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Autore: HOPE87    20/08/2010    4 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA. MI SCUSO INFINITAMENTE PER IL DISAGIO, MA QUANDO LA VITA PRECIPITA LE SI DEVE DARE NECESSARIAMENTE LA PRECEDENZA. A PRESTO! ;)
Dedicata a YamaMaxwell.
"Prima di rendersene conto aveva salutato professionalmente tutti gli uomini del gruppo d’indagine che avevano deciso di lavorare al suo fianco, leggendo negli sguardi di ognuno di essi il riflesso degli occhi vitrei di Light.
Poi s’era condotto – quasi inconsciamente – una mano al petto, avvertendo il cuore battere, incredulo.
Era stato allora che era avvenuto qualcosa.
Assorto nei suoi pensieri, non si era accorto dell’arrivo di Watari. Gli si era messo di fronte e quando lui aveva sollevato la testa per guardarlo, gli aveva sorriso.
Ma lui non aveva ricambiato."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I

Prologo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-          In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sàncti - .

-          Amen. - .

Gli occhi verdi scrutarono l’esigua folla di credenti della messa mattutina abbandonare le panche in rispettoso silenzio.

Alcuni di essi, prima di uscire, sollevarono ancora una volta gli sguardi verso l’enorme croce di legno posta alle spalle dell’altare, prodigandosi in riverenti genuflessioni e accompagnando queste a lenti movimenti della mano, che andavano a definire il segno della croce.

Solo poche donne restavano ancora, sedute sulle panche in prima fila, intente a far scorrere i granelli del rosario tra le mani, elevando talvolta, in coro, accorate suppliche alla donna di bianco vestita che, dall’alto del ripiano in marmo sulla quale era stata adagiata, rivolgeva gli occhi verso la croce, alla sua sinistra, in una muta richiesta d’ascolto.

Con un lieve sorriso a incurvarle le labbra, le dita diafane, in netto contrasto con la manica del lungo vestito nero dalla quale spuntavano, andarono a chiudersi delicatamente attorno ai granelli rossi della propria corona.

-          Pàter nòster, qui es in caelis… - .

Abbassò il capo, posando lo sguardo su quel che rimaneva del suo passato, perdendosi in ricordi lontani.

-          … fiat volùntas tua… - .

Le mani strinsero con rabbia la piccola croce che penzolava dalla corona.

-          ne nos indùcas in tentatiònem… - .

Il sarcasmo s’impadronì del suo volto, e trattenne a stento una risata.

-          … libera nos a malo - .

-          Amen – si ritrovò a pronunciare nonostante tutto, reprimendo la rabbia, coprendosi il volto col velo nero che le ricopriva il capo e alzandosi quando ebbe individuato il motivo che l’aveva costretta a trovarsi in quel posto, a quell’ora.

Non perdendo di vista l’anziano sacerdote, avviatosi a svolgere i propri doveri questa volta nel confessionale, si diresse verso quest’ultimo lentamente, ponderando bene i passi, esprimendo dentro di sé il desiderio d’impedire ai tacchi delle scarpe che indossava di non scandire il tempo, come invece sembrava stessero facendo.

Si fermò, inspirando profondamente, gli occhi ancora incollati al drappo di velluto viola che decorava il legno scuro del luogo all’interno del quale si era chiuso il suo obiettivo.

Ce la poteva fare… anche se questo avrebbe implicato mettersi nuovamente in gioco. Aveva un pessimo ricordo del ruolo di pedina che si era trovata a ricoprire tempo fa… stavolta sarebbe riuscita a gestire il gioco a suo vantaggio?

Attese che l’uomo che l’aveva preceduta a causa della sua voluta lentezza uscisse dal confessionale, poi vi entrò, trattenendo il fiato.

-          In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sàncti - .

-          Amen – si ritrovò a rispondere a bassa voce, scrutando attentamente la figura al di là del sottile divisorio traforato. Non era cambiato di una virgola nel corso del tempo. I capelli, certo, avevano perso il loro colore bruno, originario, venendo sostituiti da una moltitudine di capelli grigi. E le rughe erano un segno evidente dell’età che avanzava, nonchéforse – del dolore che doveva avergli scavato dentro per tutto quel tempo.

Chissà se un sacerdote si confessava a sua volta, si ritrovò a pensare in quel momento. Non s’era mai curata di chiedersi una cosa simile.

Un mucchio di cose non s’era mai curata di chiedersi, a dire il vero. Quando le risposte più necessarie e urgenti stentavano a venire a galla, quanta importanza poteva avere il resto?

-          Ho peccato, Padre – decise di rispondere dopo il lungo silenzio provenuto dall’altra parte, ricevendo in risposta un altro lungo momento di silenzio a causa – ne era certa – del tono marcato che aveva utilizzato per pronunciare l’ultima parola.

-          La misericordia di Dio è infinita, figliola – rispose l’uomo dopo un po’, non prima di essersi schiarito leggermente la voce.

Si ritrovò a sorridere amaramente, stringendo i pugni per non lasciare che la collera prendesse il sopravvento.

-          Ne sono consapevole – controbbattè modulando la voce, cercando di non manifestare nervosismo.

-          Confessa allora i tuoi peccati, figliola, affinché possa assolverti nel nome… - .

-          Lei confessa mai i suoi peccati, Padre? – gli chiese istintivamente, aspettando pazientemente la risposta dell’uomo, che tardava ad arrivare probabilmente perchè preso in contropiede. Era realmente interessata alla risposta.

-          Naturalmente… sono un servo di Dio… e ciò non mi esclude dalla confessione… - .

-          Come tutti i credenti, dunque, teme l’Inferno - .

-          Temo la collera del Signore, e temere questi è più importante di temere qualunque altra cosa… - .

-          Teme l’uomo? - .

-          L’uomo? – fu la pronta domanda dell’anziano sacerdote.

-          L’uomo non è misericordioso. L’uomo è meschino, abbietto e crudele. Non ha bisogno di mancare di rispetto al Signore per finire all’Inferno, riesce a viverci tranquillamente qui, sulla Terra, facendone il proprio habitat – rispose tutto d’un fiato, non riuscendo più a contenersi. – Ma sono certa che lei lo sappia già. - .

L’agitazione dell’uomo, indipendentemente dal frequente balbettio sconnesso mormorato, era ormai palpabile.

-          Figliola… il mondo in cui viviamo purtroppo… - .

-          È la terza volta che mi chiama figliola, Padre – decise dunque d’intervenire nuovamente, ben conscia di quanto sarebbe avvenuto da lì a poco. – Eppure ricordo nitidamente la sua estrema reticenza nel volerlo riconoscere, tempo fa - .

Se avesse avuto un udito più sviluppato, meno umano, sarebbe stata sicura di aver avvertito un acceleramento del battito cardiaco del suo interlocutore.

-          Non capisco… - .

-          Naturalmente – rispose cinicamente, impedendogli di continuare a parlare. – Anch’io, in effetti, non capisco. Non capisco che bisogno ci sia stato di farmi fare un test del dna per dimostrare una cosa palesemente ovvia quando avevi già deciso di abbandonare me e mia madre… - .

Calma cadenzata. Non credeva sarebbe riuscita a trattenersi.

Il suo interlocutore aveva ormai smesso di obiettare, attendendo probabilmente che la spada di Damocle gli recidesse il capo.

Eppure lei dentro di sé non riusciva a impedirsi di sperare che qualche, seppur piccolo, miracolo potesse accadere…

-          Si sta sbagliando – lo sentì pronunciare dall’altra parte, vedendo tutte le sue aspettative esplodere come una bolla di sapone. Ancora una volta.

Trattenne il fiato.

-          È morta, James – si costrinse a dire, sentendo dentro di lei una fitta attraversarle il petto. – L’hanno uccisa. – continuò, avvertendo la voce affievolirsi a causa del groppo che le si era formato in gola. - Così come uccideranno me – concluse, lasciando che le prime lacrime le solcassero il volto contratto in una smorfia di dolore.

Il silenzio calato nel confessionale era più significativo di qualsiasi parola.

-          Ti prego… - sussurrò, avvicinando la bocca al divisorio, per fare in modo che la sua voce rotta dai singhiozzi gli arrivasse più nitida.

-          Le ripeto che si sbaglia – fu la fredda risposta. – Non so lei chi sia… ne di che parla. L’unica cosa che posso fare per lei è consigliarle di rivolgersi alla polizia se ha problemi di un certo spessore - .

-          Hanno corrotto tutte le persone alle quali potevo rivolgermi… - biascicò, tentando di ridare alla voce un tono più fermo.

-          Non è un problema che mi riguarda – fu l’ennesima risposta lapidaria.

Le gambe le tremarono, mentre un freddo pungente le attraversò la schiena ricoperta di sudore.

-          Sei solo un lurido figlio di puttana! – urlò, dando un pugno al divisorio. – Che tu possa marcire all’Inferno del tuo patetico dio, vigliacco! - .

Abbandonò il confessionale velocemente, mettendosi poi a correre verso il grande portone della Chiesa, incurante degli sguardi interdetti e sconvolti dei fedeli che stavano pregando.

 

 

A nulla erano valsi quegli anni spesi a servire il Signore, quell’ ultimo gesto gli aveva fatto guadagnare un biglietto di sola andata per il regno di Lucifero.

-   Ave Maria, gratia plena… -.

Dannata curiosità che l’aveva spinto ad osservare attraverso il divisorio... aveva distolto lo sguardo non appena s’era accorto di essere osservato a sua volta.

-          dòminus tecum, benedica tu in mulièribus - .

Ma, per Dio, quei capelli…

-          et benedìctus fructus vèntris tui, Iesus… - .

Rossi… come i suoi!

Senza riuscire ad impedirselo, si ritrovò a singhiozzare, nascondendo il viso tra le mani.

Contrasse il volto in un’espressione di dolore, continuando a pregare, piegandosi al suolo consacrato più di quanto già non lo fosse, incapace di sostenere la visione della croce.

-          Sancta Maria, mater dei, ora pro nobis peccatoribus… - .

Avvertì una delle porte della Chiesa aprirsi per poi richiudersi delicatamente.

Deciso a concludere la preghiera, si propose di avvisare successivamente i fedeli o gli eventuali visitatori che quella non era ora ne di messe ne di visite.

-          nunc et in hora mortis nostrae… - .

-          Amen! - .

Riaprì gli occhi, avvertendo un sudore freddo imperlargli la fronte.

-          Amen – concluse a sua volta, riavvolgendosi la corona del rosario attorno al polso destro e voltandosi lentamente verso la fonte della voce.

-          Come va, James? – gli chiese l’uomo biondo gioviale, in tono puramente sarcastico, allargando il sorriso man mano che vedeva il suo interlocutore sbiancare.

-          Beh, capisco. Arriviamo quindi al dunque: partendo dal presupposto che grazie ai dati che possediamo non avresti alcuna possibilità di mentirci e che un tuo tentativo di farlo ti condurrebbe istantaneamente alla morte, ci aiuti a trovar pel di carota? - .

Con gli occhi ancora umidi per il pianto digrignò i denti, realizzando in quel momento cosa aveva fatto. Ma non avrebbe permesso che il suo egoismo procurasse altro dolore, no.

-          Va all’inferno, Hector! – scandì meticolosamente, avvicinandosi col volto a quello dell’uomo che aveva davanti.

Fu un attimo.

Una confusione di colori e sensazioni… rosso e dolore, sgomento, realizzazione… si condusse una mano al collo prendendo ad annaspare, mentre il corpo, toccando terra, perdeva sensibilità e gli occhi si chiudevano sulla statua dell’Immacolata.

 

 

 

***

 

 

Aveva perso.

Watari non era completamente d’accordo con la sua affermazione, in fondo anche Kira aveva perso, dunque il caso poteva dirsi concluso con una pareggio, che non decretava affatto una sconfitta da parte del detective.

E invece no.

Il non poter dimostrare che Light Yagami fosse Kira, per Ryuzaki era stato inconcepibile a tal punto dall’abbandonarsi al sonno e dal non toccare dolci per giorni. Uno stato semi depressivo, immaginò Watari, quando per l’ennesimo giorno fu costretto ad osservare la torta di fragole appena sottratta di un pezzo che giaceva accanto al giovane, immobile davanti al proprio mac.

Eppure non riusciva a dispiacersene.

Dal canto suo, quali che fossero le conclusioni di Lawliet sul caso, Quillsh Wammy era infinitamente grato - al cielo, al caso o al fato che dir si voglia - di aver potuto assistere al sorgere del sole un giorno in più.

Merito del caso forse. Se quello Shinigami che proteggeva Misa Amane non si fosse accorta che Light Yagami avesse convinto quest’ultima ad effettuare un nuovo scambio degli occhi per potersene servire nuovamente, molto probabilmente non avrebbe mai scritto il nome del ragazzo sul proprio quaderno, decretandone la morte – sotto gli occhi scioccati dell’intera squadra investigativa – e scomparendo a sua volta.

Se gliel’avessero raccontato tempo prima, evidentemente avrebbe riso al sentirsi raccontare che – nella recondita eventualità in cui fossero esistite – delle divinità potessero affezionarsi a degli uomini a tal punto da annullare se stesse, rinunciando alla propria immortalità.

La smentita era arrivata da Rem, che, per essere assolutamente certa che in futuro Misa non potesse più essere tentata da se stessa o da qualcun altro ad effettuare lo scambio, aveva bruciato il primo quaderno – facendo sparire inevitabilmente anche Riuk – e poi aveva scritto il nome del ragazzo sul proprio, decretando anche la sua fine.

Così facendo erano sparite tutte le prove che vedevano coinvolto il figlio del sovrintendente Yagami nel caso Kira, ovvero un pugno in pieno petto a Ryuzaki.

In merito al quaderno lasciato da Rem, Quillsh s’era premurato di bruciarlo personalmente non appena Ryuzaki ne aveva riconosciuta l’inservibilità.

Quando anche l’ultimo foglio era diventato cenere, non era riuscito a trattenersi dall’asciugarsi gli angoli degli occhi.

Era finita.

Kira non avrebbe più mietuto vittime… e lui e Ryuzaki erano vivi.

Anche se a giudicare dallo stato in cui in quel momento riversava il grande detective poteva dirsi il contrario.

-          Ryuzaki - .

Gli occhi d’ossidiana del ragazzo rimasero incatenati al monitor del pc.

Per nulla scoraggiato, Quillsh spostò con un solo gesto le pesanti tende che occludevano la finestra, facendo entrare il sole.

Come immaginava, Lawliet portò una mano a schermarsi gli occhi, disturbato da quell’improvvisa intrusione nel suo ambiente cupo.

-          Sorry – scherzò l’anziano inventore, per nulla pentito. Ma Ryuzaki tenne ostinatamente gli occhi fissi sul monitor del mac, prendendo a far scorrere velocemente la rotella del mouse con una mano e piluccando con l’altra un biscotto secco.

-          È arrivata la sacher torte – aggiunse Watari, con un sorriso, attendendo una reazione del giovane. – L’originale - .

A quel punto Lawliet sollevò gli occhi.

-   Credevo che gli ordini di pronta spedizione fossero limitati al solo invio di materiale urgente – constatò acutamente, chiedendosi evidentemente perché non avesse potuto usufruire di quella fantastica opzione anche in altre circostanze.

-   In effetti è così – rispose solennemente l’uomo. – Ma questa volta ho ritenuto potessimo permettercelo – aggiunse, ammiccando scherzosamente al ragazzo.

Quillsh ebbe così modo di vedere - mentre si accingeva a tagliare la prima fetta della torta austriaca - per la prima volta dopo la conclusione del caso Kira un sorriso – seppur accennato - sul volto stanco del suo ragazzo.

-          Questo è un paese davvero magnifico – espresse Watari ad alta voce, guardando attraverso la finestra che dava sugli Champs Elysees, mentre un paio d’occhi neri lo osservavano attentamente, senza che se ne accorgesse.

Inizialmente era rimasto perplesso dallo scoprire che, lasciato il Giappone, si sarebbero diretti in Europa. Non vi erano casi di particolare attenzione che li richiamavano ai loro doveri, quindi vi era almeno il trentacinque per cento di probabilità che quello che si sarebbero apprestati a fare era un viaggio di piacere.

Ipotesi che, a quanto pareva, risultava corretta. Bizzarra ma corretta. Nonché assolutamente strana. Se poi di stranezze si potesse ormai parlare, considerando che l’ordine delle cose era stato completamente capovolto nel momento in cui gli avevano chiesto di prendere parte alle indagini sul caso Kira.

Dei della morte.

Rabbrividii, decidendo di non approfondire nuovamente i pensieri su quelle assurde creature di cui si era visto costretto ad accettare l’esistenza.

Per non parlare del Death Note.

Se da qualche parte vi era – evidentemente – un mondo popolato da esseri come Riuk e Rem, quante probabilità v’erano che esistessero altrettanti mondi paralleli popolati da altrettante creature strane che, da un momento all’altro, avrebbero potuto tranquillamente decidere di entrare in contatto con gli esseri umani, stravolgendone l’esistenza?

Non volle pensarci.

Rivolse nuovamente lo sguardo all’uomo, sorprendendosi della tenacia che dimostrava nell’osservare incessantemente il paesaggio che gli offriva il decimo piano dell’albergo nel quale soggiornavano.

Qualsiasi altra persona non avrebbe mai fatto caso ai cambiamenti comportamentali di Quillsh Wammy, ma lui, al contrario, non avrebbe mai potuto non accorgersene.

Quillsh aveva sempre avuto l’abitudine di svegliarsi di buon’ora – che il dovere lo chiamasse o meno – e occuparsi con dovizia della propria giornata, che poi non si rivelava essere molto diversa dalla giornata che spettava anche a lui, solo che l’uomo sottoponeva ad una più minuziosa attenzione i particolari che lo riguardavano.

Il latte nel thè, la t-shirt pulita ogni mattina, i piatti sempre colmi di qualsiasi suo capriccio. Per non parlare di tutto il resto.Watari era un assistente impeccabile.

E nulla era cambiato dall’abbandono del Giappone. O almeno apparentemente.

Quillsh continuava a svegliarsi di buon’ora, ma molto più presto rispetto a prima, prendendo puntualmente a consumare la colazione davanti ad una finestra che dava ad est. Solo quando il sole era ormai spuntato iniziava la sua giornata, il suo lavoro… ma con una dedizione maggiore.

Non che prima si fosse mai comportato in maniera sbrigativa e superficiale.

Le numerose strutture destinate all’accoglienza di orfani che portavano il suo nome erano la prova inconfutabile che si trattava concretamente di una persona che amava il suo lavoro con la stessa passione con cui perseguiva i suoi obiettivi.

La giustizia prima di tutto. Non a caso era nato L e non a caso aveva deciso di dedicare la sua vita a quest’ultimo, affinché avesse sempre potuto avere tutto ciò di cui necessitava.

Era piuttosto il modo con cui gli piegava le maglie pulite, le volte che girava il cucchiaino nella tazza, il sorriso che accompagnava puntualmente al buongiorno del mattino…

Sembrava aver trovato un nuovo modo di vivere.

La risposta al perché era piuttosto ovvia.

Poco prima che Light Yagami conducesse una mano al proprio petto e si accasciasse a terra privo di vita, era andato a comunicare a Watari che v’era il settanta per cento di probabilità che di lì a poco sarebbero morti entrambi per arresto cardiaco.

Ricordava perfettamente il volto del suo tutore.

L’espressione sorpresa di vederlo improvvisamente di fronte a lui, la fronte aggrottata nell’assorbire la notizia, la mascella serrata nell’apprendere la realtà dei fatti.

Non ne era sicuro, ma perfino gli occhi – che mai avevano manifestato un coinvolgimento emotivo in reazione a ciò che di negativo accadeva all’esterno – in quel momento gli parvero rabbuiarsi.

Paura, forse.

La stessa paura che l’aveva colto solo dopo che gli occhi vitrei di Light si furono piantati nei suoi, trasmettendogli l’immagine terrificante di quella che era la morte.

Prima di quel momento, incurante della sorte che gli sarebbe toccata sicuramente di lì a poco se Rem non fosse intervenuta, aveva continuato a pensare a un modo per incastrarlo.

Solo dopo s’era reso conto del miracolo avvenuto.

Prima di rendersene conto aveva salutato professionalmente tutti gli uomini del gruppo d’indagine che avevano deciso di lavorare al suo fianco, leggendo negli sguardi di ognuno di essi il riflesso degli occhi vitrei di Light.

Poi s’era condotto – quasi inconsciamente – una mano al petto, avvertendo il cuore battere, incredulo.

Era stato allora che era avvenuto qualcosa.

Assorto nei suoi pensieri, non si era accorto dell’arrivo di Watari. Gli si era messo di fronte e quando lui aveva sollevato la testa per guardarlo, gli aveva sorriso.

Ma lui non aveva ricambiato.

-          Da quest’angolazione non è possibile vedere la Tour Eiffel in modo chiaro… - .

Riportò gli occhi sull’uomo, riprendendo a sorseggiare il caffè.

-          Potresti visitarla – gli propose in uno slancio di pura spontaneità, calcolando successivamente un probabile invito dell’uomo ad accompagnarlo.

-          Ti va di accompagnarmi? – sentì infatti chiedersi successivamente, in tono quasi timoroso probabilmente a causa degli innumerevoli precedenti inviti declinati.

-          No – gli rispose, non lasciandosi sfuggire la sfumatura di dispiacere che aveva colto Quillsh. – Preferisco dare un’occhiata nei dintorni, se non ti dispiace – aggiunse subito dopo, sollevandosi dal divano nel quale era sprofondato per rendere evidente la sua reale intenzione nel volersi schiodare da lì. Motivo per il quale sapeva che Quillsh non perdeva occasioni d’invitarlo ad uscire. D’altronde era dall’intervento in ambulanza per salvare Matsuda che…

Afferrò al volo tre biscotti ricoperti di glassa al cioccolato e li ingurgitò.

Doveva smettere di pensare al caso Kira.

-          Ci vediamo tra un’ora, allora – disse Watari sorridendo nel suo solito modo conciliante, indossando il suo cappello inglese e sparendo oltre la porta.

Lawliet si strofinò i piedi, decisamente seccato di dover fare lo stesso. Inchiodato sul posto temporeggiò per qualche secondo ma quando vide l’uomo ritornare indietro e tenergli la porta aperta, invitandolo ad uscire, non potè fare altrimenti.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Delucidazioni:

 

-          Le parole scritte in corsivo latino appartengono rispettivamente al Padre nostro e all’Ave Maria, preghiere cristiane, e mi sono state gentilmente concesse da wikipedia e il web in generale, essendo per me la lingua ostica. Quindi, qualora trovaste degli errori sapete con chi prendervela J ;

-          Con “Sorry” (che, per chi non lo sapesse, significa “Mi dispiace” in inglese) ho voluto giocare un po’ sul fatto che Quillsh Wammy sia, per l’appunto, inglese. Chissà che in futuro non mi riprenda lo sghiribizzo di farlo parlare in lingua madre J J

 

 

Ringraziamenti:

 

-          Nonostante, com’è naturale che sia, la storia non sia ancora stata recensita mi sento in dovere di ringraziare tutti coloro che daranno anche solamente una chance a questo progetto, quindi grazie a te, chiunque tu sia, per essere arrivato fino a qui. *inchino*

 

 

 

 

 

 

HOPE87

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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