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Autore: CloyingCyanide    23/08/2010    1 recensioni
"Lo sto crescendo nel migliore dei modi, con tanto amore che a volte nasconde la rabbia. Rabbia per un padre naturale che non vedrà mai. Rabbia per un uomo che invece vuole essere suo padre a tutti gli effetti, anche se Sam non ha nemmeno una goccia del suo sangue. Amore e rabbia, rabbia e amore."
MOMENTANEAMENTE INCOMPIUTA
Genere: Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Tré Cool
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Sono distesa su un divano, credo. Vedo tutto nero, ma piano piano riesco a distinguere i contorni di una figura. Eccolo, seduto al mio fianco, con la barba leggermente incolta e gli occhi sempre vivaci. Sento che mi accarezza il viso chiamandomi per nome, ma non ce la faccio a rispondergli. Ho la gola secca e la lingua pietrificata e, per quanto possa sforzarmi, dalle mie labbra non esce alcun suono.
“Corey, ci sei?”
Lentamente poggio una mano sulla sua gamba, per dargli segni di vita. Di nuovo provo a parlare, ma senza successo.
“Amore bello…” si china su di me, baciandomi la fronte. “E’ tutto risolto. Trè è andato via e Sammy sta un attimino in bagno”
Vedo dei graffi sulle sue forti braccia. Quell’essere avrà cercato di ribellarsi, sicuro. Certo, se credeva di spuntarla a un pugile, era solo un povero illuso. O forse semplicemente non sapeva nemmeno della sua esistenza.
“Ti proteggo io dal mondo, Corey. Non avere paura” sorride, bellissimo, e mi fa sciogliere. “Ci sarò sempre.
Sempre” sussurra, e mi sento piccola e bisognosa d’affetto. Del SUO affetto, e di quella sicurezza che mi ha dato quando ne avevo più bisogno, e che continuo a ricevere ancora adesso.
Prendo fiato e raccolgo tutte le mie poche energie per riuscire a dire quello che sento. E’ il minimo che possa fare per lui. Le mie dita salgono sul suo viso dolce, accarezzandogli le labbra. “Ti amo, Chris”
Mi abbraccia, disarmato, stendendosi accanto a me. “Sei la mia vita, Corey. Te e anche Sammy.”
Nascondo il viso nella sua enorme felpa rossa, e mi lascio coccolare. Chi l’avrebbe mai immaginato? Avevo desiderato un futuro diverso ma ho ricevuto di molto meglio, sia per me che per il bambino. E intanto ripenso a quando il mio destino sembrava segnato.


**


Il concerto era appena finito. Il bambino dentro la mia pancia continuava a scalciare, divertito da quella musica che piaceva anche a lui. E come non avrebbe potuto, dopotutto? Mi feci forza, e riuscii a passare facilmente tra la folla.“Fatela passare, è incinta” diceva qualcuno, scostandosi. In altri momenti mi avrebbe dato fastidio sentirmi trattata così, quasi come se la gente si schifasse di vedere una ragazza della mia età essere già mamma, ma sapevo che avrei dovuto sopportare sofferenze ben più gravi e mi feci forza.
Presto riuscii ad arrivare sotto al palco, dove si stavano già smontando le attrezzature. Qualcuno urlava e dava le direttive perfino su come doveva essere messo a posto. Lo guardai, con gli occhi già affogati nelle lacrime. “Billie… Billie…”
“Gli autografi dopo” sentenziò senza nemmeno guardarmi.
“Sti cazzi dell’autografo, Billie! Volevo solo salutarti”
Si grattò la testa, mentre i suoi occhi mettevano a fuoco la mia immagine. “Corinne…” saltò giù e venne ad abbracciarmi. “Oddio, Corey, mi manchi!” mi diede un pizzicotto sulla guancia, come faceva sempre. Ci divertivamo un sacco, insieme, ma da quando io e Trè ci eravamo lasciati non l’avevo più visto.
“Anche tu, vecchio” gli confessai. Poi mi accarezzai la pancia, bella evidente: ero di sette mesi inoltrati, mancava poco.
“Cristo!” si batté una mano sulla fronte. “E… chi è il padre?”
Il mio cuore implose. Mi morsi il labbro inferiore, ma dovevo dirlo. “Trè”
Impallidì all’istante. “E’ un coglione! Me lo sentivo che non ti doveva lasciare! E adesso come fai, Corey, come cazzo fai? Con un demente del genere non puoi crescere un figlio!”
“Voglio… parlarci, intanto. Poi vedremo” insaccai la testa nelle spalle, illudendomi che ci fosse ancora qualche speranza di recupero.
“Aspetta, lo vado a chiamare” mosse pochi passi, poi tornò indietro e mi strinse il viso tra le mani. “Ti voglio un fottuto bene, lo sai.” I suoi occhi erano arrossati per la rabbia. “Se hai bisogno di me, io ci sto. Mi farò a pezzi, ma non ti abbandono, Corey.”
Chissà, forse ci avevo anche creduto, lì per lì. Sono io che non l’ho mai cercato, a dire il vero, perché non mi andava di disturbarlo. Fu quella l’ultima volta che lo vidi. Piansi, perché sapevo che mi aspettava una dura battaglia dalla quale sarei uscita solo perdente.


“Hey, bellissima!” sentii urlare da lontano. “Messo su qualche chiletto, eh?”
Sospirai, senza rispondere, mentre si avvicinava. “Ciao”
Saltò, quando si accorse della pancia. “Chi cazzo…?”
“Te” dissi, senza mezzi termini.
Scosse la testa, buttando a terra la sigaretta appena accesa.“E’ impossibile! Ci siamo lasciati cinque mesi fa!”
“Appunto. Sono al settimo mese.”
“Ah, io non sono stato” si tirò indietro, come per sfuggire a una verità troppo scomoda.
“E chi, allora, imbecille?”
“Io prenderei in considerazione lo spirito santo. E’ sempre in agguato, non si può mai sapere.”
“Cazzo, fai il serio!” urlai, minacciandolo con un indice. “Trè, questo bambino è tuo, e se tu non lo vuoi io me ne fotto perché non voglio dartelo!”
“E che sei venuta a fare?”
“A dirti che c’è un piccolo cuore che batte grazie a te” sentii scendere poche lacrime. “E’ nostro figlio, che ti piaccia o no. E ha bisogno anche di un papà.” Gli presi la mano, poggiandola sul pancione. “Non voglio tornare insieme a te. Voglio solo che il bambino sia felice, e possa stare col suo papà quando vuole.”
Sospirò, quando lo sentì muoversi. “Co… Non sono in grado”
“Non devi crescerlo, a quello ci penso io! Voglio che mio figlio nei momenti di bisogno abbia accanto a sé un papà che lo aiuti a diventare un uomo”
“Corey… ne ho già altri due! Se dovessi stare appresso a tutti i figli che ho, sparsi negli Stati Uniti, dovrei metter su un asilo nido” ridacchiò, decisamente fuori luogo.


A quelle parole, scappai. Pensai che il mio bambino non avrebbe potuto imparare nulla da un genitore così, e che avrei fatto meglio a rimanere a casa. Avevo anche litigato con Christopher, quella sera. Da poco mi aveva accolto a casa sua, più grande e comoda rispetto al monolocale dove vivevo prima, e si era completamente messo a disposizione per me. L’avevo conosciuto nella palestra dove lavoravo e lavoro tuttora, agli uffici. Lui… era solo l’istruttore di boxe col cuore d’oro, l’amico che mi aveva preso sotto la sua protezione perché non sopportava di vedermi soffrire. Però quella sera era diverso. Avevamo litigato per una sciocchezza prima che io uscissi, ma essendo molto permaloso ci era rimasto male. Quando tornai a casa lo trovai ancora sveglio, davanti alla tv.
“Ciao” lo salutai.
“Quel verme ti ha fatto soffrire abbastanza, per stasera?” rispose secco.
“E’ un fottuto imbecille. Non è cambiato per niente” iniziai di nuovo a piangere, sedendomi affianco a Chris. “Va beh, lasciamo perdere.” Mi asciugai le lacrime col pollice, poi cercai almeno di risolvere quel piccolo malinteso di qualche ora prima. “Mi… mi perdoni per come ti ho trattato, Chrissie?”
Mi cinse le spalle con un braccio, poi mi baciò la fronte. “Sono l’ultimo dei tuoi problemi adesso, micetta. Pensa al bimbo.”
“Sei la mia cura, te” mi strinsi a lui, arrendendomi a tutto il bene che gli volevo. “Perché se io e il bambino abbiamo un futuro, è tutto merito tuo.”
Sospirò mentre mi accarezzava il viso, guardandomi come se fossi la cosa più importante su questa terra, e mostrandomi un affetto sincero e smaliziato che era tutto quello di cui avevo bisogno. “Ascolta, Corey… io… Se tu vuoi, se te la senti davvero, se non ti fai problemi, io… Ecco, io vorrei crescere insieme a te il bambino”
Morii e risuscitai in un attimo solo. Chi altro avrebbe potuto farmi una proposta del genere, se non lui? “Chris…”
“Corey, se non vuoi… Come non detto!”
“Lo voglio con tutta l’anima!” lo abbracciai quasi da strangolarlo. Dio, non potevo chiedere di meglio. Gli presi le mani, mettendomele sulla pancia. “E’ felice anche lui, senti?”
Pianse, e non se ne vergognò. Con le dita cercava di inseguire i piedini del bambino,  che non stavano mai fermi. Mi lasciò un bacio poco sopra l’ombelico e sorrise. “Posso… posso chiamarlo ‘nostro figlio’?”
“No, non puoi. Devi.” Gli scompigliai i capelli. “Sei il suo papà.”
“Siete la mia felicità” pianse, tenendo la guancia appoggiata al pancione. Quello sì che era un atteggiamento da papà, e Chris l’ha sentito subito, dal momento in cui gli ho confessato di essere incinta. Era un amore innato, per un figlio che non aveva generato ma si sentiva in dovere di proteggere. E così è sempre stato, da allora fino ad oggi. Sì, ora che siamo sposati Sam porta il suo cognome: è come se Chris l’avesse adottato. Ma in realtà, l’ha adottato quando ancora era nel mio corpo.

  
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