Salto nel vuoto.
Lo
stomaco si contrae in una morsa dolorosa, il cuore
si ferma e i contorni si sfuocano. Avverte qualcosa di caldo e umido
solcarle
le guance lasciando righe salate al suo passaggio. Gli stinge
spasmodicamente
la mano; lo scuote quasi con rabbia.
La
bocca piccola e rossa risalta sul pallore
cadaverico del viso, contratta in una smorfia dolorosa. Le labbra
tremano, si
schiudono quasi con timore e il sussurro che ne esce è
fioco. Ci prova ancora,
lo chiama, cerca di darsi un contegno. Le riesce un suono strozzato, ma
non
rinuncia. Gli poggia una mano su una guancia, macchiandola di rosso. E
alla
fine ci riesce. Articola a fatica quel nome, trattenendo un singhiozzo.
Non riceve
risposta, ma non le importa, si crogiola nel piacere dolce che le
dà il suono
di quel nome.
Ne fa
una mantra e continua a borbottare quelle due
sillabe fino a che non perdono il loro significato e lei
la cognizione del tempo.
Si
accuccia al suo fianco. Poggia la testa di lui
sulle sue gambe e lo osserva cambiare colore, le guance rosee diventare
via via
sempre più sbiadite, fino ad assumere una
tonalità cadaverica; le labbra
sottili divenire violacee e lo sguardo spegnersi poco a poco.
Gli
occhi continuano a pungerle e le lacrime a
scendere copiose inumidendole il viso. Disegnano curve morbide sulle
guance e terminano
la loro corsa sul mento. Le cadono sulla maglia, in aloni tondi che,
lentamente, si ingrandiscono.
Punta
gli occhi azzurri in quelli bruni, vitrei e
privi di vita.
Il
tempo le sembra trascorrere lento e quando una
mano calda e grande le si poggia su una spalla sussulta,come se fosse
stata riscossa
da un sogno a occhi aperti.
Le
mettono due mani sotto le ascelle e cercano di
alzarla. Si divincola lasciandosi sfuggire un suono basso e sordo. Il
labbro
inferiore prende a tremarle e le tracce secche che le segnano il viso
in righe
verticali, a pungerle. Si aggrappa al ragazzo che giace sulle sue
gambe. Stringe
le mani piccole sulla sua maglia, per far intendere di non volerlo
lasciare.
I
soccorritori ci mettono molto a farla alzare e non
senza difficoltà. Sembra non ascoltarli e infatti li vede
muovere le labbra, ma
non percepisce le loro parole, solo un ronzio fastidioso e orribile.
Alla fine
la sollevano di peso, mentre lei scalcia e grida con tutto il fiato che
ha in
gola. Chiama il suo nome senza ottenere, nuovamente, risposta.
Gli
uomini si rabbuiano e uno di loro, chino sul
ragazzo a terra, gli chiude gli occhi.
E solo
allora comprende a pieno quello che si era
imposta di ignorare: era morto.
Il vento primaverile soffia
leggero sulla pianura verdeggiante. Timide margheritine bianche e
più audaci
papaveri rossi calano il capo al passaggio del venticello.
Stringe le dita sul tessuto
leggero del vestito mentre le ciocche bruno le frustano il viso.
Sente l’erba ispida
sotto la
pianta dei piedi infilarlesi tra le dita e pungerle la pelle.
Alza gli occhi chiari
incontrando
la luce fioca del sole che trapassa la cappa grigia di nuvole.
Si carezza il ventre
leggermente
rigonfio, poi fa passare la mano sul seno e si ferma stringendo tra le
dita il
piccolo pendente sul quale sono incisi i loro nomi.
Sorride mentre i ricordi le
passano davanti agli occhi come se li stesse rivivendo in quel preciso
momento.
Inizia a camminare spedita,
un passo dietro l’altro, mentre il rumore diventa sempre
più forte. Avanza incurante
di calpestare le piccole margherite e rossi papaveri che si spezzano
sotto il
suo peso. Si ferma, volge il capo alle sue spalle e li fissa. Sorride, meglio così, pensa
riprendendo a
camminare.
Si ferma nel punto in cui il
frastuono raggiunge il suo culmine.
Abbassa lo sguardo e osserva
tranquilla il precipizio che si apre sotto di lei. Vede le onde
infrangersi
contro la scogliera con veemenza, schizzare sugli scogli la schiuma per
poi
ritrarsi e ritornare di nuovo alla carica con più foga.
Le è sempre piaciuto
quel
posto, calmo e isolato. Da ragazzina era solita passarci molto tempo,
si sedeva
sotto il grande pino –tagliato circa una decina di anni
prima- e leggeva,
studiava, ascoltava la musica. Faceva di tutto in quel posto pur di
ritardare
il ritorno a casa.
È lì che
ha dato il suo
primo bacio, che si sono incontrati la prima volta.
È lì che
tutto è iniziato ed
è lì che tutto sarebbe finito. Così
aveva deciso.
Con una calma metodica si
toglie il medaglione dal collo e lo mette nel palmo della mano.
Lo fissa per alcuni secondi,
cercando di imprimersi la forma ovale e leggermente allungata di quel
pezzetto
di metalli privo di valore e di attrattive a un occhi esterno.
Era
lì che lui glielo aveva regalato, si trova a
pensare,come folgorata.
Stringe gli occhi sentendoli
pizzicare e ricaccia le lacrime indietro insieme al groppo che avverte
in gola.
Allunga il braccio davanti a
sé, il palmo della mano aperto. Il medaglione luccica
un’ultima volta toccato
da un raggio di sole prima di cadere e sparire dalla sua vista.
Tira un profondo sospiro
assaporando il profumo salmastro che è nell’aria.
Una fredda determinazione le
si dipinge sul volto.
Muove un passo in avanti e
la vesti si solleva nella caduta. I capelli le si annodano in dolci
nodi e l’aria
le sferza il viso.
Sorride prima di toccare
l’acqua
e sparire nei flutti delle onde.
Angolo Autore:
perdonatemi, ma dovevo
scriverla xD è priva di senso, lo so, però credo
di averla scritta bene, o
sbaglio.
Credo che il senso si
capisca, quindi non mi dilungo in inutili spiegazioni.
Spero mi
lascerete un
commentino >*<