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Autore: HOPE87    22/08/2010    4 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA. MI SCUSO INFINITAMENTE PER IL DISAGIO, MA QUANDO LA VITA PRECIPITA LE SI DEVE DARE NECESSARIAMENTE LA PRECEDENZA. A PRESTO! ;)
Dedicata a YamaMaxwell.
"Prima di rendersene conto aveva salutato professionalmente tutti gli uomini del gruppo d’indagine che avevano deciso di lavorare al suo fianco, leggendo negli sguardi di ognuno di essi il riflesso degli occhi vitrei di Light.
Poi s’era condotto – quasi inconsciamente – una mano al petto, avvertendo il cuore battere, incredulo.
Era stato allora che era avvenuto qualcosa.
Assorto nei suoi pensieri, non si era accorto dell’arrivo di Watari. Gli si era messo di fronte e quando lui aveva sollevato la testa per guardarlo, gli aveva sorriso.
Ma lui non aveva ricambiato."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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I

I.

[Eyes ]

 

 

 

 

 

 

Le previsioni metereologiche avevano previsto cielo nuvoloso su tutta la regione, ma le leggere schiarite erano state molto probabilmente mal interpretate dai professionisti del settore, dal momento che una leggera pioggia – inizialmente rada e delicata – ora costringeva al riparo chiunque non intendesse prendersi un malanno.

Starnutì, maledicendo il cielo per l’ennesima volta – seppur per ragioni diverse dalle precedenti – portandosi un dito al naso per impedirsi di replicare il gesto.

-          Dannazione… - esclamò a denti stretti, prendendo a tremare dal freddo e stringendosi nel – troppo sottile – trench color panna, trasformatosi ora in una leggera tonalità di grigio, ormai fradicio.

Nonostante le condizioni in cui riversava il soprabito, raccolse i lunghi capelli rossi in un improvvisato chignon, mettendoli poi al riparo all’interno del bavero, avvertendo subito dopo innumerevoli gocce d’acqua scorrere senza pietà alcuna lungo la sua schiena, facendola rabbrividire.

Cercando d’ignorare il freddo, presa ormai consapevolezza che quel diluviare spietato non si sarebbe placato entro breve, decise d’incamminarsi, fermandosi poi in prossimità del primo luogo asciutto in cui si sarebbe imbattuta.

Entrare momentaneamente in qualsiasi locale era escluso.

Probabilmente a quest’ora la stavano cercando e chiudersi tra quattro mura equivaleva a mettersi in trappola, offrirsi su un piatto d’argento.

In realtà era perfettamente consapevole che anche semplicemente camminare per la strada l’avrebbe esposta al rischio di essere trovata, quelle non erano certo persone che si facevano scrupoli a mostrarsi in pubblico…

Ritornatele in mente gli istanti immediatamente precedenti alla sua fuga, dovette mordersi una mano per non costringersi ad urlare. Per le lacrime, invece, non potette fare niente.

Si lasciò scivolare a terra, sostenendo il peso del proprio corpo sulle gambe, andando così a rannicchiarsi in quella che poteva definirsi una pseudo posizione fetale.

Cos’avrebbe dovuto fare? Possibile che non vi fosse alcuna via d’uscita in quella situazione?

Si ritrovò a pensare che sì, esisteva una soluzione… l’aveva presa in considerazione diverse volte durante il suo lungo e tormentato peregrinare… ma puntualmente era giunta alla stessa conclusione.

Sua madre era morta per proteggerla, non per vederla penzolare ad una corda attaccata al collo in qualche posto dimenticato da Dio.

Beh, ammesso che ovunque si trovasse in quel momento potesse realmente vederla.

Si era vista più volte a riprendere in considerazione l’ipotesi del suicidio, anche la mattina stessa, in albergo, di ritorno dall’ennesimo fallimento che credeva potesse alleviarle un po’ le pene.

Si era avventata contro lo specchio del bagno, scaraventandogli contro una spazzola che in quel momento non riusciva a districarle i nodi che le si erano formati nei capelli – quasi a sottolineare ironicamente la presenza di troppi nodi da sciogliere nella propria vita, si era ritrovata a pensare – vedendosi poi investire da una raffica di schegge dello stesso, alcune delle quali erano andate a graffiarle il volto e varie altre zone del corpo.

Ma non riusciva sopportarlo.

Non riusciva a sopportare l’immagine di quell’inutile donna, dalla pelle innaturalmente pallida – a causa dello shock, della trascuratezza e la stanchezza -, gli occhi di un verde spento - simili a quelli di una bambola - messi in evidenza da delle profonde occhiaie per il poco dormire e quei capelli rossi.

Chiunque, nel corso del tempo, avesse osato paragonarli a quelli della madre, aveva oltraggiato spudoratamente quest’ultima, senza alcun ritegno.

Evelyne Brown era una donna dai dolci e delicati tratti del viso tesi sempre in un sorriso gentile, qualunque fossero le circostanze che la vedessero coinvolta.

Anche quella mattina sorrideva.

Lei sapeva che c’era qualcosa che non andava, l’aveva capito dagli occhi da cui aveva ereditato il colore – sebbene più chiaro, con appena qualche sfumatura marrone - , a cui il sorriso, quella volta, non si era esteso.

Nonostante avesse provato a chiederle cosa le turbasse, protestando quando l’aveva scherzosamente liquidata con una leggera risata ed un buffetto sulla fronte – che era solita darle quando non voleva coinvolgerla nei suoi pensieri, spacciandolo per un gioco –, l’empatia che la legava alla madre aveva fatto scattare un segnale d’allarme dentro di .

Eppure si era limitata a farsi abbracciare e a ricambiare l’abbraccio che era seguito, forse pensando – e sperando – si stesse sbagliando. Una muta richiesta al cielo – a cui tanto si affidava Evelyne – che non era stata accolta. Come tante altre.

Portò inconsciamente una mano all’interno della tasca del trench - dove sapeva potesse avvolgere con le dita l’ultimo ricordo che le rimaneva di sua madre – chiudendo gli occhi, per rievocarne il ricordo.

Lo stesso ricordo che l’aveva dissuasa dal condursi al polso quella scheggia di vetro sfuggita allo specchio, per chiudere gli occhi una volta e per tutte, come aveva visto fare a lei.

Non seppe identificare in quel momento il motivo che la costrinse a riaprire gli occhi.

Forse il precipitare incessante della pioggia, intensificatosi… e di cui lei, stranamente,  non subiva i danni.

Sollevò la testa, perplessa, rendendosi conto solo allora di essere riuscita a ripararsi in prossimità di un negozio, rannicchiandosi esattamente accanto ad una vetrina di quest’ultimo.

Osservò incuriosita la vetrina espositiva, arrivando subito alla conclusione che si trattasse di una pasticceria. Peccato fosse chiusa, si ritrovò a pensare quando sentì lo stomaco protestare per la lunga assenza di cibo a cui l’aveva sottoposto. Era riuscita a consumare l’ultimo pasto decente esattamente prima della fuga.

Ripensandoci, tutto era avvenuto prima della fuga, così come tutto sembrava essersi estinto nel momento esattamente successivo. Poteva ancora considerarsi vita quella che stava conducendo? E fino a quando sarebbe durata? Era un countdown snervante che pareva volesse solo e unicamente logorarla prima di condurla al triste e scontato epilogo al quale era destinata.

Eppure aveva vissuto giorni in cui la speranza sembrava avesse ripreso vita in lei, un sarcastico paradosso che la vedeva attendere ciò che invece la maggior parte della popolazione terrestre scongiurava.

C’era stato un momento in cui s’era messa a pregare.

Che fosse o meno quello stesso Dio a cui sua madre rivolgeva puntualmente le sue preghiere, non lo sapeva, sapeva solo che era venuto un momento in cui s’era ritrovata, per la prima volta in vita sua, a pregare qualcosa – qualcuno – che andasse contro ogni più ferrea logica dimostrativa.

Kira.

Non era mai stata a favore della pena di morte. Mai. Gli esecutori capitali non erano poi tanto diversi dai criminali accusati di omicidio. Togliendo loro la vita, si macchiavano della stessa colpa, e macchiandosi della stessa colpa non potevano dirsi migliori di coloro a cui avevano stroncato la vita.

Non era altro che un circolo vizioso, un cane che si morde la corda.

Lo stesso discorso valeva per Kira e lo stesso supportare quest’ultimo – lo sapeva – non era altro che un desiderio egoistico spietato. Una speranza.

Ennesima speranza esplosa come una bolla di sapone nel momento in cui aveva visto estirpare da questo dio il male dal mondo meno che dal proprio.

Era caduto prima che potesse giungere a far giustizia nella sua vita, fermato da quello che molti consideravano essere la vera giustizia.

Considerazione che lei non abbracciava affatto.

Il detective di fama mondiale L poteva senz’altro essere considerato il possessore del più alto quoziente intellettivo fino ad allora scoperto, senza però doversi appropriare ingiustamente dell’appellativo che tutti tenevano a fargli calzare, compreso se stesso.

Non sapeva quanto fossero veritiere le informazioni che lasciavano trapelare i giornali sul suo conto, ma stranamente – considerando che solitamente avveniva il contrario – tutti si erano ritrovati a riportare ai propri lettori la notizia secondo la quale L interveniva solo quando lo riteneva strettamente necessario, occupandosi solo dei casi che lo incuriosivano particolarmente.

Kira perlomeno non era selettivo. Per quanto sbagliasse, agendo da spietato assassino, era sicuramente quello che più si avvicinava al concetto di giustizia in senso ampio, tra i due.

Sospirò, prendendosi la testa tra le mani.

Le sarebbe bastato solo che Kira avesse fatto sparire dalla faccia della Terra anche gli assassini di sua madre, invece…

Un fruscio la distrasse dai suoi pensieri, portandola ad osservare incuriosita – nonché estremamente all’erta – il punto dal quale era provenuto… sorprendendosi a dismisura di non essersi accorta, fino a quel momento, di non essere sola.

Al lato opposto del quale si trovava - protetto dalla grondaia sotto alla quale aveva deciso di ripararsi anche lei, per giunta nella stessa posizione - vi era uno strano individuo vestito solo con quella che sembrava essere una semplice t-shirt, bianca, ed un paio di jeans sbiaditi.

Incredibile di come non fosse riuscita ad accorgersi della sua presenza. D’accordo che il cielo funereo aveva fatto sì che il buio calasse molto prima rispetto al solito… ma quella figura sembrava appartenere al buio molto più di quanto non vi appartenesse l’ombra stessa. Ciò nonostante, sebbene in altre circostanze un individuo dalla pelle tanto pallida, in netto contrasto con capelli tanto corvini e dallo sguardo assente avesse potuto incuterle timore, non riusciva a temerne la presenza.

Inoltre quel particolare aveva attirato la sua attenzione più di qualunque altra cosa… chissà che non avesse potuto approfittarne.

-          Excuse-moiexcuse-moi, s’il vous plait! – tentò di farsi udire attraverso lo scrosciare della pioggia battente, riuscendo ad attirare la sua attenzione al secondo tentativo, venendo investita da un paio d’occhi neri come la pece, che la distolsero per un attimo da quello che era il suo iniziale tentativo. – Tu peux me donner une sigarette? – chiese, sforzandosi di non osservarlo troppo. Cosa che le risultò alquanto ardua, dal momento che qualunque cosa riguardasse quel tipo sembrava renderlo totalmente singolare.

Come a voler sottolineare le sue impressioni, il tipo prese ad osservarsi attorno, probabilmente convinto che non fosse lui il destinatario della domanda, per poi osservarla con un’espressione alquanto indecifrabile e sporgersi leggermente verso di lei, ponendo una mano attorno all’orecchio ad indicare che non era riuscito a sentirla, mentre l’altra mano estrasse dalla bocca… quello che le era parsa inizialmente una sigaretta.

“Un bon bon… che razza d’idiota!” si ritrovò a pensare subito dopo, assolutamente incapace di pensare ad un modo per rimediare all’attenzione inutile che era riuscita ad attirare.

-          Rien – pronunciò a mezza voce, sorridendo imbarazzata e agitando una mano come ad enfatizzare l’intento, per poi distogliere lo sguardo dal suo e prendere a fissare nuovamente il vuoto.

Non sapeva quanto fosse corretta l’idea secondo cui la presenza di una minaccia incombente che gravava sulla sua testa le avesse acuito i sensi, ad ogni modo si accorse subito dello spostamento di quello che aveva ribattezzato come tipo strano, sebbene vide solo successivamente una sua mano tenderle qualcosa, a pochi centimetri dalla sua persona.

Nonostante si fosse avvicinato, era stato tanto discreto da tenere la distanza necessaria a non invadere lo spazio che si era creata, andando a posizionarsi sufficientemente vicino da poterle offrire… un bon bon simile a quello che stava mangiando.

Non potè impedirsi di sorridere, sia per la bizzarra peculiarità che sembrava caratterizzare quella persona, sia per l’ennesima metafora che sembrava stesse offrendole la vita.

Aveva bisogno sì di zucchero nella sua vita. Certamente non di un rosa condensato,  avvolto attorno ad una stecca di liquirizia… ma che ci fosse qualcuno che avesse capito di averne estremamente bisogno bastava a rincuorarla.

-          Merçi – rispose garbatamente, guardandolo negli occhi e sorridendogli sinceramente, recuperando il dolce offertole mentre il volto del ragazzo assumeva tonalità più scure in prossimità delle gote e lo sguardo andava ad abbandonare quello della donna.

Lo vide sollevarsi, infilare le mani nelle tasche dei jeans fradici e rivolgere gli occhi alla strada. Pensò che dovesse soffrire molto il freddo, a giudicare dalla postura a cui sembrava si stesse costringendo, anche se non capiva come il curvare la schiena potesse riscaldarlo.

 

Il lecca lecca finì improvvisamente a terra, andando a richiamare l’attenzione di Lawliet, che non riuscì a comprenderne il motivo.

Quando si voltò, vide gli occhi spalancati della donna osservare terrorizzati un punto imprecisato di fronte a lei. Girò velocemente il volto per tentare di capire cosa potesse averne provocato la reazione, riuscendo a vedere solo un’auto nera attraversare lentamente la strada di fronte a lui, da cui fece capolino un uomo biondo, con gli occhiali da sole.

Realizzando in quel momento tutte le risposte alle domande che si era posto sulla donna dal primo momento che l’aveva vista, tornò a voltarsi verso il punto in cui l’aveva lasciata, non trovandovi altro che il bon bon, abbandonato sul marciapiede.

 

 

 

***

 

 

 

-          Perdona l’urgenza, Ryuzaki, ma ci sono delle cose di cui ti devo parlare - .

Quillsh sembrava aver perso tutto il buon’umore che si era trascinato dietro dal Giappone e la ragione poteva solo consistere in una brutta notizia pervenuta – si ritrovò a sperare di no, nonostante vi fosse solo l’un per cento di probabilità - dalla Wammy’s House.

Prima che formulasse un’altra percentuale di probabilità inerente a qualche altra ipotesi, si ritrovò il tavolo sul quale lavorava e consumava i pasti invaso da foto, di cui afferrò la prima che riuscì ad attirare maggiormente la sua attenzione, adagiandosi poi sul divano nella solita posizione che gli assicurava il quaranta per cento di ragionamento in più.

Ritraeva un uomo riverso a terra, in una pozza di sangue – che da un’analisi più approfondita sembrava essersi dilatata in prossimità del collo – e con un braccio più esposto rispetto all’altro – sul quale doveva essere atterrato il corpo durante il cedimento per l’emorragia. La sua attenzione, però, tornò a focalizzarsi sul braccio più esposto, afferrando subitamente un’altra foto che mostrasse in posizione più ravvicinata i suoi sospetti.

L’indice della mano destra – appartenente al braccio esposto – era insolitamente piegato verso l’alto.

Afferrata una foto successiva, che subito individuò essere il pezzo mancante del puzzle - se non la ragione per cui Quillsh aveva manifestato tutta quell’urgenza - notò che l’uomo della foto, prima di morire, doveva aver composto col proprio sangue, in extremis, una lettera, che grazie ad un ulteriore ingrandimento dei dettagli aveva saputo riconoscere.

Una L. 

Afferrò un’altra foto, concentrandosi questa volta su dettagli estranei al corpo di quella che, al settanta per cento, era la vittima di un omicidio, prendendo ad analizzare il pavimento sul quale giaceva che, a primo acchito, capì subito appartenesse ad una chiesa.

Senza contare che l’abbigliamento dell’uomo gliel’aveva suggerito dal primo momento, ciò che restava dunque da scoprire era il motivo che aveva spinto qualcuno ad uccidere un sacerdote. E, prima di tutto, il motivo che sembrava turbare profondamente Quillsh.

Portò gli occhi neri a scrutare l’uomo, spostandoli poi velocemente sul televisore che in quel momento stava trasmettendo un notiziario.

-          “… il corpo della donna è stato rinvenuto stamattina. La polizia giapponese non ha dubbi che si sia trattato di suicidio. L’idol stessa, durante una conferenza stampa, aveva annunciato il suo ritiro dalle scene a causa di uno stato depressivo che l’aveva vista più volte protagonista…” - .

Osservò la foto più attentamente, per assicurarsi che una momentanea distrazione potesse avergli fatto fraintendere il soggetto del servizio.

Misa Amane era morta.

E doveva esserlo ancor prima di compiere quell’ultimo, disperato gesto che l’avrebbe resa protagonista dei rotocalchi per l’ultima volta.

Ricordava perfettamente i suoi occhi.

Nessuno probabilmente avrebbe scommesso su un’attenzione simile da parte sua, mostrandosi sempre così scostante, incurante e fuori dal mondo, ma ciò che osservava Lawliet appena posava gli occhi su di una persona – che questa fosse indagata o meno – erano gli occhi.

Nel primo caso poteva definirsi una cosa naturale, nel secondo si trattava al cento per cento di deformazione professionale.

Il detto secondo il quale gli occhi fossero lo specchio dell’anima non era una considerazione sconclusionata. Era dagli occhi che lui si aspettava – e il più delle volte otteneva - sempre un cedimento, una rivelazione.

Marginale, ma pur sempre di una rivelazione si trattava.

Quella volta, nel modo in cui gli occhi di Misa osservarono il corpo di Light giacere sul suolo, spalancandosi terrorizzati e increduli, per poi ridursi a due fessure inespressive quando ad un suo richiamo il ragazzo non aveva risposto - senza per giunta versare una lacrima - fu la prova inconfutabile che il cuore dell’idol aveva smesso di battere come quello della persona che, nonostante tutto, amava.

Non si accorse di essere rimasto a fissare gli occhi - allora espressivi - della ragazza, fino a quando non vide sostituirli ad altri di diverso taglio e colore.

Un colore che riconobbe subito.

Portò un pollice alle labbra quando sentì che il servizio di cui la giornalista stava parlando trattava del caso che – ancora per ragioni ignote – si ritrovava tra le mani.

-          … diversi testimoni hanno udito la donna inveire verbalmente contro l’uomo, per poi vederla uscire di corsa dalla chiesa dove si è consumato il delitto. È ancora ignota la causa… - .

Era ricercata per omicidio, dunque.

Inutilmente – si ritrovò velocemente a constatare - per giunta.

Tornò a riconcentrarsi su Quillsh, la cui espressione era – se possibile – più preoccupata di prima.

-          Dobbiamo occuparcene, Ryuzaki – scandì improvvisamente, in tono grave. – Ho il dovere d’intervenire in questo caso – aggiunse, accrescendo la sua curiosità. – Non è un caso che sei solito trattare, ma ti chiedo di collaborare ugualmente - .

Non aveva pensato nemmeno per un attimo di rifiutare, l’espressione grave di Quillsh era un evidente segnale del coinvolgimento emotivo del suo tutore.

Non rimaneva che fare la domanda più ovvia e diretta.

-          Watari, chi è quella donna? - .

-          Mia nipote. - .

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Delucidazioni:

 

-          *Excuse moi… excuse moi, s’il vous plait! = Mi scusi… mi scusi, per favore!

-          *Tu peux me donner une sigarette? = Può offrirmi una sigaretta?

-          *Rien = Niente/ Nulla/ Come non detto.

-          *Merçi = Grazie

 

 

 

Ringraziamenti:

 

-          Lirin Lawliet: Ciao a te! ^  ^ Prima d’iniziare a rispondere alla tua recensione, volevo innanzitutto ringraziarti per aver deciso di spendere un paio di minuti per farlo J è sempre emozionante constatare di non passare totalmente inosservati in mezzo ad un universo in cui navigano autori di un certo spessore *__* Ritornando al motivo che mi vede a risponderti… parto subito col confessarti che io detesto le premesse, sono la prima a saltarle e/o a considerarle superflue, nonché incredibilmente noiose =__= ma, come tu stessa hai scritto all’inizio della recensione - indovinando J - ho ritenuto necessario inserirla per una questione di correttezza, nient’altro J.

In merito al prologo… Woooooow, grazie! Non so che altro aggiungere tranne che anche per me L è il mio personaggio preferito ^  ^’ riguardo invece il personaggio originale… beh… non so se riuscirò a sorprenderti (a dire il vero lo spero *__*), io conto comunque sul fatto che tu me lo faccia sapere ;) così come mi faccia sapere se la storia, passo passo, continui a piacerti J

Grazie mille ancora!

Ps: Le MattXMello (per quanto infinitamente graziose) sono un incubo! :O certo che dobbiamo aiutarci a vicenda! xD

Pps: E grazie per aver commentato per ben DUE volte! :O nonché per aver messo la mia storia tra le seguite.

 

-   Fe85: Sono riuscita ad attirare una non-fan di L nonostante la storia sia incentrato su  quest’ultimo? Ho capito bene? °___°

          *sviene*

          …Grazie! ^ ///^ Grazie davvero tanto per aver dedicato un po’ del tuo tempo per   leggere e commentare la mia storia, aggiungendola, per giunta, alle seguite! Spero di non deluderti! Alla prossima! (spero)

 

 

Grazie inoltre a _Elea_ per aggiunto la storia tra le ricordate J

E grazie a chiunque, seppur in punta di piedi, sia arrivato fino a qui!

 

 

 

 

 

HOPE87

 

 

 

   
 
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