She’d
be
California
L’aria
calda entrava dal
finestrino abbassato della mia vecchia utilitaria, scompigliandomi i
capelli e
rombandomi nelle orecchie, mentre il lungomare californiano mi scorreva
di
fianco.
Nonostante il sole del
primo pomeriggio infiammasse il terreno, ero deciso a farmi una nuotata
rinfrescante, dopo aver passato tutta la mattina a servire clienti nel
bar del
vecchio Al, amico di famiglia e mio datore di lavoro.
Rallentai in prossimità
dei parcheggi e mi infilai accanto ad una monovolume, spegnendo il
motore e
rilasciando il respiro. Anche
quella volta ero riuscito ad arrivare a
destinazione.
Tirai fuori il cellulare
dalla tasca dei bermuda e composi velocemente un numero che ormai
conoscevo a
memoria; lo sentii suonare un paio di volte, finché una voce
allegra si
sostituì al segnale di chiamata.
«Ehi, Dan! Ma dove diamine
sei finito?! Ti sto aspettando da
un’eternità!»
Roteai gli occhi,
esasperato dall’atteggiamento di quello che, purtroppo, era
il mio migliore
amico «Ho avuto un contrattempo, sono arrivato soltanto
adesso. Tu dove sei?»
«Solito posto, oggi c’è
anche una vista fantastica, non so se mi spiego» rispose
malizioso,
ridacchiando subito dopo tra sé, come un perfetto idiota.
Ignorai la sua ultima
uscita «Adesso arrivo, cerca di trattenerti» dissi
sarcasticamente, sperando
che non si facesse cacciare a pedate da chi formava la
vista fantastica.
Chiusi la chiamata e mi
voltai a prendere lo zaino malandato dal sedile del passeggero, ma in
quel
momento sentii un colpo contro la macchina e un fastidioso rumore di
metallo
strisciato. Non mi ci volle molto a capire che qualcuno, probabilmente
un
incapace, aveva centrato la mia auto durante la complicata impresa di
parcheggiare la sua lucente decappottabile.
Guardai fuori dal
finestrino con una smorfia scocciata e incontrai gli occhi azzurrissimi
di
Juliet Harris, indiscussa reginetta del liceo per due anni consecutivi,
ora al
secondo anno dell’università di Yale e mia
dirimpettaia.
Mi salutò con un sorriso e
un cenno della mano «Scusa Daniel, ma May non ha frenato
abbastanza» lanciò
un’occhiataccia alla ragazza al suo fianco, che
sbuffò, sollevando la frangia
bionda, e spense la macchina.
«Tanto una botta in più o
una in meno» disse scrollando le spalle e guadagnandosi una
lieve gomitata e
uno sguardo eloquente, che la obbligarono a tirarsi su gli occhiali da
sole e
fissarmi intensamente con le stesse iridi azzurre di Juliet «Scusami
tanto
Smith, ma il tuo catorcio è passato inosservato».
«Non avevo dubbi Harris, a
te passano inosservate molte cose, anche l’assenza di un
cervello» ribattei
seccato.
«Sempre il solito
simpatico».
La ignorai e mi decisi
finalmente a scendere e dare un’occhiata al danno subito
dalla mia auto: c’era
una piccola botta vicino al faro posteriore e una riga che si
confondeva con il
resto della carrozzeria ammaccata. Tanto
una botta in più o una in meno.
«Non è nulla di grave,
spero» disse Juliet, avvicinandosi preoccupata.
La rassicurai scuotendo la
testa e mi caricai lo zaino su una spalla.
«Visto?» disse May, lanciandole
una borsa pescata dal bagagliaio «Ti preoccupi
troppo».
«Certo che mi preoccupo,
visto che poi devo sempre rimediare ai tuoi guai» si
scostò con stizza una
ciocca di capelli castani dal viso, puntando lo sguardo sulla sorella.
«Non ce n’è bisogno, sono
capace di cavarmela da sola. E poi finiscila di comportarti da sorella
maggiore, sono nata ben tre minuti prima di te!»
berciò May, afferrando il suo
borsone e chiudendo con stizza la macchina.
«Appunto, quindi sono io
la maggiore e come tale sono responsabile delle tue azioni».
«Beh, vi saluto» mi
intromisi, ben deciso ad evitare di assistere all’ennesimo
litigio tra sorelle.
Entrambe si voltarono
verso di me, guardandomi con gli stessi occhi azzurri e lo stesso viso
dolce,
peccato che quello di May fosse piegato in una smorfia.
Mi allontanai di fretta,
mentre loro riprendevano la discussione, e diedi un’occhiata
all’orologio,
dirigendomi verso la spiaggia affollata.
Trovai
Ryan sdraiato sul
suo asciugamano rosso, a pochi metri di distanza da un gruppo di
ragazze
chiacchierine e sorridenti. Buttai lo zaino al suo fianco, facendogli
volare un
po’ di sabbia in faccia; lui tossì e
aprì gli occhi chiari infuriato, ma si
rilassò quasi subito.
«Finalmente! Pensavo ti
fossi perso» si mise seduto, mentre tiravo fuori il mio
asciugamano e lo
stendevo accanto al suo.
«Ho avuto un contrattempo»
dissi laconico, togliendomi le scarpe e la maglietta.
«Tu hai sempre dei
contrattempi» si lamentò, passandosi una mano tra
i capelli biondi e lanciando
un’occhiata al gruppetto alla nostra sinistra
«Inizio a pensare che siano tutte
balle, sai?»
Alzai gli occhi al cielo e
tornai a fissarlo da dietro le lenti scure dei miei occhiali
«May mi ha
tamponato mentre parcheggiava».
«Oh. Non le hanno ancora
tolto la patente?»
«Evidentemente no» mi
tolsi gli occhiale da sole e gli feci un cenno col capo, avviandomi
verso
l’oceano per il primo bagno della giornata.
«Mi
passi il sacco,
tesoro?»
Con un sospiro
impercettibile avvicinai il bidone del pattume alla figura chinata di
mia madre,
intenta a togliere le erbacce dal nostro giardino.
Adoravo mia madre, sul
serio, ma l’avrei adorata ancora di più se non mi
avesse acciuffato al ritorno
dalla spiaggia, non appena messo piede giù dalla macchina.
Durante l’anno vivevo al
campus, nonostante l’università di Santa Barbara
non fosse lontana, e tornavo
solo per i fine settimana e le vacanze. Preferivo stare lì,
senza distrazioni e
in grado di poter organizzare il mio tempo come più mi
piaceva; senza contare
che il campus era come una piccola città e non avevo bisogno
di uscire per
procurarmi l’indispensabile, avrei potuto addirittura girare
in bicicletta.
Quindi approfittavo delle
vacanze per stare con i miei genitori e quella peste del mio fratellino.
«Danny, giochi con me?» mi
chiese Damon, saltellando giù dai gradini del portico con la
sua adorata palla
da football e un sorrisone sul volto.
Feci una smorfia,
scostandomi un ciuffo da davanti agli occhi «Non posso, sto
aiutando mamma».
«Non preoccuparti caro,
andate pure a giocare» agitò una mano guantata e
riprese a lottare contro una
pianta infestante dalle radici particolarmente robuste.
Mollai il bidone
esasperato: prima mi obbligava a darle una mano e poi mi cacciava via!
Damon corse a qualche
metro di distanza e si girò verso di me, agitando la palla
sopra la testa.
«Va bene, vai» mi arresi,
sistemandomi meglio gli occhiali da sole e stirando i muscoli della
schiena.
Mio fratello lanciò con
forza il pallone ovale e io non ebbi difficoltà ad
afferrarlo, mettendoci
soltanto un attimo per ritirarglielo.
Damon sognava di diventare
un quarterback professionista, non avevo la più pallida idea
del perché, e
appena poteva ne approfittava per allenarsi. In realtà ne
avrebbe dovuta fare
parecchia di strada per anche soltanto pensare di poter resistere ad un
placcaggio, visto il suo fisico mingherlino, ma lui non si arrendeva e
continuava a provarci ed era una cosa che ammiravo parecchio,
nonostante mi
premurassi di non farglielo sapere.
Personalmente preferivo il
basket e avrei potuto passare ore a palleggiare su un campo qualsiasi,
ma
purtroppo nella mia vita dovevo trovare spazio anche per lo studio.
«Ehi, Dan» mi chiamò
Damon, andando a recuperare il pallone mancato «Sai che il
fratello di Josh sta
organizzando un torneo di beach volley per il quartiere?»
«No, ti prego» mormorai
esasperato «Quell’idiota di Matt non sa nemmeno
giocarci a beach volley».
A basket era un grande
playmaker, ma non sapeva nemmeno fare una battuta. A
pallavolo e in qualsiasi altro senso.
Damon scrollò le spalle e
tirò la palla «Dice che possono partecipare tutti,
senza limite di età»
iniziavo a capire dove volesse arrivare «Fai squadra con me?
Io e Josh abbiamo
scommesso: chi perde paga il cinema».
«Dom, sai che non sono
capace» soffiai, massaggiandomi una tempia «Non so
quanto ti convenga avermi
come compagno».
Lui si imbronciò «Per
favore! Almeno facciamo qualcosa insieme!»
«Non vuoi vincere?»
«Sì, ma voglio giocare con
te! E poi Josh gioca con Matt e Matt ha detto di obbligarti a
partecipare!»
Alla prima occasione
l’avrei di sicuro fatto secco «E va bene, ci
sto!» esclamai arreso «Ma la
prossima volta facciamo qualche tiro a canestro, invece di
football».
Damon esultò e tirò la
palla con troppa forza, facendola finire ben oltre la mia testa e su
quella di
qualcuno che imprecò poco finemente.
«Chi è l’incapace?»
sibilò
May, massaggiandosi il capo e fulminandoci, mentre con una mano teneva
il
pallone.
Mia madre ridacchiò, con i
guanti e il viso sporchi di terra, e Damon si illuminò
«Ciao May!» esclamò
correndole incontro.
Purtroppo i miei genitori
e i signori Harris erano buoni amici e, di conseguenza, la mia famiglia
adorava
le due gemelle; mia madre in particolare aveva una predilezione per
May, anche
se proprio non riuscivo a capire il perché.
Mi avvicinai svogliato,
mentre Damon aggiornava May sulle novità del quartiere, non
pensando alle
terribili conseguenze che ne sarebbero scaturite.
Perché purtroppo May
Harris era una grande appassionata di pallavolo, tanto quanto Damon lo
era di
football e mia madre di giardinaggio, e, purtroppo, era anche
attaccante della
squadra femminile del college e colpiva la palla con una violenza
impensabile
per il suo fisico minuto. Quindi
sì, bravo Dom, per averci appena procurato
l’avversaria più terribile della zona.
«Beach volley? Interessante»
Per l’appunto
«Voi partecipate?»
Damon annuì con un sorriso
«Dan gioca con me! Dobbiamo assolutamente battere Josh e
Matt!»
May mi lanciò un’occhiata
divertita «Ma tuo fratello è sicuro di sapere come
si gioca?» chiese con un
ghigno.
La fulminai «Certo che sì,
grazie tante» sibilai irritato. Sapeva sempre tirare fuori il
peggio di me, il
problema era che con mia madre presente non potevamo insultarci come al
solito.
«Era pura e semplice
curiosità!» alzò le mani con una finta
aria innocente, provocando le risate
della mia solidale genitrice, che stava iniziando a riporre i suoi
attrezzi da
giardiniera pazza per andare a preparare la cena «In
realtà sono venuta qui per
un altro motivo: devo parlarti» mi disse, tornando seria.
Tirai su gli occhiali da
sole e la fissai con una smorfia: quando May voleva parlarmi, dovevo
sempre
aspettarmi il peggio.
«Non
fare quella faccia, sembri costipato!» ribatté
lei, gentile come sempre, chiaro
segno che mia madre era appena rientrata in casa, portandosi dietro
Damon.
«Cosa
vuoi?»
«Hai
presente Hazel Green?» mi chiese, portandosi indietro una
ciocca di capelli
biondi con un colpo distratto della mano.
«Chi,
la rossa con la quarta?» E
i genitori fuori di testa? Chi
mai
chiamerebbe la propria figlia “nocciola”, quando il
suo cognome è Green?
L’occhiataccia
che mi lanciò mi fece desiderare non aver mai parlato
«Esattamente» sibilò «La
rossa con la quarta finta».
Regola
numero uno: non parlare con una ragazza facilmente irritabile del seno
di
qualcun’altra.
«Sì
e allora? Cosa ti ha fatto Hazel Green?» La domanda
più appropriata sarebbe
stata: cosa hai
fatto ad Hazel Green, ma se l’avessi detta probabilmente
avrei scatenato una delle solite scenate e, dopo una giornata piena
come
quella, avrei preferito decisamente non sprecare altre energie
litigando con
May.
«Mi
ha sfidato per una questione che non ti deve interessare, quella brutta
tro-».
«Aspetta
un attimo» la interruppi, prima che iniziasse ad insultare la
Green «Cosa vuoi
da me?»
Roteò
gli occhi azzurrissimi, storcendo il naso abbronzato «Se mi
fai finire, ci
arrivo» sospirò, come a prendere coraggio, e
sputò fuori «Mi devi insegnare a
giocare a basket».
Non
registrai subito le sue parole, perché mi sembravano
assurde: May non amava il
basket, probabilmente perché giocavamo nello stesso centro
sportivo e i nostri
allenatori litigavano sempre per il campo, quindi il solo fatto che
volesse
imparare mi lasciava a bocca aperta.
«Perché?!»
«Perché
la tua adorata Hazel mi ha sfidato ad una partita di basket, visto che
entrambe
non sappiamo giocarci!»
«Ehi,
non è la “mia adorata Hazel”! Non
la
conosco neanche!»
May
incrociò le braccia, chiaramente irritata «Beh,
sta’ sicuro che non ti perdi
niente. Allora, hai intenzione di darmi una mano? Deciditi, altrimenti
mi tocca
chiederlo a quel borioso di Wilson».
Entrambi
facemmo una smorfia al pensiero della felicità di Matt se
l’avesse saputo,
vista la sua ben conosciuta cotta per May.
«Va
bene» acconsentii di malavoglia «Almeno posso
insultarti quando sbagli».
«Non
ci conterei se fossi in te» ribatté, col naso per
aria «Sarò talmente brava che
non riuscirai nemmeno a toccare palla!»
Alzai
un sopracciglio scettico, mentre si voltò per andarsene,
salutandomi con una
mano e la solita aria indisponente.
Non
rimasi a guardarla arrivare fino a casa sua, sinceramente mi
interessava poco e
avrei potuto essere insultato per averle fissato il sedere, anche se
non era
certo la mia aspirazione, a differenza di Matt.
Ma
all’ultimo mi ricordai di una cosa e dovetti per forza
correrle dietro, prima
che rientrasse in casa «Ehi, Harris!» la chiamai,
attraversando la strada.
May
si girò sorpresa, cercando di assumere
un’espressione infastidita, e mi fece un
cenno del capo per spingermi a parlare. Almeno
non mi aveva ancora insultato.
«Quando
avete la sfida?» chiesi, appoggiandomi alla ringhiera del suo
portico.
«Tra
due settimane».
«Due
settimane? Come pretendete di imparare a giocare a basket in due
settimane?!»
Incrociò
le braccia, alzando gli occhi al cielo «Che palle, dobbiamo
solo fare qualche
canestro, non è una sfida da professionisti».
Scossi
la testa, lasciando perdere la questione «Domani mattina sei
libera?»
«Sul
tardi, però. Tu potrai anche svegliarti al canto del gallo e
ammirare il sole
nascente, ma io vorrei dormire, sai?»
Quella
volta toccò a me alzare gli occhi al cielo, esasperato
«Facciamo verso le
dieci?»
«Ok».
La
salutai con un cenno del capo e mi voltai per tornarmene indietro,
avvertendo
per tutto il tempo il suo sguardo azzurro e penetrante addosso.
Si
dice che il primo amore non si scorda mai, che è speciale e
va custodito per
sempre.
Beh,
io invece avrei proprio voluto dimenticarlo, soprattutto
perché non mi aveva
portato altro che un sacco di problemi e scocciature. Come May Harris e
il suo
carattere irritante.
Perché
mai mi ero innamorato di Juliet?
Era
innegabilmente bella e perfetta sotto ogni punto di vista, ma mi erano
bastati
pochi anni per stufarmene. Mi piaceva ancora parlare con lei ed era
rilassante
stare in sua compagnia, ma solo come amica. Niente di più.
In
compenso sua sorella era insopportabile e nonostante ci conoscessimo da
una
vita non riuscivamo ancora ad andare d’accordo.
Seguiva
più o meno i miei stessi corsi in università, era
nel mio stesso dormitorio e
frequentava i miei stessi locali. Un
vero incubo.
Me
la ritrovavo sempre tra i piedi, sia durante l’anno
accademico sia in vacanza.
Davvero, non c’era persona
al mondo che sopportavo meno di May Harris.
N/A:
Salve a tutti! Questa è la versione riveduta e
totalmente cambiata di una storia che stavo scrivendo un po’
di tempo fa. Mi è
venuta voglia di pubblicarla, anche se l’ho praticamente solo
iniziata, e spero
vi possa interessare.
L’università di Santa
Barbara, così come la città (luogo in cui
sarà ambientata la storia), esiste
davvero e personalmente me ne sono innamorata, tanto che ormai
è diventata la
mia università da sogno. Non ci sono mai stata (purtroppo)
quindi non so come
possa realmente essere, le informazioni sono tutte state prese da
Wikipedia e
ho dato un’occhiata con Street View di Google Maps.
Sinceramente vi consiglio
di andarla a cercare, credetemi ne vale proprio la pena!
Il titolo del capitolo è
il titolo di una canzone dei Rascal Flatts, trovata per caso mentre
ascoltavo
dei video su YouTube e devo dire che è perfetta!
Avviso per chi segue le
altre mie storie: non
preoccupatevi perché prima o poi le aggiornerò,
solo che in questo periodo
faccio un po’ fatica a scrivere, sarà
l’estate! Comunque non ho intenzione di
lasciarle incomplete, basta avere pazienza e riuscirete a leggere la
fine!
Volevo poi ringraziare Yellow_B
(sperando che passi di qui) per aver letto e recensito quasi tutte le
mie
storie, mi ha fatto moltissimo piacere, sul serio! Spero che
continuerai a
seguirmi!
Grazie per aver letto,
spero vogliate farmi sapere cosa ne pensate!
Al prossimo capitolo,
anche se non so quando sarà!