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Autore: Rick_Holden    19/08/2010    1 recensioni
Finché il ricordo rimarrà...
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sento la mascherina troppo stretta sulla mia bocca. L'aria ormai mi arriva a tratti lenti e dolorosi.

Minuto dopo minuto, secondo dopo secondo, riprovo in continuazione ad aprire i miei deboli occhi, ma è uno sforzo inutile, qualcosa al di sopra delle mie capacità in questo momento.

Provo ad alzare prima il braccio, poi le gambe, ma niente sembra più funzionare in questa prigione aperta che è diventato il mio corpo.

Riesco a sentire il freddo suono della macchina accanto a me che mi tiene sveglio con il suo continuo bip, che mai amerò tanto, perché finché sento quel suono, vuol dire che ancora qualcosa c'è, ancora sono qui. Ma se dovesse smettere. Se dovesse veramente fermarsi, non oso pensare cosa potrebbe succedere.

Sento ancora la calda mano di mia moglie stringere la mia con una stretta tale che non ricordavo tanta forza in lei da quando l'ho conosciuta. Riesco quasi a percepire il dolore dilaniante in lei che scende dai suoi occhi come gocce di rugiada rigandole il volto. Non vorrei mai vederla così, o sentirla in questo stato.

Ancora una volta la macchina alla mia destra squilla ed il mio breve sonno viene svegliato.

Anche mio figlio, poco più in la, mi osserva come mai prima d'ora. Non avevo mai sentito il suo sguardo pesante come questa volta. Vorrei potermi alzare e tranquillizzarlo, mettere una mano sulla sua spalla e abbracciarlo con tutta la forza che ho in corpo, ma, ora come ora, non ce n'è molta in questa scatola che sono diventato.

E così, all'improvviso, la macchina accanto a me comincia a tremare e il suo continuo bip cambia ritmo, come una disperata melodia di addio.

In pochi istanti ecco arrivare i medici accanto a me che cominciano a smuovere il mio corpo in ogni modo tentando di far smettere quella devastante canzoncina che emette la macchina alla mia sinistra. Mi stringono, mi rigirano, mi pungono con lunghi aghi, ma niente sembra funzionare. Ancora qualche bip e qualcosa smette.

La macchina ormai non si ferma più tra uno squillo e l'altro: un unico suono continua ad imperversare nelle mie orecchie con una velocità estremamente lenta.

Sto cadendo. Cadendo in basso. Sto cadendo.

 

Passano istanti, minuti, forse anni, non saprei dire, ma quando riapro gli occhi sono ancora qui, sul letto d'ospedale dove sono morto poco fa.

Alla mia sinistra il suono continua imperterrito, ma riesco a vedere tutto ora: mia moglie e mio figlio sono sopra al mio corpo in lacrime ed i medici si sono rifugiati il più lontano possibile con aria di arresa. Non ce l'hanno fatta ed ora si sentono impotenti di fronte a me, ma io li vedo e li capisco.

Finalmente sono riuscito ad aprire i miei occhi e riesco a sentire nuovamente tutto il mio corpo leggero come non mai: nessuna macchina, maschera o tubo mi stringe. Sono solo io, nella mia essenza più pura, e non mi sono mai sentito così libero come lo sono ora.

Alzo la mia mano per accarezzare mio figlio e tranquillizzarlo, ma nell'istante preciso in cui mi muovo mi accorgo che il mio corpo ormai non è con me. Non riesco più a toccarlo, quella che ho alzato non è la mia mano reale, ma qualcosa che le somiglia molto di più. Non saprei come descriverla, perché neanche io credo di riuscire a vederla, ma allo stesso tempo, sono sicuro di quello che ho davanti.

Mi piego sul lettino e mi tiro su osservando i miei due cari sulle mie gambe reali, poi scendo dal letto e guardo me stesso riflesso su quel debole materasso d'ospedale sotto tutte quelle lenzuola e fasce che fino a poco fa mi intrappolavano.

Cammino su questo pavimento senza neanche sapere cosa sto facendo, mi avvicino a mio figlio e mi appoggio su di lui in un dolce abbraccio che vorrei far durare più a lungo.

Il sole sale e riscende in questa giornata orribile in cui vedo i miei cari piangere davanti a me, davanti al mio corpo, dopodiché i due si muovono lentamente verso l'uscita, percorrono tutto il corridoio ed escono all'aperto nella notte. Vedo mia moglie salire nella nostra piccola macchina e mio figlio seguirla, e allora anche io li raggiungo e mi intrufolo all'interno poco prima che mia moglie riuscisse a richiudere lo sportello. Mi siedo li e li osservo tornare fino a casa, dove scendono e, con passo lento, raggiungono l'entrata, aprono la porta e subito si vanno a rifugiare nelle loro camere da letto.

Prima seguo mio figlio che arriva e si lancia sul suo comodo letto per abbracciare il suo dolce cuscino e portarselo al volto affogando le sue calde lacrime in un pianto soffocato che lentamente si va placando. Allora, li, accanto a lui, mi piego e lo abbraccio nuovamente, appoggiando la mia mano sulla sua spalla.

Io sono ancora qui. Sono qui per te, ti prego, non piangere.

Il ragazzo muove il braccio fino a stringere una foto. All'inizio, all'oscurità, non riesco a distinguere le persone all'interno di essa, poi, quando mio figlio la porta finalmente alla luce, capisco cosa abbia appena raccolto: è una foto di noi due, siamo io e lui davanti ad una macchinetta fotografica seduti sulla preziosa sabbia di una spiaggia soleggiata. Entrambi sorridiamo felici osservando mia moglie che ci scatta la foto dall'altra parte della macchinetta. Vedendoci li, entrambi sorridenti, l'uno accanto all'altro, non posso fare a meno di sorridere nostalgicamente con una nuova lacrima che scivola lenta anche sul mio volto.

Io sono qui. Sono qui per te.

Osservo mio figlio guardare la foto. Ora sorride, finalmente.

 

Esco dalla camera del ragazzo e lentamente, passo dopo passo, raggiungo quella di mia moglie, e la vedo li, ad osservare il letto, dove il mio corpo aveva ancora lasciato la sua forma su quelle lenzuola.

Gli occhi di lei sono lucidi nel contemplare le pieghe del letto e delle sue coperte, mentre si piega adagio e stringe forte a se quelle lenzuola.

Voglio estirpare via il suo dolore. Non ce la faccio a vederla così. Non ce la faccio.

Ed ora, mi sento furioso con me stesso per non essere stato in grado di resistere, per averla fatta soffrire così tanto e vorrei bastonarmi, punirmi in qualsiasi modo.

La donna si alza finalmente e si lascia cadere sul letto sdraiandosi dalla sua parte del letto accanto al punto in cui la forma del mio corpo è rimasta impressa sulle coperte. Allora io mi sdraio sul letto accanto a lei nel luogo preciso dove, fino a pochi giorni fa, ero solito dormire, e la stringo tra le mie braccia come facevo prima.

Ed ora, la forma sul letto è completa una volta ancora.

La abbraccio come non ho mai fatto prima e chiudo gli occhi.

E allora la sento sorridere.

Io sono qui. Sono qui per voi. E ci sarò. Per sempre.

 

  
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