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Autore: Ireth    14/10/2005    7 recensioni
Nuova fic geek ambientata dopo la puntata 5x13 'Matrioska'. Anche questa volta Gil e Sara hanno bisogno di un piccolo aiutino dall'esterno per risolvere la loro intricata situazione. Fatemi sapere che ve ne pare. Baciotti, Ireth
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Gilbert 'Gil' Grissom, Sara Sidle
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PARTE PRIMA
Era strano che il laboratorio fosse tanto buio e silenzioso e Greg si aggirava perplesso per i corridoi, cercando qualcuno che gli dicesse come impiegare il suo tempo e sperando ardentemente di non incappare tra le grinfie di Eckley. Da quando era diventato capo della squadra aveva portato con se tutta una serie di problemi, che si erano susseguiti uno dopo l’altro senza un attimo di tregua…
L’ultima settimana poi, dopo la sospensione di Sara, era stata forse il peggior periodo lavorativo che Greg avesse mai affrontato… Eckley non faceva altro che stare appostato negli angoli più bui, immobile, con la pazienza di un pitone in attesa della propria preda, sperando di poter captare qualcosa di interessante per compromettere e punire qualcuno. Lo stesso Greg era stato quasi sorpreso mentre discuteva insieme a Mia di quello che era successo a Sara, entrambi non avevano una buona opinione di Eckley, ma non c’era motivo di farglielo sapere e c’era mancato davvero poco che quell’impiccione li sentisse.
Le cose erano così cambiate… Gli sembrava passato un secolo da quando erano ancora tutti uniti, una squadra affiatata, eppure erano trascorse solo alcune settimane. Una volta amava quel luogo, lo percepiva come la sua vera casa… Ora non ne era più tanto sicuro.
Non riusciva a smettere di ritornare con la mente alla sua conversazione con Sara, quando era andato a trovarla il giorno precedente… Non riusciva a smettere di pensare a quello che aveva letto in quegli occhi… Non riusciva a smettere di pensare a cosa doveva fare in nome dell’amicizia sincera che nutriva nei suoi confronti. Che cosa fa un vero amico in queste situazioni? Mantiene un segreto sapendo che questo non allevierà le sofferenze della persona cara o decide di tentare di aiutarla, anche se questo significa infrangerlo?
La luce dell’ufficio di Grissom era accesa, per quanto questo non contribuisse a dare a quella stanza un aspetto meno tetro e tenebroso.
“Grissom?” Greg infilò l’irsuta testa cosparsa di gel nel vano della porta, cercando con gli occhi il suo superiore. Lo trovò assorto nella lettura di un enorme tomo che aveva l’aria di essere terribilmente noioso. L’intera scrivania era coperta di libri e fascicoli e una grossa caraffa di caffè bollente stava in precario equilibrio sopra una traballante pila di volumi.
Grissom sollevò lo sguardo levandosi gli occhiali e strizzando gli occhi per vedere chi lo distoglieva dalle sue letture.
“Greg…”
“Posso entrare?” il ragazzo sembrava titubante, ma d’altronde Grissom si era sempre reso conto che la sua presenza tendeva a creare un po’ di soggezione in Greg.
“Certo!” posò gli occhiali sul libro aperto e scrutò la faccia del suo CSI fresco di promozione. “Che brutta cera hai? Non ti senti bene? Siediti, bevi un caffè.” Così dicendo riempì una tazza pulita e la porse a Greg, che nel frattempo si era avvicinato con passo incerto e si era seduto sulla sedia di fronte a Grissom, occupandone solo uno spigolo e puntando i piedi per evitare di rotolare per terra.
“Dove sono tutti?” biascicò il ragazzo dopo essersi dovutamene ustionato la lingua con il caffè di Grissom.
“Bella domanda…” Grissom stava mordicchiando la stanghetta dei suoi occhiali, con espressione accigliata. “Dunque… Sophia ha la giornata libera, Sara è ancora sospesa e io e te siamo qui! Ah, per quanto riguarda Nick, Warrick e Chaterine io non ne rispondo più e se sei in cerca di Eckley ti consiglio di provare in qualche angolo buio del corridoio, da dove spera di cogliere qualche nostra mancanza.”
“Così potrà sospendere anche noi e tentare di licenziarci?”
“Non aspetta altro…”
Greg non era uno sciocco e poteva individuare, nel tono di voce a metà tra l’ironico e il seccato del suo superiore, la sua stessa amarezza, che da giorni lo attanagliava.
“Non sono l’unico ad essere disturbato dalla situazione, vero? Azzardò Greg concentrandosi sulla grossa e disgustosa tarantola che zampettava nel suo habitat artificiale, un cubo di plexiglas posato sulla scrivania del suo superiore.
Grissom restò in silenzio, con la bocca semiaperta, picchiettando la bacchetta degli occhiali contro i propri incisivi, e grugnì qualcosa che alle orecchie di Greg arrivò come un indistinto “Mmh…”
“Cosa devo fare oggi?” chiese poi il ragazzo con tono indifferente, cercando di scivolar via da quegli argomenti spinosi che sembravano indispettire immensamente il suo capo.
“Niente!” sbottò l’uomo. “Anzi…” si corresse poi “Visto che non abbiamo nessun caso di cui occuparci, puoi aiutarmi con queste scartoffie.”
Così dicendo lasciò cadere con malgarbo una grossa pila di fogli e fascicoli di fronte a Greg.
“Riordinare per argomento, per data, firmare e depositare in una pila ordinata!”
“Io non posso firmare questa roba!” protestò Greg scioccato da quell’insulto alle regole da parte di Grissom. “Sei il mio supervisore e non posso falsificare la tua firma, non voglio avere altri problemi!”
“ALTRI?” Gil lo guardò con sospetto, sollevando leggermente un sopracciglio.
Greg arrossì violentemente e si maledisse per la lunghezza di quella sua linguaccia impertinente. “Oh, lasciamo perdere!” borbottò poi, avventandosi sulla pila di carte a lui destinata e ritagliandosi un angolino sulla scrivania di Grissom, in modo da avere un piano d’appoggio.
Ma la curiosità (e forse anche la preoccupazione) del suo supervisore erano state stuzzicate e l’uomo non sembrava essere disposto a fingere di non aver udito le parole di Greg.
“Tralasciando il fatto che nessuno si accorgerà che la mia firma è contraffatta, per il semplice fatto che nessuno si preoccupa di controllare, e che naturalmente ti ho passato da firmare soltanto robaccia inutile, tenendo per me i rapporti importanti e ciò che necessita una certa attenzione… che cosa c’è che non va?”
Greg mugugnava scornato, stuzzicando la tarantola con la penna, che era riuscito a infilare sotto il coperchio di plexiglas.
“Ti informo che è molto velenosa e che le piace mordere??” abbaiò Grissom, provocando un immediato scatto del ragazzo a cui la penna cadde nella scatola, proprio sopra al ragno che si agitò convulsamente, evidentemente non gradendo l’intruso.
“Lascia perdere, la recupero io più tardi…” sospirò Gill allungandogli un’altra pena e cercando di incrociare i suoi occhi.
“Qual è il problema?” incalzò poi.
Silenzio.
“Greg!” insistette “Non provarci nemmeno a farmi credere che va tutto bene perché tanto non me la bevo! Di solito eviti il mio ufficio come la peste e oggi hai deciso di metterci radici; continui a ronzarmi intorno come se avessi qualcosa di importante da dirmi ma ti manca il coraggio per cominciare. Non si lancia il sasso per ritrarre la mano! Avanti, che c’è?”
Altro silenzio.
“Greg!” questa volta la voce di Grissom sembrava più infastidita.
“Insomma! Che vuoi sentirti dire?!” esplose Greg con un tono leggermente alterato “Puoi immaginarlo da solo cos’è che non va…” poi si calmò e rimase in silenzio per qualche secondo. No, forse Grissom non ce la faceva proprio ad immaginarselo…
“Mi manca la squadra che eravamo prima, mi manca l’atmosfera che c’è sempre stata qui. Mi manca il mio lavoro, che amavo con tutto me stesso… Ora non lo so più.”
Teneva gli occhi bassi, per non incontrare quelli del suo supervisore, che lo osservavano addolciti e stupiti per le parole che aveva udito.
“Capisco.” mormorò. “Ma il tuo lavoro è sempre qui, come lo era prima… solo ora sei avanzato di grado, ma credevo che questo ti avesse reso felice, che tu lo desiderassi” Soggiunse poi.
“Ed è così!” precisò subito Greg con fervore. “Quella promozione mi ha riempito di gioia…La desideravo e credevo di avere sprecato tutte le occasioni a mia disposizione; poi, quando ho visto quel cartello sul manichino… beh, io… non potevo crederci, ecco… mi sembrava un sogno. E per quanto riguarda la separazione della squadra…” pigolò poi, sperando, avventurandosi su quel terreno spinoso, di non spargere troppo sale sulla ferita di Grissom, che probabilmente bruciava ancora e molto più della sua, “Mi rendo conto che avrebbe potuto anche andarmi peggio, in fin dei conti sono rimasto insieme a te… e a Sara, non sono dovuto passare sotto la supervisione di Catherine… E’ solo che…”
“Cosa Greg?”
“E’ solo che le cose sembrano non voler migliorare mai… prima Eckley che non ci da tregua, poi il litigio tra Cath e Sara e poi… Beh, lo sai… Sara sta ancora finendo di scontare la sua punizione e c’è mancato poco che non venisse licenziata.”
“Non avrei ai licenziato Sara, lo sai.”
“Tu no… Ma Eckley lo avrebbe fatto e temo che sia solo una questione di tempo…” Un sospiro “Gli serve solo altro tempo e riuscirà a trovare una giustificazione per licenziarla. E poi toccherà a te, forse… E’ questo che vuole.”
“Lo so. Ma non è detto che ci debba riuscire Greg, ed è per evitare questo che dobbiamo continuare a svolgere il nostro lavoro, con la stessa passione di sempre soprattutto.. Le cose possono anche cambiare e noi non dobbiamo dare ad Eckley atre ragioni a cui appigliarsi e con le quali crearci altre difficoltà. Vedi… Per quanto riguarda Sara…” Grissom tacque per un attimo, come a voler scegliere con cura le parole, come indeciso se continuare quel discorso.
Greg, dal canto suo, poteva benissimo vedere il disagio e l’imbarazzo del suo capo, che si accingeva a toccare un tasto assai dolente, ma sperava di riuscire a nascondere quella sua consapevolezza.
“Il problema di Sara…” iniziò lentamente Grissom “…è la sua fatica nel dominarsi, nel tenersi dentro le proprie emozioni o sentimenti, per quanto buoni o legittimi possano essere. Eckley e Catherine sono stati ingiusti con lei, non ho dubbi in merito a questo, e inoltre ritengo che, per quanto riguarda la ragazza russa seppellita nel cemento, Sara avesse ragione. Ma non è questo il punto. Puoi avere tutte le ragioni del mondo, ma se non sei in grado di farle valere nel modo giusto non ti servono assolutamente a nulla. Sara ha sbagliato l’approccio e per questo ha rischiato di perdere il lavoro, non è riuscita ad incanalare la grande rabbia che ha dentro e questo l’ha portata a trovarsi in una posizione difficile. Questo è quanto.”
“Allora dovrebbe sforzarsi di essere più insensibile, forse?” chiese Greg non riuscendo a nascondere, con disappunto, un tono abbastanza seccato nella sua domanda.
“Non ho detto questo.” Ribatté Grissom come se avesse a che fare con un bambino un po’ tardo di comprendonio. “E’ solo che, nel lavoro che facciamo, bisogna anche saper scollegare il cuore, a volte… Non vuol dire non sentire nulla, non provare niente per le vittime, non avere emozioni proprie, causate dalle situazioni che viviamo. Ma se uno non riesce a dare un colpo di spugna, a fine giornata, si finisce per impazzire e quando chiudi gli occhi, alla sera, ti ritrovi davanti i visi di tutti i poveri disgraziati che hanno attraversato il tuo cammino in quel giorno e non puoi più avere pace. E purtroppo, tra questi visi evanescenti, i più vividi sono sempre quelli di bambini, donne e ragazzini. Ci sono dei casi speciali a volte, delle persone che lasciano il segno dentro di noi, che ci restano nel cuore e non se ne vanno mai più… ma deve essere un’eccezione, non la regola.” Concluse poi lapidario.
“Già.” Sbottò secco Greg. “Ma scommetto che tu di queste eccezioni non ne hai mai, vero Grissom? Scommetto che non c’è nessun fantasma a turbare i tuoi sogni la notte! Scommetto che non pensi mai a chi attraversa la tua strada ogni maledettissimo giorno!”
“Ma che diavolo stai dicendo?” Grissom sembrava alterato, tanto che sbattè con violenza gli occhiali sulla scrivania fissando Greg con uno sguardo severo e infastidito, che il ragazzo non aveva mai visto.
Per un attimo si sentì così piccolo, così incredibilmente sciocco… Lì, in quella stanza, appollaiato instabilmente su un angolo di quella sedia, mentre il suo supervisore, seduto all’altro lato di quella scrivania, sembrava schiumare di rabbia per la sua insolenza. Ma pensando alle parole di Sara, al suo viso la sera precedente, a quegli occhi, che gli erano parsi paurosamente spenti e vuoti, le sue paure e le sue incertezze non poterono che apparirgli idiote e insensate.
“Sai Grissom…” sentenziò poi con voce più pacata e tranquilla, ma che non per questo suonava meno arrabbiata. “…anch’io ho i mie fantasmi! E da ieri sera, dopo che sono stato a trovare Sara, non riesco a levarmi le sue parole dalle orecchie, a togliermi il suo viso dalla mente e non riesco a non rivedere quegli occhi in cui non c’è più niente. E non si tratta solo della sospensione o del diverbio con Chaterine,” proseguì appigliandosi ai braccioli della sedia, come in cerca di sostegno. “questo è l’ultimo dei suoi problemi. Si tratta di tutto, della sua vita, della situazione che vive giorno dopo giorno… Io in quegli occhi ho visto il nulla senza fondo. E non capisco come tu possa dormire la notte, proprio tu che potresti fare qualcosa, proprio tu che hai il dovere di fare qualcosa. Come puoi chiudere gli occhi senza trovarti davanti il suo viso?”
Non avrebbe voluto parlare così a Grissom, rivolgergli quelle parole, rovesciargli addosso tutta la sua rabbia e il suo disappunto. Non era andato nel suo ufficio con quello scopo, aveva promesso a Sara di starne fuori… Ma ora tutto veniva a galla. Così come l’acqua che sale in una buca, scavata nella sabbia da un bambino, sulla riva del mare, quel discorso intoccabile li stava circondando, incombeva su di loro, pronto a sommergerli.
E il viso di Grissom, pallido e immobile, come fosse di cera, indecifrabile come il più terribile degli enigmi, reso tale dalle sue parole, era qualcosa che lo impauriva, era un viso che non avrebbe mai voluto vedere.
CONTINUA…
  
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