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Autore: PunkGirl_    17/08/2010    0 recensioni
Due ragazzi punk, una storia drammatica, un amore eterno.
Genere: Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quando lo conobbi, non ero che una inesperta 16enne. Fu come una cometa, che illuninò le mie giornate fredde e punk, colmate solo da un intenso amore per la musica. Fu come il risveglio da un torpore. Fu la mia salvezza. “Hai sentito la novità? Un nuovo compagno!”. Rose era assolutamente fuori di testa. “Si, ho sentito”, risposi ridendo. “E non sei entusiasta?? Un ragazzo! Un...”. “Eddai Rose, è solo un ragazzo, esattamente come gli altri”. La mia migliore amica si rabbuiò, e si allontanò nel corridoio. Sorrisi: la capivo, nella nostra classe c’erano tre maschi, e l’idea la metteva in agitazione. Ma non volevo né prendere strane cotte, né innamorarmi, per alcun motivo. Misi nelle orecchie le cuffie dell’ipod e feci partire una canzone dei 30Seconds to Mars. L’intervallo passò, e solo quando fu ora di tornare in classe la mia migliore amica si degnò di rivolgermi la parola per torturarmi di nuovo. Le giornate seguenti passarono con una lentezza stancante. Dimenticammo in fretta quello che doveva chiamarsi Jim, e tornammo alla solita routine. Solo quando il preside entrò nella nostra aula, l’interesse di tutte si risvegliò: dietro di lui era comparso un ragazzo, abbastanza alto, piuttosto magro, i capelli neri “raccolti” in una corta cresta, le cui punte erano tinte di blu. Gli abiti trascurati, i jeans mezzi distrutti e una lunga, maglia dei Sex Pistols. Per poco non mi uscirono letteralmente gli occhi dalle orbite. Era punk, di sicuro. Cercai di non pensarci. La prof lo fece sedere nella fila dietro di me; seguendo la sua camminata di sottecchi mi accorsi che molte compagne mi guardavano. Cazzo, sì, ero punk anche io, ma questo non voleva dire che... “Ahi!”. Una violenta gomitata mi arrivò alle costole. Rose. “H-hai visto? E’ punk! Come te!”. Scossi la testa, infastidita. Sentivo il suo sguardo sulla mia nuca, e per poco resistetti all’impulso di girarmi. Passò un’ora. Quando la prof di biologia fece il suo ingresso, salutò cordialmente il nuovo arrivato, che rispose a bassa voce: una voce calda, diversa, distaccata. Rabbrividii. Scampai per un pelo l’interrogazione, ma la mia fortuna non durò. L’ora dopo la prof di Letteratura mi chiamò con la voce strascicata. Sbuffai e mi alzai, sollevando debolmente la sedia. “Interroghiamo anche... Jim. Sei nuovo lo so, ma voglio vedere se sai qualcosa. Senza voto, ovviamente”. Sobbalzai, e guardai dietro di me. Lui si alzò e prese la sua sedia con noncuranza, attraversando la classe e piantandosi davanti alla cattedra. Feci lo stesso, mantenendo le distanze. “Ma guarda”, esclamò la vecchia arpia, “abbiamo qui due... punkettoni?”. “Punk”, risposi. E mi sorpresi, notando che lui aveva fatto lo stesso. “Punkettoni è un termine obsoleto”, continuò a bassa voce, guardando la prof. Tornai a fissare il bordo inciso della cattedra: grigi. Aveva gli occhi di un grigio assurdo. L’interrogazione mi andò bene: ovvero, presi un insulso 6. Non m’importava. Tornai quasi di corsa al banco, e mi piantai sulla sedia. Rose sussultò: “Stai bene?”. Non risposi. No, non stavo affatto bene. La giornata, lentamente e disgraziatamente, passò. Arrivata a casa, mi sentii ancora peggio, e vomitai il nulla nel gabinetto del bagno vicino alla mia stanza. Tornai barcollante sul mio letto e accesi lo stereo a un volume altissimo: i miei non erano a casa. Ebbi tutto il tempo di pensare. Chi era? Chi era, e cos’aveva per farmi sentire così? E soprattutto, cosa sentivo realmente? Nulla. Sentivo il vuoto.
  
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