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Autore: d r e e m    22/08/2010    4 recensioni
Passarono alcuni minuti di assoluto silenzio.
“Sei solo una povera pazza”
Si girò e stavolta oltre la testa spostò anche la sedia.
“Sono daltonica” dissi quasi se quella fosse una giustificazione alla mia pazzia.
[4.Pioggia]
~SasuSaku
Genere: Dark, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sakura Haruno, Sasuke Uchiha | Coppie: Sasuke/Sakura
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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{Darker than black.
1.Rinchiusa

Cara Sorella,
 Mi sai dire perché esistono i colori?
Sono solo degli inutili frammenti di luce che aleggiano nelle nostre vite,
il mondo vomita colori e annega i nostri occhi cosicché tutti possano ammirare la sua bellezza.
Io invece mi rifiuto di vederli, i miei occhi si smarriscono, si spezzano, sono di vetro.
La parete “apparentemente bianca” graffia, scotta a contatto con le mie spalle nude,
le catene lasciano marchi di fuoco, roventi, le mie urla squarciano l’aria come un temporale d’agosto nel cuore della notte.
Dimmi sorella sono forse guarita? La mia mente sarà mai come quella di un tempo?
E’ quasi aprile, riuscirò a vedere i petali di ciliegio cadere nel giardino che non esiste?
Non è aprile, eppur li vedo.

 
Nome, Sakura Haruno; anni, ventidue; numero di matricola, 2830; sanità fisica, accettabile; sanità mentale, pari a zero (secondo loro); segni particolari, daltonica causa trauma; permanenza in manicomio, data da destinarsi.

 
Ecco cosa ero io, un ammasso di lettere e numeri che dentro portavano solo ferite dure a rimarginarsi.
Queste parole si confondevano, si ripetevano, s’infrangevano, si rompevano, si spezzavano, si perdevano, si annullavano, sgorgavano mute dai pensieri degli infermieri, trasudavano dalle pareti, s’infiltravano tra il pavimento.
Rimanevo così distesa a terra, immobile, con gli occhi fissi sul cielo stellato disegnato nella stanza e pretendevo di veder le stelle bianche sorridere in mezzo a quell’oscurità, avevo voglia di afferrarle ma i petali rosa mi obbligavano a rimanere incollata al freddo pavimento, incapace di volare, incapace di vedere. Le notti erano tutte uguali, tutte nere; i giorni tutti immutabili, tutti bianchi. Rannicchiata contro la parete, mi aggrappavo alle mie ginocchia ossute seguendo il movimento dei petali che mi volteggiavano intorno: loro c’erano, gli altri no. La mia bocca era chiusa da chissà quanto tempo e oramai la lingua era stata inghiottita nell’oscurità della mia mente, non la sentivo più. Lo stato di coma mi pervadeva da più di due anni ma che importanza può mai avere il tempo in un luogo come quello? Gli occhi vedevano, sentivano, percepivano, assaporavano le sbarre impolverate della cella.
Mi sentivo come un rottame, qualcosa di unto e sporco, di strano e arrugginito: come un ingranaggio che non funzionerà mai bene. Le unghie affondavano nella pelle delle braccia, scorticavano i ricordi più bui, arrivavano al cuore, agli occhi, strozzavano le immagini, e urlavo, un grido che nasceva dalle viscere del mio ego e che mi lasciava in preda al nero più totale.
Non sapevo più quale fosse la causa del mio malessere, i ricordi arrivavano e scomparivano con la stessa intensità, come tante lampadine fulminate, alcune non si accendevano. L'unica cosa che mi manteneva ancora in vita erano quei petali: non avrei mai smesso di seguirli. La finestra della mia cella era piccola e con le sbarre ma da lì giungeva qualche soffio di vento che trasportava leggero i petali di ciliegio.
Volevo vederli a qualunque costo.

 

Quel giorno gli infermieri mi portarono nella sala "bianca": l'odore acre di pulito mi rivoltò lo stomaco e mi bruciò le narici peggio della candeggina. Mi sedetti in una sedia anch'essa "bianca": se non avessi percepito le schegge di legno conficcarsi nel palmo della mano probabilmente avrei pensato di essere nel bel mezzo del nulla.
Anche se non percepivo i colori, ero sicura che quella stanza fosse così come la vedevo: chiara e luminosa. Davanti a me un materiale inconsistente mi divideva da un uomo, da un vero uomo. Allungai la mano per poi ritrarla al contatto freddo del vetro. I miei occhi vagavano in cerca di qualche luogo sicuro, dove ripararmi, ma la paura mi percorreva tutto il corpo trasformandolo in una densa massa informe, impossibile da muovere."Sakura... Sakura mi senti?" le orecchie da troppo tempo vuote come conchiglie adesso si riempivano di sussurri che per me erano più rumorosi di qualsiasi urlo. Mi tappai le orecchie per cercare di non riemergere da quel mio stato catatonico, chi aveva mai osato svegliarmi? “Sakura non ho bisogno che tu mi parli: limitati a fare si o no con la testa…vuoi che parli più piano?” Quelle sue parole mi trapanavano il cervello, era da tanto tempo che nessuno mi rivolgeva la parola. Tolsi insicura le mani dalle orecchie e le ristrinsi forte sulla sedia. Guardai prima quell'uomo e poi me riflessa nel vetro: tra me e lui c’era un’enorme differenza. “Bene vedo che ti sei tranquillizzata un po’…mi presento sono Hatake Kakashi, tuo nuovo psichiatra e medico curante” Quell’uomo non sembrava come gli altri infermieri e dottori: gli altri non si presentavano, non parlavano, prescrivevano medicine e punture e basta. Feci di si con la testa ma il movimento divenne quasi una specie di dondolio mentre fissavo il dottore. “Inizierò a farti qualche piccola domanda: sai perché sei qui?” L’ennesima domanda, di nuovo uscita sporca e putrida dalla bocca di qualcun altro, come se avessi ucciso qualcuno, come se quello fosse un carcere, il mio carcere. “ricordi qualcosa dei tuoi primi giorni qui?” si ricordavo, il grigio, il nero e il bianco, da quando ero entrata lì, erano stati loro a farmi compagnia. “La tua cartella clinica dice che il tuo problema è dovuto a delle allucinazioni…che cosa vedi?” Fermai il dondolio e guardai dal soffitto scendere i miei adorati petali rosa, erano ovunque e ricoprivano i capelli bianchi del dottore, possibile che non se ne fosse accorto?
“Vedi i ciliegi, vero?” lo stupore fu così grande che mi ritrovai a respirare a fatica, l’aria graffiava e la gola la sentivo aggrovigliata ma l’emozione che annullò quel mio stato di coma fu la felicità: non ero la sola a vederli. “Sono belli i fiori di ciliegio…se vorrai domani, potrai uscire in cortile… può darsi che là ci siano”
Il sorriso del dottore celato dalla mascherina fu la prima cosa che vidi di bello dopo due anni di pazzia e solitudine. Qualcosa mi pizzicò il braccio destro e l’ago iniettò una sostanza che il mio sangue riconosceva bene. Non ebbi modo di ringraziare quell’uomo, la lingua non si mosse, la bocca non emise altro che un lamento sregolato.
“Riposati…domani rivedrai i tuoi ciliegi” udii le sue parole come ovattate e mi abbandonai tra i flutti dell’incoscienza.

 

Salve caro popolo di efp,
come potete vedere le long le tenevo ben rinchiuse nel mio computer in attesa di essere solo lette. Per accontentare black ed orange ne ho scritte due e le ho volute pubblicare insieme (Happily ever after).
Premetto che questa long la dedico alla mia tesho Robertabibi…spero che le piaccia xD
Allora mie care panterine, che ne pensate della Sakura daltonica rinchiusa in manicomio? Non sono sadica come pensate, infatti tra qualche capitolo vedrete come cambieranno le cose! Vi sottolineo che questa è una SasuSaku perciò ci sarà anche il vostro idolo, non dimenticatevelo.
Mi  raccomando recensite in tanti e date un po’ un’occhiata alla fic MAMA;didn’t teach me (NaruHina SasuSaku)
Al prossimo aggiornamento,
baci

dreem

 

   
 
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