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Autore: momo_    19/08/2010    2 recensioni
Dopo aver letto "Mogli e Concubine" di Su Tong, sono rimasta abbastanza delusa dal modo in cui l'autore ha deciso di concludere il libro. Per questo mi sono decisa a continuarlo. Dopo aver assistito alla morte della terza signora, la giovane Songlian perde il senno ed inizia la sua dolorosa strada verso l'autodistruzione. Con la percezione di uno sguardo indagatore che spia i dialoghi segreti tra lei e il cadavere della terza moglie, comincia ad architettare un modo per distruggere il ficcanaso. Terrorizzata dalle azioni che arriverebbe a compiere, cerca di distrarsi con un passatempo alquanto insolito: il furto di tutte le piante presenti nella villa. Quando queste finiscono, Songlian incolpa la quinta signora di tutto quanto, della mancanza di altri arbusti e dell'averla spiata per tutto il tempo. Ed infine si ritrova a compiere l'ultima pazzia...
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“Non mi getto” continuava a ripetere la giovane Songlian a sé stessa, come se cercasse di autoconvincersi, “non mi getto”.
Era ormai da settimane che si comportava come una pazza; non faceva altro che girare e girare incessantemente intorno al vecchio pozzo. A volte si fermava e si stringeva la testa fra le mani, digrignava i denti e, come se niente fosse, riprendeva a girare, non curandosi dell'odore acre proveniente dai suoi vestiti e dai suoi capelli disordinati e sporchi.
Lasciava il pozzo solamente per unirsi alle altre signore nelle ore dei pasti, durante le quali sbocconcellava un pezzo di pane e quasi non toccava cibo, e per andare a dormire.
Le sue armoniose forme l'avevano abbandonata da qualche tempo: la pelle sottile e tirata fasciava il suo corpo come un fragile strato di nylon e le ossa appuntite uscivano dalla pelle come spigoli taglienti. Il volto scarno e le guance scavate facevano dei suoi occhi due grandi biglie tondeggianti e spente, che si guardavano intorno velocemente e le attribuivano quella sinistra aria schizofrenica.
Nonostante il suo aspetto facesse pensare il contrario, Songlian sapeva di non essere impazzita. Lei parlava e ragionava e si faceva domande, a volte trovava risposte e allora incominciava a ridere di gusto; la paura che le era cresciuta dentro, dopo la morte della terza signora, aveva però accentuato il suo desiderio di allontanarsi dagli altri, e tutte quelle cose intelligenti che faceva – tutti i ragionamenti, tutte le domande e le eventuali risposte – non le esternava, ed in solitudine monologava con sé stessa, continuando a girare intorno al solito pozzo.
Il padrone Chen Zuoqian, aveva da tempo rinunciato all'idea di aiutare la povera Songlian a ritrovare il senno; “Non ne voglio più sapere di quella matta” aveva esordito l'ultima volta, uscendo dalle stanze della quarta signora; da quel giorno le lanterne rosse erano state spente definitivamente. A malapena Songlian ne ricordava la forma.
Durante un particolare giorno d'autunno, la donna si era messa a parlare, e non l'aveva fatto tra sé; chinata di fianco al pozzo aveva poggiato il mento sulla superficie di pietra fredda volgendo in basso lo sguardo, diretto verso l'inferno nero e profondo.
“Ci stanno osservando” aveva sussurrato con un filo di voce “Ci osservano sempre, Meishan”.
Gli occhi si muovevano veloci e fissavano ora il pozzo, ora il circondario. Le pupille schizzavano e scattavano velocemente da una parte all'altra.
Tutti in casa Chen erano al corrente della presunta demenza della quarta moglie; non veniva più presa in considerazione e quindi nessuno fece caso a lei quando cominciò a portare nelle sue stanze tutti i fiori e le piante del giardino.
Songlian si alzava la mattina presto, quando il sole non era ancora comparso da dietro i fianchi dolci delle colline, sbucava da sotto le coperte con lo stesso abito maleodorante degli ultimi mesi e affrontava il freddo pungente con le spalle coperte da un semplice sacco di iuta. Prima di uscire dalle sue stanze, s'inginocchiava davanti alla porta e spiava dal buco della serratura per accertarsi che non fosse vista da nessuno. Usciva quindi di soppiatto, attenta a non fare troppo rumore, e si accostava proprio vicino alle porte delle stanze delle altre mogli. Lì accanto piantine verdi, alcune cariche di grappoli di fiori e altre poco più che germogli. Songlian, con cura ed attenzione, le separava dalla terra umida dei loro vasi e le riponeva con eccessiva meticolosità nel grande sacco di iuta. Quando riteneva che ce ne fossero abbastanza, ritornava soddisfatta nel suo alloggio e, con pezzi di vecchio spago, appendeva tutti i fiori e le erbe al soffitto, così che ricadessero a testa in giù, quasi a sfiorare la superficie dei mobili. Per non destare sospetti ritornava a letto e poco dopo si rialzava, incominciando a vagare intorno al pozzo come un'anima sperduta.
Di tutti quei fiori e di quelle piantine a nessuno realmente importava; Il padrone Zuoqian era troppo occupato e preso dalle sue questioni importanti per accorgersi che nel giardino di casa mancava un po' di colore. Era compito dei servi quello di prendersene cura, i quali si rallegravano di avere del lavoro in meno da fare.
Songlian fece piazza pulita di quasi tutte le piante, le sue stanze si erano riempite di vecchi vegetali muffiti e tramutate in una jungla morta e tetra.
Non avendo più fiori da cogliere e radici da strappare dalla terra, la donna corse al pozzo e pianse disperata per ore ed ore. Piangeva e si dimenava, con le mani si strappava i capelli sottili e con le unghie graffiava la corteggia del glicine. “Meishan” gridava senza ritegno tra un singhiozzo e l'altro “Meishan, ci hanno imbrogliato! Ci osservano, li vedi?”. La voce della quarta signora echeggiava rauca tra le mura della residenza, ma nessuno sembrava in grado di sentirla.
Eppure, Songlian non era impazzita. Non del tutto, almeno.
La quinta signora, Wenzhu, era la più giovane tra tutte e cinque le mogli; entrata a far parte della famiglia Chen da pochi mesi, trascorreva il suo tempo libero a lavorare la seta proprio accanto al glicine sotto il quale ergeva il vecchio pozzo.
A volte Wenzhu alzava discretamente lo sguardo e lo andava a posare sulla quarta signora, per la quale nutriva una sorta di compassione. Filava e tesseva, di tanto in tanto si assopiva riscaldata dal sole, con la testa piegata da una parte, appoggiata alla spalla.
Un pomeriggio estivo particolarmente caldo e umido, Songlian toccò il fondo. Non potendo più raccogliere i fiori di casa Chen, la quarta signora trovò un'altra occupazione, nemmeno troppo diversa dalla precedente.
Ogni giorno, quando il sole alto nel cielo brillava più di ogni altra cosa e la giovane Wenzhu sonnecchiava tranquilla sotto il glicine, la quarta signora usciva dal suo putrido antro di foglie secche e si avvicinava al pozzo, inginocchiandosi lì accanto.
“È stata lei” sussurrava alla pietra “Ha rubato i nostri fiori”. Poi strisciava silenziosa accanto al glicine. Songlian tirava su le maniche del vestito logoro e graffiava, raschiava e scalfiva il legno dell'albero in fiore. A volte avvicinava la bocca e con i denti rosicchiava la corteccia. Molteplici le schegge che si infilavano nella carne della lingua e che lasciavano il suo volto macchiato di rosso vivo e le labbra gonfie e sfigurate.
Passavano i giorni e con loro i pomeriggi che la quinta e la quarta signora trascorrevano rispettivamente a dormire e a prendersi cura dell'alberello in fiore.
Più il tempo passava e più quest'ultimo si trasformava: il tronco bruno si copriva di rughe profonde e lo si poteva quasi vedere contorcere per il dolore. Le foglie si smacchiavano del loro verde ed i grappoli di violacei boccioli raggrinzivano e si accartocciavano come la carta sul fuoco.
Uno di quei pomeriggi, uno in particolare, tutto successe troppo in fretta.
Quel giorno Wenzhu si era assopita da poco e la seta che stava filando era abbandonata sulle ginocchia. La quarta moglie, invece, mordeva e rosicchiava gli ultimi brandelli del tronco di quel glicine ormai mancato.
Ad un tratto, Songlian si fermò e la più grande fra le sue colpe fu quella di appoggiare la mano lesa e rovinata alla corteccia.
Nell'arco di qualche secondo, il grande albero oscillò pericolosamente producendo un sonoro fruscio e poi cadde sulla sua ombra e sulla povera Wenzhu.
L'impatto fu talmente forte che la sciagurata morì sul colpo. Fortunatamente per lei, fu qualcosa di talmente veloce e indolore che non ebbe nemmeno il tempo di esalare l'ultimo respiro.
La quarta moglie si alzò in piedi e si avvicinò decisa al corpo della giovane, attaraversando quel lago di sangue con la superficialità con cui i bambini sguazzano nelle pozzanghere.
Songlian piangeva nel prendere la ragazza dalle braccia e nel trascinarla verso il pozzo, erano singhiozzi muti e quasi impercettibili. Le sue spalle si alzavano e si abbassavano al ritmo dei suoi passi. Infine, con cura ed attenzione, la donna sollevò il corpo esanime della giovane Wenzhu e la gettò nel buio. Una lunga pausa e poi un tuffo sonoro nelle acque nere.
Songlian giurò, poco prima di togliersi la vita, di sentirsi addosso lo stesso sguardo, anche dopo la morte della quinta moglie.
Qualche ora dopo, Zhuoyun, la seconda signora, informò tutti gli appartenenti della famiglia Chen dell'accaduto. Dall'alto di quella finestra nascosta tra due rami di un grosso albero che affacciava proprio sulla parte del giardino in cui il pozzo era situato, Zhuoyun aveva (sempre) visto tutto.
  
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