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Autore: Daphne_Descends    17/08/2010    3 recensioni
Santa Barbara, California.
Daniel Smith aveva sempre avuto delle certezze: la terra sarebbe sempre girata intorno al sole, i Gauchos avrebbero vinto il campionato e lui non sarebbe mai riuscito a sopportare May Harris.
Ma non sempre nella vita tutto va come ti aspetti e se di mezzo c'è anche l'amore allora sei proprio fregato.
Genere: Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Universitario
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She’d be California

 

 

L’aria calda entrava dal finestrino abbassato della mia vecchia utilitaria, scompigliandomi i capelli e rombandomi nelle orecchie, mentre il lungomare californiano mi scorreva di fianco.
Nonostante il sole del primo pomeriggio infiammasse il terreno, ero deciso a farmi una nuotata rinfrescante, dopo aver passato tutta la mattina a servire clienti nel bar del vecchio Al, amico di famiglia e mio datore di lavoro.
Rallentai in prossimità dei parcheggi e mi infilai accanto ad una monovolume, spegnendo il motore e rilasciando il respiro. Anche quella volta ero riuscito ad arrivare a destinazione.
Tirai fuori il cellulare dalla tasca dei bermuda e composi velocemente un numero che ormai conoscevo a memoria; lo sentii suonare un paio di volte, finché una voce allegra si sostituì al segnale di chiamata.
«Ehi, Dan! Ma dove diamine sei finito?! Ti sto aspettando da un’eternità!»
Roteai gli occhi, esasperato dall’atteggiamento di quello che, purtroppo, era il mio migliore amico «Ho avuto un contrattempo, sono arrivato soltanto adesso. Tu dove sei?»
«Solito posto, oggi c’è anche una vista fantastica, non so se mi spiego» rispose malizioso, ridacchiando subito dopo tra sé, come un perfetto idiota.
Ignorai la sua ultima uscita «Adesso arrivo, cerca di trattenerti» dissi sarcasticamente, sperando che non si facesse cacciare a pedate da chi formava la vista fantastica.
Chiusi la chiamata e mi voltai a prendere lo zaino malandato dal sedile del passeggero, ma in quel momento sentii un colpo contro la macchina e un fastidioso rumore di metallo strisciato. Non mi ci volle molto a capire che qualcuno, probabilmente un incapace, aveva centrato la mia auto durante la complicata impresa di parcheggiare la sua lucente decappottabile.
Guardai fuori dal finestrino con una smorfia scocciata e incontrai gli occhi azzurrissimi di Juliet Harris, indiscussa reginetta del liceo per due anni consecutivi, ora al secondo anno dell’università di Yale e mia dirimpettaia.
Mi salutò con un sorriso e un cenno della mano «Scusa Daniel, ma May non ha frenato abbastanza» lanciò un’occhiataccia alla ragazza al suo fianco, che sbuffò, sollevando la frangia bionda, e spense la macchina.
«Tanto una botta in più o una in meno» disse scrollando le spalle e guadagnandosi una lieve gomitata e uno sguardo eloquente, che la obbligarono a tirarsi su gli occhiali da sole e fissarmi intensamente con le stesse iridi azzurre di Juliet «Scusami tanto Smith, ma il tuo catorcio è passato inosservato».
«Non avevo dubbi Harris, a te passano inosservate molte cose, anche l’assenza di un cervello» ribattei seccato.
«Sempre il solito simpatico».
La ignorai e mi decisi finalmente a scendere e dare un’occhiata al danno subito dalla mia auto: c’era una piccola botta vicino al faro posteriore e una riga che si confondeva con il resto della carrozzeria ammaccata. Tanto una botta in più o una in meno.
«Non è nulla di grave, spero» disse Juliet, avvicinandosi preoccupata.
La rassicurai scuotendo la testa e mi caricai lo zaino su una spalla.
«Visto?» disse May, lanciandole una borsa pescata dal bagagliaio «Ti preoccupi troppo».
«Certo che mi preoccupo, visto che poi devo sempre rimediare ai tuoi guai» si scostò con stizza una ciocca di capelli castani dal viso, puntando lo sguardo sulla sorella.
«Non ce n’è bisogno, sono capace di cavarmela da sola. E poi finiscila di comportarti da sorella maggiore, sono nata ben tre minuti prima di te!» berciò May, afferrando il suo borsone e chiudendo con stizza la macchina.
«Appunto, quindi sono io la maggiore e come tale sono responsabile delle tue azioni».
«Beh, vi saluto» mi intromisi, ben deciso ad evitare di assistere all’ennesimo litigio tra sorelle.
Entrambe si voltarono verso di me, guardandomi con gli stessi occhi azzurri e lo stesso viso dolce, peccato che quello di May fosse piegato in una smorfia.
Mi allontanai di fretta, mentre loro riprendevano la discussione, e diedi un’occhiata all’orologio, dirigendomi verso la spiaggia affollata.
 

Trovai Ryan sdraiato sul suo asciugamano rosso, a pochi metri di distanza da un gruppo di ragazze chiacchierine e sorridenti. Buttai lo zaino al suo fianco, facendogli volare un po’ di sabbia in faccia; lui tossì e aprì gli occhi chiari infuriato, ma si rilassò quasi subito.
«Finalmente! Pensavo ti fossi perso» si mise seduto, mentre tiravo fuori il mio asciugamano e lo stendevo accanto al suo.
«Ho avuto un contrattempo» dissi laconico, togliendomi le scarpe e la maglietta.
«Tu hai sempre dei contrattempi» si lamentò, passandosi una mano tra i capelli biondi e lanciando un’occhiata al gruppetto alla nostra sinistra «Inizio a pensare che siano tutte balle, sai?»
Alzai gli occhi al cielo e tornai a fissarlo da dietro le lenti scure dei miei occhiali «May mi ha tamponato mentre parcheggiava».
«Oh. Non le hanno ancora tolto la patente?»
«Evidentemente no» mi tolsi gli occhiale da sole e gli feci un cenno col capo, avviandomi verso l’oceano per il primo bagno della giornata.



 

«Mi passi il sacco, tesoro?»
Con un sospiro impercettibile avvicinai il bidone del pattume alla figura chinata di mia madre, intenta a togliere le erbacce dal nostro giardino.
Adoravo mia madre, sul serio, ma l’avrei adorata ancora di più se non mi avesse acciuffato al ritorno dalla spiaggia, non appena messo piede giù dalla macchina.
Durante l’anno vivevo al campus, nonostante l’università di Santa Barbara non fosse lontana, e tornavo solo per i fine settimana e le vacanze. Preferivo stare lì, senza distrazioni e in grado di poter organizzare il mio tempo come più mi piaceva; senza contare che il campus era come una piccola città e non avevo bisogno di uscire per procurarmi l’indispensabile, avrei potuto addirittura girare in bicicletta.
Quindi approfittavo delle vacanze per stare con i miei genitori e quella peste del mio fratellino.
«Danny, giochi con me?» mi chiese Damon, saltellando giù dai gradini del portico con la sua adorata palla da football e un sorrisone sul volto.
Feci una smorfia, scostandomi un ciuffo da davanti agli occhi «Non posso, sto aiutando mamma».
«Non preoccuparti caro, andate pure a giocare» agitò una mano guantata e riprese a lottare contro una pianta infestante dalle radici particolarmente robuste.
Mollai il bidone esasperato: prima mi obbligava a darle una mano e poi mi cacciava via!
Damon corse a qualche metro di distanza e si girò verso di me, agitando la palla sopra la testa.
«Va bene, vai» mi arresi, sistemandomi meglio gli occhiali da sole e stirando i muscoli della schiena.
Mio fratello lanciò con forza il pallone ovale e io non ebbi difficoltà ad afferrarlo, mettendoci soltanto un attimo per ritirarglielo.
Damon sognava di diventare un quarterback professionista, non avevo la più pallida idea del perché, e appena poteva ne approfittava per allenarsi. In realtà ne avrebbe dovuta fare parecchia di strada per anche soltanto pensare di poter resistere ad un placcaggio, visto il suo fisico mingherlino, ma lui non si arrendeva e continuava a provarci ed era una cosa che ammiravo parecchio, nonostante mi premurassi di non farglielo sapere.
Personalmente preferivo il basket e avrei potuto passare ore a palleggiare su un campo qualsiasi, ma purtroppo nella mia vita dovevo trovare spazio anche per lo studio.
«Ehi, Dan» mi chiamò Damon, andando a recuperare il pallone mancato «Sai che il fratello di Josh sta organizzando un torneo di beach volley per il quartiere?»
«No, ti prego» mormorai esasperato «Quell’idiota di Matt non sa nemmeno giocarci a beach volley».
A basket era un grande playmaker, ma non sapeva nemmeno fare una battuta.  A pallavolo e in qualsiasi altro senso.
Damon scrollò le spalle e tirò la palla «Dice che possono partecipare tutti, senza limite di età» iniziavo a capire dove volesse arrivare «Fai squadra con me? Io e Josh abbiamo scommesso: chi perde paga il cinema».
«Dom, sai che non sono capace» soffiai, massaggiandomi una tempia «Non so quanto ti convenga avermi come compagno».
Lui si imbronciò «Per favore! Almeno facciamo qualcosa insieme!»
«Non vuoi vincere?»
«Sì, ma voglio giocare con te! E poi Josh gioca con Matt e Matt ha detto di obbligarti a partecipare!»
Alla prima occasione l’avrei di sicuro fatto secco «E va bene, ci sto!» esclamai arreso «Ma la prossima volta facciamo qualche tiro a canestro, invece di football».
Damon esultò e tirò la palla con troppa forza, facendola finire ben oltre la mia testa e su quella di qualcuno che imprecò poco finemente.
«Chi è l’incapace?» sibilò May, massaggiandosi il capo e fulminandoci, mentre con una mano teneva il pallone.
Mia madre ridacchiò, con i guanti e il viso sporchi di terra, e Damon si illuminò «Ciao May!» esclamò correndole incontro.
Purtroppo i miei genitori e i signori Harris erano buoni amici e, di conseguenza, la mia famiglia adorava le due gemelle; mia madre in particolare aveva una predilezione per May, anche se proprio non riuscivo a capire il perché.
Mi avvicinai svogliato, mentre Damon aggiornava May sulle novità del quartiere, non pensando alle terribili conseguenze che ne sarebbero scaturite.
Perché purtroppo May Harris era una grande appassionata di pallavolo, tanto quanto Damon lo era di football e mia madre di giardinaggio, e, purtroppo, era anche attaccante della squadra femminile del college e colpiva la palla con una violenza impensabile per il suo fisico minuto. Quindi sì, bravo Dom, per averci appena procurato l’avversaria più terribile della zona.
«Beach volley? Interessante» Per l’appunto «Voi partecipate?»
Damon annuì con un sorriso «Dan gioca con me! Dobbiamo assolutamente battere Josh e Matt!»
May mi lanciò un’occhiata divertita «Ma tuo fratello è sicuro di sapere come si gioca?» chiese con un ghigno.
La fulminai «Certo che sì, grazie tante» sibilai irritato. Sapeva sempre tirare fuori il peggio di me, il problema era che con mia madre presente non potevamo insultarci come al solito.
«Era pura e semplice curiosità!» alzò le mani con una finta aria innocente, provocando le risate della mia solidale genitrice, che stava iniziando a riporre i suoi attrezzi da giardiniera pazza per andare a preparare la cena «In realtà sono venuta qui per un altro motivo: devo parlarti» mi disse, tornando seria.
Tirai su gli occhiali da sole e la fissai con una smorfia: quando May voleva parlarmi, dovevo sempre aspettarmi il peggio.
«Non fare quella faccia, sembri costipato!» ribatté lei, gentile come sempre, chiaro segno che mia madre era appena rientrata in casa, portandosi dietro Damon.
«Cosa vuoi?»
«Hai presente Hazel Green?» mi chiese, portandosi indietro una ciocca di capelli biondi con un colpo distratto della mano.
«Chi, la rossa con la quarta?» E i genitori fuori di testa? Chi mai chiamerebbe la propria figlia “nocciola”, quando il suo cognome è Green?
L’occhiataccia che mi lanciò mi fece desiderare non aver mai parlato «Esattamente» sibilò «La rossa con la quarta finta».
Regola numero uno: non parlare con una ragazza facilmente irritabile del seno di qualcun’altra.
«Sì e allora? Cosa ti ha fatto Hazel Green?» La domanda più appropriata sarebbe stata: cosa hai fatto ad Hazel Green, ma se l’avessi detta probabilmente avrei scatenato una delle solite scenate e, dopo una giornata piena come quella, avrei preferito decisamente non sprecare altre energie litigando con May.
«Mi ha sfidato per una questione che non ti deve interessare, quella brutta tro-».
«Aspetta un attimo» la interruppi, prima che iniziasse ad insultare la Green «Cosa vuoi da me?»
Roteò gli occhi azzurrissimi, storcendo il naso abbronzato «Se mi fai finire, ci arrivo» sospirò, come a prendere coraggio, e sputò fuori «Mi devi insegnare a giocare a basket».
Non registrai subito le sue parole, perché mi sembravano assurde: May non amava il basket, probabilmente perché giocavamo nello stesso centro sportivo e i nostri allenatori litigavano sempre per il campo, quindi il solo fatto che volesse imparare mi lasciava a bocca aperta.
«Perché?!»
«Perché la tua adorata Hazel mi ha sfidato ad una partita di basket, visto che entrambe non sappiamo giocarci!»
«Ehi, non è la “mia adorata Hazel”!  Non la conosco neanche!»
May incrociò le braccia, chiaramente irritata «Beh, sta’ sicuro che non ti perdi niente. Allora, hai intenzione di darmi una mano? Deciditi, altrimenti mi tocca chiederlo a quel borioso di Wilson».
Entrambi facemmo una smorfia al pensiero della felicità di Matt se l’avesse saputo, vista la sua ben conosciuta cotta per May.
«Va bene» acconsentii di malavoglia «Almeno posso insultarti quando sbagli».
«Non ci conterei se fossi in te» ribatté, col naso per aria «Sarò talmente brava che non riuscirai nemmeno a toccare palla!»
Alzai un sopracciglio scettico, mentre si voltò per andarsene, salutandomi con una mano e la solita aria indisponente.
Non rimasi a guardarla arrivare fino a casa sua, sinceramente mi interessava poco e avrei potuto essere insultato per averle fissato il sedere, anche se non era certo la mia aspirazione, a differenza di Matt.
Ma all’ultimo mi ricordai di una cosa e dovetti per forza correrle dietro, prima che rientrasse in casa «Ehi, Harris!» la chiamai, attraversando la strada.
May si girò sorpresa, cercando di assumere un’espressione infastidita, e mi fece un cenno del capo per spingermi a parlare. Almeno non mi aveva ancora insultato.
«Quando avete la sfida?» chiesi, appoggiandomi alla ringhiera del suo portico.
«Tra due settimane».
«Due settimane? Come pretendete di imparare a giocare a basket in due settimane?!»
Incrociò le braccia, alzando gli occhi al cielo «Che palle, dobbiamo solo fare qualche canestro, non è una sfida da professionisti».
Scossi la testa, lasciando perdere la questione «Domani mattina sei libera?»
«Sul tardi, però. Tu potrai anche svegliarti al canto del gallo e ammirare il sole nascente, ma io vorrei dormire, sai?»
Quella volta toccò a me alzare gli occhi al cielo, esasperato «Facciamo verso le dieci?»
«Ok».
La salutai con un cenno del capo e mi voltai per tornarmene indietro, avvertendo per tutto il tempo il suo sguardo azzurro e penetrante addosso.

 
Si dice che il primo amore non si scorda mai, che è speciale e va custodito per sempre.
Beh, io invece avrei proprio voluto dimenticarlo, soprattutto perché non mi aveva portato altro che un sacco di problemi e scocciature. Come May Harris e il suo carattere irritante.
Perché mai mi ero innamorato di Juliet?
Era innegabilmente bella e perfetta sotto ogni punto di vista, ma mi erano bastati pochi anni per stufarmene. Mi piaceva ancora parlare con lei ed era rilassante stare in sua compagnia, ma solo come amica. Niente di più.
In compenso sua sorella era insopportabile e nonostante ci conoscessimo da una vita non riuscivamo ancora ad andare d’accordo.
Seguiva più o meno i miei stessi corsi in università, era nel mio stesso dormitorio e frequentava i miei stessi locali. Un vero incubo.
Me la ritrovavo sempre tra i piedi, sia durante l’anno accademico sia in vacanza.

 
Davvero, non c’era persona al mondo che sopportavo meno di May Harris.









 

N/A: Salve a tutti! Questa è la versione riveduta e totalmente cambiata di una storia che stavo scrivendo un po’ di tempo fa. Mi è venuta voglia di pubblicarla, anche se l’ho praticamente solo iniziata, e spero vi possa interessare.
 
L’università di Santa Barbara, così come la città (luogo in cui sarà ambientata la storia), esiste davvero e personalmente me ne sono innamorata, tanto che ormai è diventata la mia università da sogno. Non ci sono mai stata (purtroppo) quindi non so come possa realmente essere, le informazioni sono tutte state prese da Wikipedia e ho dato un’occhiata con Street View di Google Maps. Sinceramente vi consiglio di andarla a cercare, credetemi ne vale proprio la pena!
 
Il titolo del capitolo è il titolo di una canzone dei Rascal Flatts, trovata per caso mentre ascoltavo dei video su YouTube e devo dire che è perfetta!
 
Avviso per chi segue le altre mie storie: non preoccupatevi perché prima o poi le aggiornerò, solo che in questo periodo faccio un po’ fatica a scrivere, sarà l’estate! Comunque non ho intenzione di lasciarle incomplete, basta avere pazienza e riuscirete a leggere la fine!
 
Volevo poi ringraziare Yellow_B (sperando che passi di qui) per aver letto e recensito quasi tutte le mie storie, mi ha fatto moltissimo piacere, sul serio! Spero che continuerai a seguirmi!

 
Grazie per aver letto, spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo, anche se non so quando sarà!

   
 
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