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Autore: CherryPoppins    24/08/2010    2 recensioni
E' la prima cosa che scirivo qui, in assoluto, sarei molto contenta se commentaste! Amber ha un potere del tutto ignoto agli abitanti sovrannaturali di Bon Temps. Non ha mai visto un vampiro e non ha mai avuto un amico, proprio come Sookie prima di incontrare Bill, ma ciò che hanno in comune non contribuirà affatto ad avvicinare le due ragazze.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Feci le valigie perché ero stanca.

Stanca, dopo venticinque anni, che le persone non avessero dimenticato la bambina che ero. Sapevo che in quella maledetta città, la MIA maledetta città, tutti quanti avevano una fottuta paura di me, come se nell’arco della mia vita avessi mai fatto del male a qualcuno, o avessi mai usato le mie –per così dire- peculiarità per ferire o spaventare. Non l’ho mai fatto, mai, nemmeno quando l’avrebbero meritato.

L’unica colpa che potrebbero affibbiarmi è quella di non essere stata in grado di controllarmi quand’ero molto piccola; non mi rendevo conto che far camminare la bambola, all’asilo, potesse creare problemi a qualcuno. Di certo non ne creava agli altri bambini: loro ridevano, e volevano sempre giocare con me quando non c’erano i loro genitori.

Il vero problema si è creato quando lo hanno visto le insegnanti: la prima a cogliermi in flagrante durante una telecinesi svenne subito dopo aver strabuzzato gli occhi come un barbagianni, e solo il fatto che già da bambina avessi degli ottimi riflessi la salvò da una sonora craniata sul pavimento.

Sì. Telecinesi, esattamente. Sono nata così.

I miei genitori, all’inizio, supponevano che io fossi una sorta di prototipo dell’homo sapiens sapiens sapiens, il primo esemplare ad aver subito una mutazione genetica nel cammino dell’evoluzione, una specie di passo in avanti verso un futuro di uomini volanti, uomini-pesce e cose del genere.

Purtroppo però l’unica chimera del nostro presente è quella mezzo uomo e mezzo idiota, e se ricordo il modo in cui le persone mi hanno trattata quando hanno scoperto cosa ero in grado di fare, additandomi in mezzo alla strada e urlandomi che ero  “figlia di satana” e “un segno più chiaro dei vampiri che l’apocalisse è vicina”, impedendo a me e ai miei familiari qualsivoglia contatto con loro e costringendomi per tutta l’infanzia a giocare da sola, mi viene da pensare che è anche una specie piuttosto diffusa.

In ogni caso, credo che i miei si sbagliassero, non sono una mutante evoluta. Sono soltanto… strana.

C’è questa cosa che so fare, e basta. Ed è anche piuttosto utile, il più delle volte: non ho mai avuto, ad esempio, il comunissimo problema di dovermi alzare subito dopo essermi accomodata sul divano perché il telecomando è rimasto sul tavolo.

Non so come faccio, davvero. Quando voglio spostare qualcosa, mi basta guardarla ed è semplicemente come se mille manine invisibili venissero fuori dai miei occhi a realizzare le volontà del mio cervello.

Mille manine molto più forti di me, a dirla tutta: una volta ho salvato Poe, il mio cocker, da un grosso camion che stava per falciarlo davanti al vialetto di casa. L’ho sollevato come fosse una macchinina giocattolo, non dimenticherò mai la faccia del conducente, era diventato verde come una gelatina alla menta e continuava a gridare: “Mettimi giù, strega, mettimi giù, o in nome di dio ti farò bruciare su una pira!”. Un tipo molto simpatico. Ma non è stato l’unico a pensare a me come a un’ottima candidata per un remake dei roghi medievali, è un pensiero che ispiro in moltissime persone, chissà poi perché.

Ora che ci penso, avrei potuto semplicemente spostare Poe… Beh, era un momento particolare, l’adrenalina e tutto il resto, non ci sono stata a pensare più di tanto.

Quando poi venne fuori la storia dei vampiri, mi dissi che forse le cose per me sarebbero cambiate, che forse la gente avrebbe imparato a convivere con ciò che teme, che se potevano essere accettati i non-morti nella società molto probabilmente sarei stata accettata anch’io, e che se per caso le cose non fossero andate così avrei sempre potuto cercare di farmi accettare dai vampiri stessi.

Non potevo prendere granchio peggiore: a Escalante i vampiri non vanno neppure in gita, e così gli abitanti del posto continuano a far finta di ignorare la loro esistenza.

E a dirla tutta, per quello che avevo sentito, gli zannuti non si interessano agli esseri umani se non per nutrirsene o per utilizzarli come galoppini o temporanei amanti.

Orgogliosa come sono, non sarei mai potuta diventare una vampirofila: ho passato anni a cercare di convincere altre persone della mia pari dignità, sarebbe un controsenso sottomettermi a qualcun altro: io non ho mai cercato né schiavi né protettori, ma soltanto rapporti veri e sinceri.

Ho avuto una vita sociale di merda, davvero. Nemmeno un amico che fosse uno.

In una piccola cittadina dello Utah come Escalante, dove sono nata e da dove sono scappata, è rarissimo trovare qualcuno con una mentalità aperta, ed io personalmente non ho avuto questa fortuna.

Sì, perché quando sono cresciuta, ho potuto constatare che il danno ormai era fatto: nessuno era disposto a perdonare una bambina che al supermercato faceva la giocoliera con le angurie, e senza mani, anche se ormai quella bambina era diventata una ragazza consapevole che dall’età di sette anni non si era più fatta scappare, in pubblico, alcun tipo di stranezza.

Ho sperato per tanto tempo che qualcuno mi desse una chance, ma nulla da fare. Potendo, si risparmiavano anche di rivolgermi la parola.

Così alla fine ho deciso di andare a farmi una vita altrove, ho chiesto a mia madre di dirmi il primo stato che le veniva in mente, e quando ha detto Louisiana, ho preso la cartina della Louisiana e ci ho puntato sopra il dito: Bon Temps.

E Bon Temps sia, mi sono detta, tanto per me che voglio solo una vita normale una città vale l’altra.

Anche se Bon Temps è più che altro un paesino.

Quando vi arrivai, vidi che le strade erano tutte alberate,  che si trovava in piena campagna, e contai che a occhio e croce sarebbero state in totale un centinaio di case e una chiesa: mi sembrava che qualcuno avesse preso delle persone e  le avesse buttate lì in mezzo al nulla, e che queste si fossero poi evolute a creare una società moderna. O quasi.

Sembrava tutto… non saprei, non proprio vecchio, piuttosto direi vintage, rimasto bloccato agli anni Settanta.

Non che Escalante fosse una moderna metropoli, anzi, ma quel posto era diverso, era affascinante, aveva un che di scenografico, ecco, sì, scenografico, come fosse un set messo su per volere di un regista che intendesse riesumare completamente un’epoca.

Nutrivo grandi speranze di una vita normale, e tuttavia ero consapevole che non sarebbe stato affatto facile ottenerla, perché pur nascondendo a tutti le mie doti, avevo pur sempre condotto una vita da completa asociale, e non sapevo se sarei stata in grado di inserirmi nell’ambiente. La solitudine era diventata per me una specie di deformazione professionale.

Avevo pochi soldi, e ancora meno ne avrei avuti se non avessi trovato un lavoro, e consapevole che senza quello non aveva senso cercare una casa, alloggiai in una pensioncina non lontana dalla chiesa, un posto molto carino, tutto dipinto di bianco e con un ampio portico adorno di piante e fiori dai colori tenui, sul quale stavano, assieme ad un dondolo in ferro battuto, un tavolo e delle sedie di paglia. Ero davvero finita in un vecchio film.

Il proprietario era un signore sull’ottantina, dall’aria pacifica e bonaria, con liquidi occhi celesti e un gran testone quasi completamente calvo, con soltanto pochi ciuffi di capelli canuti ai lati. Entrai trascinando un paio di pensati valigie, più il mio portatile a tracolla e uno zaino sulle spalle. Ero carica come un mulo, e per di più Poe mi scorrazzava tra le gambe, scodinzolando e abbaiando come un forsennato. L’uomo mi guardò e si illuminò in volto:

-Oh, che piacere! Una bella ragazza nella mia pensione, quanto tempo che non mi succedeva di avere così tanta fortuna coi clienti!

Mi sorrideva senza lascivia, con dolcezza, come potrebbe fare un nonno con la sua nipotina, e si chinò ad accarezzare Poe, che prese allegramente a leccargli le mani.

-Ma aspetti, le do una mano, non può una ragazza essere costretta a portarsi i bagagli da sola!

-No, no, lasci stare, faccio da me.

“Amber, sei una cretina, un po’ di gentilezza, che cavolo” mi dissi. Stavo iniziando proprio bene.

-Come preferisce, signorina, ma mi spiace molto vederla sopportare tutto questo peso!

Il vecchietto continuava a sorridermi, e dentro di me tirai un sospiro di sollievo, lieta di non averne intaccato il buonumore. Forse potevo ancora partire col piede giusto.

-E’ molto gentile, la ringrazio davvero, ma non c’è bisogno, non sono così pesanti, signor…

-Che maleducato, non mi sono nemmeno presentato! Sono David Cattermole.

-Amber Trenchard, molto lieta.

Non gli dissi, ovviamente, che quelle valigie non erano pesanti perché in realtà ne stavo trascinando solo una: le altre stavano levitando, anche se ero attentissima a far sembrare che non fosse così. Ero abituata a fare certe cose, in caso di bisogno, senza farmi notare.

-Beh, signorina Trenchard…

-Mi chiami pure Amber.

-Bene, Amber, immagino tu abbia bisogno di una stanza, se sei qui!

-Beh, sì. Sono appena arrivata, e non ho un lavoro, quindi non posso cercare casa…

-Ma non dirmi che sei qui per restare!

Me lo disse come se una mia risposta affermativa potesse essere per lui un meraviglioso regalo.

-In realtà sì, signor Cattermole, ho deciso di venire a vivere qui a Bon Temps…

-Ma che meraviglia, Amber, che meraviglia! Un volto nuovo qui nella nostra piccola cittadina, e una ragazza giovane e così incredibilmente bella per di più!

Non ero abituata a ricevere complimenti, nessuno sconosciuto me ne aveva mai fatti, e così, pur sapendo che i miei lunghi capelli neri, i miei luminosi e grandi occhi e scuri e le mie forme morbide rispondevano, in un certo modo, a canoni riconosciuti di bellezza, le mie guance presero fuoco come se qualcuno le avesse usate per accendere una scatola intera di cerini.

-Oh, suvvia, non essere timida! Non c’è motivo di arrossire! Vedrai, sono certo che ti troverai benissimo!

-Lo spero molto, davvero. Per il mio cane c’è qualche problema?

-No, certo che no, ho un giardino recintato, se vuoi puoi tenerlo lì! Credo che si troverà molto bene, non pensi?

-Ehm, sì, credo di sì…

-Allora, Amber, vieni con me per di qua e ti mostro la tua stanza!

Prese una chiave d’ottone dal muro accanto alla porta e si diresse verso il corridoio. Accanto alle chiavi delle stanze vidi una balestra, con annessa freccia di legno.

-Signor Cattermole… quella è una balestra?

-Sì, certo, Amber.

Mi rispose con una naturalezza disarmante, come se nel ventunesimo secolo fosse una cosa del tutto normale tenere un casa una balestra, piuttosto che un fucile o una semiautomatica per le situazioni d’emergenza.

-E… perché la tiene qui?

Forse non era normale porre quel genere di domande a una persona che si conosce da una manciata di minuti, mi dissi. Dovevo proprio imparare a relazionarmi con gli altri, ma ormai quella me l’ero fatta scappare.

-Beh, sai, in città ci sono alcuni vampiri, si sono trasferiti qui da non molto. Non che io pensi che i vampiri siano tutti cattivi e mostruosi o che siano tutti assassini, credimi. Però… Non ci sono ancora abituato. E’ solo per stare tranquillo, cara, sono una persona dalla psiche perfettamente stabile, tranquilla!- e si mise a ridere di gusto.

E così, a Bon Temps c’erano dei vampiri. Interessante, non ne avevo mai visto uno dal vivo, chissà se sarei stata capace di distinguerli dagli umani norm… da quelli viventi, insomma.

-Eccoci qui, mia cara, che ne dici? Va bene?

E mi aprì la porta su una stanzetta davvero intima e piacevole. Le pareti erano coperte con carta da parati chiara, a piccoli fiorellini, e i mobili, un bel letto grande, un comò, un armadio e una grossa scrivania, erano di legno scuro, e la finestra dava proprio sul giardino della pensione, nel quale troneggiava una grossa quercia. Anche il piccolo bagno aveva un aspetto delicato. L’insieme era molto bello.

-E’ perfetta, davvero, la ringrazio!

-Ah, meno male, meno male! Adesso si sistemi e poi mi raggigimi di là, ti preparo un caffè.

Mi feci una doccia, misi in ordine le mie cose e quando andai in cucina era quasi sera.

Mi preparò un’ottima cena, anche se il vitto non era previsto, e volle sapere di me più o meno… tutto.

Mi rintronò di domande neanche fossi il presidente degli stati uniti ad un’intervista: che studi avevo fatto, da dove venivo, com’era la mia città, cosa facessero i miei genitori, come avessero preso la mia partenza, perché avessi deciso di andar via di casa, se volevo metter su famiglia lì… Mi aspettavo che mi chiedesse anche come si chiamavano i miei pesci rossi.

Andai a dormire stanca morta, e la mattina, quando mi alzai, decisi di fare un giro per cercare lavoro. Presi la macchina e cominciai a girare per le stradine, quando vidi un locale con una grossa insegna: Merlotte’s, diceva. Pregando che avessero bisogno di una cameriera, entrai.

L’ambiente era piuttosto rustico: mi piacque, mi fece sentire a mio agio.

Due cameriere, una sulla quarantina con lunghi capelli fiammanti e una che avrà avuto la mia età, bionda, con un’aria un po’ stralunata, correvano fra i tavoli. Sperai che avessero bisogno di una mano a lungo termine.

-Scusate, potrei parlare con il.. ehm… direttore?

La bionda mi fissò negli occhi, poi mi si avvicinò, scrutandomi.

-Tu… sei un vampiro?

Ok. Forse non era una tipa completamente sana.

-No, credo di no, io..

Sgranò gli occhi, si impettì come un pavone davanti a un rivale, drizzò la schiena e si avvicinò alla rossa, alla quale la sentii sussurrare:

-Arlene, non è normale, non riesco a sentire cosa pensa, ma non è un vampiro! Forse è meglio chiamare Eric!

Fermi tutti, come sarebbe a dire “non riesco a sentire cosa pensa”? E perché diavolo ci sarebbe dovuta riuscire? E chi era questo Eric, di cui parlava come un’autorità suprema a cui consegnarmi? Ma soprattutto, perché questo genere di stranezze doveva continuare a capitare a me?

-Scusatemi ancora, ma avrei bisogno di parlare con…

-Ho capito, col direttore! Te lo vado a chiamare! E non è un direttore, è il proprietario. Sam! Sam, c’è una strana tipa qui…-  chiamò la bionda,e andò nel retro.

Strana io, eh?

  
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