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Autore: Whatsername    14/10/2005    5 recensioni
Tutto inziò in una notte d'estate, ai tempi in cui la magia era punita con la morte... e l'amore sembrava svanito per sempre.
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sorpresa
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Godric e Salazar avevano deciso di mettere in atto il loro piano quella notte stessa, dopo giorni e giorni di appostamenti e d

 

HOGWARTS, A HISTORY - 1

 

 

Godric e Salazar avevano deciso di mettere in atto il loro piano quella notte stessa, dopo giorni e giorni di appostamenti e di intense ricerche per imparare a memoria gli orari dei guardiani che sostavano a turno davanti alla prigione di Solitude Hollow. Erano rimasti nascosti in un capanno abbandonato proprio di fronte all’edificio in questione, uscendo solo di notte – e mai tutti e due insieme, nel caso qualcosa fosse andato storto – per procurarsi da mangiare.

Nei momenti in cui era rimasto solo, Godric aveva pensato spesso che quella in cui si erano imbarcati fosse un’impresa impossibile, ma non gli importava: sentiva che era indispensabile cercare di fare qualcosa per quella povera gente imprigionata ingiustamente con l’accusa di stregoneria. Magari molti di loro erano davvero maghi e streghe – come se questo potesse giustificare un processo e la morte sul rogo, comunque – ma di certo la maggior parte erano Babbani qualunque, arrestati per qualche equivoco. Si chiedeva come potesse la gente essere così fredda e intollerante: la caccia alle streghe stava diventando un fenomeno di isterismo di massa. Ormai non era più prerogativa degli ecclesiastici Cristiani: qualsiasi uomo timorato di Dio veniva invitato a denunciare alle autorità quanti più sospetti possibile, e le persone potevano venire imprigionate anche solo in base all’aspetto, o perché magari tenevano la scopa fuori dalla porta anziché dietro, o perché avevano un neo sulla pelle che veniva interpretato come il marchio della strega, il simbolo del patto che la persona che lo possedeva aveva stretto con il Demonio.

Se pensava alle proporzioni che quel complotto contro la religione doveva aver assunto, nelle menti dei cacciatori di streghe, Godric si sentiva quasi male. Come avrebbero fatto a fronteggiare una cosa del genere? Che ne sarebbe stato del mondo, se andava avanti in quella direzione?

Ci stava pensando anche quella notte mentre, appostato nel buio dietro a una delle finestre del capanno, spiava l’entrata della prigione. La sentinella, un uomo grasso e calvo di nome Rupert, fra poco si sarebbe alzato e sarebbe andato a liberarsi la vescica nella siepe dall’altra parte della strada sterrata. A quel punto, Salazar – che si trovava già al suo posto dietro al muro della prigione – sarebbe sgusciato fuori e l’avrebbe colpito, tramortendolo. La seconda sentinella sarebbe arrivata sul posto soltanto dieci minuti dopo e, se tutto andava come doveva, a quel punto loro e le due persone rinchiuse nella prigione sarebbero già stati lontani.

Rupert si alzò, pesantemente, e Godric aguzzò lo sguardo, raddrizzandosi un poco. Vide l’uomo attraversare la strada e sparire dietro la siepe. Trattenne il fiato per qualche attimo, finché non scorse la mano di Salazar agitarsi in aria, al disopra della vegetazione: stringeva un panno bianco, il segnale che la via era libera.

Godric si alzò e, armato soltanto della sua bacchetta magica, uscì di corsa dal capanno, tuffandosi nell’aria dolce della notte d’estate. In poche falcate raggiunse l’entrata della prigione, chiusa con un’infinità di lucchetti: puntò la bacchetta e mormorò una serie di “Alohomora!”, facendoli saltare uno dopo l’altro. Salazar arrivò trafelato dalla strada, con la bacchetta alzata, e mormorò:

“Dobbiamo sbrigarci…”

Aprirono la porta e la prima cosa che li colpì fu il fetore: dovettero tapparsi il naso e trattenere il fiato, per evitare di svenire. All’interno della piccola stanza il buio era pressoché completo: le finestre erano state sigillate e oscurate, per evitare che i prigionieri potessero avere un qualsiasi contatto con l’esterno. 

Lumos!” mormorarono all’unisono, e le punte delle loro bacchette si accesero, illuminando l’ambiente.

C’erano due persone, come già sapevano: una era una donna anziana, l’altra un ragazzino che avrà avuto al massimo quindici anni. La vecchia era accasciata su un fianco, in un angolo della baracca, con la bocca spalancata e gli occhi rivolti al soffitto, come a implorare pietà da quel Dio nel nome del quale l’avevano imprigionata. A Godric bastò un’occhiata per capire che era morta. Il ragazzino era rannicchiato nell’angolo opposto, e sembrava addormentato: era immobile, ma il suo piccolo petto si alzava e si abbassava ritmicamente. Godric entrò e avanzò nella stanza, mentre Salazar restava sulla porta a controllare che non arrivasse nessuno. Abbassò la bacchetta e illuminò il ragazzino più da vicino, mentre si accucciava accanto a lui.  Era vestito di stracci: l’unica cosa che aveva addosso erano i resti di una vecchia camicia, sporca di sangue e di qualche cosa che sembrava vomito, da cui sporgevano le braccia magrissime e piene di lividi, e un paio di calzoni troppo corti, altrettanto sudici e malridotti.  Aveva dei buffi capelli neri, corti e spettinati e incrostati di sporcizia; era pallidissimo e aveva due cerchi neri intorno agli occhi. Chissà da quanto tempo non mangiava, pensò Godric, con un moto di pena. La sua mano gli accarezzò gentilmente una guancia, e lui sembrò svegliarsi lentamente: sbatté le palpebre, nel tentativo di mettere a fuoco il viso che gli stava davanti, e per un attimo Godric temette che avrebbe urlato.

Invece non successe: si limitò a guardarlo, con un’espressione stupita sul volto. Aveva gli occhi azzurri, di un azzurro scuro, profondo.

“Non avere paura di me” sussurrò lui, senza smettere di accarezzargli la testa. “Sono venuto per portarti via di qui.

Lui annuì, e gli occhi gli si riempirono di lacrime.

“Riesci a camminare?” gli chiese, sottovoce.

Scosse la testa, senza smettere di fissarlo negli occhi. Quello sguardo lo metteva profondamente a disagio: non sapeva perché, ma era come se quel ragazzino lo conoscesse, come se riuscisse a leggergli i pensieri.

“Non importa” gli sorrise gentilmente. “Lascia fare a me…”

Lo prese fra le braccia, e lo sollevò senza sforzo: era magro come un uccellino. Lui gli si rannicchiò contro il petto, e chiuse gli occhi, con un piccolo sospiro.

“Muoviti, Godric” disse Salazar dalla soglia, nervoso. “Sta arrivando qualcuno, accidenti…”

Godric strinse il ragazzino fra le braccia, e uscì dalla baracca.

Si guardò intorno: dalla strada che saliva dal paese venivano verso di loro due sentinelle, con gli archi in spalla e l’aria piuttosto annoiata. Si facevano luce con due torce, e procedevano lentamente.

“Merda!” sibilò Salazar, e insieme a Godric mormorò:

Nox

Le loro bacchette si spensero, ma ormai era troppo tardi: una delle sentinelle li aveva visti, e stava puntando il dito per avvisare l’altra.

“Fermi!” gridarono i due uomini, mettendosi a correre nella loro direzione. Mollarono le torce sulla breccia della strada, e puntarono gli archi, con le frecce già incoccate.

“Via, via!” esclamò Godric, e si tuffò nella vegetazione che cresceva rigogliosa vicino alle mura della prigione. Salazar lo seguì.

Al dilà della siepe c’era un campo coltivato, che digradava bruscamente verso il fondo della valle. Corsero più veloci che potevano, cercando di mantenere l’equilibrio sul terreno sconnesso, mentre le guardie urlavano loro di fermarsi dalla cima della collina. Quando furono a circa metà del percorso, sentirono le frecce fischiare intorno a loro, ma non pensarono neanche per un attimo di fermarsi. Godric strinse di più il ragazzo e si curvò su di lui, per evitare che lo colpissero. 

“E’ meglio dividerci!” urlò Salazar, e la sua voce suonò abbastanza disperata.

“D’accordo!” gridò Godric, e quasi all’istante puntarono in due direzioni diverse: Salazar verso sinistra, e Godric verso destra.

 

Le frecce continuarono a bersagliarlo finché non riuscì a gettarsi fra gli alberi, fuori dalla portata delle armi. Imboccò un sentiero tortuoso e, mentre correva, abbassò gli occhi sul ragazzo.

“Tutto bene?” chiese, con il respiro corto.

“Sì…” disse lui piano. Aveva una voce strana, roca e gutturale. Stringeva la sua camicia fra i pugni chiusi, e aveva gli occhi serrati.

“Ci siamo quasi… andrà tutto bene…” ansimò Godric, nel tentativo di tranquillizzarlo, e lui annuì, gli appoggiò la testa contro il petto.

Avvistò la casa che lui e Salazar avevano costruito, un paio di anni prima, circondandola con un incantesimo respingi-Babbani: accelerò l’andatura, e quando entrò nel cerchio magico che delimitava il territorio protetto dall’incantesimo non poté evitare di tirare un sospiro di sollievo. Ancora con il ragazzino fra le braccia, si accasciò a terra, con la schiena contro il tronco di uno degli alberi che circondavano la piccola radura. Gettò la testa indietro, cercando di riprendere fiato, e sussurrò:

Ce l’abbiamo fatta…”

Il ragazzino tremava come una foglia, ed era talmente magro che neanche sentiva il suo peso sulle gambe. Stava per aggiungere qualcos’altro per tranquillizzarlo, quando sentì delle urla provenire dal folto del bosco. Pochi istanti dopo, li vide arrivare: i Cacciatori di Streghe. Erano almeno in trenta, armati di asce, spade, bastoni e qualsiasi altro arnese che potesse fungere da corpo contundente, e nelle mani libere dalle armi tenevano le torce, la cui luce ondeggiava sinistra fra i rami e il fogliame degli alberi. Passarono di corsa, ignorando completamente la piccola casa racchiusa nel cerchio magico, e veloci come erano arrivati scomparvero, diretti lungo il fianco della montagna. Godric pregò che Salazar si fosse nascosto bene, perché se lo avessero trovato per lui sarebbero stati guai seri.

Abbassò lo sguardo sul ragazzino, e si accorse che aveva chiuso gli occhi e non si muoveva più. Spaventato, si affrettò a sentire se il cuore batteva ancora, e rifiatò sollevato quando riuscì a sentire la vena che gli pulsava regolare sul collo. Era ridotto male, ma sarebbe sopravvissuto.

“Coraggio, piccolo…” mormorò, mentre si rialzava in piedi. “Ce la farai.

 

*

 

Lo trasportò in braccio fino al capanno che sorgeva dall’altra parte del cortile. Era un ambiente piuttosto spazioso, e il fatto che fosse semivuoto contribuiva a dare questa impressione: c’era un banco da lavoro addossato a una parete, un pagliericcio sulla destra, alcuni secchi, delle scope, e un soppalco per il fieno. Era privo di finestre: l’unica fonte di luce era una piccola apertura circolare, sulla parete di fronte alla porta, molto vicina al soffitto.

Godric si guardò intorno e avanzò sicuro nella semioscurità, adagiando il ragazzino sul pagliericcio coperto da una stoffa ruvida e polverosa. Estrasse la bacchetta, e mormorò un incantesimo: l’oscurità fu illuminata da decine di candele che fluttuavano nell’aria. Si avvicinò al pagliericcio, e si chinò sul ragazzino.

Il suo viso era pallido e sofferente. Adesso che aveva il tempo di guardarlo con calma, notò dei particolari che prima, nella fretta, gli erano sfuggiti: i graffi sulle guance, il labbro superiore spaccato e incrostato di sangue rappreso. I segni rossi intorno al collo. Dovevano averlo torturato prima di sbatterlo in prigione e di condannarlo al rogo: le torture servivano per convincere gli imputati a confessare, ed erano talmente persuasive che la maggior parte delle persone confessava di tutto, alla fine, anche delitti mai commessi. Gli venne una rabbia terribile: era sempre disgustato da quel modo di agire, ma il sentimento era addirittura centuplicato quando gli capitava di tirar fuori dalla prigione donne e ragazzini.

Accarezzò dolcemente la testa del ragazzino. I capelli, neri come la pece, erano incrostati di sporcizia, e tagliati in modo irregolare: in alcuni punti erano lunghi due o tre centimetri, ma c’erano delle zone rasate, e altre in cui si vedeva che dei ciuffi erano stati strappati via con forza. Osservò le ciglia lunghe, scure, che gettavano ombre sulle guance pallide e scavate. Che cosa poteva aver fatto quella povera creatura per meritare un destino tanto crudele?

Proprio in quel momento, sulla soglia apparve una figura bassa e tozza: Godric la vide con la coda dell’occhio, e si voltò.

“Marge…” mormorò, raddrizzandosi.

“Santo Cielo, Godric…” Marge, un’anziana signora dall’aria dolce e dai capelli grigi, si portò una mano alla bocca nel vedere la figuretta adagiata sulla paglia, immobile. “Chi è? E’ morto? L’hanno ucciso i Cacciatori che sono appena passati…?”

“No” disse lui, abbozzando un sorriso. “Non è morto… è conciato piuttosto male, ma ce la farà.

Marge si avvicinò, stringendosi il lungo scialle nero intorno al corpo. Si chinò sul ragazzino, lo scrutò con attenzione. I suoi occhi si riempirono di pena.

“Povera creatura…” mormorò, scuotendo la testa e allungando una mano per accarezzargli la testa. “Dove l’avete trovato?”

“Nella prigione di Solitude Hollow” spiegò Godric, allontanandosi dal giaciglio per prendere due secchi.

“E dov’è finito Salazar?” si allarmò la donna, guardandosi intorno.

“Ci hanno inseguiti” disse Godric. “Abbiamo dovuto dividerci.” Prese la bacchetta e mormorò un incantesimo: i due secchi si riempirono d’acqua. “Tornerà domattina, non preoccuparti” concluse, per tranquillizzarla.

Marge stava guardando la bacchetta fra le sue mani, con gli occhi leggermente sgranati. A Godric venne un po’ da ridere: Marge era una babbana, ma mesi prima era stata incarcerata con l’accusa di stregoneria. Era una delle tante persone che lui e Salazar avevano salvato dal rogo, e una delle poche a non essersene andata subito per la sua strada. Aspettava che nel paese dove viveva la famiglia di sua figlia, nel sud dell’Inghilterra, finisse l’epidemia di peste, per poterla raggiungere. Avrebbe dovuto essere abituata, ormai, a vedere incantesimi e bacchette magiche, ma ogni volta la sua espressione era esilarante.

“Avanti, Marge” Godric le batté una mano sulla schiena, divertito. “Non avrai ancora paura dei sortilegi, eh? Dovresti sapere che la magia non è sempre nera, dopo tutto.”

La vecchia inarcò un sopracciglio: “Fino a qualche mese fa pensavo che fossero tutte fandonie…” ammise, accigliata.

“Già, e non sai quanto pagherei perché tutti i babbani la pensassero come te” osservò Godric, truce. “Certi orrori verrebbero risparmiati alla povera gente.”

“E’ un mago?” domandò Marge, accennando al ragazzino. Sembrava che avesse ripreso i sensi: adesso gemeva sommessamente.

Godric scosse la testa. “Non ne ho idea. Non ha detto una sola parola, non so nemmeno come si chiama… vieni, aiutami a lavarlo. Con tutto quel sudiciume, sarà un miracolo se le ferite non saranno già infette.

Marge si avvicinò di più al pagliericcio, mentre Godric si procurava uno strofinaccio e un pezzo di sapone scuro dal ripiano accanto alla porta. Si mise dall’altro lato del giaciglio, e mentre Marge cominciava a slacciare la camicia sudicia del ragazzino, sporca e decisamente troppo grande per lui, gli accarezzò la testa e sussurrò:

“Piccolo, mi senti…? Qual è il tuo nome?”

A tutta prima non venne nessuna risposta, e Godric pensò che fosse svenuto di nuovo, o che si fosse addormentato. Poi lo vide muoversi lentamente. Gli sfuggì un altro piccolo gemito.

“Riesci a sentirci, tesoro?” ripeté Marge, con dolcezza, mentre cercava di districare i legacci che chiudevano la camicia. Erano legati strettissimi.

“Rowena…” mormorò il ragazzino, con un filo di voce, e sembrò che parlare gli costasse uno sforzo enorme.

Godric alzò gli occhi e incrociò lo sguardo di Marge. Erano tutti e due perplessi.

“Rowena?” disse Godric, piano, senza smettere di accarezzare i capelli ispidi del ragazzino. “Chi è? La tua mamma? Tua sorella? Dove…”

“Oh, Cielo!” esclamò Marge, interrompendolo e facendolo trasalire.

“Che succede?” si allarmò lui, guardandola stupito. La donna aveva appena slacciato i legacci, e fissava il petto del ragazzino con un’espressione a metà fra l’orripilato e lo sbalordito.

Godric a tutta prima non capì. Poi seguì la direzione dello sguardo di Marge, e tutto fu chiaro: dalla camicia spuntavano, sudici e coperti di graffi e bruciature, due piccoli seni appuntiti.

“Oh, per Merlino…” sussurrò Godric, allibito, mentre i suoi occhi andavano dal viso del ragazzino al suo petto e viceversa. Sembrava impossibile.

“E’ una ragazza!” disse Marge, stupita quanto lui.

Godric sentì che lo stupore si mescolava alla collera. Come poteva la Chiesa permettere che le donne venissero trattate in quel modo? Dov’erano la giustizia, la pace e la tolleranza? Dov’era l’amore?

“Rowena…” sussurrò, accarezzandole la guancia coperta di graffi e chiamandola con quello che – adesso era chiaro – doveva essere il suo nome. “Mi senti? Dobbiamo lavarti, altrimenti le ferite si infetteranno…”

Lei annuì impercettibilmente, e socchiuse le palpebre, lo guardò attraverso quelle ciglia nere e lunghissime. Cercò di sorridergli.

“Grazie” sussurrò.

Poi svenne.

 

*

 

“Godric, tu non dovresti stare qui” protestò Marge poco dopo, quando lo vedi chinarsi a bagnare lo straccio in uno dei due secchi.

Cosa?” la guardò, perplesso. “Ma che dici?”

“E’ una ragazzina” spiegò Marge, leggermente a disagio. “Non so se è il caso che tu… che tu la veda in queste condizioni.

“Oh, ti prego!” Godric scoppiò a ridere, divertito. “E’ una bambina, avrà almeno dieci anni meno di me… non essere sciocca.

“Non mi piace lo stesso” sentenziò la vecchia, aggrottando le sopracciglia, mentre insaponava delicatamente il petto di Rowena. Le aveva tirato giù la camicia fino alla vita, e aveva concluso di non poter usare lo strofinaccio per lavarla: le avrebbe portato via le croste e riaperto le ferite.

“Non è la prima volta che vedo una donna in queste condizioni, comunque…” aggiunse Godric, per prenderla in giro.

Piantala, ragazzaccio” lo zittì lei, ma sorrideva. Voleva un gran bene a Godric, e non era un segreto per nessuno. “Il punto non è questo. E’ che lei potrebbe sentirsi in imbarazzo se dovesse svegliarsi e ti vedesse…”

“Credo che abbia cose più importanti a cui pensare” osservò Godric, grattandosi il mento. “Comunque, poi dovrò aiutarti a tenerla sollevata, per lavarle la schiena.”

“E’ vero” ammise Marge, e lo guardò con aria furba. “Ma puoi tornare dopo.

Godric rise. “Senti, non ho nessun interesse a spiare le nudità di una ragazzina, te lo assicuro. Voglio solo rendermi utile…” disse. Strizzò lo straccio. “Le laverò il viso, e non guarderò quello che stai facendo tu. Va bene?”

“Va bene” si arrese Marge, scuotendo la testa. “Tanto, quando ti metti in testa una cosa è impossibile farti cambiare idea.”

Godric ridacchiò, e non trovò niente da ribattere: era la pura verità.

Sedette sul bordo del pagliericcio, e infilò una mano sotto la nuca di Rowena, fra i capelli corti e ispidi. Le sostenne la testa, e con delicatezza cominciò a toglierle la polvere e il sangue rappreso dalle guance.

“Forse sarebbe il caso di farle un vero bagno, appena è possibile” considerò, sottovoce, mentre la fissava con intensità.

“Già… dovremmo portarla al ruscello” disse Marge, piano. “Ma non adesso” aggiunse, toccandole la fronte con la punta delle dita. “Scotta da morire… deve avere la febbre alta, povera creatura.  

Godric non rispose, e continuò a lavarle il viso, in silenzio. Rowena teneva gli occhi chiusi, e ogni tanto si mordeva le labbra, trattenendo a stento piccoli gemiti di dolore: per quanto Marge stesse cercando di essere delicata, la sua pelle era ridotta davvero male. Godric aveva il cuore gonfio di pena e di rabbia: ne aveva visti di prigionieri ridotti male, ma mai così tanto. Forse a fargli impressione era anche il fatto che si trattasse di una ragazzina così giovane. Quale uomo poteva avere il coraggio di torcere un capello a una bambolina così piccola e indifesa? Si aspettavano davvero il Paradiso e la gratitudine di Dio, per questo?

“Dai, Godric” la voce pratica di Marge lo riscosse dai suoi pensieri. “Aiutami a tenerla seduta, bisogna lavarle la schiena.

Si affrettò ad obbedire. Sedette davanti a lei, sul pagliericcio, e la tirò su, più dolcemente che poté, appoggiandosela contro il petto. Marge sedette dietro a Rowena e cominciò a strofinarle piano la schiena, che non era certo in condizioni migliori del resto del corpo: sul pallore della pelle spiccavano i segni scuri delle frustate. Godric rabbrividì istintivamente.

“Povera piccola…” sussurrò Marge, trattenendo a stento le lacrime, la voce traboccante di pena.  Dove andremo a finire, di questo passo?”

Rowena trasalì improvvisamente, e gemette.

“Mi dispiace” mormorò Marge. “Ma devo pulire le ferite, piccola, altrimenti non guariranno…”

“Va tutto bene” sussurrò Godric, accarezzando piano i capelli ispidi di Rowena. Le fece appoggiare la testa contro la sua spalla, e la strinse con dolcezza, le baciò piano la fronte. Scottava davvero tanto. “Va tutto bene, Rowena… tra poco avremo finito e potrai risposare.

Era così magra che sarebbe stato facile contarle le vertebre e le costole, una ad una… chissà da quanto tempo non mangiava. Chissà quanto era rimasta chiusa in quella prigione puzzolente. Si sentì rivoltare lo stomaco per il disgusto che provava verso il genere umano.

“Finito” annunciò Marge, sottovoce. Si alzò in piedi, e lasciò cadere lo straccio nel secchio. “Vado a prenderle qualcosa da mettersi addosso.

“Prendi una mia camicia” le suggerì lui. “Dovrebbe andarle bene come vestito, no?” aggiunse, abbozzando un sorriso. Godric era alto almeno un metro e novanta, e Rowena era uno scricciolo minuscolo: di certo non superava il metro e sessanta.

“Sì, immagino di sì” Marge restituì il sorriso, dirigendosi verso la porta. “Continua a tenerla così, Godric” aggiunse, mentre usciva. “Non farla sdraiare, alcuni tagli si sono riaperti ed è meglio che non li sfreghi contro il tessuto… la paglia le farebbe male.

“Va bene” mormorò Godric.

Si mosse un poco, per accomodarsi Rowena fra le braccia, e pensò che doveva avere la febbre molto alta: la sua pelle era calda e secca, e la sentiva tremare violentemente, scossa dai brividi.

“Hai freddo, piccola?” sussurrò, al suo orecchio.

Lei annuì. Godric cercò di stringerla il più possibile, senza farle male, ma non credeva di riuscire a riscaldarla un granché, in quel modo. Per fortuna Marge tornò dopo pochi istanti, con una camicia bianca in mano e un paio di pantaloni nell’altra.

“Sono miei quei pantaloni?” si stupì Godric, guardandola.

“Sì” ammise la vecchia, sedendosi di nuovo sul pagliericcio. “Dobbiamo metterle qualcosa intorno alle gambe, o i graffi si riapriranno a contatto con la stoffa della coperta. ” Gli fece un cenno. “Su, tirala un po’ su… dobbiamo infilarle la camicia.

Godric staccò Rowena da sé, con dolcezza, e le mise le mani sui fianchi, per tenerla dritta. Era talmente debole che non riusciva nemmeno a stare seduta se qualcuno non la sorreggeva.

“Avanti, tesoro…” sussurrò Marge, cominciando a infilarle le maniche. “Ci siamo quasi, poi potrai riposare.”

Rowena non aprì gli occhi, accennò solo a una piccola smorfia di dolore.

“Bene, adesso lasciala sdraiare” disse Marge, quando ebbe finito di infilarle la camicia.

Godric eseguì, mettendo giù Rowena con tutta la delicatezza possibile. Marge si spostò verso i piedi della ragazza, con i calzoni in mano.

“Allacciale le stringhe della camicia mentre le infilo i pantaloni” disse ancora la vecchia.

Godric sedette di fianco a Rowena, e cominciò a legarle i piccoli lacci sul petto. La vista delle cicatrici e delle croste delle ferite più recenti lo sconvolgeva ancora. Le guardò il viso, così pallido e sofferente, e desiderò avere per le mani i bastardi che l’avevano ridotta in quello stato. Come riuscivano a dormire la notte? Con che coraggio andavano in Chiesa, la domenica?

“Una ragazza con i pantaloni” mugugnò Marge, scuotendo la testa sconsolata. “Dove arriverà il mondo, di questo passo?”

Rowena doveva aver sentito, perché Godric la vide sorridere leggermente. Pochi istanti dopo aprì gli occhi, e incrociò i suoi, facendolo quasi trasalire. Quella ragazzina aveva uno sguardo strano: i suoi occhi erano grandi, profondi, di un azzurro talmente scuro da sembrare quasi nero, e gli diedero di nuovo la sensazione che lei lo conoscesse già da tempo. Erano infinitamente più adulti di quanto avrebbero dovuto, e questo pensiero rattristò enormemente Godric.

“Una ragazza in pantaloni è molto affascinante, Marge” disse, senza smettere di guardare Rowena.

Si scambiarono un sorriso, e nello sguardo di lei passò un lampo di divertimento.

“Non dire idiozie, Godric” lo redarguì la vecchia, inorridita. “Le signorine per bene non penserebbero mai di andare in giro conciate in modo tanto indecente, e non lo farebbe neanche questo angelo se non si trovasse in questa situazione…” Scosse la testa, e strinse i lacci intorno alla vita di Rowena. “Ecco fatto.”

Anche io ho finito” disse Godric, legando l’ultima stringa. Rowena aveva richiuso gli occhi.

Marge la coprì con una coperta pesante, e preparò un secchio colmo d’acqua accanto al letto: bagnò una pezza e la mise sulla fronte di Rowena, per darle un po’ di sollievo dalla febbre.

E non possiamo nemmeno chiamare un dottore!” si lamentò, torcendosi le mani.

“Marge, non preoccuparti” la tranquillizzò Godric, con un sospiro. “Non serve il dottore. Guarirà da sola, ha soltanto bisogno di riposare. Domattina la febbre sarà già scomparsa.”

“Lo spero.” Marge lo guardò, con occhi stanchi. “Va’ a letto, Godric… resto io con lei. Sarai sfinito, dopo quello che hai fatto stanotte.”

Era vero, era distrutto… ma al pensiero di andarsene a dormire il cuore gli si strinse. Guardò Rowena e capì che non voleva lasciarla nel capanno con Marge, voleva prendersi cura di lei con le sue mani. Si stupì di quell’istinto quasi fraterno che si era improvvisamente impadronito di lui, ma decise di assecondarlo.

“No, vai pure a dormire, Marge…” disse, con dolcezza. “Sono talmente scombussolato che non riuscirei comunque a chiudere occhio.”

“Resti tu con la bambina…?”

“Sì…” sorrise, lievemente divertito nel sentirle pronunciare la parola bambina.

“Ricordati di bagnarle la fronte” lo ammonì la vecchia, mentre si avviava verso la porta.

“Va bene.”

“E dalle da bere ogni tanto, con la febbre bisogna bere” aggiunse Marge, prima di sparire nel cortile. “Buonanotte!”

notte…” mormorò Godric, divertito, mentre la porta si chiudeva cigolando lentamente.

 

*

 

Si guardò un po’ intorno, indeciso su cosa fare, poi concluse che avrebbe potuto permettersi qualche attimo di riposo: Rowena sembrava sprofondata in un sonno agitato, e respirava pesantemente, ma più che cambiarle il panno che le inumidiva la fronte in quel momento non avrebbe potuto fare. Spense quasi tutte le candele, adesso non ce n’era più bisogno, e si sdraiò dall’altra parte del pagliericcio, alla sinistra di Rowena. Infilò le mani intrecciate sotto la nuca, e si mise a fissare le ombre che la luce dell’unica candela rimasta accesa faceva danzare sul soffitto. Chissà che fine aveva fatto Salazar… non era la prima volta che dovevano dividersi dopo un’evasione, ma in quegli ultimi tempi la furia dei Cacciatori si era fatta ancora più violenta del solito. Godric si augurò di nuovo che l’amico stesse bene.

Si voltò a guardare Rowena, sdraiata sulla schiena: dormiva con la bocca socchiusa, le sopracciglia leggermente aggrottate. I capelli corti e irregolari spuntavano a ciuffi dal suo cranio, come piccoli cespugli ribelli. Guardandola di profilo, non poté fare a meno di sorridere alla vista del suo nasino all’insù: aveva un che di sbarazzino e di aristocratico insieme. In effetti, nonostante gli abiti sporchi e dimessi e il suo aspetto trasandato, Rowena aveva l’aria di una ragazza di buona famiglia. Anzi, era abbastanza bella per essere addirittura una principessa… e in vita sua Godric ne aveva viste molte, di principesse, ma nessuna bella come lei.

Ma che diavolo stai farneticando…, si disse ridendo di se stesso. E’ solo una ragazzina, non dovresti nemmeno pensarle, certe cose…

Senza nemmeno accorgersene, scivolò nel sonno.

 

*

 

Rowena aprì gli occhi di scatto e si guardò intorno, con il respiro affannoso.

Per qualche orribile istante fu convinta di trovarsi ancora in prigione. Fino a pochi secondi prima, infatti, era intrappolata in un sogno orribile in cui Padre Cavanaugh, il prete che l’aveva torturata a Solitude Hollow, la minacciava di staccarle le dita dei piedi a una a una se non avesse confessato di essere una strega e di aver stretto un patto con il Demonio.

Rabbrividì, e cercò di calmarsi, mentre il suo sguardo vagava per il soffitto di quella che – grazie al cielo – non era la prigione puzzolente in cui aveva passato le ultime tre settimane della sua vita. Tastò il giaciglio su cui era sdraiata: era un pagliericcio, coperto da uno strato di tessuto morbido, che non faceva passare neanche uno spuntone. C’era un buon odore di fieno, in quel posto, e una candela accesa da qualche parte: vedeva forme scure muoversi ondeggiando lungo le pareti. C’era una piccola finestra rotonda, in alto sulla parete alla sua destra, e Rowena notò che era ancora notte. Tutto era estremamente silenzioso.

Cercò di riordinare le idee, e nel frattempo tentò di muoversi: quest’ultima idea le costò cara, perché la schiena le bruciò come se l’avessero appena colpita con un ferro rovente, strappandole un gemito di dolore. Decise che sarebbe rimasta ferma il più possibile.

Dopo due minuti si era già annoiata di stare immobile, e provò cautamente a muovere il collo. Fu quasi per caso che spostò lo sguardo alla sua sinistra, e per poco non gridò dallo spavento. Il suo cuore minacciò di fermarsi, e l’unico motivo per cui non saltò giù dal letto fu che era troppo debole anche solo per sperare di potersi reggere in piedi.

C’era un uomo disteso accanto a lei. Rimase a guardarlo spaventata, mentre il sangue le rimbombava nelle orecchie,  ma quando i primi attimi di paura furono passati, si rese conto che – almeno per il momento – lo sconosciuto era innocuo: sembrava profondamente addormentato.

Aveva un viso stranamente familiare, e Rowena si sforzò di ricordare chi fosse, e che cosa diavolo ci facesse lì. Per la verità, non ricordava con esattezza nemmeno perché lei si trovasse in quel posto: la testa le doleva terribilmente e si sentiva piuttosto confusa. Cercò di concentrarsi nel tentativo di mettere a fuoco i particolari di quello che era successo poche ore prima, ma davanti agli occhi le passavano solo immagini strane e indistinte: la fuga dalla prigione, le frecce… l’inseguimento nel bosco… non era nemmeno sicura di quanto tempo fosse effettivamente passato. Di una sola cosa era certa: a salvarla era stato l’uomo che dormiva lì accanto. L’immagine del suo volto illuminato dalla bacchetta, nell’oscurità della prigione, era vivida nella sua memoria: le bastò chiudere gli occhi per rivederla nitidamente.

Appoggiò la guancia sul cuscino e rimase a guardarlo a lungo, immobile alla luce della candela, lottando con il sonno e la stanchezza che minacciavano di sopraffarla di nuovo. Si sentiva molto debole, sfinita, ma era divertente osservare quel ragazzo e cercare di immaginare come potesse essere nella vita di tutti i giorni. Lo sguardo di Rowena percorse i lineamenti del viso di lui: erano regolari, quasi aggraziati, ma allo stesso tempo molto maschili. Aveva le sopracciglia folte, il naso deciso, le labbra piene e seminascoste dai baffi e dalla barba di qualche giorno. I capelli erano ricci e scomposti, piuttosto corti per la moda del tempo e di un colore particolare, a metà fra il castano e il ramato: ricordavano la criniera di un leone.

L’accostamento mentale con quel tipo di animale la divertì e la fece sorridere, ma pensandoci bene non era poi così assurdo: anche vedendolo addormentato, il ragazzo dava l’idea di essere molto forte.  Rowena ricordava perfettamente la facilità con cui l’aveva sollevata e trasportata, mentre fuggivano di corsa dalla prigione. Ricordava anche il suo odore, quando l’aveva stretta a sé: un misto di sapone, sudore e fieno. A poco a poco, le tornarono in mente anche altri particolari: la sua voce profonda, gli occhi verdi e dolci, il tocco gentile delle sue grandi mani. Il fatto che l’avesse chiamata “piccolo”, scambiandola all’inizio per un ragazzino.  Ricordò che l’aveva spogliata e lavata e, nonostante i giorni di prigionia e le torture l’avessero vista nuda di fronte a schiere di persone, arrossì: questo era completamente diverso. Quel ragazzo l’aveva toccata con gentilezza, ed era qualcosa a cui non era più abituata da moltissimo tempo.

E’ bello, pensò, con un piccolo sorriso segreto, senza smettere di accarezzarlo con lo sguardo. Vorrei che mi stringesse ancora fra le braccia.

Ci mise diversi minuti per prendere una decisione. Poi si mosse piano, scivolando più vicino a lui, e gli appoggiò la testa sul petto, con cautela. Non voleva svegliarlo: se fosse successa una cosa del genere, sarebbe morta di vergogna. Chiuse gli occhi e sentì  il cuore di lui battere sotto al suo orecchio. Per qualche strana ragione, quel suono forte e regolare ebbe il potere di farla sentire al sicuro.

Non aveva intenzione di restare in quella posizione a lungo: non voleva rischiare che lui, svegliandosi, la trovasse così. Stava per scivolare di nuovo al suo posto, quando si sentì passare un braccio intorno alle spalle, e trasalì. Arrossì fino alla radice dei capelli, e serrò le palpebre, come se il fatto di non vedere quello che le stava intorno potesse cancellare quella realtà terribilmente imbarazzante. Rimase in silenzio per diversi minuti, il cuore che le batteva furiosamente nel petto, finché le sembrò che ci fosse qualcosa di strano in tutta quella faccenda. Facendosi coraggio, alzò la testa e controllò. Tirò un sospiro di sollievo quando vide che il ragazzo era ancora profondamente addormentato. Doveva averla abbracciata nel sonno, senza rendersene conto.

Rowena pensò che avrebbe dovuto staccarsi da lui al più presto, ma una parte di lei non voleva assolutamente. Aveva un grande bisogno di sentirlo così vicino. Era così bello sentirsi stringere con gentilezza. Non ricordava neanche più quanto tempo era passato dall’ultima volta che qualcuno l’aveva abbracciata, e chissà quanto altro ne sarebbe passato dopo questa. Non aveva nessuno al mondo. Nessuno che le volesse bene, o che si prendesse cura di lei.

Serrò le palpebre, mentre l’immagine del viso di suo padre si ricomponeva nella sua mente. Lo ricordava sempre com’era l’ultima volta che l’aveva visto, la sera prima che i Cacciatori lo catturassero e lo impiccassero senza processo. Era successo tanto, tanto tempo prima… sembrava trascorsa una vita intera da quel giorno, eppure suo padre le mancava sempre con la stessa, dolorosa intensità.

Si strinse contro il petto del ragazzo disteso accanto a lei, e sentì il calore della sua pelle contro la guancia, attraverso la stoffa sottile della camicia. Dopo tanti anni di solitudine e di infelicità, quel contatto la faceva sentire diversa. Di nuovo viva. Pensò che le sarebbe piaciuto rimanere accanto a lui per tutta la vita, se solo fosse stato possibile, e per un attimo desiderò intensamente che tutto il mondo fosse racchiuso in quel capanno.

Godric…, ricordò, mentre il sonno aveva la meglio sul suo cervello e sulle sue membra stanche. Si chiama Godric… e io gli devo la vita.

 

  
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