Prologo
-
In nomine Patris, et Filii,
et Spiritus Sàncti - .
-
Amen. - .
Gli occhi verdi scrutarono l’esigua folla
di credenti della messa mattutina abbandonare le panche in rispettoso silenzio.
Alcuni di essi,
prima di uscire, sollevarono ancora una volta gli sguardi verso l’enorme croce
di legno posta alle spalle dell’altare, prodigandosi in riverenti genuflessioni
e accompagnando queste a lenti movimenti della mano, che andavano a definire il
segno della croce.
Solo poche donne restavano ancora, sedute
sulle panche in prima fila, intente a far scorrere i
granelli del rosario tra le mani, elevando talvolta, in coro, accorate
suppliche alla donna di bianco vestita che, dall’alto del ripiano in marmo sulla quale era stata adagiata, rivolgeva gli occhi
verso la croce, alla sua sinistra, in una muta richiesta d’ascolto.
Con un lieve sorriso a
incurvarle le labbra, le dita diafane, in netto contrasto con la manica del
lungo vestito nero dalla quale spuntavano, andarono a chiudersi delicatamente
attorno ai granelli rossi della propria corona.
-
Pàter nòster, qui es in caelis… -
.
Abbassò il capo, posando lo sguardo su quel
che rimaneva del suo passato, perdendosi in ricordi lontani.
-
… fiat volùntas tua… - .
Le mani strinsero con rabbia la piccola
croce che penzolava dalla corona.
-
…
ne nos indùcas in tentatiònem… - .
Il sarcasmo s’impadronì del suo volto, e
trattenne a stento una risata.
-
… libera nos a malo - .
-
Amen
– si ritrovò a pronunciare nonostante tutto, reprimendo la rabbia, coprendosi
il volto col velo nero che le ricopriva il capo e alzandosi quando ebbe individuato
il motivo che l’aveva costretta a trovarsi in quel posto, a quell’ora.
Non perdendo di vista l’anziano sacerdote,
avviatosi a svolgere i propri doveri questa volta nel confessionale, si diresse
verso quest’ultimo lentamente, ponderando bene i
passi, esprimendo dentro di sé il desiderio d’impedire ai tacchi delle scarpe
che indossava di non scandire il tempo, come invece sembrava stessero
facendo.
Si fermò, inspirando profondamente, gli
occhi ancora incollati al drappo di velluto viola che decorava il legno scuro
del luogo all’interno del quale si era chiuso il suo obiettivo.
Ce la poteva fare… anche
se questo avrebbe implicato mettersi nuovamente in gioco. Aveva un
pessimo ricordo del ruolo di pedina che si era trovata a ricoprire tempo fa… stavolta sarebbe riuscita a gestire il gioco a suo
vantaggio?
Attese che l’uomo che l’aveva preceduta a
causa della sua voluta lentezza uscisse dal
confessionale, poi vi entrò, trattenendo il fiato.
-
In
nomine Patris, et Filii, et Spiritus
Sàncti - .
-
Amen
– si ritrovò a rispondere a bassa voce, scrutando attentamente la figura al di là del sottile divisorio traforato. Non era cambiato
di una virgola nel corso del tempo. I capelli, certo, avevano perso il loro colore
bruno, originario, venendo sostituiti da una
moltitudine di capelli grigi. E le rughe erano un segno evidente dell’età che
avanzava, nonché – forse
– del dolore che doveva avergli scavato dentro per tutto quel tempo.
Chissà se un sacerdote si confessava a sua
volta, si ritrovò a pensare in quel momento. Non s’era mai curata di chiedersi
una cosa simile.
Un mucchio di cose non s’era mai curata di chiedersi, a dire il vero. Quando
le risposte più necessarie e urgenti stentavano a venire a galla, quanta
importanza poteva avere il resto?
-
Ho
peccato, Padre –
decise di rispondere dopo il lungo silenzio provenuto dall’altra parte,
ricevendo in risposta un altro lungo momento di silenzio a causa – ne era certa
– del tono marcato che aveva utilizzato per pronunciare l’ultima parola.
-
La
misericordia di Dio è infinita, figliola – rispose
l’uomo dopo un po’, non prima di essersi schiarito leggermente la voce.
Si ritrovò a sorridere amaramente,
stringendo i pugni per non lasciare che la collera prendesse il sopravvento.
-
Ne
sono consapevole – controbbattè modulando la voce,
cercando di non manifestare nervosismo.
-
Confessa
allora i tuoi peccati, figliola, affinché possa assolverti nel nome… - .
-
Lei
confessa mai i suoi peccati, Padre? – gli chiese
istintivamente, aspettando pazientemente la risposta dell’uomo, che tardava ad
arrivare probabilmente perchè preso in contropiede. Era realmente
interessata alla risposta.
-
Naturalmente…
sono un servo di Dio… e ciò non mi esclude dalla confessione… - .
-
Come
tutti i credenti, dunque, teme l’Inferno - .
-
Temo
la collera del Signore, e temere questi è più importante di
temere qualunque altra cosa… - .
-
Teme
l’uomo? - .
-
L’uomo?
– fu la pronta domanda dell’anziano sacerdote.
-
L’uomo
non è misericordioso. L’uomo è meschino, abbietto e crudele. Non ha bisogno di mancare di rispetto al Signore per finire all’Inferno, riesce a viverci
tranquillamente qui, sulla Terra, facendone il proprio habitat – rispose tutto
d’un fiato, non riuscendo più a contenersi. – Ma sono
certa che lei lo sappia già. - .
L’agitazione dell’uomo, indipendentemente
dal frequente balbettio sconnesso mormorato, era ormai palpabile.
-
Figliola…
il mondo in cui viviamo purtroppo… - .
-
È
la terza volta che mi chiama figliola, Padre
– decise dunque d’intervenire nuovamente, ben conscia di quanto sarebbe
avvenuto da lì a poco. – Eppure ricordo nitidamente la sua estrema reticenza
nel volerlo riconoscere, tempo fa - .
Se avesse avuto un
udito più sviluppato, meno umano, sarebbe stata sicura di aver avvertito un
acceleramento del battito cardiaco del suo interlocutore.
-
Non
capisco… - .
-
Naturalmente – rispose cinicamente,
impedendogli di continuare a parlare. – Anch’io, in
effetti, non capisco. Non capisco che bisogno ci sia stato di farmi fare un
test del dna per dimostrare una cosa palesemente ovvia quando
avevi già deciso di abbandonare me e mia madre… - .
Calma cadenzata. Non credeva
sarebbe riuscita a trattenersi.
Il suo interlocutore aveva ormai smesso di
obiettare, attendendo probabilmente che la spada di Damocle
gli recidesse il capo.
Eppure lei dentro di sé non riusciva a impedirsi di sperare che qualche, seppur piccolo, miracolo potesse accadere…
-
Si
sta sbagliando – lo sentì pronunciare dall’altra parte, vedendo tutte le sue aspettative esplodere come una bolla di sapone. Ancora una
volta.
Trattenne il fiato.
-
È morta, James –
si costrinse
a dire, sentendo dentro di lei una fitta attraversarle il petto. – L’hanno
uccisa. – continuò, avvertendo la voce affievolirsi a causa del groppo che le si era formato in gola. - Così come uccideranno me –
concluse, lasciando che le prime lacrime le solcassero
il volto contratto in una smorfia di dolore.
Il silenzio calato nel confessionale era
più significativo di qualsiasi parola.
-
Ti
prego… - sussurrò, avvicinando la bocca al divisorio,
per fare in modo che la sua voce rotta dai singhiozzi gli arrivasse più nitida.
-
Le
ripeto che si sbaglia – fu la fredda risposta. – Non
so lei chi sia… ne di che parla. L’unica cosa che
posso fare per lei è consigliarle di rivolgersi alla polizia se ha problemi di
un certo spessore - .
-
Hanno
corrotto tutte le persone alle quali potevo
rivolgermi… - biascicò, tentando di ridare alla voce un tono più fermo.
-
Non
è un problema che mi riguarda – fu l’ennesima risposta
lapidaria.
Le gambe le tremarono, mentre un freddo
pungente le attraversò la schiena ricoperta di sudore.
-
Sei
solo un lurido figlio di puttana! – urlò, dando un pugno al divisorio. – Che tu possa marcire all’Inferno del tuo patetico dio,
vigliacco! - .
Abbandonò il confessionale velocemente,
mettendosi poi a correre verso il grande portone della
Chiesa, incurante degli sguardi interdetti e sconvolti dei fedeli che stavano
pregando.
A nulla erano valsi quegli anni spesi a
servire il Signore, quell’ ultimo gesto gli aveva fatto guadagnare un biglietto di
sola andata per il regno di Lucifero.
- Ave Maria, gratia plena… -.
Dannata curiosità che l’aveva spinto ad
osservare attraverso il divisorio... aveva distolto lo
sguardo non appena s’era accorto di essere osservato a sua volta.
-
…dòminus tecum, benedica tu in mulièribus… - .
Ma, per Dio, quei capelli…
-
… et benedìctus
fructus vèntris tui, Iesus… - .
Rossi… come i suoi!
Senza riuscire ad impedirselo, si ritrovò a
singhiozzare, nascondendo il viso tra le mani.
Contrasse il volto in un’espressione di dolore,
continuando a pregare, piegandosi al suolo consacrato più di quanto già non lo
fosse, incapace di sostenere la visione della croce.
-
…
Sancta Maria, mater dei, ora pro nobis peccatoribus… - .
Avvertì una delle porte della Chiesa
aprirsi per poi richiudersi delicatamente.
Deciso a concludere
la preghiera, si propose di avvisare successivamente i fedeli o gli eventuali visitatori
che quella non era ora ne di messe ne di visite.
-
… nunc et in hora
mortis nostrae… - .
-
Amen!
- .
Riaprì gli occhi, avvertendo un sudore
freddo imperlargli la fronte.
-
Amen
– concluse a sua volta, riavvolgendosi la corona del
rosario attorno al polso destro e voltandosi lentamente verso la fonte della
voce.
-
Come
va, James? – gli chiese l’uomo biondo gioviale, in
tono puramente sarcastico, allargando il sorriso man mano che vedeva il suo
interlocutore sbiancare.
-
Beh,
capisco. Arriviamo quindi al dunque: partendo dal presupposto che grazie ai
dati che possediamo non avresti alcuna possibilità di mentirci e che un tuo
tentativo di farlo ti condurrebbe istantaneamente alla morte, ci aiuti a trovar
pel di carota? - .
Con gli occhi ancora umidi per il pianto
digrignò i denti, realizzando in quel momento cosa aveva fatto. Ma non avrebbe permesso che il suo egoismo procurasse altro
dolore, no.
-
Va
all’inferno, Hector! – scandì meticolosamente,
avvicinandosi col volto a quello dell’uomo che aveva davanti.
Fu un attimo.
Una confusione di colori e sensazioni…
rosso e dolore, sgomento, realizzazione…
si condusse una mano al collo prendendo ad annaspare, mentre il corpo, toccando
terra, perdeva sensibilità e gli occhi si chiudevano sulla statua
dell’Immacolata.
***
Aveva perso.
Watari non era
completamente d’accordo con la sua affermazione, in fondo anche Kira aveva perso, dunque il caso poteva dirsi concluso con una pareggio, che non decretava affatto una
sconfitta da parte del detective.
E invece no.
Il non poter dimostrare che Light Yagami fosse Kira, per Ryuzaki era stato
inconcepibile a tal punto dall’abbandonarsi al sonno e dal non toccare dolci
per giorni. Uno stato semi depressivo, immaginò Watari,
quando per l’ennesimo giorno fu costretto ad osservare la torta di fragole
appena sottratta di un pezzo che giaceva accanto al giovane, immobile davanti
al proprio mac.
Eppure non riusciva a
dispiacersene.
Dal canto suo, quali che fossero le
conclusioni di Lawliet sul caso, Quillsh
Wammy era infinitamente grato - al cielo, al caso o
al fato che dir si voglia - di aver potuto assistere al sorgere del sole un giorno
in più.
Merito del caso forse. Se quello Shinigami che proteggeva Misa Amane non si fosse accorta
che Light Yagami avesse convinto quest’ultima
ad effettuare un nuovo scambio degli occhi per
potersene servire nuovamente, molto probabilmente non avrebbe mai
scritto il nome del ragazzo sul proprio quaderno, decretandone la morte – sotto
gli occhi scioccati dell’intera squadra investigativa – e scomparendo a sua
volta.
Se gliel’avessero
raccontato tempo prima, evidentemente avrebbe riso al sentirsi raccontare
che – nella recondita eventualità in cui fossero esistite – delle divinità potessero
affezionarsi a degli uomini a tal punto da annullare se stesse, rinunciando
alla propria immortalità.
La smentita era arrivata da Rem, che, per essere assolutamente certa che in futuro Misa
non potesse più essere tentata da se stessa o da qualcun altro ad effettuare lo scambio, aveva bruciato il primo quaderno –
facendo sparire inevitabilmente anche Riuk – e poi
aveva scritto il nome del ragazzo sul proprio, decretando anche la sua fine.
Così facendo erano sparite tutte le prove
che vedevano coinvolto il figlio del sovrintendente Yagami
nel caso Kira, ovvero un
pugno in pieno petto a Ryuzaki.
In merito al quaderno lasciato da Rem, Quillsh s’era premurato di
bruciarlo personalmente non appena Ryuzaki ne aveva riconosciuta l’inservibilità.
Quando anche l’ultimo
foglio era diventato cenere, non era riuscito a trattenersi dall’asciugarsi gli
angoli degli occhi.
Era finita.
Kira non avrebbe più
mietuto vittime… e lui e Ryuzaki erano
vivi.
Anche se a giudicare dallo stato in cui in
quel momento riversava il grande detective poteva
dirsi il contrario.
-
Ryuzaki - .
Gli occhi d’ossidiana del ragazzo rimasero
incatenati al monitor del pc.
Per nulla scoraggiato, Quillsh
spostò con un solo gesto le pesanti tende che occludevano
la finestra, facendo entrare il sole.
Come immaginava, Lawliet portò una mano a schermarsi gli occhi,
disturbato da quell’improvvisa intrusione nel suo
ambiente cupo.
-
Sorry – scherzò
l’anziano inventore, per nulla pentito. Ma Ryuzaki tenne ostinatamente gli occhi fissi sul monitor del
mac, prendendo a far scorrere velocemente la rotella
del mouse con una mano e piluccando con l’altra un biscotto secco.
-
È arrivata la sacher
torte – aggiunse
Watari, con un sorriso, attendendo una reazione del
giovane. – L’originale - .
A quel punto Lawliet
sollevò gli occhi.
- Credevo che gli
ordini di pronta spedizione fossero limitati al solo invio di materiale urgente
– constatò acutamente, chiedendosi evidentemente perché non avesse potuto usufruire
di quella fantastica opzione anche in altre circostanze.
- In effetti è così –
rispose solennemente l’uomo. – Ma questa volta ho
ritenuto potessimo permettercelo – aggiunse, ammiccando scherzosamente al
ragazzo.
Quillsh ebbe così modo di vedere - mentre si accingeva a tagliare la prima fetta della
torta austriaca - per la prima volta dopo la conclusione del caso Kira un sorriso – seppur accennato - sul volto stanco del
suo ragazzo.
-
Questo
è un paese davvero magnifico – espresse Watari ad
alta voce, guardando attraverso la finestra che dava sugli
Champs Elysees, mentre un
paio d’occhi neri lo osservavano attentamente, senza che se ne accorgesse.
Inizialmente era rimasto perplesso dallo
scoprire che, lasciato il Giappone, si sarebbero diretti in Europa. Non vi
erano casi di particolare attenzione che li richiamavano ai loro doveri, quindi
vi era almeno il trentacinque per cento di probabilità che quello che si
sarebbero apprestati a fare era un viaggio di piacere.
Ipotesi che, a quanto pareva, risultava corretta. Bizzarra ma corretta. Nonché
assolutamente strana. Se poi di stranezze
si potesse ormai parlare, considerando che l’ordine delle cose era stato
completamente capovolto nel momento in cui gli avevano chiesto di prendere
parte alle indagini sul caso Kira.
Dei della
morte.
Rabbrividii, decidendo di non approfondire
nuovamente i pensieri su quelle assurde creature di cui si era visto costretto
ad accettare l’esistenza.
Per non parlare del Death
Note.
Se da qualche parte
vi era – evidentemente – un mondo popolato da esseri come Riuk
e Rem, quante probabilità v’erano che esistessero
altrettanti mondi paralleli popolati da altrettante creature strane che, da un
momento all’altro, avrebbero potuto tranquillamente decidere di entrare in
contatto con gli esseri umani, stravolgendone l’esistenza?
Non volle pensarci.
Rivolse nuovamente lo sguardo all’uomo,
sorprendendosi della tenacia che dimostrava nell’osservare incessantemente il
paesaggio che gli offriva il decimo piano dell’albergo nel quale soggiornavano.
Qualsiasi altra persona non avrebbe mai fatto caso ai cambiamenti comportamentali di Quillsh Wammy, ma lui, al
contrario, non avrebbe mai potuto non accorgersene.
Quillsh aveva sempre avuto
l’abitudine di svegliarsi di buon’ora – che il dovere
lo chiamasse o meno – e occuparsi con dovizia della
propria giornata, che poi non si rivelava essere molto diversa dalla giornata
che spettava anche a lui, solo che l’uomo sottoponeva ad una più minuziosa
attenzione i particolari che lo riguardavano.
Il latte nel thè, la t-shirt pulita ogni mattina, i piatti sempre colmi
di qualsiasi suo capriccio. Per non parlare di tutto il resto.Watari era un
assistente impeccabile.
E nulla era cambiato
dall’abbandono del Giappone. O almeno apparentemente.
Quillsh continuava a svegliarsi
di buon’ora, ma molto più presto rispetto a prima,
prendendo puntualmente a consumare la colazione davanti
ad una finestra che dava ad est. Solo quando il sole era ormai spuntato
iniziava la sua giornata, il suo lavoro… ma con una
dedizione maggiore.
Non che prima si
fosse mai comportato in maniera sbrigativa e superficiale.
Le numerose strutture destinate
all’accoglienza di orfani che portavano il suo nome erano
la prova inconfutabile che si trattava concretamente di una persona che amava
il suo lavoro con la stessa passione con cui perseguiva i suoi obiettivi.
La giustizia prima di tutto. Non a caso era
nato L e non a caso aveva deciso di dedicare la sua vita a quest’ultimo,
affinché avesse sempre potuto avere tutto ciò di cui necessitava.
Era piuttosto il modo con cui gli piegava le maglie pulite, le volte che girava il cucchiaino nella tazza, il sorriso che accompagnava puntualmente al buongiorno del mattino…
Sembrava aver trovato un nuovo modo di
vivere.
La risposta al perché era piuttosto ovvia.
Poco prima che Light Yagami
conducesse una mano al proprio petto e si accasciasse
a terra privo di vita, era andato a comunicare a Watari
che v’era il settanta per cento di probabilità che di lì a poco sarebbero morti
entrambi per arresto cardiaco.
Ricordava perfettamente il volto del suo
tutore.
L’espressione
sorpresa di vederlo improvvisamente di fronte a lui, la fronte aggrottata
nell’assorbire la notizia, la mascella serrata nell’apprendere la
realtà dei fatti.
Non ne era sicuro,
ma perfino gli occhi – che mai avevano manifestato un coinvolgimento emotivo in
reazione a ciò che di negativo accadeva all’esterno – in quel momento gli
parvero rabbuiarsi.
Paura, forse.
La stessa paura che l’aveva colto solo dopo che gli occhi vitrei di Light si furono piantati nei suoi, trasmettendogli
l’immagine terrificante di quella che era la morte.
Prima di quel momento, incurante della
sorte che gli sarebbe toccata sicuramente di lì a poco
se Rem non fosse intervenuta, aveva continuato a
pensare a un modo per incastrarlo.
Solo dopo
s’era reso conto del miracolo
avvenuto.
Prima di rendersene conto aveva salutato
professionalmente tutti gli uomini del gruppo d’indagine che avevano deciso di
lavorare al suo fianco, leggendo negli sguardi di ognuno di essi
il riflesso degli occhi vitrei di Light.
Poi s’era condotto –
quasi inconsciamente – una mano al petto, avvertendo il cuore battere,
incredulo.
Era stato allora che era avvenuto qualcosa.
Assorto nei suoi pensieri, non si era
accorto dell’arrivo di Watari. Gli si era messo di
fronte e quando lui aveva sollevato la testa per guardarlo, gli aveva sorriso.
Ma lui non aveva
ricambiato.
-
Da
quest’angolazione non è
possibile vedere
Riportò gli occhi sull’uomo, riprendendo a
sorseggiare il caffè.
-
Potresti
visitarla – gli propose in uno slancio di pura spontaneità, calcolando successivamente un probabile invito dell’uomo ad
accompagnarlo.
-
Ti
va di accompagnarmi? – sentì infatti chiedersi
successivamente, in tono quasi timoroso probabilmente a causa degli
innumerevoli precedenti inviti declinati.
-
No
– gli rispose, non lasciandosi sfuggire la sfumatura
di dispiacere che aveva colto Quillsh. – Preferisco dare un’occhiata nei dintorni, se non ti dispiace – aggiunse
subito dopo, sollevandosi dal divano nel quale era sprofondato per rendere
evidente la sua reale intenzione nel volersi schiodare da lì. Motivo per il quale sapeva che Quillsh
non perdeva occasioni d’invitarlo ad uscire. D’altronde era
dall’intervento in ambulanza per salvare Matsuda che…
Afferrò al volo tre biscotti ricoperti di
glassa al cioccolato e li ingurgitò.
Doveva smettere di pensare al caso Kira.
-
Ci
vediamo tra un’ora, allora – disse Watari
sorridendo nel suo solito modo conciliante, indossando il suo cappello inglese
e sparendo oltre la porta.
Lawliet si strofinò i
piedi, decisamente seccato di dover fare lo stesso.
Inchiodato sul posto temporeggiò per qualche secondo ma quando vide l’uomo
ritornare indietro e tenergli la porta aperta, invitandolo ad uscire, non potè fare altrimenti.
Delucidazioni:
-
Le
parole scritte in corsivo latino appartengono rispettivamente al Padre nostro e
all’Ave Maria, preghiere cristiane, e mi sono state
gentilmente concesse da wikipedia e il web in generale, essendo per me la lingua ostica. Quindi,
qualora trovaste degli errori sapete con chi
prendervela J ;
-
Con
“Sorry” (che, per chi non lo sapesse, significa “Mi
dispiace” in inglese) ho voluto giocare un po’ sul fatto che Quillsh Wammy sia, per l’appunto,
inglese. Chissà che in futuro non mi riprenda lo sghiribizzo
di farlo parlare in lingua madre J J
Ringraziamenti:
-
Nonostante,
com’è naturale che sia, la storia non sia ancora stata recensita mi sento in
dovere di ringraziare tutti coloro che daranno anche
solamente una chance a questo progetto, quindi grazie a te, chiunque tu sia,
per essere arrivato fino a qui. *inchino*
HOPE87