa, ognuno scrupolosamente etichettato e tenuto di guardia da droidi di ultima generazione; sapeva dell’indescrivibile potenziale distruttivo della base, e mentre viaggiava attraverso i viali a bordo di navette di trasporto e ascensori velocissimi verso la sua destinazione, l'ufficio dell'imperatore, non potè ignorare un curioso prurito in ognuna delle sue cellule. Provava una strana, smodata eccitazione nell'osservare quella macchina di morte dal suo interno, sentendosi padrone e comandante.

Al polo settentrionale e al polo meridionale si trovavano gli smisurati quartieri di comando, in cui viaggiava una folla di varia umanità in divisa e armatura, e cloni a mai finire. A bordo tutti coloro che contavano erano umani: l’imperatore non nascondeva la sua preferenza per i membri della propria specie.

L'ufficiale Lee lo condusse con precisione attraverso il complesso reticolo di vie e corridoi mentre salivano su, verso il polo settentrionale. Sulla via, gli mostrò gli ambienti che erano stati assegnati a lui, direttamente sotto a quelli dell’imperatore. Descrisse come un agente immobiliare i comfort che avrebbe trovato al suo interno, parendo tutto orgoglioso delle meraviglie della base su cui era stato stazionato.

Un giorno avrebbe dovuto portarci Padmé, pensò con ironia morbidamente amara mentre sentiva la crescente oscurità dell'aria lì dentro, a dispetto della sua vivace illuminazione. Si chiese se sarebbe sempre stato così illuminato, come non era mai stata altra base, riflettendo sui costi e sulle necessità di mantenere illuminata giorno quella che sembrava la stragrande maggioranza degli ambienti; il sottufficiale Lee rispose come se avesse potuto scorgere nel suo cervello il dubbio. Parlò con un certo livello di confidenza, come se Anakin gli avesse implicitamente garantito la sua attenzione e il suo rispetto. I capelli di Lee, biondicci e un po' arricciati, cadevano flosci sulla fronte e gli davano un'aria di impenitente gioventù. La divisa faceva a pugni con il suo aspetto vivace. Anakin si chiese quando aveva smesso di sentirsi come i suoi coetanei.

‹‹Tutta questa luce, devo confessarvi, generale Skywalker, mi spiazza. Nelle navi d'addestramento non c'erano tutte queste belle lucette, ma i tecnici mi hanno detto che non sarà sempre così. Questo è il viaggio inaugurale, per così dire, quindi vogliono fare le cose per bene e in grande, con tutti i crismi. Non mi dispiace, qui è tutto nuovo e moderno. Fa piacere vedere bene le cose, per una volta.››

Anakin non rispose, perso tra i suoi pensieri, e il sottufficiale Lee, pur accigliandosi per una frazione di secondo, non disse altro finché non furono davanti al portello automatico che dava agli appartamenti dell'imperatore. Lì fece un passo indietro e fece un cenno al droide dorato che s'avvicinò a loro.

‹‹Questo è il droide maggiordomo dell'imperatore, l'unico che conosce la password. Cambia ogni trenta secondi. Io non ho il permesso di rimanere qui. Arrivederci, generale Skywalker.››

E poi sparì da dove erano venuti, tutto impettito.

Il droide inserì una propria appendice in un minuscolo foro della parete, tanto piccolo da essere rimasto inosservato all'analisi veloce di Anakin, che assorbì l'androne illuminato, le pareti alla moda rivestite di quadrati di pelle imbottiti color crema, la pavimentazione bianca e lucida. Il droide fece un piccolo fischio, e il portello s'aprì automaticamente con un piccolo sfogo d'aria, lasciando intravedere una grande sala di forma circolare, alla cui estremità, dal lato opposto di Anakin, s'apriva sullo spazio una lunga finestra d'acciaio trasparente, da destra a sinistra.

Vi era al centro della sala una grande piattaforma in metallo per oloproiezioni di forma circolare, circondata da un congresso di poltrone; oltre, di fronte alla grande finestra, c'era una scrivania imponente di legno scuro, con un'unica grande poltrona dietro. Solo dopo che ebbe riconosciuto gli interni della sala Anakin s'accorse che c'era della musica strumentale in sottofondo, e un gradevole odore di nuovo e lussuoso.

Sentì il suo Maestro ben prima di ascoltare la sua voce.

‹‹Ti stavo aspettando, Darth Vader,›› biascicò l'imperatore scendendo dal soppalco del piano superiore, con le vesti scure e pesanti che strisciavano dietro di lui.

Il suo ingresso scatenò in Anakin due sentimenti familiari, soggezione mista a un senso di competizione latente, come il fuoco sotto una coltre di cenere. Ogni movimento dell'imperatore gli pareva uno specchio del futuro. Pensò a cosa sarebbe successo se avesse estratto la spada in quel momento e attaccato.

‹‹Ho eseguito gli ordini come voluto da lei. Ecco l'arma dell'altra Jedi. Era una padawan.››

E posò la spada laser di Milena Ong sul tavolo delle oloproiezioni. Gli balenarono in mente gli occhi chiari della Pantorana, e poi sparirono. Rimase soltanto il volto bianco e repellente del suo Maestro con gli occhi illuminati di un osceno piacere.

‹‹Ben fatto, Darth Vader. La nostra pulizia prosegue. Un giorno, un giorno vicino, questa Galassia sarà libera dall'immondizia Jedi.››

‹‹Sì, Maestro.››

L’imperatore fece un ampio gesto del braccio ad indicare i dintorni.

‹‹Spero che la nostra piccola base sia di tuo gradimento.››

Anakin annuì, ficcando il suo sguardo nelle distese senza fondo dello spazio oltre la finestra. Da quel lato il pianeta di Generis era invisibile, e l'unico panorama erano le mille e mille stelle incastonate nel buio che splendevano come tante lucciole selvatiche nei campi d'estate la notte. Alcune parevano del tutto ferme, altre parevano lampeggiare; ed erano tutte a migliaia di anni luce, brucianti e morte ed esplose, singole o in ammassi di splendide nebule. Trovarsi di nuovo nello spazio era una sensazione rassicurante. C’erano poche cose che Anakin amasse di più.

Sul tavolo delle oloproiezioni comparve un ufficiale, in colori e qualità sorprendenti. Era evidentemente uno dei lussi dell’imperatore. ‹‹Ci prepariamo al salto nell'iperspazio, Sua Altezza.››

‹‹Bene.››

E prima ancora che uno dei due Sith potesse aprir bocca per riprendere la loro conversazione, Anakin sentì coi suoi sensi raffinati il leggerissimo, impercettibile vibrare dell'iperguida, come se sotto i suoi piedi stesse viaggiando uno sciame immenso di formiche; poi nella finestra si dipinsero nello spazio di un battito di ciglia fasci di terribili luci bianche e blu, che si componevano e scomponevano tra di loro a formare fiammelle e lapilli di pura velocità superiore alla luce; e lo spazio non c'era più, ma solo quello psichedelico tunnel di luci che facevano male agli occhi e alla testa. Anakin aveva sempre amato quelle luci, come manifesto di tutto ciò che era la sua vita, cambiamento, avventura e dinamismo; ma l'imperatore premette un pulsante e la finestra s'oscurò del tutto.

Il brusco cambiamento di panorama ricordò ad Anakin più pressanti conversazioni da essere tenute.

‹‹Maestro, desideravo parlarvi personalmente di qualcosa che ho estratto da Tavrak. Riguarda il Senato.››

‹‹Prendi pure una sedia.››

Raccontò all'imperatore ciò che aveva biascicato il pazzo sotto la subdola tortura della mente, degli aiuti del Senato ai ribelli, ma non osò avanzare le proprie ipotesi. L'imperatore ascoltò ciò che aveva da dire con un'espressione di moderato disappunto, come se la questione non fosse nè sorprendente né grave, ma meramente un inconveniente già preventivato. Quando parlò, infine, usò una voce profonda e pacata, come se stesse discutendo del tempo.

‹‹Evidentemente,›› disse, caricando di sarcasmo l'avverbio, ‹‹è finalmente giunto il momento per qualche arresto importante in Senato.››

Anakin annuì. ‹‹Lo pensavo anch'io.››

E volle aggiungere che non c’era da fidarsi dei politici, ma si morse la lingua.

‹‹Temo che al Senato s’annidino pericolose sacche di resistenza,›› continuò l’imperatore con tono svagato, ‹‹politicanti che non hanno ancora compreso quale sia il loro nuovo posto.››

‹‹Ma Maestro…non può semplicemente sciogliere il Senato, e liberarsi definitivamente di loro?››

‹‹Pazienza, Darth Vader, pazienza. Non sono cose da fare su due piedi. Dobbiamo dare tempo all’opinione pubblica di arrivare alle nostre conclusioni, convincendoli con…dolcezza. In realtà, il Senato è un organismo innocuo, se liberato di certi parassiti.››

‹‹Concordo, Maestro.››

Gli occhi del vecchio divennero pungenti.

‹‹Spero che la senatrice Amidala sia arrivata a più miti consigli.››

Anakin rispose con prontezza, usando l’inflessione impersonale che adottava quando doveva discutere della moglie con il suo Maestro.

‹‹Certamente, Maestro. Mia moglie sta imparando ad apprezzare il mio impegno. La mia missione. La maternità ha…influito positivamente su di lei.››

L’imperatore non disse nulla e chiese del vino ad un droide protocollare che attendeva alla parete. Il droide s’affrettò, in rispettoso silenzio, a versare in due calici un vino rosso rubino che pareva sangue spillato da un’arteria pulsante.

‹‹Favorisci, apprendista?››

Anakin non beveva alcolici per principio. Al Tempio non erano ammessi, e dannazione a lui se non riusciva a liberarsi da quegli stupidi precetti. Ma gli occhi del suo Maestro lo sfidavano.

‹‹Grazie.››

Il vino era amaro e dolce insieme e non gli piaceva. Le sue papille protestarono al contatto con il liquido fresco ed ebbe l’impulso di chiudere gli occhi e sfregare la lingua al palato come un bambino costretto a mandar giù una medicina sgradevole. Invece, schioccò insieme le labbra come aveva visto fare ad altri, sperando di essere un buon attore.

‹‹Sono soddisfatto del tuo operato, Darth Vader. Hai qualche desiderio?››

Era un curioso rapporto, quello instaurato tra lui e il suo Maestro. Anakin aveva la continua impressione che il suo Maestro cercasse in ogni modo di stuzzicare il suo desiderio di possedere oggetti, e si dava in ampie profusioni di promesse che pure avrebbe ben mantenuto se Anakin non avesse rifiutato; aveva l'impressione che tutto ciò facesse parte di un piano per assicurarsi la lealtà del suo apprendista, con le lusinghe di un'esistenza opulenta. Ma Anakin non peccava di avidità materiali.

‹‹Vorrei avere qualche settimana di congedo.››

‹‹Da passare con la tua famiglia?››

L'espressione dell'imperatore mantenne il suo alone di contenuto disappunto.

‹‹Non più di due settimane. Il tuo posto è a Coruscant.››

‹‹Sì, Maestro.››

Anakin terminò il suo vino.

‹‹E non dovresti lasciare che il tuo attaccamento alla senatrice Amidala comprometta il tuo cammino.››

Le parole sarebbero potute essere state pronunciate da qualsiasi Jedi, e il pensiero fece quasi sorridere Anakin. Il suo Maestro definiva il suo matrimonio un semplice 'attaccamento': il dettaglio lo sorprese e lo riempì di un'onda nera di dispiacere. Provò, per la prima volta in mesi, una sensazione di profondo disagio.

‹‹Il tuo desiderio di trascorrere del tempo con le persone alle quali sei talmente attaccato è legittimo, mio giovane apprendista,›› continuò l'imperatore, con un tono marginalmente più conciliatorio, come se stesse istruendo un bambino, ‹‹ma devi considerare la carne della quale sei fatto, il tuo potere. Il tuo destino. È tutto alla portata della tua mano ma...›› Serrò le labbra per un momento, e i suoi occhi, nella gomma bianca e rugosa che era il suo viso sfigurato, parvero come di fuoco, ‹‹...ma ci vuole concentrazione, e studio continuo. La Forza è un'amante scostante, difficile, capricciosa. Ci vuole tempo, dedizione, carattere per dominarla. Ci vuole raziocinio. Noialtri siamo impegnati in un matrimonio ben più impegnativo con essa, capisci, Darth Vader? Dilettati finché ne hai voglia con la senatrice Padmé, ma sappi a chi devi la tua massima fedeltà. Sappi qual è la tua strada. Sappi ciò di cui sei fatto.››

‹‹A volte è difficile, Maestro.››

‹‹Non devi lasciare che qualcosa, o qualcuno, ti distragga. Ci sono emozioni che un uomo grande deve rifiutare, come la pietà e la compassione e l’eccessivo attaccamento. Sono emozioni da deboli. Mi chiedo se tu non lo abbia ancora capito. Allora capiscilo adesso: solo i forti sopravvivono, solo i forti meritano di vivere, solo i forti meritano di dominare i deboli. Un uomo forte controlla la passione e la usa per diventare più potente. Un uomo debole si fa controllare da essa. Hai molto da imparare, ma se segui la giusta strada un giorno sarai grande.››

Anakin annuì.

‹‹Hai il tuo permesso, Vader. Ora va'.››

Anakin s'alzò senza dire una parola e lasciò l'appartamento dell'imperatore, sentendo gli occhi del suo Maestro ficcati sulla sua schiena come punte di bastoni aguzzi anche dopo che fu fuori dal suo campo visivo.

Percorse al ritroso le strade che aveva già visto con il sottufficiale Lee, mentre alla confusione dentro di lui si sostituiva un sentimento misto e frustrante, amplificato solamente da quella coltre fumosa che gli entrava nei polmoni, come se il potere oscuro del suo Maestro potesse entrare dentro di lui dalle narici e mischiarsi con il suo spirito in una combinazione pestifera. Scene casuali della sua vita recente s'affastellarono nella sua mente come ricordi di un'altra vita, in cui poteva guardare con distacco ciò ch'era successo, e ogni volta che vedeva le proprie mani colpire – e come colpivano! - il fiato gli vorticava in petto come un piccolo uragano che gli toglieva il respiro. Era uno dei suoi soliti, strani attacchi - e la sua intensità era dettata soltanto dal nuovo vis-à-vis con quell'uomo, l'uomo nel quale nasceva e finiva tutto, e, forse, la prossima riunione con Padmé: che era sua moglie, e madre dei suoi figli, e non un semplice 'attaccamento'.

Ebbe il tempo giusto di entrare nei suoi appartamenti prima di finire ansimante contro la porta, inchiodato ad essa dalla vista improvvisa, violenta ed ipnotica, del tunnel dell'iperspazio alla grande finestra non oscurata della sua sala, analoga ma di dimensioni inferiori a quella imperiale. Dapprima cercò di schermare i propri occhi dalla luce abbagliante: appoggiò una mano agli occhi e s'accorse che gli bruciava la fronte. Immediatamente ritirò via la mano e girò il capo; solo la sua guancia era esposta alla luce e la schiena era ancora attaccata al portello. Chiuse gli occhi ansimando.

Sappi qual è la tua strada. Sappi ciò di cosa sei fatto.

E in sé sentì bruciare qualcosa che faceva paura, senza nome e senza descrizione. Mai come in quel momento, nella stanza buia inondata dall’immensità caleidoscopica dell’altra dimensione, Anakin sentì d’essere qualcosa d’eccezionale che mai avrebbe trovato replica. Sentì in ognuna delle sue cellule di essere il Prescelto di una profezia millenaria. E per la prima volta nella sua vita lasciò che i suoi pensieri scivolassero laddove mai aveva osato lasciarsi scivolare: il suo misterioso concepimento, il padre che non c’era mai stato, il suo legame biologico, ben oltre l’eccezionale, con la Forza. La sua carne parve dissolversi sotto i proiettili di luce, e rimase soltanto lui che cercava di schermarsi dal blu e dal bianco e dagli anni luce che scorrevano fuori dalla finestra. Sentì, mai come allora, di essere il Figlio, e le voci e le profezie erano tutte vere.

Sappi ciò di cosa sei fatto.

E Anakin sentì di essere lo Spazio, quella base, quel tavolo, tutto. Era quello suo Padre? L’immensità insostenibile dell’Essere e di tutto ciò che esisteva dentro di lui, fuori di lui, in tutte le dimensioni, in tutte le realtà? La Forza mistica che teneva unito ogni singolo atomo in quella Galassia? Gli orizzonti di potere, crudo e sconosciuto, che gli si aprirono davanti agli occhi come illuminati da un lampo gli fecero vorticare la testa.

Un giorno sarai grande.

Biliardi di biliardi di vita brulicavano ovunque, in migliaia di specie, in migliaia di razze, in migliaia di etnie, e le culture sfumavano l’una nell’altra in ogni pianeta, e si spandevano oltre i confini delle loro atmosfere come spore di piante affidate al vento. Fuori da quella base c’era migliaia di migliaia di pianeti civilizzati, e in ogni emisfero c’erano città, deserti, oceani, foreste e valli e montagne che pulsavano di una musica misteriosa (e lui era quella musica!). I pianeti formavano sistemi che orbitavano attorno a milioni di soli, di stelle; e c’erano ammassi e nebule che facevano innamorare e piangere quando apparivano all’orizzonte con i loro colori usciti dai sogni più sfrontati di un artista a decorare il buio più cupo e silenzioso; supernove che sembravano fiori sbocciati in un campo notturno; buchi neri tremendi dalle singolarità inesplorate che pulsavano e facevano male come colpi di una frusta invisibile.

Voleva tutto, e non voleva niente. Sentiva in sé l’insostenibile grandezza divina delle sue origini e l’insopportabile effimerità del corpo in cui era rinchiuso. Nella sua brama di potere che gli strappava gli organi pezzo a pezzo si sentiva osceno e ridicolo. Un re sbeffeggiato dalla sua nascita, un principe intrappolato per sempre nelle vesti di un insetto.

Le luci lottarono per tenerlo prigioniero del loro incanto, ma presto l’onda di esaltazione mistica di Anakin declinò e infine s’infranse contro gli scogli di sé stesso, del suo senso di colpa, della sua solitudine, della sua mortificazione; si scontrò con ciò che in lui non era né grande né meraviglioso ma misero e schifoso: le sue paure, le sue insicurezze, le sue inadeguatezze, i suoi crimini; e seppe di essere abietto.

La luce fu insopportabile, e lui troppo debole. Si lanciò contro la piastra dei comandi sul tavolo delle oloproiezioni, premendo alla cieca come se gli avessero gettato acido negli occhi e in qualche modo riuscì a far oscurare la grande finestra: lo spettacolo d’indaco, nero, violetto e bianco spumeggiante terminò e Anakin rimase al buio.

S’accorse che stava ansimando, e gli faceva male il petto e gli prudeva la gola come se avesse corso per centinaia di metri. Si ripiegò sul tavolo e appoggiò la guancia calda sulla lastra fredda. Una bava spessa gli colò dalla bocca sul tavolo e sentì di essere prossimo al vomito.

La stanza si riempì di volti muti. C’erano sempre quei bambini in prima linea, sempre loro…Provò una cocente vergogna: le guance divennero di fuoco e le lacrime lava ad ustionargli le mani con cui si tappava gli occhi.

Al buio, tormentato dai suoi demoni senza nome, si sentì più solo e disperatamente perso di come si fosse mai sentito. Era sporco e disgustoso, in preda a mille conati senza mai riuscire a vomitare tutta quella melma di cui era pieno come un sacco.

Oh, era già pazzo!

Per festeggiare la liberazione di Naboo dalla tragica oppressione della Federazione del Commercio l’allora neo-eletto Supremo Cancelliere Palpatine aveva ordinato l’acquisto di numerose casse del più pregiato vino rosso naboo, specificando di volerlo acquistare ancora in maturazione. Il conte Menes, proprietario dei vitigni, gli assicurò che quel vino già lungamente invecchiato, tempo una decina d’anni, sarebbe diventato il nettare di cui si favoleggiava lungamente in giro per la Galassia; ed era un nettare assai superiore al generico buon gusto dei vini alderaaniani, checché ne dicessero i membri dell’Associazione Enologica di Coruscant (chiaramente a favore del pianeta del Nucleo a sfavore di un pianeta come Naboo, geograficamente più marginale – e poi ‘tutti sanno che il presidente dell’Associazione è cugino della regina Breha, lei mi capisce’).

Tempo tredici anni, l’investimento del Cancelliere era diventata la bevanda pregiata nei calici dell’Imperatore: austero ma amabile, scevro da asprezze, con il più delicato retrogusto di legno severo e, forse, violette. Era un vino adeguato ai giorni trionfali.

Per prima cosa, l’imperatore meditò sulle azioni da intraprendere in Senato, convenendo con se stesso che i tempi erano maturi per la necessaria cernita già eseguita, ad esempio, tra le forze armate che non erano costituite dai cloni del cacciatore di taglie Jango Fett. Pensò ai capi d’accusa, agli ordini di cattura e ai costosi processi che avrebbe dovuto montare per risolvere favorevolmente quella questione. Si risolse di trattare la questione quando sarebbe arrivato a Coruscant.

Quindi, ripensò alla situazione del suo apprendista e del suo matrimonio con la senatrice Amidala. Non aveva dubbi che lasciare in vita l’ex-senatrice costituiva un fattore di rischio per quella raffinata costruzione che era il suo successo, ma ad ogni modo sarebbe stato semplice liberarsi di lei e di almeno uno dei due bambini, se non di entrambi. Da quando erano nati i giovani Skywalker, infatti, lo aveva colto un improvviso languore: il sospetto, la curiosità, del potenziale dei due infanti. Le prospettive erano allettanti, ma vi erano rischi connessi che l’imperatore non sapeva ancora di voler affrontare.

Ad ogni modo, con la morte della moglie, il suo apprendista gli sarebbe stato fedele interamente.

Tuttavia, c’era stato un buon motivo per aspettare. Far assassinare la donna all’improvviso avrebbe probabilmente causato nel suo apprendista una sciocca depressione o qualche simile reazione controproducente, se non un attaccamento maggiore al ricordo della defunta. Sarebbe invece stato maggiormente produttivo ed utile cercare la maniera – o indurla - di rendere Darth Vader più o meno direttamente partecipe nella morte della sua donna, così da scatenare in lui tutte quelle emozioni negative di cui un Sith si nutriva. Ma non c’era da aver grande fretta. L’occasione si sarebbe presentata al momento giusto, e lui, l’imperatore, l’avrebbe colta.

Era sicuramente un maestro nel cogliere le occasioni favorevoli, o, meglio, a farle verificare.

Non era stato forse lui solo a far verificare la grande vendetta dei Sith?

Per mille anni i Sith, di Maestro in apprendista, avevano studiato le ragioni della loro caduta e allo stesso tempo avevano intessuto il piano della vittoria: a lui, Palpatine, era spettato tirare le fila, e oh, quale meravigliosa trama ne era uscita!

La rivelazione gli era arrivata lentamente, come durante il sonno, tanto che poi non avrebbe potuto distinguere un prima o un dopo il possesso di quella nozione che, dopo molti anni, lo avrebbe portato al potere supremo; era una rivelazione semplice: la maniera per vincere i Jedi era non farli comportare da Jedi.

Ricordare la sua impresa era sempre qualcosa di gradito, anche al rischio di indulgere nella vanità.

I Jedi li aveva sparsi per la Galassia dietro ad un gonfalone, e aveva dato loro titoli militari, mostrine, responsabilità ed incarichi. Li aveva messi a capo di una guerra, e aveva fatto diventare i pacifisti generali. La beata cecità in cui erano piombati in mille anni di tranquillità sarebbe stata esasperata dalla nuova paura, la paura di perdere, e quello sarebbe stato il momento in cui avrebbe colpito, come il serpente velenoso che morde le zampe ad una bestia molte volte più grande.

Skywalker non sarebbe stato necessario: la vendetta dei Sith si sarebbe svolta con o senza la sua partecipazione, ma era stato quasi divertente veder scivolare dalla presa dei Jedi il loro Prescelto.

Un Prescelto che era arrivato tra le loro braccia in maniera fortuita, senza che avessero dovuto cercarlo. Aveva dieci, nato da una schiava su un pianeta dell’Orlo Esterno controllato dal crimine organizzato, e aveva un potere eccezionale che li aveva confusi e impauriti. Non si erano fidati di lui fin dall’inizio, Palpatine lo sapeva. Aveva sentito nel corso degli anni i lamenti del ragazzo quando ricordava la prima umiliazione che gli avevano inflitto. Parlava del Concilio riunito attorno a lui, delle loro domande e dei loro esami; e poi parlava dei loro occhi freddi e delle loro voci impietose e di come si era posto la domanda cruciale: dov’è la compassione che predicano di avere? Il giovane era arrivato ben vicino ai motivi della disfatta. E così i Jedi avevano il loro Prescelto, ma non quello che s’erano aspettati, né quello che avevano desiderato. Stolti!, che avevano creduto di poter decidere secondo i loro termini ciò che la Forza avrebbe deciso con i propri! E quando il giovane Skywalker aveva chiesto aiuto, i Jedi non avevano ascoltato, ma risbobinato ciò che avevano ripetuto a migliaia di altri Jedi nella loro storia: i loro soliti precetti, di mantener la calma, di liberarsi dalle emozioni, di controllare i sentimenti.

Quando il giovane Skywalker aveva chiesto aiuto, l’unico ad averlo ascoltato era stato lui, il Cancelliere.

Ripensandoci, l’istruzione dei Jedi su Skywalker non era stata del tutto fallimentare. Durante le loro molte conversazioni il suo apprendista era sembrato sinceramente convinto dei precetti dei Jedi, e orgoglioso fino al midollo di far parte dell’Ordine. Non aveva dubbi che senza il proprio input Skywalker sarebbe stato felice di continuare la sua esistenza tra i Jedi, pur sopportando i loro oltraggi. Fino all’ultimo, dopotutto, il giovane s’era comportato da vero Jedi: aveva denunciato la presenza di un Sith a capo della Repubblica, e, per l’ennesima volta, gli era stato detto di rimanere indietro.

L’imperatore, a volte, si chiedeva se Windu non avesse provato, oltre a dare sfogo all’evidente sete di potere che pasceva nel cuore, di usurpare il ruolo di Skywalker nell’antica profezia. Chissà se s’era spinto fino a quel punto.

Ma ciò non importava. Era più interessante notare, ad esempio, come Skywalker si fosse dimostrato un Jedi davvero fino a un minuto prima di essere nominato Sith. Aveva ricordato al suo Maestro il diritto ad un giusto processo del Cancelliere, vecchio e disarmato, e aveva incontrato di nuovo un rifiuto; quando ormai disperava – e che disperazione, vedere la chiave della salvezza della propria moglie sul punto di essere ammazzato! – ecco che aveva fatto ciò che più caratteristico di un Jedi ci potesse essere: difendere un indifeso.

Oh, tutta quella storia era di una deliziosa ironia!

E ora sentiva un cupo turbinio provenire dal suo apprendista, un grido soffocato, una lacerazione nel tessuto stesso della Forza. Sentiva il suo conflitto e il suo dolore, e conosceva perfettamente tutte le esaltanti sfumature che lo stavano facendo a pezzi. Riusciva ad immaginarlo in mezzo a spasmi soffocati, mentre veniva inghiottito da ciò che c’era di cupo nel suo animo.

Finì il suo vino.

Sorrise.

 

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padme undomiel. Wow. Questa volta davvero non ci sono parole per descrivere il capitolo: è così particolare, così oscuro, così ... Sith che credo di non averne mai visti di uguali. Forse era l'atmosfera creatasi, forse il senso sempre crescente di vittoria del male, forse perché, ancora una volta, tutto sembra andare secondo i piani di Palpatine, è stato uno dei capitoli più intensi di questa storia.
La cosa più interessante è questa totale confusione su chi siano davvero i buoni, e su chi i cattivi. Non credo di sbagliarmi, se considero l'imperatore l'unico davvero malvagio in questa vicenda ... ma gli altri? Sono, in fondo, solo delle vittime. Vittime delle proprie passioni, che un male più grande ha sfruttato per i propri scopi. Si può considerare un esempio di questa terribile verità anche l'ufficiale Lee, in un certo senso. Sembra così convinto che l'impero porterà solo luce per la Galassia da non vedere l'oscurità che sempre più li sta inghiottendo, da parlare quasi con reverenza di questa temibile stazione spaziale grande come una luna, da ritenere importante discutere di cose futili come l'illuminazione generale invece della portata distruttiva di questa nuova invenzione dell'Imperatore.
E arriviamo, ancora una volta, ad Anakin. Anakin che sente comunque forte il fascino del potere, amplificato fino a limiti impensabili dalla nuova potenza dell'Impero. Anakin che guarda con disprezzo mal celato il suo nuovo mentore, sfidandolo come lui sfida il suo allievo. Anakin che si sente, infine, deluso dal comportamento comunque limitante di Palpatine, che sminuisce il suo amore per Padmé come qualunque Jedi avrebbe fatto. E poi Anakin, che sa che il potere è a portata di mano, ma sa di essersi macchiato per sempre, di essere indegno, di essere perseguitato dai suoi ricordi. E quest'angoscia, amplificata dall'immagine straziante dei bambini che ha trucidato, lo porta ancora una volta al limite della ragione. Un tormento, insomma, che è difficile da comprendere appieno, ma ancora di più da trattare: un tormento reale, di un'anima buona corrotta dall'oscurità, che si ribella, nonostante tutto, ai suoi gesti, e che ancora può provare senso di colpa.
Ma la cosa più terribile di questo gran tormento è che è stato completamente previsto e voluto da Palpatine. Che non aspettava altro. Che brinda alla sua vittoria con il vino più pregiato, calcolando la completa resa del suo allievo e la morte di sua moglie e dei suoi figli. Ancora una volta, l'ombra alimenta i suoi cupi piani, che sanno solo di morte della libertà, di dittatura, e di completa perdizione per il Prescelto.
Insomma, un capitolo perfettamente riuscito. Hai davvero trasmesso tantissimo, e credo che tu sia riuscita ad analizzare bene anche un personaggio complicato come Palpatine, impresa di per sé quasi impensabile. Bravissima, non vedo l'ora di leggere il seguito! Magari posso sperare in un nuovo incontro tra Anakin e Padmé? :)
Alla prossima, Padme Undomiel ^^

 

 

  
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