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Autore: MirkoCullen96    19/08/2010    6 recensioni
Rosalie Hale è una normalissima ragazza che vive in un piccolo paesino del Canada. un giorno i suoi genitori muiono in un incendio e, per puro caso, lei si salva. dopo essere stata affidata alla zia, Rosalie è obbligata a trasferirsi a Forks, una piccola cittadina nello stato di Washington. è qui che incontrerà Emmett e ... nuove e vecchie storie ^^
Genere: Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Rosalie Hale
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Dopo un lunga notte insonne, ecco finalmente, la mia storiella!!
Tante persone odiano Rosalie, tante la amano ... Bè, devo dire che questa è una storia solo ed esclusvamente per quelli che la stimano nel profondo.
Amore ... Tragedia .... Cambiamenti ... designeranno questa FanFiction.
Vi ho incuriositi?
Bè,
Buona Lettura!


- Rosalie!! -
- che c’è ma’? - chiesi sentendo dalla cucina le sue urla.
- mi pu …. Dere …. Cool … - tolsi le cuffie del mio mp3.
- cosa?! - ripetei urlando ed uscendo dalla mia stanza.
- prendimi l’alcool per piacere! - sbraitò.
- ok!! - subito mi precipitai verso il bagno e nel tragitto tra la mia e quella stanza percepii un profumo unico: pollo. Anche ora che avevo gia 17 anni, non potevo fare a meno del pollo di mia madre, e poi vista l’ora ( 20.30 ) non potevo fare altro che farmi venire l’acquolina in bocca e precipitarmi in bagno dove, sicuramente, gli odori non erano ottimi come quelli della cucina.
- papà per caso hai appena fatto visita alla toilette? - dissi scherzosa.
- si tesoro, perché? - mi rispose dalla sala con voce assente, evidentemente stava leggendo un giornale.
- bè la prossima volta spruzza lo spray!! È nato per coprire quell’odore … -
Con una velocità  unica mi tappai il naso e con la mano che mi restava presi dal mobiletto la bottiglietta di liquido rosa che serviva a mia madre. Vedendo di sfuggita il profumo di mamma, con mano lesta lo afferrai e lo spruzzai in tutta la stanza. finoto il lavoro avevo dimezzato la fialetta, ma per lo meno ora in bagno c’era un buon profumo di muschio bianco!
“scusa mamma …” bisbigliai tra me rimettendo apposto il profumo e correndo fuori dalla stanza.
A piedi scalzi percorsi le scale di legno che separavano le stanze da letto dal resto della casa e, evidentemente perché non avevo messo le pantofole ( mannaggia a me ), sull’ultimo gradino il mio piede destro ebbe la spiacevole sorpresa di ospitare una grossissima e maledettissima scheggia.
“ Dio …” pensai alzando gli occhi al cielo.
- cavolo che male!! - accennai abbastanza forte da farmi sentire addirittura da mio padre che, a dirla tutta, era mezzo sordo.
- che succede Rose? - mi chiese alzando gli occhi dal  giornale e raggiungendomi.
Come risposta alzai il piede e gli feci vedere ciò che gli era successo, ero in lutto.
- ah … vieni, adesso te la tolgo. - disse. Mi allarmai.
- e come? Non con il tuo solito metodo, spero! - dissi spalancando gli occhi.
- è l’unico modo. - assunsi subito un’espressione da cane bastonato. - dai Rosalie …. Non avrai mica ancora paura degli aghi a diciassette anni, vero? - disse.
- Pf …. Ma che dici …. IO HO TERRORE!! - ammisi.
- forza, vieni! - mi ordinò prendendomi per il braccio.
- No! - con fermezza mi aggrappai saldamente alle scale e con tutta la forza che avevo in corpo  mi opposi contro la forza immane di mio padre che mi tirava.
- ok, se Maometto ( io) non va dalla Montagna (l‘ago), la Montagna va da Maometto. - mi disse lasciandomi e dirigendosi in cucina, dove avrebbe preso l’ago per estrarmi la scheggia.  
- e dai papà! Lo so che sei un dottore ma …. Perché mi fai subire questo doloree??!!! - dissi mettendomi la mano sul cuore e assumendo un espressione tragica e drammatica.
- ma dai! Su! Prendi questo straccio. - disse porgendomene uno bianco.
- e che me ne faccio? - chiesi con aria interrogativa.
- mettitelo in bocca e mordilo! Così fa meno male …. -
- gia -
- gia - rispose lui. - ok, uno …. Due …. Tre! - con scatto improvviso infilò l’ago nel punto esatto dove la scheggia si era infilata, riuscii solo a cacciare un grandissimo urlo.
- ma che succede?! Dov’è il mio alcool?! MI SERVEE!! - sbraitò spazientita mia madre direttamente dalla cucina.
- un attimo!! - risposi con lo stesso tono di voce.
- ok, adesso puoi andare. Sei libera. - disse mio padre mettendo in bella vista il suo "trofeo": la scheggia.
- grazie pà … ora mi sento decisamente meglio. - dissi ammettendo che i suoi metodi erano davvero efficaci. - arrivo mamma! - esclamai afferrando la bottiglietta  e precipitandomi in cucina.
- eh, finalmente tesoro! - mi disse “rubandomi” l’alcool.
- eh, scusa se avevo un scheggia impiantata nel piede! - dissi.
- cosi magari impari a mettere le ciabatte quando sei in casa! -  mi canzonò.
- don’t worry mamma! D’ora in poi le pantofole saranno le mie migliore amiche in casa! - aggiunsi sorridendo e schiacciando l’occhiolino. - ma in fin dei conti: a cosa ti serve questo benedetto alcool? - chiesi sbirciando ciò che stava facendo.
- bè facendo il pollo, ho rovesciato dell’olio per terra e … -
- Rose!! - sentii chiamare.
- dimmi papà. - dissi dopo averlo raggiunto in sala.
- avevo promesso a Clarissa che gli avrei prestato questo. - mi disse porgendomi un libro. “Twilight” era il titolo.  - perché non passi a casa Carter e gli e lo dai?- chiese.
- ai suoi ordini signore! - risposi in tono solenne mettendo la mano sinistra sulla fronte. - vado subito! - dissi andando in camera mia, stavolta percorrendo le scale con estrema calma per non incontrare un’altra “amica scheggia”.
 Eravamo in pieno inverno ( 5 gennaio ) e quindi presi i miei guanti, sciarpa e berretto oltre, ovviamente, ad un cappotto super pesante per evitare vari colpi di freddo.
- torno subito eh, aspettatemi a mangiare il pollo!! - dissi ridendo e uscendo di casa.
Appena fuori il freddo mi colpì improvvisamente. l'aria mi pungeva la pelle e, per di più, era anche nevicato. Bè, si sa, in Canada non fa mai caldo.  La neve aveva sommerso quasi tutte le strade del pese e anche io facevo fatica a camminare tra tutto quel soffice e candido strato che si era depositato dappertutto a Banff.
Ero veramente molto contenta, ma allo stesso tempo agitata, di andare a fare visita a Robert. Robert era il figlio del signor Carter e moglie e …. ero decisamente innamorata di lui. No, non era una semplice infatuazione, era amore … e lo sapevo semplicemente perché era sin dalle elementari che lo frequentavo e … sempre, immancabilmente, mi veniva il batticuore anche solo a vederlo, chissà a parlarci. Però casa Carter era, calcolati la mia velocità ( degna di un bradipo) e la neve, a circa 15 minuti di distanza e quindi, mi preparai a fare un “lungo” viaggio …

***

Quando, finalmente, arrivai, le luci della piccola villetta che segnava la mia meta erano accese e si sentivano, anche se poco distintamente, dei vociferi. Bussai.
- chi è? - chiese un voce femminile, era Clarissa.
- Rosalie! Rosalie Hale. - risposi educata.  Improvvisamente si sentì uno strano rumore di piedi correre pesanti sulle scale.
- VADO IO!!!!! - sentii urlare.
- Ok! -
Presto si aprì la porta e d’innanzi a me, apparì la figura più bella …. Straordinaria … unica al mondo. Era alto almeno un metro e ottanta  contenuti in un ragazzo dal peso forma. I suoi capelli neri come la pece e corti gli bagnavano la fronte ( si era appena fatto la doccia) e gli occhi neri mi fissavano felici.
- ciao! - l’angelo parlò.
- emm …. Ciao Robert- dissi timida. 
- c … come va? - mi chiese appoggiando il braccio sulla porta.
- emmm …. Con questo freddo? Bene, dai! - dissi ironica. Rise. Mi piacque.
- mi chiedevo … -
- si … ? - chiesi speranzosa.
- bè …. Mi chiedevo se, se ti andrebbe di fare un giro con me, domani. Ti va? - non potevo crederci. Il ragazzo che amavo con anima e corpo, mi aveva appena invitato a … uscire. era un sogno. Non poteva essere altrimenti.
- certo!-  “cavolo Rose, non devi far vedere così tanto che non vedi l’ora, no?!” - cioè …. Non ho impegni … perché no? - mi corressi assumendo un’espressione sbarazzina e facendolo sorridere.
- allora domani ti mando un messaggio così ci mettiamo d’accordo. Ok? - chiese.
- si si. - dissi. - emm … c’è tua ma … -
-Rosalie!! Vieni pure, accomodati! - Clarissa entrò nel mio campo visivo.
- ciao Clarissa! In verità non posso proprio entrare perché mia madre mi aspetta per la cena …. - dissi abbattuta.
- oh, mi dispiace! - rispose lei.
- sono venuta qui perché mio padre mi ha chiesto di darti questo. -  dissi porgendole il libro. Le si illuminarono gli occhi.
- grazie!! Di a Harry che le sono infinitamente grata! - rispose lei contenta.
- certo! Gli porterò il messaggio. -
- sei sicura di non voler restare? - chiese.
- non è che non voglio ma proprio non posso!! Ora vado … - dissi guardando Robert. Anche lui mi fissava. Quanto l’amavo … - ciao!! - dissi.
- arrivederci Rosalie!! - riposero i due all’unisono.

***

Robert … Robert …. Robert …. Robert …. continuava a ripetere la mia testa. Non riuscivo a pensare ad altri oltre che a lui. Era praticamente tutto il tragitto che avevo la sua immagine fissa nel mio cervello, volevo liberarmene, e ci riuscii. Riuscii ad uscire da quella dipendenza, anche se solo parzialmente e momentaneamente, grazie al suono straziante di una sirena. Improvvisamente, di fianco a me, comparirono un camion dei pompieri e ben due ambulanze. Non capivo. Perché tutto quel trambusto? Mi guardai intorno e più avanti, tra le case, si innalzava una grossa luce. Cosa era successo?
Di colpo iniziò a nevicare lievemente e mi affrettai a tornare a casa. Andando avanti, la luce diveniva sempre più intensa, fino a quando riuscii ad intravedere delle fiamme. Continuai a camminare capendo che nel mio quartiere una casa stava andando in fiamme. Tutto il vicinato era concentrato sulla strada. Il cuore iniziò a battere veloce, molto veloce. Più andavo avanti, facendomi spazio fra la folla, più sentivo sempre il sangue pompare frenetico e ansioso nella vene che facevano fatica a stare al passo.
Quando fui abbastanza vicina, capii che le mie paure erano fondate: della alte e rosse fiamme divampavano sulla casa che, un tempo, doveva essere la mia. Le finestre erano distrutte e i muri, un tempo bianchi, erano anneriti dal fumo. Il tetto non esisteva più e cumoli di cenere si innalzavano al cielo mischiandosi alla neve.
Non capii più niente. Improvvisamente, grondante di lacrime, corsi. Corsi oltre le sbarre, corsi oltre il cancelletto e corsi verso la porta attraverso il giardino. Improvvisamente mi sentii prendere un braccio. Venni  strattonata indietro.
- ma che cosa fai?! - mi urlò un uomo in uniforme. Era un pompiere.
- DOVE SONO?! - urlai in lacrime.
- ma chi?! -
- mamma e papà! - urlai esigendo una risposta. La faccia del signore si rabbuiò e con fare triste e rassegnato, mi portò fuori dal giardino in cenere contro la mia volontà.
- m … mi dispiace. - si limitò a dire lui-.
Capii.
Era finita
.

*** angolo dell'autore ***
Spero tanto che voi, che siete riusciti ad aprire questa pagina ed ad arrivare fino in fondo, abbiate apprezzato ciò che mi è venuto sinceramente dal cuore.
Vorrei sapere se questa ff sia degna di andare avanti o di finire come è iniziata.
grazie mille per tutti quelli che mi hanno ascoltato e mi ascolteranno.
Mirko


  
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