I.
[Eyes ]
Le previsioni metereologiche
avevano previsto cielo nuvoloso su tutta la regione, ma le leggere schiarite erano state molto probabilmente mal interpretate dai professionisti del settore, dal momento
che una leggera pioggia – inizialmente rada e delicata – ora costringeva al
riparo chiunque non intendesse prendersi un malanno.
Starnutì, maledicendo il cielo per
l’ennesima volta – seppur per ragioni diverse dalle precedenti – portandosi un
dito al naso per impedirsi di replicare il gesto.
-
Dannazione…
- esclamò a denti stretti, prendendo a tremare dal freddo e stringendosi nel –
troppo sottile – trench color panna, trasformatosi ora
in una leggera tonalità di grigio, ormai fradicio.
Nonostante le condizioni in cui riversava il soprabito, raccolse i lunghi capelli rossi in
un improvvisato chignon, mettendoli poi al riparo all’interno del bavero,
avvertendo subito dopo innumerevoli gocce d’acqua scorrere senza pietà alcuna
lungo la sua schiena, facendola rabbrividire.
Cercando d’ignorare il freddo, presa ormai
consapevolezza che quel diluviare spietato non si sarebbe placato entro breve,
decise d’incamminarsi, fermandosi poi in prossimità del primo luogo asciutto in
cui si sarebbe imbattuta.
Entrare momentaneamente in qualsiasi locale
era escluso.
Probabilmente a quest’ora
la stavano cercando e chiudersi tra quattro mura equivaleva a mettersi in
trappola, offrirsi su un piatto d’argento.
In realtà era perfettamente consapevole che
anche semplicemente camminare per la strada l’avrebbe esposta al rischio di
essere trovata, quelle non erano certo persone che si facevano
scrupoli a mostrarsi in pubblico…
Ritornatele in
mente gli istanti immediatamente precedenti alla sua fuga, dovette mordersi una mano
per non costringersi ad urlare. Per le lacrime, invece, non potette fare niente.
Si lasciò scivolare a terra, sostenendo il
peso del proprio corpo sulle gambe, andando così a rannicchiarsi in quella che
poteva definirsi una pseudo posizione fetale.
Cos’avrebbe dovuto fare? Possibile che non
vi fosse alcuna via d’uscita in quella situazione?
Si ritrovò a pensare che sì, esisteva una soluzione… l’aveva presa in considerazione diverse
volte durante il suo lungo e tormentato peregrinare… ma puntualmente era giunta
alla stessa conclusione.
Sua madre era morta per proteggerla, non
per vederla penzolare ad una corda attaccata al collo in qualche posto
dimenticato da Dio.
Beh, ammesso che ovunque si trovasse in
quel momento potesse realmente vederla.
Si era vista più volte a riprendere in
considerazione l’ipotesi del suicidio, anche la mattina stessa, in albergo, di
ritorno dall’ennesimo fallimento che credeva potesse
alleviarle un po’ le pene.
Si era avventata contro lo specchio del
bagno, scaraventandogli contro una spazzola che in quel momento non riusciva a
districarle i nodi che le si erano formati nei capelli
– quasi a sottolineare ironicamente la presenza di troppi nodi da sciogliere nella propria vita, si era ritrovata a pensare –
vedendosi poi investire da una raffica di schegge dello stesso, alcune delle
quali erano andate a graffiarle il volto e varie altre zone del corpo.
Ma non riusciva
sopportarlo.
Non riusciva a sopportare l’immagine di quell’inutile
donna, dalla pelle innaturalmente pallida – a causa dello shock, della
trascuratezza e la stanchezza -, gli occhi di un verde spento - simili a quelli
di una bambola - messi in evidenza da delle profonde occhiaie per il poco
dormire e quei capelli rossi.
Chiunque, nel corso del tempo, avesse osato paragonarli a quelli della madre, aveva oltraggiato
spudoratamente quest’ultima, senza alcun ritegno.
Evelyne Brown era una donna dai dolci e delicati tratti del viso
tesi sempre in un sorriso gentile, qualunque fossero
le circostanze che la vedessero coinvolta.
Anche quella mattina
sorrideva.
Lei sapeva che c’era qualcosa che non
andava, l’aveva capito dagli occhi da cui aveva ereditato il colore – sebbene
più chiaro, con appena qualche sfumatura marrone - , a
cui il sorriso, quella volta, non si era esteso.
Nonostante avesse provato a chiederle cosa
le turbasse, protestando quando l’aveva scherzosamente
liquidata con una leggera risata ed un buffetto sulla fronte – che era solita
darle quando non voleva coinvolgerla nei suoi pensieri, spacciandolo per un
gioco –, l’empatia che la legava alla madre aveva fatto scattare un segnale
d’allarme dentro di sè.
Eppure si era limitata a
farsi abbracciare e a ricambiare l’abbraccio che era seguito, forse pensando –
e sperando – si stesse sbagliando. Una muta richiesta al
cielo – a cui tanto si affidava Evelyne – che non era
stata accolta. Come tante altre.
Portò inconsciamente una mano all’interno
della tasca del trench - dove sapeva potesse avvolgere
con le dita l’ultimo ricordo che le rimaneva di sua madre – chiudendo gli occhi,
per rievocarne il ricordo.
Lo stesso ricordo
che l’aveva dissuasa dal condursi al polso quella scheggia di vetro sfuggita
allo specchio, per chiudere gli occhi una volta e per tutte, come aveva visto fare
a lei.
Non seppe identificare in quel momento il
motivo che la costrinse a riaprire gli occhi.
Forse il precipitare incessante della
pioggia, intensificatosi… e di cui lei, stranamente, non subiva i danni.
Sollevò la testa, perplessa, rendendosi
conto solo allora di essere riuscita a ripararsi in prossimità di un negozio,
rannicchiandosi esattamente accanto ad una vetrina di quest’ultimo.
Osservò incuriosita la vetrina espositiva,
arrivando subito alla conclusione che si trattasse di
una pasticceria. Peccato fosse chiusa, si ritrovò a
pensare quando sentì lo stomaco protestare per la lunga assenza di cibo a cui
l’aveva sottoposto. Era riuscita a consumare l’ultimo
pasto decente esattamente prima della fuga.
Ripensandoci, tutto era avvenuto prima della fuga, così come tutto sembrava essersi estinto nel momento esattamente successivo.
Poteva ancora considerarsi vita quella che stava conducendo? E
fino a quando sarebbe durata? Era un countdown snervante che pareva volesse solo e unicamente logorarla prima di condurla al
triste e scontato epilogo al quale era destinata.
Eppure aveva vissuto
giorni in cui la speranza sembrava avesse ripreso vita in lei, un sarcastico
paradosso che la vedeva attendere ciò che invece la maggior parte della popolazione
terrestre scongiurava.
C’era stato un momento in cui s’era messa a
pregare.
Che fosse o meno
quello stesso Dio a cui sua madre rivolgeva puntualmente le sue preghiere, non
lo sapeva, sapeva solo che era venuto un momento in cui s’era ritrovata, per la
prima volta in vita sua, a pregare qualcosa – qualcuno – che andasse contro ogni più ferrea logica dimostrativa.
Kira.
Non era mai stata a favore della pena di
morte. Mai. Gli esecutori capitali non erano poi tanto diversi dai criminali
accusati di omicidio. Togliendo loro la vita, si
macchiavano della stessa colpa, e macchiandosi della
stessa colpa non potevano dirsi migliori di coloro a cui avevano stroncato la
vita.
Non era altro che un circolo vizioso, un cane che si morde la corda.
Lo stesso discorso valeva per Kira e lo stesso supportare quest’ultimo
– lo sapeva – non era altro che un desiderio egoistico spietato. Una speranza.
Ennesima speranza
esplosa come una bolla di sapone nel momento in cui aveva visto estirpare da
questo dio il male dal mondo meno che
dal proprio.
Era caduto prima che potesse giungere a far
giustizia nella sua vita, fermato da
quello che molti consideravano essere la vera
giustizia.
Considerazione che lei non
abbracciava affatto.
Il detective di fama mondiale L poteva senz’altro essere considerato il possessore del più
alto quoziente intellettivo fino ad allora scoperto, senza però doversi
appropriare ingiustamente dell’appellativo che tutti tenevano a fargli calzare,
compreso se stesso.
Non sapeva quanto fossero
veritiere le informazioni che lasciavano trapelare i giornali sul suo conto, ma
stranamente – considerando che solitamente avveniva il contrario – tutti si erano ritrovati a riportare ai
propri lettori la notizia secondo la quale L interveniva solo quando lo riteneva strettamente necessario, occupandosi solo dei casi che lo incuriosivano
particolarmente.
Kira perlomeno non era
selettivo. Per quanto sbagliasse, agendo da spietato
assassino, era sicuramente quello che più si avvicinava al concetto di giustizia in senso ampio, tra i due.
Sospirò, prendendosi la testa tra le mani.
Le sarebbe bastato solo che Kira avesse fatto sparire dalla
faccia della Terra anche gli assassini di sua madre, invece…
Un fruscio la distrasse dai suoi pensieri,
portandola ad osservare incuriosita – nonché
estremamente all’erta – il punto dal quale era provenuto… sorprendendosi a
dismisura di non essersi accorta, fino a quel momento, di non essere sola.
Al lato opposto del quale si trovava -
protetto dalla grondaia sotto alla quale aveva deciso di ripararsi anche lei,
per giunta nella stessa posizione - vi era uno strano individuo vestito solo
con quella che sembrava essere una semplice t-shirt, bianca, ed un paio di
jeans sbiaditi.
Incredibile di come
non fosse riuscita ad accorgersi della sua presenza. D’accordo che il
cielo funereo aveva fatto sì che il buio calasse molto prima rispetto al solito… ma quella figura sembrava appartenere al buio molto
più di quanto non vi appartenesse l’ombra stessa. Ciò nonostante, sebbene in
altre circostanze un individuo dalla pelle tanto pallida, in netto contrasto
con capelli tanto corvini e dallo sguardo assente avesse potuto incuterle
timore, non riusciva a temerne la presenza.
Inoltre quel
particolare aveva attirato la sua attenzione più di qualunque altra cosa…
chissà che non avesse potuto approfittarne.
-
Excuse-moi… excuse-moi, s’il vous plait! – tentò di farsi
udire attraverso lo scrosciare della pioggia battente, riuscendo ad attirare la
sua attenzione al secondo tentativo, venendo investita da un paio d’occhi neri
come la pece, che la distolsero per un attimo da
quello che era il suo iniziale tentativo. – Tu peux
me donner une sigarette? – chiese, sforzandosi di non
osservarlo troppo. Cosa che le risultò alquanto ardua, dal momento che qualunque cosa riguardasse quel tipo sembrava renderlo totalmente singolare.
Come a voler sottolineare
le sue impressioni, il tipo prese ad osservarsi attorno, probabilmente convinto
che non fosse lui il destinatario della domanda, per poi osservarla con
un’espressione alquanto indecifrabile e sporgersi leggermente verso di lei,
ponendo una mano attorno all’orecchio ad indicare che non era riuscito a
sentirla, mentre l’altra mano estrasse dalla bocca… quello che le era parsa
inizialmente una sigaretta.
“Un bon bon… che razza d’idiota!” si ritrovò a pensare
subito dopo, assolutamente incapace di pensare ad un modo per rimediare
all’attenzione inutile che era riuscita ad attirare.
-
…Rien – pronunciò a mezza voce, sorridendo imbarazzata e
agitando una mano come ad enfatizzare l’intento, per poi distogliere lo sguardo
dal suo e prendere a fissare nuovamente il vuoto.
Non sapeva quanto fosse
corretta l’idea secondo cui la presenza di una minaccia incombente che gravava
sulla sua testa le avesse acuito i sensi, ad ogni modo si accorse subito dello
spostamento di quello che aveva ribattezzato come tipo strano, sebbene vide solo successivamente una sua mano
tenderle qualcosa, a pochi centimetri dalla sua persona.
Nonostante si fosse avvicinato, era stato
tanto discreto da tenere la distanza necessaria a non invadere lo spazio che si
era creata, andando a posizionarsi sufficientemente
vicino da poterle offrire… un bon bon simile a quello
che stava mangiando.
Non potè
impedirsi di sorridere, sia per la bizzarra peculiarità che
sembrava caratterizzare quella persona, sia per l’ennesima metafora che
sembrava stesse offrendole la vita.
Aveva bisogno sì di zucchero nella sua
vita. Certamente non di un rosa condensato, avvolto attorno ad una stecca di
liquirizia… ma che ci fosse qualcuno che avesse capito di averne estremamente
bisogno bastava a rincuorarla.
-
Merçi – rispose garbatamente, guardandolo
negli occhi e sorridendogli sinceramente, recuperando il dolce offertole mentre
il volto del ragazzo assumeva tonalità più scure in prossimità delle gote e lo
sguardo andava ad abbandonare quello della donna.
Lo vide sollevarsi, infilare le mani nelle
tasche dei jeans fradici e rivolgere gli occhi alla
strada. Pensò che dovesse soffrire molto il freddo, a giudicare dalla postura a
cui sembrava si stesse costringendo, anche se non
capiva come il curvare la schiena potesse riscaldarlo.
Il lecca lecca finì improvvisamente a terra, andando a
richiamare l’attenzione di Lawliet, che non riuscì a
comprenderne il motivo.
Quando si voltò, vide gli
occhi spalancati della donna osservare terrorizzati un punto imprecisato di fronte
a lei. Girò velocemente il volto per tentare di capire cosa potesse
averne provocato la reazione, riuscendo a vedere solo un’auto nera attraversare
lentamente la strada di fronte a lui, da cui fece capolino un uomo biondo, con
gli occhiali da sole.
Realizzando in quel
momento tutte le risposte alle domande che si era posto sulla donna dal
primo momento che l’aveva vista, tornò a voltarsi verso il punto in cui l’aveva
lasciata, non trovandovi altro che il bon bon,
abbandonato sul marciapiede.
***
-
Perdona
l’urgenza, Ryuzaki, ma ci sono delle cose di cui ti
devo parlare - .
Quillsh sembrava aver
perso tutto il buon’umore
che si era trascinato dietro dal Giappone e la ragione poteva solo consistere
in una brutta notizia pervenuta – si ritrovò a sperare di no, nonostante vi
fosse solo l’un per cento di probabilità - dalla Wammy’s
House.
Prima che formulasse
un’altra percentuale di probabilità inerente a qualche altra ipotesi, si ritrovò
il tavolo sul quale lavorava e consumava i pasti invaso da foto, di cui afferrò
la prima che riuscì ad attirare maggiormente la sua attenzione, adagiandosi poi
sul divano nella solita posizione che gli assicurava il quaranta per cento di
ragionamento in più.
Ritraeva un uomo riverso a terra, in una
pozza di sangue – che da un’analisi più approfondita sembrava essersi dilatata
in prossimità del collo – e con un braccio più esposto rispetto all’altro – sul
quale doveva essere atterrato il corpo durante il cedimento per l’emorragia. La
sua attenzione, però, tornò a focalizzarsi sul braccio più esposto, afferrando
subitamente un’altra foto che mostrasse in posizione
più ravvicinata i suoi sospetti.
L’indice della mano destra – appartenente
al braccio esposto – era insolitamente piegato verso l’alto.
Afferrata una foto successiva, che subito
individuò essere il pezzo mancante del puzzle - se non la ragione per cui Quillsh aveva manifestato tutta quell’urgenza - notò che l’uomo della foto, prima di
morire, doveva aver composto col proprio sangue, in extremis, una lettera, che
grazie ad un ulteriore ingrandimento dei dettagli aveva saputo riconoscere.
Una L.
Afferrò un’altra foto, concentrandosi
questa volta su dettagli estranei al corpo di quella che, al settanta per cento,
era la vittima di un omicidio, prendendo ad analizzare il pavimento sul quale
giaceva che, a primo acchito, capì subito appartenesse
ad una chiesa.
Senza contare che l’abbigliamento dell’uomo
gliel’aveva suggerito dal primo momento, ciò che restava dunque da scoprire era
il motivo che aveva spinto qualcuno ad uccidere un sacerdote. E, prima di tutto, il motivo che sembrava turbare profondamente Quillsh.
Portò gli occhi neri a scrutare l’uomo,
spostandoli poi velocemente sul televisore che in quel momento stava
trasmettendo un notiziario.
-
“…
il corpo della donna è stato rinvenuto stamattina. La polizia giapponese non ha
dubbi che si sia trattato di suicidio. L’idol stessa, durante una conferenza
stampa, aveva annunciato il suo ritiro dalle scene a causa di uno stato
depressivo che l’aveva vista più volte protagonista…” - .
Osservò la foto più attentamente, per
assicurarsi che una momentanea distrazione potesse avergli fatto fraintendere
il soggetto del servizio.
Misa Amane era morta.
E doveva esserlo ancor prima di compiere quell’ultimo, disperato gesto che l’avrebbe
resa protagonista dei rotocalchi per l’ultima volta.
Ricordava perfettamente i suoi occhi.
Nessuno probabilmente avrebbe scommesso su
un’attenzione simile da parte sua, mostrandosi sempre così scostante, incurante
e fuori dal mondo, ma ciò che osservava Lawliet appena posava gli occhi su di una persona – che
questa fosse indagata o meno – erano gli occhi.
Nel primo caso poteva
definirsi una cosa naturale, nel secondo si trattava al cento per cento
di deformazione professionale.
Il detto secondo il quale gli occhi fossero lo specchio dell’anima non era una considerazione
sconclusionata. Era dagli occhi che lui si aspettava – e il più delle volte otteneva - sempre un cedimento, una rivelazione.
Marginale, ma pur sempre di una rivelazione
si trattava.
Quella volta, nel modo in cui gli occhi di
Misa osservarono il corpo di Light giacere sul suolo,
spalancandosi terrorizzati e increduli, per poi ridursi a due fessure
inespressive quando ad un suo richiamo il ragazzo non aveva risposto - senza
per giunta versare una lacrima - fu la prova inconfutabile che il cuore
dell’idol aveva smesso di battere come quello della persona che, nonostante
tutto, amava.
Non si accorse di essere rimasto a fissare
gli occhi - allora espressivi - della ragazza, fino a quando
non vide sostituirli ad altri di diverso taglio e colore.
Un colore che riconobbe subito.
Portò un pollice alle labbra
quando sentì che il servizio di cui la giornalista stava parlando
trattava del caso che – ancora per ragioni ignote – si ritrovava tra le mani.
-
…
diversi testimoni hanno udito la donna inveire verbalmente contro l’uomo, per
poi vederla uscire di corsa dalla chiesa dove si è
consumato il delitto. È ancora ignota la causa… - .
Era ricercata per omicidio, dunque.
Inutilmente – si ritrovò velocemente a
constatare - per giunta.
Tornò a riconcentrarsi su Quillsh, la cui espressione era – se possibile – più preoccupata
di prima.
-
Dobbiamo occuparcene, Ryuzaki
– scandì
improvvisamente, in tono grave. – Ho il dovere d’intervenire
in questo caso – aggiunse, accrescendo la sua curiosità. – Non è un caso
che sei solito trattare, ma ti chiedo di collaborare
ugualmente - .
Non aveva pensato nemmeno
per un attimo di rifiutare, l’espressione grave di Quillsh
era un evidente segnale del coinvolgimento emotivo del suo tutore.
Non rimaneva che fare la domanda più ovvia
e diretta.
-
Watari, chi è quella donna? - .
-
Mia
nipote. - .
Delucidazioni:
-
*Excuse moi… excuse moi, s’il vous plait! = Mi scusi… mi scusi, per favore!
-
*Tu
peux me donner une
sigarette? = Può offrirmi una sigaretta?
-
*Rien = Niente/ Nulla/ Come non detto.
-
*Merçi = Grazie
Ringraziamenti:
-
Lirin Lawliet: Ciao a te!
^ ^ Prima d’iniziare a
rispondere alla tua recensione, volevo innanzitutto ringraziarti per aver deciso
di spendere un paio di minuti per farlo J è sempre
emozionante constatare di non passare totalmente inosservati in mezzo ad un
universo in cui navigano autori di un certo spessore *__* Ritornando al motivo
che mi vede a risponderti… parto subito col confessarti che io detesto le
premesse, sono la prima a saltarle e/o a considerarle superflue, nonché
incredibilmente noiose =__= ma, come tu stessa hai scritto all’inizio della recensione
- indovinando J - ho ritenuto necessario inserirla
per una questione di correttezza, nient’altro J.
In merito al
prologo… Woooooow, grazie! Non so che altro
aggiungere tranne che anche per me L è il mio
personaggio preferito ^ ^’ riguardo
invece il personaggio originale… beh… non so se riuscirò a sorprenderti (a dire
il vero lo spero *__*), io conto comunque sul fatto che tu me lo faccia sapere
;) così come mi faccia sapere se la storia, passo passo,
continui a piacerti J
Grazie mille
ancora!
Ps: Le MattXMello (per quanto infinitamente graziose) sono un
incubo! :O certo che dobbiamo aiutarci a vicenda! xD
Pps: E grazie per aver
commentato per ben DUE volte! :O nonché per aver messo
la mia storia tra le seguite.
- Fe85: Sono riuscita ad attirare una
non-fan di L nonostante la storia sia incentrato su quest’ultimo? Ho capito
bene? °___°
*sviene*
…Grazie! ^ ///^ Grazie
davvero tanto per aver dedicato un po’ del tuo tempo per leggere e commentare la mia storia,
aggiungendola, per giunta, alle seguite! Spero di non deluderti! Alla prossima!
(spero)
Grazie
inoltre a _Elea_ per aggiunto la
storia tra le ricordate J
E grazie a chiunque,
seppur in punta di piedi, sia arrivato fino a qui!
HOPE87