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Autore: shootingstar_    19/08/2010    8 recensioni
La notte della fuga di Sirius da Grimmauld Place, 12.
Cosa ha portato Sirius a quell'atto di ribellione, uno dei più importanti della sua vita? Ho cercato di immaginarmelo esaminando il rapporto con il padre, con James e con Regulus.
Spero vi piaccia, recensioni ben accette :D
Dal testo:«Sei ancora convinto che i Black contino come un sangue sporco qualunque?» gli alitò in viso.
Per una volta ancora, il giovane lo guardò con la sfida e il fuoco negli occhi.
«Sì, papà».
Evitò di sbattere il sedere a terra e di fare un male assurdo atterrando in piedi, come un gatto.
Rise. «Ah, papà, papà. È questo che ti hanno insegnato, in anni e anni di nobiltà? Ad essere un violento, pronto ad uccidere tuo figlio per i tuoi stupidi ideali?».
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Famiglia Black, James Potter, Regulus Black, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
- Questa storia fa parte della serie 'Giuro solennemente di non avere buone intenzioni.'
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ESCAPE, via di fuga.

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Suo padre urlava, urlava come un pazzo già da dieci minuti. Urlava tanto da far venire mal di testa.
Sirius lo guardava senza dire niente, ancora seduto davanti al suo piatto.
La cosa buffa era che già non ricordava più cosa avesse fatto -o meglio, cosa non avesse fatto per rendere il suo caro papà così... viola.
Prese in mano la forchetta d'argento con inciso lo stemma dei Black. Diamine, non aveva ancora finito di mangiare. Infilzò una foglia di insalata verde e se la portò alla bocca. Sotto i denti rivelava quella sua natura croccante che a Sirius faceva proprio schifo.
«Che stai facendo?» sillabò suo padre, puntandogli gli occhi arrabbiati addosso.
Sirius alzò le spalle. «Ho fame».
«Ma allora non mi ascolti proprio, eh?!». Il viso del signor Black divenne, se possibile, ancora più viola. Una vena iniziò a pulsargli sul collo. «Parlo per caso a vanvera, disgraziato?».
Oh. Ecco perché avevano iniziato a discutere. Per il modo in cui lui metteva in bocca l'insalata, facendo un sacco di smorfie.
Sirius si rigirò la forchetta fra le mani. Ogni sera era la stessa storia, per un motivo e per l'altro qualcuno finiva per urlargli addosso. Ormai era una cosa trita e ritrita, oltre che fastidiosa.
Lasciò cadere la forchetta nel piatto e si spinse indietro con la sedia. Credeva che smettendo di mangiare la discussione si sarebbe chiusa lì.
Evidentemente, quella sera non era delle più fortunate, per Sirius.
«Stai attento con quelle forchette, ragazzo, sono antiche! Portano lo stemma dei Black!».
Incapace di trattenersi, Sirius sbottò: «Allora?».
Guardò il vecchio dritto negli occhi, con insolita insolenza anche per lui. Per un attimo, riuscì a zittire anche Orion Black. Fu solo per un attimo. L'uomo si sporse minaccioso verso il figlio, il busto mezzo appoggiato al tavolo ancora apparecchiato di tutto punto.
«Che cosa hai detto?» sibilò minaccioso. «Ripeti».
Sirius si alzò in piedi. Era quasi alto come lui, ormai. Qualcosa in questo lo faceva sentire potente, padrone della situazione per la prima volta dopo sedici anni di soprusi. Era come se una nuova e potente energia affluisse e defluisse continuamente dal suo corpo. Sapeva bene cosa fosse l'adrenalina, la sperimentava una volta al mese, durante l'anno scolastico ad Hogwarts, ma quello era molto, molto di più.
«Ho detto» esordì a voce chiara, «che non mi interessa, se queste forchette sono antiche o se portano lo stemma dei Black. Abbiamo tanti soldi, potremmo comprarne di nuove, invece che usare quelle di due secoli fa, non ti pare? È anche questione di igiene».
Sorrise fra sé. Il discorso dei soldi e dell'igiene non era per niente necessario, era ovvio anche per lui, ma non era riuscito a frenare la lingua. Aveva detto ciò che pensava, comunque; e in ogni modo, visto che aveva iniziato, tanto valeva, per una volta, calcare bene la mano.
A quel punto intervenne anche sua madre, profondamente urtata da quella frecciatina palesemente diretta a lei: «Sirius, taci, non ti permetto di parlare così a tuo padre».
«Chiudi la bocca, donna, nessuno ti ha interpellato» sputò con cattiveria il signor Black. «E tu... tu, piccolo ingrato... vuoi dire che il tuo cognome non ti interessa?».
Sirius sorrise, sardonico. «Finalmente ci sei arrivato» rispose con sarcasmo. «E la vuoi sapere un'altra cosa? Sono definitivamente convinto, così come lo ero a dieci anni, che il tuo sangue sia esattamente uguale a quello di un mezzosangue, sotto ogni punto di vista».
Aveva esagerato davvero, lo sapeva così come sapeva cosa aspettarsi come punizione. Capitava che suo padre diventasse un tipo violento, ed era successo per molto meno.
Eppure se ne fregava altamente. Quella sensazione di onnipotenza lo pervadeva ancora. Si sentiva invincibile, voleva godersela fino in fondo.
Fu un attimo. Orion fece il giro del tavolo a grandi passi. Sembrava un toro infuriato. Sirius aveva voglia di ridere, così da buttargli in faccia il suo disprezzo, così da ripagarlo con la stessa moneta.
Non ne ebbe il tempo. Si ritrovò scaraventato sul pavimento, la mascella dolente. Un attimo dopo, invece, eccolo con i piedi sollevati da terra, il colletto della camicia che gli sfregava il collo.
La faccia iniziava a fargli male veramente. Gli sarebbe uscito un livido. Ci sarebbero state domande... Avrebbe sempre potuto mentire, vantandosi di essere stato coinvolto in una rissa.
«Sei ancora convinto che i Black contino come un sangue sporco qualunque?» gli alitò in viso.
Per una volta ancora, il giovane lo guardò con la sfida e il fuoco negli occhi.
«Sì, papà».
Evitò di sbattere il sedere a terra e di fare un male assurdo atterrando in piedi, come un gatto.
Rise. «Ah, papà, papà. È questo che ti hanno insegnato, in anni e anni di nobiltà? Ad essere un violento, pronto ad uccidere tuo figlio per i tuoi stupidi ideali?».
Orion sfoderò la bacchetta di legno scuro. La puntò contro il primogenito. Sirius alzò le mani.
«Fai quello che devi fare e facciamola finita».
Aveva paura, con sé stesso non poteva negarlo. Non aveva propriamente paura di morire -era sin troppo caparbio e sfacciato per averne. Più precisamente, aveva paura che ad ucciderlo potesse essere davvero suo padre. Temeva che davvero ritenesse più importanti le tradizioni che suo figlio.
Una parte di lui desiderava che sua madre si mettesse in mezzo, che cercasse di salvarlo.
Beh, quella era pura utopia.
Sirius chiuse gli occhi. A scuola gli era stato insegnato che la più terribile fra le maledizioni senza perdono scatenasse una forte luce verde. Se proprio doveva morire, desiderava farlo senza prima accecarsi.
Mentre aspettava apparentemente placido il compiersi del proprio destino, le ossa iniziarono a bruciare. Dopo le ossa vennero i muscoli, e dopo i muscoli il cervello.
Mille e più lame lo trafiggevano ogni singolo centimetro del suo corpo. Erano violente, erano gelide. Erano schegge di ghiaccio pronte a conservarsi per sempre in lui.
A quel punto sarebbe voluto andare dal suo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure e urlargli addosso. L'Avada Kedavra non era la peggiore delle Maledizioni Senza Perdono.
La morte non era nulla, a confronto.
Pensò che quel dolore se lo sarebbe ricordato per tutta la vita. La morte avrebbe cancellato ogni ricordo, invece. Con la morte si sarebbe dimenticato del disprezzo e della follia impresse nel volto di suo padre; sarebbe stato dimentico anche del volto impassibile di sua madre.
Il dolore se ne andò così com'era venuto.
Era accucciato a terra, interamente tremante. Cerco di alzarsi, ma le gambe cedettero. Picchiò il labbro contro il pavimento. Il sapore intenso e dolciastro del sangue gli invase la bocca.
Sputò a terra, ma il sangue continuò a defluire.
«Sparisci».

Chiuse la porta dietro di sé senza farla sbattere. Si asciugò con il dorso della mano il sangue che ancora gli colava dal labbro. Appoggiò la schiena alla porta. Era sfinito.
Il letto lo guardava, invitandolo a stendersi.
Con una spinta delle braccia riuscì a staccarsi dalla porta. Barcollando, riuscì ad arrivare al letto. Ci si buttò a peso morto. Chiuse gli occhi. Il buio era accogliente e fresco.
Ma ovviamente c'era chi doveva interrompere anche quel momento.
«Fuori» ruggì. Sapeva benissimo di chi si trattasse. Regulus era l'unico, in quella casa, a prendersi la briga di entrare in camera sua, per di più senza bussare. Puntualmente, però, Sirius lo rispediva fuori. Quella volta però la cosa era un po' più complicata, da fare.
Era complicato anche aprire gli occhi, talmente se li sentiva pesti.
Sirius sentì la voce altezzosa di Regulus dire, con assoluta noncuranza: «Ho sentito un fracasso enorme, cosa hai combinato, questa volta?».
Qualcosa scattò dentro di lui. Rabbia. Indiscutibilmente, quella era rabbia.
Tutti, nella sua famiglia, davano per scontato che fosse sempre lui, Sirius, a comportarsi male, suo fratello compreso. Poi ci si chiedeva perché lui e suo fratello non avessero un rapporto.
«Mettevo in bocca le foglie d'insalata in modo sbagliato per nostro padre».
Il tono tagliente, l'espressione stranamente feroce e i diversi lividi fecero arretrare Regulus di qualche passo. Si era alzato da tavola ancor prima che il litigio scoppiasse.
Senza sapere bene perché, iniziò a ridere.
«Dai, Sirius, non ci credo. Che hai fatto? Questa volta ti ha conciato proprio male».
Sirius sgranò gli occhi. Ciò che aveva appena sentito... no, non poteva essere reale. Suo fratello aveva appena riso. Riso del fatto che fosse stato picchiato e cruciato dall'uomo che aveva dato loro la vita.
«Io non ci trovo niente da ridere, idiota» ribatté, sempre più furioso. «Sono appena stato cruciato dall'uomo che tu ammiri e stimi, fratellino. Se la cosa ti fa ridere complimenti, sei riuscito nell'impresa».
«Quale impresa?» chiese di rimando Regulus. A volte Sirius faceva discorsi strani ai quali faticava a star dietro.
«Quella di diventare un vero e proprio Black, Regulus».
Il tono non lasciava spazio a dubbi: lo biasimava.
Regulus non ne fu affatto sorpreso. Sin da quando erano piccoli il ribelle Sirius aveva cercato di convincerlo del fatto che i loro genitori si sbagliavano, che la purezza del sangue fosse solo una fantasia da maniaci. Non che avesse avuto successo, comunque.
Regulus alzò gli occhi al cielo. «Sirius, smettila di fare la vittima».
«Io non faccio la vittima! IO SONO LA VITTIMA!» urlò. Per un attimo temette di svenire. Cercò di calmarsi. «Non sei tu ad essere trattato così, Regulus, non sei tu».
Anche Regulus alzò la voce. Se c'era una cosa che non sopportava, era che Sirius gli parlasse in quel modo. «Hai ragione Sirius, non sono io a essere trattato così da papà e lo sai il perché? Perché io non faccio discorsi che mi portano a... a questo!».
Con un gesto della mano, Regulus indicò il viso segnato del fratello maggiore.
Sirius raccolse le forze e si alzò dal letto.
«Li faccio per te, questi discorsi. Li faccio perché tu non sia un burattino alla ricerca di potere. Li faccio perché tu non ti faccia coinvolgere in qualcosa di troppo grosso. Li faccio perché il mondo non cada in disgrazia. Sei tu a non voler capire che siete tutti nel torto».
Si guardarono in cagnesco per un attimo, occhi negli occhi, entrambi troppo ostinati per abbassare lo sguardo per primi.
Alla fine Regulus depose l'ascia di guerra. «Lascia che ti medichi, fratello».
Protese una mano per stringere quella di Sirius. Avevano litigato tante volte, ma dopo avevano sempre fatto pace. Non si odiavano e non si amavano, né erano pronti a prender parte alle battaglie dell'altro: erano semplicemente due persone che abitavano assieme e che cercavano di sopravvivere.
Ma Sirius non allungò la mano in segno di resa.
Fra le tante cose, era anche stufo di quell'assurda condizione con suo fratello. Odiava tutto, tutto di quella casa.
«Non chiamarmi fratello» gli disse in un sussurro. «Un fratello... un fratello non si comporterebbe mai così».
Su quelle note, Regulus capì di dover uscire di scena.

Sirius si rigirava nel letto. Si era guardato le ferite allo specchio, poco prima. Era stato sollevato nel constatare che, a parte l'ematoma violaceo in viso e il taglio sul labbro, tutti i lividi che pensava di avere erano immaginari.
Girandosi da un lato, si trovò faccia a faccia con la foto scattata l'anno prima insieme ai Malandrini. Tutti e quattro sorridevano all'obiettivo. Gli mancavano. Non li vedeva da un mese e i contatti erano stati, come sempre del resto, sporadici e segreti.
In quel momento, la vescica iniziò a lamentarsi. Da quante ore non andava a fare la pipì?
Sbuffando, Sirius si alzò. Posò i piedi nudi sul pavimento della camera. L'unica cosa buona dell'estate era che il pavimento non si trasformava in una lastra di ghiaccio.
Camminò a passo leggero e con il timore di svegliare i suoi fino al bagno. Una volta arrivato, vi ci si chiuse dentro, prestando sempre attenzione a non far troppo rumore con la chiave.
Una volta soddisfatta la natura, Sirius si lavò le mani, dopodiché si sciacquò il viso.
L'acqua gelida e rinfrescante parve rinvigorirlo almeno in parte. Il terrore che aveva provato in maniera costante iniziò a scivolargli addosso. La morsa allo stomaco si allentò.
Era una bella sensazione.
Il suo riflesso lo guardò con determinazione. Gli stava dicendo “fai una scelta”.
Sirius si riavviò i capelli con una mano. Sapeva benissimo quello che doveva fare. Era da tempo uno dei suoi sogni... Ogni tanto Remus aveva ragione, in fondo. Pensare con concretezza a volte poteva aiutare.
Adrenalina. Che strana cosa, che era. Era per merito suo, se a cena era stato così sfacciato. E sempre per mano sua, ora si sentiva come nuovo, pronto a fare il passo più lungo della gamba.
Rischiare gli era sempre piaciuto, e adesso la cosa era diventata inevitabile.
Anche se sarebbe andato storto qualcosa, non poteva andar certo peggio di così. Avrebbe piovuto sul bagnato, niente di più.
Spalancò il baule di Hogwarts in mezzo al pavimento. Nello stesso momento, provò ad immaginarsi la reazione che avrebbe avuto Lupin a quella notizia.
Sirius, sei un totale incosciente! Dovevi prima avvertirci, avremmo chiamato qualcuno di competente, ti saremmo venuti in aiuto senza rischiare...
L'immagine era così nitida e reale che per poco non scoppiò a ridere. Si trattenne appena in tempo. Rischiare andava bene, farsi beccare un po' meno.
Spalancò le ante dell'armadio e buttò a casaccio qualche vestito nel baule. Lasciò lì i libri di scuola -tanto li avrebbero cambiati tutti, l'anno successivo. Si recò alla scrivania. Aprì il primo cassetto a destra, dove rovistò senza troppe cerimonie finché trovò, in mezzo al caos più totale, un sacchettino nero contenente i suoi risparmi.
Un rumore.
Sirius drizzò le orecchie. Incrociò le dita. Ora, l'unico rumore era quello del suo respiro irregolare.
Fece passare qualche secondo, o forse qualche minuto, difficile stabilirlo.
Solo quando fu totalmente sicuro che non ci fosse nessun pericolo, Sirius balzò quasi letteralmente sul baule, chiudendolo.
Non c'era tempo da perdere. Avrebbe lasciato lì tutto ciò che non era strettamente indispensabile. Doveva fare presto.
Afferrò il suo manico di scopa. Erano stati i suoi genitori, ad insistere perché lo tenesse in camera. La scritta Grifondoro dipinta sul manico sarebbe stata imbarazzante, se qualcuno fosse entrato nel deposito. Chi l'avrebbe detto che la vergogna che provavano nei suoi confronti avrebbe reso bene?
Spalancò le finestre. Non c'era vento, ma solo una cappa di afa.
Legò il baule alla scopa. Un po' di magia illegale non l'avrebbe mai notata nessuno al Ministero, se fatta in casa Black. Anzi, ora che ci pensava, non era nemmeno sicuro che il Ministero potesse rintracciarlo, visti i numerosi incantesimi di protezione imposti da suo padre.
Prima di salire sulla scopa, Sirius scribacchiò in fretta un biglietto per Regulus, che poi lasciò sulla scrivania praticamente vuota.
Ci vediamo ad Hogwarts.
Lo guardò per un momento. Si chiese cosa si facesse in certe occasioni. Probabilmente, invece che quel biglietto striminzito gli avrebbe dovuto scrivere una vera e propria lettera, ma il tempo scarseggiava, e lui non aveva nient'altro da dire.
Si mise a cavalcioni della sua scopa. Con una piccola spinta dei piedi, si librò in volo. Uscì dalla finestra, sentendosi protagonista di una favola. Lanciò un'ultima occhiata a quella che era stata la sua camera per sedici anni, certo che non avrebbe provato malinconia nel lasciarla. Certo che non ci sarebbe tornato mai più.
Con in testa questi ultimi pensieri, Sirius Black sparì nella notte, respirando a pieni polmoni il dolce profumo della libertà.

Atterrò con un fruscio. I lampioni erano spenti, la via era deserta. Sirius scese dalla scopa. Aveva il fiato corto e la testa confusa, inebriata dalla sua nuova situazione di libertà. Era come galleggiare, vivere in un sogno con l'inquietudine di svegliarsi e di ritornare prigioniero.
Si morse il labbro. Sentì che era gonfio. Si era quasi dimenticato di ciò che il padre gli aveva fatto qualche ora prima. Sirius imprecò fra sé. Sperava che non tornasse a sanguinare.
Il campanile della chiesa vicina ruppe il silenzio notturno con quattro rintocchi. Sirius si ritrovò ad essere vagamente stupito. Quando era scappato l'orario era stato l'ultimo dei suoi problemi. Sapeva che doveva essere tardi, ma non avrebbe mai pensato che fossero le quattro del mattino.
Forse sarebbe dovuto tornare l'indomani mattina. Avrebbe potuto cercare un ostello, o dormire sotto un ponte. Se si fosse trasformato in cane, quest'ultima opzione non sarebbe stata poi un problema.
La voce della sua coscienza e della sua ragione, che aveva il suono della voce di Remus, però, gli disse chiaramente che era un'idiozia. In un ostello non l'avrebbero certo accettato, e dormire sotto un ponte in versione Felpato non era una cosa intelligente da fare, per quanto fattibile.
Sirius strinse la mano in un pungo. Improvvisamente la sua fuga non gli sembrava più questa grande idea. Era vero che gli aveva promesso, garantito che per lui ci sarebbe stato ad ogni ora del giorno e della notte, ma...
Sirius, deciditi, non fare il codardo.
Batté forte le nocche contro gli stipiti della porta bianca del civico otto, sentendosi un perfetto idiota.
Vide una luce accendersi al piano superiore. Nell'aria sembrava esserci ancora l'eco delle campane. Un'altra luce si accese. Sul volto di Sirius spuntò un mezzo sorriso. Era la luce della sua finestra.
Aprì bene le orecchie. I tre Potter stavano scendendo le scale di corsa. La signora Potter diceva qualcosa a James. Sirius si sentì morire. Ci mancava solo che pensassero che fosse un'imboscata.
«Mamma, vado io! Smettila di protestare» disse James, la voce ancora impastata dal sonno.

La porta si spalancò.
«Posso entrare?» gli chiese Sirius in un sussurro appena udibile. L'espressione prima sorpresa, poi contenta e poi preoccupata del migliore amico lo stava facendo sentire tremendamente in imbarazzo. Azzardò un'occhiata ai signori Potter, e non fu sorpreso nel constatare che anche loro lo stessero guardando con occhi fuori dalle orbite. Che stupido era stato. Certo, James non avrebbe avuto nessun problema, ma magari i suoi genitori sì. Per quanto fossero stati sempre gentili con lui, non era un loro parente o cosa.
Dopo un attimo, la figura di James si fece da parte.
«Entra, fratello».


Note: Buongiorno! Sono tornata! Ye! Ma anche no. Comunque, eccomi qui con una nuova one shot. preparatevi psicologicamente a uno spazio piuttosto lungo perché ho un po' di cose da dirvi, riguardo "Escape".
Innanzi tutto, è la one shot più lunga che abbia mai scritto. ben sei pagine di Word (in teoria di OpenOffice Wrtiter, ma sostanzialmente è la stessa cosa). La cosa buffa è che questa FanFiction era nata come drabble. Esatto. Avevo scritto solo la parte finale (dall'arrivo di Sirius davanti a casa Potter) in modo che contasse solo 100 parole. Credo sia stata la peggiore drabble mai scritta, e grazie al cielo a farmelo capire è stata la mia mitica beta/migliore amica/Ugo Marti94. In pratica non si capiva che il fatto si svolgesse la notte in cui Sirius scappò di casa. Sapere quanto ci è voluto per capire quale fosse il problema? Una settimana intera. Quindi, se vi è piaciuta, ringraziate questa santa ragazza xD
Che altro? Ah, sì. La cosa più inerente alla trama. Me ne dimentico sempre *fisk*. Dunque. Ho cercato di far rimanere il carattere di Sirius IC, ma come al solito non sono sicura di esserci riuscita, ditemi voi. Inoltre, questa FanFiction vuole mostrare il rapporto a dir poco burrascoso tra Sirius e la sua famiglia, l'aria di perenne tensione che respira. In particolare, volevo che fosse ben chiaro il concetto che ha lui di "fratello". Regulus non lo è, James invece sì.
A tal proposito, spero di aver reso bene il suo legame con Regulus. Ci tenevo molto che quella parte fosse bella.

In sostanza, devo ammettere che sono abbastanza soddisfatta di ciò che ho scritto, ma le vostre opinioni contano mille volte più delle mie, quindi aspetto con ansia le vostre recensioni, che spero siano numerose!
Un bacio, Minnie
Ps. Un ringraziamento va anche a Tallulah, che è stata la mia "prova del nove" (L)

   
 
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