Crossover
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Autore: FleurDeLys    25/08/2010    3 recensioni
[Supernatural x Doctor Who]
[Personaggi: Castiel/Sally Sparrow]
“Mi chiamo Sally Sparrow, vivo a Londra e gestisco un piccolo negozio sulla Queen Street. Un anno fa ho incontrato un uomo chiamato il Dottore. Da allora è cambiato il mio modo di vedere il mondo. E di pensare allo scorrere del tempo. Il tempo non è quello che le persone pensano che sia. E' qualcosa di molto più complicato. Il tempo vacilla, va e viene, fluttua e traballa. E quando il tempo fa i capricci non si sa mai come andrà a finire. Adesso sta succedendo di nuovo e io mi ritrovo un angelo tra i piedi. Ma questa volta, quando dico angelo intendo un vero angelo: un angelo del Signore.”
[SPOILER 5° STAGIONE DI SUPERNATURAL]
Genere: Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Telefilm
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
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C3

Declaimer: Questa storia è stata scritta senza alcun scopro di lucro. I personaggi di Castiel e di Sally Sparrow non mi appartengono, ma sono proprietà di Eric Kripke (autore dell'universo di Supernatural) e Steven Moffat (geniale sceneggiatore di molti episodi della serie passate Doctor Who e showrunner dell'ultima stagione). Spero vivamente di non aver plagiato nessuno, se l'ho fatto è stato in modo del tutto inconsapevole. Segnalate e provvederò a rimuovere la storia.


III

Buio.
Anche il corridoio era al buio – eccezion fatta per la luce dei lampioni in strada, che arrivava dalla finestra, alta e rettangolare, in fondo all'androne.
Era una luce sufficiente a delineare con discreta precisione la forma e i contorni della cose, ma non a mostrarne i colori.

La penombra trasforma il mondo in un vecchio film in bianco e nero, dove tutto e un po' sfocato e traballante”.
Una volta Sally aveva fatto una riflessione del genere, ma i suoi pensieri in quel momento erano di diversa natura. Meno metaforici e molto più pratici.
Deve essere saltata la corrente in tutto l'edificio.
Appoggiando una mano alla parete, per guidarsi lungo il corridoio, Sally raggiunse le scale. Passò davanti all'entrata dei locali dell'esposizione; la porta a vetri era stata chiusa, il signor Huddlestone doveva essere andato via da un po'. Raggiunta la cima delle scale, Sally socchiuse le palpebre nello sforzo di mettere a fuoco i gradini.
Da quel poco che riusciva vedere della fine delle scalinata anche il pian terreno era nella semioscurità. Non una voce o un rumore di passi arrivava da lì sotto.
Strano, pensò per un attimo Sally. C'era infatti una libreria al pian terreno del palazzetto. Non dovrebbe esserci almeno un po' di agitazione per il salto di corrente?
Ma subito dopo le venne in mente che forse la libreria aveva chiuso i battenti. Erano le sette passate ormai.
Subito dopo Sally fu sfiorata dall'idea di essere stata chiusa dentro, da sola.
Ma no, non poteva essere. C'era un sorvegliante alla portineria del palazzo, che a quel punto doveva essere già andato a controllare cos'è che aveva fatto saltare la corrente.
Sally cominciò a scendere le scale. Avanzava piano, reggendosi con una mano alla balaustra.
Aveva paura. Si, una ragionevole paura di inciampare.

Ma la discesa non era destinata a continuare.
Un urlo improvviso immobilizzò Sally a metà della scalinata.
Fu un urlo roco, soffocato e breve. La voce tacque di colpo e subito dopo si udì un tonfo lontano – come il rumore di qualcosa o qualcuno che cade a terra.
Sally si era voltata a guardare la cima della scale. Quei rumori erano arrivati dal primo piano.
La ragazza pensò al signor Huddlestone, non era del tutto certa che l'uomo avesse lasciato l'edificio.
Magari il signor Huddlestone era ancora al primo piano. Ed era un anziano, al buio. Forse era inciampato. Forse aveva sbattuto la testa. Forse era svenuto.
In ogni caso, se una persona lancia un urlo lo fa perché qualcosa non va. O va male.
Sally ebbe un attimo di esitazione.
Andare a controllare o andare a chiamare la guardia?

La ragazza strinse una mano sulla balaustra e prese a risalire le scale, con tutta la rapidità che le permetteva la poca luce.
Arrivata all'ultimo gradino per poco non cadde in avanti, ma svelta si rimise in equilibrio e il suo primo pensiero fu di andare a controllare all'entrata dell'esposizione.
Raggiunse la porta e guardò oltre i vetri.
I manichini erano immobili nella semioscurità della sala; sagome scure, sparse qua e là, come enormi pezzi degli scacchi disposti su un'altrettanto enorme scacchiera.
Del signor Huddlestone però nessuna traccia.
Sally aguzzò la vista, guardò meglio e fu allora che le vide...
Le gambe, a terra, immobili.
Un paio di gambe – e qualcosa le diceva che appartenevano al signor Huddlestone – spuntavano da dietro uno dei pannelli, quello accanto al monaco medioevale.
« Signor Huddlestone... »
Allarmata, Sally tentò istintivamente di aprire la porta. Quasi si sorprese quando la maniglia si abbassò docilmente sotto le sue dita.
La porta si aprì, silenziosa, senza il minimo cigolio.
Sally entrò nella sala ed ebbe cura di lasciare la porta ben spalancata, prima di precipitarsi verso il signor Huddlestone.
« Signor Huddlestone sta bene? Si sente mal... »
Sally guardò dietro il pannello. Lo spavento per quel che vide le mozzò la voce. E il respiro.
Si, era il signor Huddlestone quello riverso a terra e, decisamente, non stava bene.
Non stava affatto bene.
Sarebbe stato difficile immaginarlo in una situazione peggiore.
Era caduto bocconi sul pavimento, con le braccia allungante lungo il busto.
Le braccia, il busto, le spalle...
E niente testa.
O per meglio dire, la testa c'era. Ma era rotolata a un paio di metri di distanza dal corpo.
Gli occhi scuri, vitrei e sbarrati, erano rivolti al soffitto.
E c'era tanto sangue sul parquet, tutto attorno al corpo. Più sangue di quanto Sally avesse mai visto in vita sua.
La ragazza non urlò. Era troppo spaventata per urlare.
Era troppo spaventata anche solo per respirare.
Poi ci fu uno schianto improvviso.
Sally trasalì.
La porta della sala si era appena richiusa.
La ragazza, pur ancora profondamente scossa – com'è immaginabile – dal raccapricciante ritrovamento, si riprese abbastanza da riuscire a tornare in gran fretta all'ingresso.
Sul lato interno la porta aveva i maniglioni antipanico. Sally li spinse con entrambe le mani.
I maniglioni non si abbassarono neppure di un millimetro.
Sally provò ancora. Provò una, due, tre, quattro, cinque volte, mettendoci tutta la sua forza.
Niente da fare.
La porta non si apriva.
I maniglioni sembravano bloccati.
La porta era bloccata.
Sono chiusa dentro.

Sally bussò violentemente con i palmi contro il vetro.
« C'è qualcuno? C'è qualcuno là fuori? La porta è bloccata! »
Bussava e bussava. Le tremava un poco la voce. Non era tranquilla. Anzi, era decisamente molto lontana dal sentirsi tranquilla.
Non è piacevole né tanto meno rilassante ritrovarsi chiusi in una stanza in compagnia di un cadavere con la testa mozzata.
Sally continuò a chiamare, ma l'androne al di là della porta era buio e deserto.
La ragazza si impose di restare calma. Prese un respiro profondo e appoggiò le dita ai maniglioni della porta.
Non volle voltarsi, così continuò a dare le spalle alla sala, ai manichini e al corpo del signor Huddlestone.
La porta non si apre. A rigor di logica, può non aprirsi solo per due motivi. O la serratura è difettosa ed è rimasta bloccata, quando la porta si è chiusa di colpo – e si sforzò di credere che si fosse chiusa per via della corrente d'aria, anche se non le era parso di avvertire neppure un solo spiffero in tutto l'edificio - oppure è stata appena chiusa a chiave. Chiusa dall'esterno, perché di passi nella sala non ne ho sentiti.
Questo aveva senso: non fare rumore camminando sul parquet della sala era impossibile. Il pavimento del corridoio era invece rivestito di tappezzeria e la stoffa attutitiva il rumore dei passi.
Infine, che chi aveva chiuso la porta fosse la stessa persona che aveva orribilmente ucciso il signor Huddlestone agli occhi di Sally appariva palese e scontato. E molto poco rassicurante.
Tutti questi pensieri attraversarono la mente agitata della ragazza con la rapidità di un fulmine.
Sally fece un altro tentativo di forzare i maniglioni della porta.
E fu un altro tentativo inutile.
Ho il cellulare, ragionò allora. Posso chiamare la polizia.
E stava già per estrarre il cellulare dalla tasca, quando le venne un'altra idea.
Ricordò di aver visto, nell'altra sala, un'uscita di sicurezza.
Se i calcoli di Sally erano giusti, l'uscita di sicurezza dava accesso all'altro lato dell'edificio. Dubitava che l'assassino – o chi per lui – potesse aver già fatto il giro del palazzo e aver chiuso anche quella porta.
Anzi, forse tale idea non era nemmeno stata contemplata dall'assassino.
Senza perdere altro tempo, Sally si staccò dall'ingresso, ma per la seconda volta nel giro di un paio di minuti, accadde qualcosa che la costrinse a fermarsi all'improvviso.
Freddo.
Nella sala era appena calato un freddo incredibilmente pungente.
Sally sentiva l'aria – gelata come quella di un rigido mattino invernale – infilarsi sotto la stoffa leggera della giacca.
Fu scossa dai brividi. Vedeva il proprio fiato caldo trasformarsi in una nuvoletta di vapore.
Come e perché la temperatura era scesa improvvisamente così vicina allo zero?
Sally non ebbe il tempo di ipotizzare un risposta.
Udì un fruscio.
Si sarebbe detto un fruscio di stoffa. Fu un suono debole e indistinto.
Sally si guardò attorno.
Era letteralmente circondata da manichini con indosso abiti confezionati con metri e metri di stoffa.
Strano come nella semioscurità anche degli innocui fantocci di plastica possano prendere dei connotati spettrali e minacciosi.
Sally lo udì di nuovo.
Lo stesso rumore. Lo stesso fruscio, ma questa volta era accompagnato da un eco di passi leggeri.
Come il precedente, anche questo suono si spense rapidamente. Troppo rapidamente per capire da che parte della sala provenisse.
Sally non aveva visto nulla e nessuno muoversi.
I manichini erano immobili e... la ragazza non era più tanto sicura che l'assassino del signor Huddlestone non si trovasse più nella sala.
Adesso era calato il silenzio.
Un silenzio ben lontano dall'essere rassicurante.
Aveva anche smesso di piovere. Non si sentiva più la pioggia battere contro i vetri delle finestre.
Ma d'altra parte, l'unico suono che Sally avvertiva distintamente era il pulsare del proprio cuore nelle orecchie.
Era spaventata, spaventata come non lo era dai tempi di Western Drumlins.
Ma nonostante il battito accelerato del cuore, i muscoli contratti e la dolorosa sensazione di non riuscire a respirare perché qualcosa le opprimeva il petto – nonostante tutto ciò, Sally conservava ancora un briciolo di lucidità. Stava continuando a ragionare, in un certo qual modo. Non aveva abbandonato l'idea di raggiungere l'uscita di sicurezza nella sala accanto.
Pochi passi più in là, vicino alla porta, c'era un portaombrelli.
Lo sguardo di Sally cadde sul lungo ombrello nero abbandonato lì dentro. La ragazza immaginò che appartenesse al defunto signor Huddlestone.
Si fece forza. E ce ne volle un bel po', di forza di volontà, per piegarsi ad afferrare l'ombrello, senza smettere di tener d'occhio la sala.
Sally strinse convulsamente le dita della mano attorno al manico dell'ombrello. Un'arma da difesa davvero poco temibile, ma era sempre meglio di nulla.
La ragazza deglutì – aveva la gola così secca che, anche se avesse voluto, non avrebbe potuto gridare per chiamare aiuto – e avanzò di qualche passo.

Più Sally si allontanava dalla porta e più sentiva allontanarsi la sensazione di protezione offerta dal muro alle sue spalle.
Reggeva l'ombrello con entrambe le mani. Lo teneva sollevato all'altezza della spalla, come un battitore che si prepara a colpire la palla.
Ad ogni passo la ragazza si aspettava di venir aggredita alle spalle. O di veder saltare fuori un pazzo armato di mannaia da dietro uno dei pannelli accanto ai manichini.
Mai, neppure una volta, si voltò a guardare dove giaceva il corpo del povero signor Huddlestone.
Non voleva neppure guardare il manichino del monaco che sovrastava il cadavere: in una situazione simile, l'immagine di un monaco nero incappucciato era l'ultima cosa che Sally desiderava vedere.
Continuava ad avanzare, camminando tra i manichini. A ogni suo breve respiro una nuvoletta di vapore le sfuggiva dalle labbra.
I fantocci non avevano volto eppure Sally si sentiva come seguita dai loro sguardi.
A un certo punto la suggestione fu tale che la ragazza venne colpita da una terribile fantasia.
Si guardò indietro. Guardò attentamente, molto attentamente. Restò immobile per qualche lungo secondo... infine si lasciò sfuggire un muto sospiro di sollievo.
Non fare la paranoica Sally, disse a se stessa. Sono solo manichini. Non sono vivi. Non possono muoversi. Non possono... staccare la testa alle persone.
Ma ritrovarsi a pensare agli Angeli Piangenti per Sally fu inevitabile e un briciolo di angoscioso dubbio, quando riprese a camminare, ancora le restava.
Sally non udiva più nessun fruscio e i suoi passi erano i soli a echeggiare nella sala.
Attraversare quelle due sale, avvolti da un'aria gelida, camminando tra i fantocci di personaggi raggelati nel tempo – regine e ladri, monaci e dame, pellegrini e pirati, nobili e mendicanti – col perenne suono del proprio cuore che pulsa forte nelle orecchie e la costante paura di venir agguantati alle spalle era come essere finiti dentro una scadente imitazione di un racconto di Edgar Allan Poe.
Sally aveva l'impressione che le due sale fossero aumentate di dimensioni, più lei avanzava e più l'uscita di sicurezza pareva allontanarsi.
Probabilmente la ragazza impiegò meno di due o tre minuti ad attraversare le sale, ma nel suo stato d'animo i secondi sembravano lunghi come ere.
Poi finalmente la raggiunse. Sally raggiunse l'uscita di sicurezza.
La scritta EXIT sopra l'architrave era spenta.
Sally abbassò l'ombrello e in un attimo fu alla porta.
Spinse i palmi sul maniglione.
Per un orribile istante ebbe l'impressione che fosse bloccato, ma no... la barra si abbassò.
La porta si aprì.

Sally uscì sul pianerottolo, con lo stesso senso di sollievo di chi si risveglia da un incubo.
La porta si richiuse dolcemente alle sue spalle e la ragazza restò un istante con la schiena appoggiata al muro, mentre il battito del suo povero cuore tornava a farsi regolare.
Faceva molto freddo sul pianerottolo e anche lì regnava la penombra.
C'era solo una finestra, a metà della prima rampa delle scale che scendeva verso il basso.
E quando Sally guardò cosa c'era alla fine di quella prima rampa ebbe di nuovo un sussulto di spavento.
Subito dopo si rimproverò di essere una ragazzina idiota.
Stava semplicemente guardando un manichino, abbandonato in fondo alle scale.
Era un fantoccio dalle fattezze femminili, con su un abito scuro dal corpetto stretto e la gonna molto ampia.
Sally lo vedeva di schiena; i capelli del manichino era lunghi, scuri e sciolti.
Strano posto però dove lasciare un manichino, ragionò Sally. Tanto più che sembra avere indosso uno degli abiti della mostra.
La ragazza si staccò dalla porta e fece un paio di passi verso le scale, con la mano che reggeva l'ombrello abbandonata lungo il fianco.
Ovvio che quello in fondo alle scale fosse un manichino. Cos'altro poteva essere?
Ma... se era un manichino, allora come mai si stava muovendo?
Come mai si stava voltando verso Sally?
No, non era un manichino.
Era un persona.
Era una donna.
Sally si immobilizzò.
Quella infondo alle scale era la donna dal viso più umano e più spaventoso che Sally avesse mai visto.
Era una donna pallida, col naso affilato, la bocca piccola, le guance incavate e gli occhi neri, e tuttavia non erano i tratti del viso – per spettrali che fossero – a suscitare tanto orrore in Sally.
Era il fatto che il viso non aveva segni di espressione, ma allo stesso tempo, inspiegabilmente, sembrava che una rabbia spaventosa fosse stata scolpita nell'innaturale immobilità del volto delle donna.
E gli occhi, gelatinosi e lucidi, era tristi e colmi di cattiveria.
« Chi sei? »
Le parole, pronunciate con voce roca e spezzata, uscirono dalle labbra di Sally quasi senza che la ragazza se ne accorgesse.
La donna avanzò verso le scale. Salì il primo gradino, continuando a tenere lo sguardo fisso su Sally che, istintivamente, fece un passo indietro.
La misteriosa donna continuò a salire i gradini. Un pesante fruscio di gonne e sottogonne accompagnava ogni suo passo; l'abito che aveva indosso dava una sensazione di soffocante pesantezza.
Quando la donna passò davanti alla finestra, Sally vide, attorno al collo sottile e sul pallido petto lasciato scoperto dalla scollatura quadrata dell'abito, tre file di livide perle e il profilo di un ciondolo luccicare alla luce dei lampioni.
Più la misteriosa donna si faceva vicina e più Sally indietreggiava; prima che se ne rendesse conto la ragazza si ritrovò con le spalle addossate al muro.
La donna raggiunse la cima delle scale.
E Sally era così spaventata e confusa da essersi totalmente dimenticata dell'ombrello che ancora stringeva in mano.
Avrebbe voluto scappare, ma per tornare alla porta avrebbe dovuto voltare le spalle alla donna e non aveva il coraggio di farlo.
D'altronde anche se lo avesse avuto il suddetto coraggio, le sue gambe si rifiutavano di muoversi.
La donna sollevò le braccia con un gesto lento.
Tese le mani verso il volto, verso il collo di Sally – la quale ora che le aveva così vicine vide che le dita lunghe e sottili, quasi scheletriche, della donna erano sporche di qualcosa di nero e lucido, appiccicoso e denso come l'inchiostro.
Sally ebbe una specie di singulto.
Respirò e sentì i polmoni riempirsi dell'aria gelata. L'aria portò con sé un odore simile al ferro, o alla ruggine.
Odore di sangue.
Era sangue quello sulle mani della donna.

E un attimo dopo accadde l'ennesima orribile stranezza.
La donna scomparve. Scomparve letteralmente da davanti agli occhi di Sally. Sparì come nebbia soffiata via dal vento.
Sally non sapeva cosa fare. E non sapeva cosa aspettarsi.
Il cuore le batteva ancora forte ed era pallida come un cencio.
L'istinto le suggeriva di cacciarsi a correre giù per le scale, di uscire il prima possibile da quell'edificio.
Ma qualcosa la bloccava. Era ancora spaventata, a mala pena si azzardava a respirare.
Tutto era silenzioso attorno a lei, sul pianerottolo e lungo le scale. Niente più passi. Niente più fruscii. E non faceva più freddo.
Restò immobile per una manciata di secondi, di lunghissimi secondi.
Infine strinse con un gesto nervoso il manico dell'ombrello, riprendendo coscienza del proprio corpo.
Si allontanò dal muro muovendo un paio di cauti passi verso le scale.
Fece un altro passo.
E sentì una mano chiudersi sulla sua spalla.

Sally trasalì, terrorizzata.
Si voltò di scatto. Sollevò l'ombrello in un gesto istintivo, con tutta l'intenzione di colpire.
Ma invece che con la pallida donna, Sally si ritrovò faccia a faccia con l'uomo incontrato sulla collina.
Castiel.
Indossava perfino lo stesso soprabito chiaro.
Sally, pur ancora stordita dalla paura, riuscì a frenare il gesto di colpirlo.
Ma non le riuscì di fare altro. O di pensare altro.
Non ebbe neppure il tempo di balbettare la sua sorpresa.
Castiel le sfiorò la fronte con la punta delle dita.
Sally cadde addormentata.
Non fu qualcosa di voluto. Non poté far nulla per evitarlo.
Udì delle voci, nella sua testa, sussurrarle di dormire. Ed era un ordine al quale la coscienza umana non poteva disubbidire.
Sally chiuse gli occhi, abbandonò la testa all'indietro e l'ombrello le scivolò di mano, rotolando giù per un paio di gradini.
La ragazza si accasciò su se stessa, come un burattino a cui vengono tagliati i fili.
Sarebbe caduta anche lei per le scale, se Castiel non avesse mostrato un briciolo di riguardo nei suoi confronti.
Le impedì di cadere. Sorresse la ragazza, passandole un braccio attorno alla vita.

CONTINUA.

   
 
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