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Autore: Daphne Chasseur    25/08/2010    2 recensioni
Ma intanto, in quel lontano 23 ottobre, eri semplicemente un ragazzo, come me, sotto la pioggia avida di bagnarti. E tu, incurante delle sue gocce senza pudore, con lo sguardo perso e insicuro dall’altra parte della strada.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Io e Jared divenimmo inseparabili.
La possibilità di allacciare rapporti superficiali con i ragazzi delle nostre rispettive scuole non soddisfò mai né lui né me. Presto le nostre vite, come quasi per una sorta di legame ancestrale già prestabilito e deciso, divennero due specchi.
Quando tornavamo a casa, finita la scuola, trascorrevamo il resto della giornata assieme; spesso lui si esercitava, mentre io, copione alla mano, distesa mollemente sul puff, lo controllavo.
Ma presto finii semplicemente con l’ascoltarlo.
Si muoveva di fronte a me, consapevole della mia presenza, ma riuscendo perfettamente a estraniarsi da quel momento: gesticolava, rideva, talvolta assumeva delle espressioni così divertenti e assurde che mi era impossibile non scoppiare a ridere. Allora rompevo la magia, lui mi fissava con un broncio malizioso e mi domandava se era così male.
Era perfetto, ma io non glielo dissi mai perché volevo riprendesse, da abile illusionista, la magia.
Possedeva una dote innata e invidiabile che gli permetteva di andare oltre i confini di se stesso, spezzare le barriere e appropriarsi di qualcun altro. Sì, di qualcun altro.
E quel qualcuno potevi essere anche tu, ignaro spettatore.

Spesso sentivamo lo strano e pressante bisogno di fare qualcosa di diverso dal solito.
Ricordo come, una gelida notte di novembre, uscimmo in strada alle undici, diretti al supermercato a due isolati da casa nostra.
Jared non era particolarmente goloso, ma mentre mi caricavo le braccia di biscotti aggiunse più di una volta qualche schifezza ipercalorica. Annoiato, mi camminava al fianco con le mani in tasca, mentre io sbuffavo.
“La cavalleria è morta!” scoppiai alla fine.
Allora si accorse delle mie braccia cariche, sorrise come per scusarsi, ma poi un sorriso ancora più radioso illuminò il suo viso.
“Scusami un attimo…” e si volatilizzò dietro un alto scaffale.
Sbuffando, girai dall’altra parte. Mi stavo dirigendo verso la cassa che intravedevo nascosta dieci scaffali più in là, quando sentii un “Pistaaa!” dietro di me.
“Ma che diav…” non ebbi il tempo di voltarmi che mi sentii spingere e caricare da un mezzo in movimento e ben presto mi ritrovai addossata alla parte anteriore di un piccolo rimorchiatore.
Dietro di me, soltanto la sonora risata di Jared.
Veloce, sfilò tra una scaffale e l’altro, curvando sempre all’ultimo momento così che io più volte temetti di finire in mezzo alla colonna di carta igienica.
Si fermò davanti alla cassa e, sempre ridacchiando, prese la spesa a cui sembrava mi fossi aggrappata durante quella folle corsa e poi mi aiutò a rialzarmi.
Traballante, lo carbonizzai con lo sguardò.
“La cavalleria esiste ancora!” mi sussurrò all’orecchio mentre pagavo sotto lo sguardo minaccioso del cassiere verso cui tentavo di rivolgere un sorriso di scuse.
“Bisogna saperla riconoscere, però…” gli dissi sprezzante, appena mettemmo piede fuori dal discount.
Jay si fermò a guardarmi alla luce opaca del lampione.
Lo fissai, truce, anch’io.
Aspettava.
Poi scoppiai a ridere e ci incamminammo verso casa.
“Lo rifaremo, un giorno!” mi disse.
E le nostre risate andarono spegnendosi nella notte.

Durante i primi giorni di dicembre, amavamo camminare lungo le strade di New York.
In silenzio.
Il chiacchiericcio costante di chi ci passava accanto, il rumore dei taxi e delle auto in corsa, le prime melodie natalizie erano la colonna sonora perfetta…
…le piccole ed esuberanti luci natalizie, una gioia infantile per i nostri occhi.
Camminavamo l’uno accanto all’altro, uno di quei giorni, quando i suoi occhi lo costrinsero a fermarsi di fronte alla vetrina di un negozio di quadri.
Esposto al centro della vetrina, su un piccolo rialzo di vetro, era posato un kit professionale per dipingere.
Gli occhi bramosi di Jared volarono dalla scala di dieci pennelli a punta fine, alla grande tavolozza laccata, dalle innumerevoli e improvvise sfumature dei colori nei pieni tubetti agli altri piccoli arnesi, gioielli invitanti e altezzosi.
“Che meraviglia…” disse a bassa voce.
Io me ne stetti zitta a guardarlo; non volevo interrompere quella sorta di contemplazione estatica.
Poi Jay sbuffò e riprese a camminare, ignorando con evidente difficoltà il richiamo di colori e pennelli.
“Dipingi?”
“Un tempo…”
“Interessante,  quando mi farai ammirare qualcosa? Sono curiosa.”
Mugugnò e non mi rispose.
Io lo seguii, d’un tratto sorridendo pensierosa.

Una settimana prima di Natale, mi trovavo sola in casa, intenta a sperimentare con scarso successo la ricetta dei muffin che mi ero fatta dare da mia zia.
Li avevo appena infilati in forno quando squillò il telefono.
Strano, pensai.
Non ricevevo mai telefonate e il vecchio apparecchio era diventato ormai un semplice oggetto d’arredo.
Incuriosita, alzai la cornetta.
“Pronto?”
Dall’altra parte, silenzio.
“Pronto, chi parla?” domandai, sicura che fosse un puro guasto telefonico.
Ma poi, qualcuno parlò.
“Scusa, credo di aver sbagliato numero. Eppure… ” e percepii dell’esitazione all’altro capo del telefono “… eppure ero certo fosse giusto.”
Cercai di andare incontro a quella voce calda e ruvidamente carezzevole.
“Bè, dimmi chi cerchi, forse posso aiutarti.”
“Cerco Jared.”
“E tu sei…” iniziai.
“Sono suo fratello, Shannon. ”

Terminata la conversazione, presi il cappotto e uscii di corsa con un unico pensiero fisso in testa.
Non mi accorsi del pungente odore di bruciato che iniziava a impossessarsi della cucina…
   
 
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