Our last night
Guardavo,
alla luce della luna, quella fronte pallida, quegli occhi chiusi,
quelle ciocche di capelli che tremavano1
al
mio tocco. E non riuscivo a non sentirmi malinconico.
Quella
era la nostra ultima notte a Hogwarts, l'anno successivo non saremo
tornati. Avevamo i nostri M.A.G.O., avremo dovuto trovare un lavoro
rispettabile, trovare una ragazza dolce ed affettuosa, sposarci ed
avere tanti marmocchi urlanti.
«A
che pensi Sirius?» mi domandò il ragazzo che
osservavo, sollevando
piano le palpebre e mostrandomi le sue calde iridi ambrate. Quanto mi
sarebbero mancati i suoi occhi.
«Al
fatto che da domani i Malandrini non esisteranno
più» risposi,
allungando la mano fino a sfiorargli la pelle chiara del viso
«Che
dovremo diventare persone normali, trovare un lavoro e mettere su
famiglia».
Ridacchiò,
cercando un contatto maggiore con la pelle del mio palmo.
«Immagino
che sia quest'ultima cosa quella che ti spaventa di più,
vero?»
domandò, con un sorrisino divertito sul volto.
«Figurati
se l'idea di avere una famiglia mi spaventa; tzè»
mentii, pochi
attimi prima che la sua figura esile si sollevasse dal divano dov'era
coricato, nella nostra Sala Comune, e si avvicinasse pericolosamente
al mio viso.
«Non hai mai saputo
fingere, Sirius. O almeno non hai mai saputo fingere con me»
fece
con un sorrisetto maligno sul volto d'angelo, prima di sporgersi
ancora un poco e unire le sue labbra alle mie.
Non
resistetti più di qualche secondo.
Le
sue labbra erano la mia droga. Da quando le avevo assaggiate la prima
volta, poco più di due anni prima, non avevo più
potuto farne a
meno. La loro naturale dolcezza, la morbidezza del loro tocco, il
lieve suono che facevano sfregando contro le mie erano diventati
indispensabili per la mia vita. Nulla poteva cambiarlo.
Socchiusi
la bocca, sfiorando con la punta della lingua il profilo della sua;
presto quello che era nato come un casto e scherzoso sfiorarsi di
labbra e lingue si era trasformato in un famelico e bramoso bacio. Lo
feci scivolare nuovamente con la schiena sul divano, mentre
continuavamo a tenere occupate le nostre bocche; le mie mani presero
a percorrere delicatamente il suo corpo gracile, coperto dalla divisa
nera di Hogwarts.
Quando
ci separammo, lo sentii ridere.
E
la malinconia mi avvolse, e mi sentii gelare di nuovo per il
sentimento dell'irreparabile. E capii che non potevo sopportare
l'idea di non sentire più quel riso2.
«Remus»
sospirai, accoccolandomi contro di lui, affondando il volto
nell'incavo tra il suo collo e la spalla «Ridi ancora, Remus.
Per
me».
Ma
lui non lo fece; si limitò a sorridere dolcemente,
accarezzandomi i
capelli con una mano e inspirando lentamente il loro profumo.
Ero
davvero triste. Non potevo sopportare l'idea di perderlo. Né
quella
di perdere James e Peter. Ma lui, indubbiamente, era il più
importante.
Non riuscivo a credere che dì lì a
poche ore tutto quello che avevamo sarebbe scomparso, svanito insieme
al nostro gruppo.
I Malandrini si sarebbero sciolti,
James avrebbe sposato Lily Evans, Peter sarebbe tornato dai suoi
genitori.
E noi due? Cosa avevamo noi due, fuori
dalle mura del castello?
Nulla.
Remus era orfano, io come se lo fossi.
«Non è finita, Sirius»
mormorò
dolcemente, costringendomi ad alzare il viso e far incrociare i
nostri occhi «Rimarremo sempre i Malandrini; e riusciremo a
stare
insieme».
Poi mi baciò di nuovo, ma stavolta fu
diverso; c'era amore, c'era passione, ma soprattutto c'era speranza,
in quel tocco così intenso di labbra.
«Sirius» bisbigliò quando ci
separammo per prendere fiato, fissando i suoi occhi nei miei
«Fai
l'amore con me, Sirius» fece, prima di tornare ad
impossessarsi
delle mie labbra.
Sentii le sue mani fredde e delicate
scivolare sotto la maglia della mia divisa, superare l'ostacolo della
camicia bianca che indossavo e sfiorare il mio petto glabro con le
punte delle dita.
Un sospiro fuoriuscì, incontrollato,
dalla mia bocca schiusa, facendolo sorridere.
Avevo bisogno di sentire la sua pelle
contro la mia. Era indispensabile.
Sciolsi il bacio, prima di afferrare il
mio maglione dai bordi inferiori e tirarlo verso l'altro, sfilandolo
dalla testa. Poi presi, lento e languido, a togliere i bottoni della
camicia dalle asole, mostrandogli poco a poco fette sempre
più ampie
di pelle pallida, che lui non si fece problemi a sfiorare con i
propri polpastrelli.
Remus sollevò il busto, arrivando
quasi alla mia altezza, e prese a baciarmi il petto, partendo dalla
spalla sinistra. Sfiorò il mio collo con le labbra, lo
mordicchiò
un poco, e cominciò a scendere.
Ormai la mia bella camicia bianca non
era che uno straccio gettato sulla poltrona accanto al nostro divano,
dove già avevamo posato i nostri mantelli scuri.
«Sirius» mormorò il ragazzo,
cingendomi il collo con le braccia e trascinandomi nuovamente contro
di lui, sdraiati «Sei bellissimo».
Lo disse con una dolcezza e con una
malinconia che mi fece quasi commuovere; il mio tenero, piccolo
Remus. Non resistetti e lo baciai ancora, ancora e ancora, e intanto
gli sfilai la camicia e presi ad accarezzare il suo piacere da sopra
i pantaloni.
Gemette, inarcandosi un poco, quando
scesi a torturare il suo petto magro, glabro e ricoperto di
cicatrici; mi soffermai su ciascuna, sfiorando con la punta della
lingua ogni segno biancastro, senza riuscire a trattenermi.
Sapevo che Remus odiava quella parte di
se stesso, che gli sfregi che segnavano ogni parte del suo corpo gli
ricordavano solo la bestia che c'era in lui. E si odiava
perché non
era un ragazzo normale, odiava se stesso ed il lupo, non riusciva ad
accettarsi.
Ma io lo amavo. Amavo il ragazzo dal
cuore d'oro e la sorte avversa, amavo i suoi occhi, amavo le sue
labbra, amavo il suo corpo, amavo le sue cicatrici, amavo il
licantropo che c'era in lui.
Non c'era nulla, di Remus Lupin, che
non amassi. E lui questo lo sapeva.
Quella
notte, la nostra ultima notte a
Hogwarts, facemmo l'amore con rassegnazione e malinconia e rabbia e
forza. Con la paura di non poter più stare insieme,
perché due
ragazzi innamorati non sono visti di buon occhio, con la paura che il
sentimento che ci aveva uniti per quasi tre anni smettesse di ardere
nei nostri cuori.
«Sirius».
Un sussurro accanto al suo viso lo
svegliò dai suoi pensieri. Si voltò quel poco che
serviva per
incrociare lo sguardo con il suo interlocutore. Argento nell'ambra.
«Cosa c'è?» chiese, alzando una mano
e sfiorandogli il volto. Non ricevette risposta.
Si accese una sigaretta, e Remus pian
piano svanì nel fumo che fuoriusciva dalle sue labbra.
I dodici anni ad Azkaban lo avevano
cambiato; aveva rischiato più di una volta di impazzire, a
causa dei
Dissennatori, aveva cominciato ad avere le allucinazioni. E poco
più
di un anno di latitanza non aveva certo cambiato le cose.
Sorrise, Sirius Black, aspirando altro
fumo dal cilindretto di carta che teneva tra le dita scarne.
Aspettava soltanto il momento giusto, per uscire allo scoperto.
E quando gettò a terra il mozzicone
della sigaretta, pestandolo con la suola consumata di quelle scarpe
troppo grandi, udì la sua dolce risata, e seppe che presto
si
sarebbero rincontrati.
The end
*
1. Citazione
da “Il Piccolo Principe”
2. Citazione da
“Il Piccolo Principe”