{Darker than black.
1.Rinchiusa
Cara Sorella,
Mi sai dire
perché esistono i colori?
Sono solo degli inutili frammenti
di luce che aleggiano nelle nostre vite,
il mondo vomita colori e annega i
nostri occhi cosicché tutti possano ammirare la sua bellezza.
Io invece mi rifiuto di vederli, i
miei occhi si smarriscono, si spezzano, sono di vetro.
La parete “apparentemente bianca”
graffia, scotta a contatto con le mie spalle nude,
le catene lasciano marchi di fuoco,
roventi, le mie urla squarciano l’aria come un temporale
d’agosto nel cuore
della notte.
Dimmi sorella sono forse guarita? La
mia mente sarà mai come quella di un tempo?
E’ quasi aprile, riuscirò a vedere
i petali di ciliegio cadere nel giardino che non esiste?
Non è aprile, eppur li vedo.
Nome,
Sakura Haruno; anni, ventidue; numero di
matricola, 2830; sanità fisica, accettabile;
sanità mentale, pari a zero
(secondo loro); segni particolari, daltonica causa trauma; permanenza
in
manicomio, data da destinarsi.
Ecco cosa ero io, un ammasso di lettere e numeri
che dentro portavano solo ferite dure a rimarginarsi.
Queste parole si confondevano, si ripetevano, s’infrangevano,
si rompevano, si spezzavano, si perdevano, si annullavano, sgorgavano
mute dai
pensieri degli infermieri, trasudavano dalle pareti,
s’infiltravano tra il
pavimento.
Rimanevo così distesa a terra, immobile, con gli
occhi fissi sul cielo stellato disegnato nella stanza e pretendevo di
veder le
stelle bianche sorridere in mezzo a
quell’oscurità, avevo voglia di afferrarle
ma i petali rosa mi obbligavano a rimanere incollata al freddo
pavimento,
incapace di volare, incapace di vedere. Le notti erano tutte uguali,
tutte
nere; i giorni tutti immutabili, tutti bianchi. Rannicchiata contro la
parete,
mi aggrappavo alle mie ginocchia ossute seguendo il movimento dei
petali che mi
volteggiavano intorno: loro c’erano, gli altri no. La mia
bocca era chiusa da
chissà quanto tempo e oramai la lingua era stata inghiottita
nell’oscurità
della mia mente, non la sentivo più. Lo stato di coma mi
pervadeva da più di
due anni ma che importanza può mai avere il tempo in un
luogo come quello? Gli
occhi vedevano, sentivano, percepivano, assaporavano le sbarre
impolverate
della cella.
Mi sentivo come un rottame, qualcosa di unto e
sporco, di strano e arrugginito: come un ingranaggio che non
funzionerà mai
bene. Le unghie affondavano nella pelle delle braccia, scorticavano i
ricordi
più bui, arrivavano al cuore, agli occhi, strozzavano le
immagini, e urlavo, un
grido che nasceva dalle viscere del mio ego e che mi lasciava in preda
al nero
più totale.
Non sapevo più quale fosse la causa del mio
malessere, i ricordi arrivavano e scomparivano con la stessa
intensità, come
tante lampadine fulminate, alcune non si accendevano. L'unica cosa che
mi
manteneva ancora in vita erano quei petali: non avrei mai smesso di
seguirli.
La finestra della mia cella era piccola e con le sbarre ma da
lì giungeva
qualche soffio di vento che trasportava leggero i petali di ciliegio.
Volevo vederli a qualunque costo.
Quel giorno
gli infermieri mi portarono nella
sala "bianca": l'odore acre di pulito mi rivoltò lo stomaco
e mi
bruciò le narici peggio della candeggina. Mi sedetti in una
sedia anch'essa
"bianca": se non avessi percepito le schegge di legno conficcarsi nel
palmo della mano probabilmente avrei pensato di essere nel bel mezzo
del nulla.
Anche se non percepivo i colori, ero sicura che
quella stanza fosse così come la vedevo: chiara e luminosa.
Davanti a me un
materiale inconsistente mi divideva da un uomo, da un vero uomo.
Allungai la
mano per poi ritrarla al contatto freddo del vetro. I miei occhi
vagavano in
cerca di qualche luogo sicuro, dove ripararmi, ma la paura mi
percorreva tutto
il corpo trasformandolo in una densa massa informe, impossibile da
muovere."Sakura... Sakura mi senti?" le orecchie da troppo tempo
vuote come conchiglie adesso si riempivano di sussurri che per me erano
più
rumorosi di qualsiasi urlo. Mi tappai le orecchie per cercare di non
riemergere
da quel mio stato catatonico, chi aveva mai osato svegliarmi?
“Sakura non ho
bisogno che tu mi parli: limitati a fare si o no con la
testa…vuoi che parli
più piano?” Quelle sue parole mi trapanavano il
cervello, era da tanto tempo
che nessuno mi rivolgeva la parola. Tolsi insicura le mani dalle
orecchie e le
ristrinsi forte sulla sedia. Guardai prima quell'uomo e poi me riflessa
nel
vetro: tra me e lui c’era un’enorme differenza.
“Bene vedo che ti sei
tranquillizzata un po’…mi presento sono Hatake
Kakashi, tuo nuovo psichiatra e
medico curante” Quell’uomo non sembrava come gli
altri infermieri e dottori:
gli altri non si presentavano, non parlavano, prescrivevano medicine e
punture
e basta. Feci di si con la testa ma il movimento divenne quasi una
specie di
dondolio mentre fissavo il dottore. “Inizierò a
farti qualche piccola domanda:
sai perché sei qui?” L’ennesima domanda,
di nuovo uscita sporca e putrida dalla
bocca di qualcun altro, come se avessi ucciso qualcuno, come se quello
fosse un
carcere, il mio carcere. “ricordi qualcosa dei tuoi primi
giorni qui?” si
ricordavo, il grigio, il nero e il bianco, da quando ero entrata
lì, erano
stati loro a farmi compagnia. “La tua cartella clinica dice
che il tuo problema
è dovuto a delle allucinazioni…che cosa
vedi?” Fermai il dondolio e guardai dal
soffitto scendere i miei adorati petali rosa, erano ovunque e
ricoprivano i
capelli bianchi del dottore, possibile che non se ne fosse accorto?
“Vedi i
ciliegi, vero?” lo stupore fu così grande che mi
ritrovai a respirare a fatica,
l’aria graffiava e la gola la sentivo aggrovigliata ma
l’emozione che annullò
quel mio stato di coma fu la felicità: non ero la sola a
vederli. “Sono belli i
fiori di ciliegio…se vorrai domani, potrai uscire in
cortile… può darsi che là
ci siano”
Il
sorriso del dottore celato dalla mascherina fu la prima cosa che vidi
di bello
dopo due anni di pazzia e solitudine. Qualcosa mi pizzicò il
braccio destro e
l’ago iniettò una sostanza che il mio sangue
riconosceva bene. Non ebbi modo di
ringraziare quell’uomo, la lingua non si mosse, la bocca non
emise altro che un
lamento sregolato.
“Riposati…domani
rivedrai i tuoi ciliegi” udii le sue parole come ovattate e
mi abbandonai tra i
flutti dell’incoscienza.
Salve caro
popolo di efp,
come potete vedere le long le
tenevo ben rinchiuse nel mio computer in attesa di essere solo lette.
Per
accontentare black ed orange ne ho scritte due e le ho volute
pubblicare
insieme (Happily
ever after).
Premetto che questa long la dedico
alla mia tesho Robertabibi…spero
che
le piaccia xD
Allora mie care panterine, che ne
pensate della Sakura daltonica rinchiusa in manicomio? Non sono sadica
come
pensate, infatti tra qualche capitolo vedrete come cambieranno le cose!
Vi
sottolineo che questa è una SasuSaku perciò ci
sarà anche il vostro idolo, non
dimenticatevelo.
Mi
raccomando recensite in tanti e date un po’
un’occhiata alla fic
MAMA;didn’t teach me (NaruHina SasuSaku)
Al prossimo aggiornamento,
baci
dreem