Love without, love gone wrong;
lifeless
words carry on.
But I know, all I know's that the end's beginning.
Blu.
Tanto, tantissimo blu.
Eppure Ginevra odiava tutto quel
blu.
Specialmente quando gli occhi di
qualcuno avevano quel maledetto colore. Se avesse potuto avrebbe fatto in modo
che gli occhi blu sparissero dalla faccia della terra; loro e tutta la finta
innocenza che mostravano.
Li odiava, Ginevra. Così come
odiava che un semplice colore d’occhi potesse generare un simile dolore nel suo
cuore. Le sembrò come se improvvisamente si fosse aperto uno squarcio in una
diga e tutta l’acqua racchiusa stesse uscendo. Trattenne una risata amara,
Ginevra, pensando che in una scena del Signore
degli Anelli succedeva la medesima cosa.
Improvvisamente le sembrò che il
pavimento si sarebbe potuto aprire per risucchiarla all’Inferno. Ripensandoci,
le sarebbe quasi piaciuto. Tutto purché quel maledetto blu sparisse dalla sua
vista.
Tutto.
“La signorina di Roma può venire
con noi, se le va”, aveva detto. E aveva sorriso.
Ginevra lo aveva riconosciuto,
ovviamente.
Quando aveva quindici anni ed era
una bambina idiota che viveva nel suo mondo di fate e pony rosa andava dicendo
in giro che quello che ora aveva davanti agli occhi era suo marito. Senza
contare la camera tappezzata di suoi poster e le volte che si era vista,
rivista e stravista Tempesta di Ghiaccio.
Lo venerava, ecco tutto.
E amava gli occhi blu che in quel
preciso istante sentiva di odiare con tutta sé stessa.
Avrebbe voluto urlargli di
smetterla di guardarla come un cucciolo, di chiudere quei maledetti,
maledettissimi occhi e di andarsene a quel paese; gli avrebbe lanciato contro
tutto ciò che si trovava intorno a lei, senza pensare se costasse molto o poco,
se fosse suo o meno. Non lo voleva vedere.
Lui sorrise un po’ imbarazzato
nel vedere diversi colori scambiarsi fra loro sul viso di quella strana
ragazzina coi capelli rossi e quel sorriso la portò di nuovo indietro nel
tempo. Voleva piangere, Ginevra. Piangere, urlare, strapparsi il cuore dal
petto per impedirgli di farle così male.
Eppure rimaneva immobile, pallida
come un lenzuolo appena uscito dalla lavanderia. Si guardarono per qualche
momento, ma ovviamente Elijah Wood non aveva idea dei pensieri omicidi che
passavano per la sua testa.
“Credo che Jack non si muoverà
mai da qui a meno che non ti muova anche tu”, disse l’attore con un sorriso. “Quindi,
sempre se ti va, potresti venire con noi a fare un giro per Los Angeles”.
Il sorriso si allargò.
Così come il baratro in cui
Ginevra sembrava essere improvvisamente piombata.
“Non credo che sia il caso”,
disse con voce stranamente nasale. Abbassò nuovamente gli occhi sullo zaino che
si era scordata di star riempiendo. Cosa ci faceva lì? Perché il Principale non
l’aveva lasciata in pace, chiusa nel suo dolore?
“Ti prego!”, esclamò Jack. Gli
occhi gli brillavano come non mai e il suo sorriso sembrava coprirgli l’intera
faccia. “Così puoi raccontarmi di Roma e di tutte le cose meravigliose che ci
sono!”.
Sentì Elijah Wood ridere.
Non voleva sentirlo ridere.
Voleva nascondersi sotto il
cuscino.
Alzò faticosamente lo sguardo,
puntandolo imperterrita sulle labbra dell’attore. L’avrebbe creduta una pazza
furiosa, ma almeno si sarebbe risparmiata un’altra ondata di dolore. “Ho tutta
questa roba da lasciare in albergo”, disse semplicemente, indicando lo zaino.
Elijah Wood sorrise come un
bambino. “Puoi lasciarla qui”, disse. I suoi occhi si erano spalancati talmente
tanto che anche se Ginevra gli avesse fissato i piedi avrebbe sentito tutto
quel blu inondarla.
Provò un desiderio incondizionato
di strillare come una psicopatica, lanciandogli contro lo zaino che teneva in
mano e fuggire più lontano che poteva. Ma, semplicemente, non ci riuscì. Come
se non fosse più sé stessa, come se si osservasse da un’altra parte, come se
ormai il suo cervello si fosse staccato definitivamente dal resto del corpo,
udì la propria voce mormorare: “Okay”.
Psicopatica, sociopatica,
depressa. E ora pure imbecille.
Straordinario.
Elijah Wood avrebbe desiderato
veramente rimanersene seduto a bersi il suo lungo caffè, ma Johanne aveva
dovuto scombinargli i piani.
Di nuovo.
“Parlaci tu, te ne prego”, aveva
detto la donna lasciandosi cadere al suo fianco. Poi lo aveva guardato con uno
sguardo alla sai-cosa-gli-fa-Billy-se-lo-acchiappa,
che non ammetteva repliche; e in fondo era vero. Le fisse di Jack Boyd e i
successivi bisticci con suo padre erano ormai famosi.
Probabilmente erano troppo uguali
per poter andare d’accordo.
“E sia”, disse Elijah bevendo un’ultima
sorsata di caffè che gli ustionò la lingua. Quel bambino ascoltava più lui e
Dominic che suo padre e sua madre, esattamente come Billy prima di lui. E se
fosse capitato a qualcun altro probabilmente la cosa lo avrebbe fatto ridere; ma
ora lo infastidiva.
Era indomabile, quel maledetto
angelo di bambino.
Così aprì la porta, lo sguardo
immediatamente attirato da una chioma rossa che sembrava fare a pugni col resto
della sala. In futuro non avrebbe mai capito perché aveva detto quelle parole.
Probabilmente era solo il destino che giocava con lui, come se fosse una
marionetta con cui si sarebbe potuto fare grasse risate. O forse perché il viso
di quella strana ragazzina aveva cambiato colore dal rosso, al giallo, al verde,
come un semaforo. Forse perché Jack ci teneva sinceramente.
No, non avrebbe mai saputo dirlo.
“La signorina di Roma può venire
con noi, se le va”, disse.
E gli sembrò la cosa più giusta
del mondo.
Capitolo
flash questo D:
Spero
vi piaccia! E’uscito proprio di getto xD