Wake
up,
look me in the eyes again.
I need to feel your hand upon my face.
I think I might have inhaled you,
I could feel you behind my eyes.
You've gotten into my bloodstream,
I could feel you floating in me.
1.
Frank
La
vita di Frank
Iero era di certo stata migliore, negli anni precedenti a quella
primavera 2007.
La sua vita non era di certo stata sempre rose e fiori, ma in quel
momento non
ricordava di essersi sentito così solo. Essa era
inevitabilmente cambiata, la
sua quotidianità, le sue sicurezze erano venute a mancare.
Ogni giorno lottava
contro l’impeto di abbandonare tutto e tutti, di rifugiarsi
in una baita in
montagna e di trascorrere lì il più tempo
possibile, come per purificarsi. Ma
non poteva, era vincolato. Non poteva deluderli, in fondo, loro non
erano solo
compagni di lavoro, erano una seconda famiglia. Colore che, nonostante
tutto,
gli davano motivo per sorridere al mattino e di sfuggire ai pensieri
negativi
del tardo pomeriggio, ma non potevano sottrarlo alla sofferenza e alla
solitudine della sera, in quel momento di dormiveglia in cui sei fra il
mondo
reale e l’incoscienza. Anche se cercava di non pensare a lei,
a Jamia, non ci
riusciva. Più s’imponeva di non pensarci, di
allontanare il suo ricordo, esso
vi si stagliava alla mente, al cuore con più potenza ed
ardore, disarmandolo.
In quel momento, seduto sul divano di casa Way, mentre fissava gli
alberi al di
fuori della finestra, attraverso il vetro ben pulito, cercava di non
pensare al
costante senso di vuoto e smarrimento che provava da quattro mesi, da
quando
Jamia… aveva abbandonato casa sua.
«Tieni.» disse Gerard porgendogli una tazza di
caffè fumante.
Frank alzò lo sguardo ed abbozzò un sorriso.
«Grazie.» mormorò prima di
avvicinarsi la tazza alle labbra.
«Ti stai perdendo Ray che fa i pancake a Mikey.»
disse in un risolino l’amico.
«Scena epocale.»
«Già… Mikey non fa che dargli
suggerimenti e Ray, lo conosci, non fa che
arrabbiarsi per questo. ‘Li so fare i pancake,
Mikey’, dice.»
«E scommetto che Bob ride.» disse sorridendo.
Gerard annuì. «E mangia biscotti.»
Frank rise.
«Dai, vieni in cucina. E’ grande, ci entriamo
tutti, sai?»
Il ragazzo sospirò, bevendo una lunga sorsata di
caffè. «Arrivo, fra un
attimo.»
«Non ti fa bene rimanere qui, solo. Lo sai.»
aggiunse. Per quanto Gerard si
sforzasse, non riusciva a coinvolgere Frank come avrebbe voluto.
«Lo so.» rispose. Esitò un attimo,
indeciso sul da farsi, prima di sospirare e
alzarsi dal divano in tessuto blu. «Vengo solo se mi offri
una sigaretta.»
sorrise.
Un angolo della bocca di Gerard si sollevò verso
l’alto. «Oh, Frank, se vuoi ti
regalo il pacchetto.»
Entrati in cucina, Frank non poté fare a meno di lasciarsi
andare in una grossa
risata.
Ray indossava un grembiule da cucina rosso, con pecorelle stilizzate
nere.
Aveva il viso, le mani ed i capelli imbrattati di farina e pastella, e
non
faceva che imprecare contro i pancake. Mikey, seduto sul tavolo, con le
caviglie incrociate, punzecchiava l’amico, irritandolo.
Rideva di gusto, quando
Ray si voltava a fulminarlo con lo sguardo, la fronte e una guancia
ricoperti
da gocce color crema. Bob, appoggiato al banco della grande cucina in
legno
scuro, osservava la scena sorridendo e mangiando biscotti direttamente
dello
scatolo.
Quando sentirono Frank ridere, alzarono tutti lo sguardo. Gentilezza e
tenerezza dominava i loro occhi.
Dopo un breve attimo di silenzio, fu Ray a parlare. «Frank,
per cortesia,
spiega a Mikey che i miei pancake sono i migliori al mondo.»
Mikey roteò gli occhi.
«Oh, sì, certo. I migliori.» sorrise
Frank.
«Io ho i miei dubbi. Metti una cuffietta, Toro, non voglio
trovare tuoi capelli
nell’impasto.»
Ray si voltò a fulminare Mikey con lo sguardo.
«Non perdo capelli, io.»
Bob schiocco la lingua, prima di fischiare. «Colpo
basso.» tossì.
Ray rise sommessamente, mentre Mikey lo guardava in cagnesco.
«Ah, ah.
Divertente.»
«Lo so, sono uno spasso.» ridacchiò.
Frank gli osservò sulla soglia, mentre beveva il suo
caffè. Gerard si
allontanò, scuotendo il capo, divertito da quella scena
così familiare. Quando
tornò gli porse il pacchetto, dal
quale Frank estrasse una sigaretta. Se la portò alle labbra
e Gerard
gliel’accese.
«Grazie.» mormorò tenendola stretta fra
le labbra.
«Niente.» sorrise l’amico.
Frank avanzò nella stanza chiedendosi cosa avesse fatto
nella vita per meritare
amici come loro.
Aspirò del fumo dalla sigaretta e, quando lo
espirò, si alzò in una spirale
nell’aria satura dell’odore di zucchero e uova.
«Ehi, io ci voglio la panna montata col caramello.»
disse Bob, intromettendosi
nel disperato scambio di battute fra Mikey e Ray.
Frank avanzò, sedendosi su una sedia.
Ray si voltò, stizzito. «Lavora, Bob. Desideri
ardentemente la panna? Bene,
montala tu. Non ho mille mai, sai?»
Bob fece una smorfia. «Siamo suscettibili, eh?»
«Oh, beh, Robert… prova tu a cucinare con un arpia
che ti fa pressioni!» sbottò
guardando ancora una volta Mikey in cagnesco.
Il ragazzo sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
«Ehi, attento a come parli,
Bombolina.» sibilò.
Frank, che osserva la scena con l’ombra di un sorriso sul
viso, scosse il capo.
«Okay, okay. La monto io la panna.» disse alzandosi.
«No!» gridarono all’unisono i tre. Frank,
sorpreso, si bloccò, guardandoli con
espressione scioccata.
«Prego?» chiese, incredulo.
Erano ben conosciute le scarse doti culinarie di Frank e della sua poca
delicatezza con gli arnesi da cucina. Qualche settimana prima, Frank
aveva
tentato di montare della panna, con risultati disastrosi. Gocce e
schizzi di
panna aveva colpito in pieno viso Mikey e Bob… e parte dei
pensili della cucina
dell’ultimo. Ovviamente a ripulire tutto fu Gerard, sfruttato
crudelmente dagli
amici. Quel ricordo
era ancora vivo
nelle loro giovani menti.
«La monto io la panna, Frank.» disse Mikey
alzandosi e poggiando una mano sulla
spalla dell’amico. Frank, stizzito ed irritato, se la
scrollò.
«E’ successo solo una volta. Non è detto
che schizzi ancora panna ovunque.»
borbottò spegnendo la sigaretta nel posacenere.
Bob fece un risolino. «Su, Frank. Sai, dovresti seguire il
mio esempio.» disse
portandosi in bocca un altro biscotto.
Mikey si voltò a guardarlo, mentre apriva il frigo.
«Certo, Frank, dovresti
seguire il suo esempio. Dovresti sederti e mangiare fino a scoppiare,
mentre
noi sgobbiamo per sfamarvi.»
Frank rise sommessamente, scuotendo il capo. Si sedette sul tavolo,
dove prima
era seduto Mikey. «Sono solo pancake.»
«Sì, oggi. Ma domani potrebbe essere
rosbif.» ribatté afferrando una ciotola
dal pensile più basso.
Ray si voltò e Bob lo guardò inclinando il capo
di lato. «Tu non sai cucinare
il rosbif.» disse il primo.
«Dettagli, Ray.» lo zittì.
Frank rise ancora. «Monta la panna, Mikey.»
Il ragazzo sbuffò e scosse il capo. «Qui nessuno
mi prende sul serio.»
In quel momento in cucina entrò Gerard, spazzolandosi con la
mano i capelli
umidi. «Io ti prendo sul serio.»
«Che bugiardo.» ridacchiò Ray.
Mikey gli diede un calcio sugli stinchi.
«Ahi!» esclamò quello. «Mi hai
fatto male, idiota.»
«Era quello il mio intendo.»
«Non posso farmi una doccia che scoppia il finimondo,
qui.»
«Mikey è convinto di poter cucinare del
rosbif.» spiegò Frank alzandosi per
riporre la tazza nel lavabo.
Gerard, in piedi sulla soglia della cucina, scoppiò in una
fragorosa risata. Il
fratello si voltò, fulminandolo.
«Io sono sicuro di poter cucinare del rosbif, Gee. Sei mio
fratello, dovresti
appoggiarmi.»
«Lo faccio… quando dici cose
realistiche.»
Mikey borbottò qualcosa d’incomprensibile.
Frank scosse il capo. «Per favore, muovetevi che il mio
stomaco non fa che
lamentarsi.»
Bob gli allungò il cartone dei biscotti, senza guardarlo in
volto, divertito da
Mikey e Ray che non facevano che tirarsi gomitate e calci, spargendo
pastella
ovunque.
Gerard osservò la sua cucina, conscio che sarebbe, ancora
una volta, toccato a
lui ripulire tutto. In quel momento si maledì di aver dato
il permesso di
cucinare pancake.
Frank afferrò un biscotto e lo masticò,
lentamente. Si voltò a guardare fuori
dalla finestra. Le nuvole che si stagliavano sul un cielo cobalto, si
muovevano
velocemente spostate dal vento.
Sospirò conscio che, nemmeno i suoi amici, erano capaci di
distrarlo come
avrebbe dovuto.
Con la mente, ancora una volta, tornò al viso della donna
che per anni aveva
amato.
Un’ora più tardi i cinque ragazzi, seduti sul
divano e sulle due poltrone,
mangiavano pancake… bevendo latte. Si sentivano come
adolescenti, in quel
momento. Era strano. Fu come se le loro vite si fossero congelate a
quando
avevano tredici anni, e mangiavano pancake con dello sciroppo
d’acero. Ma non
avevo tredici anni, piano si avvicinavano ai trenta. Ora avevano un
lavoro, un
lavoro che amavano, che li faceva sentire… vivi.
«E’ l’ultima sera che passo in casa
mia.» mormorò Gerard lasciandosi andare sul
divano, svuotando il suo bicchiere di latte.
Mikey lo sguardo, alzando un sopracciglio. «Non vai in
guerra, Gee. Parti solo
per un tour.»
«Fa lo stesso.» lo liquidò con un gesto
della mano.
«Mi mancherà Christa.»
mormorò Ray con sguardo assorto.
«A me mancherà Alicia. E allora? Non vado in
guerra.» roteò gli occhi,
poggiando i gomiti sulle ginocchia.
«A me mancherà il mio gatto.» fece
spallucce Bob, seduto su una delle sue
poltrone.
Tutti risero, scuotendo il capo.
Frank non disse nulla, osservò in silenzio i compagni. In
realtà, lui era
felice di partire, di stare lontano da quella casa oramai vuota. Da
quella
pressante solitudine che non faceva che opprimerlo, in quelle quattro
mura. Ci
sarebbe stato lui e la sua chitarra, sui palchi di città mai
visitate. Si
sarebbe distratto e forse sarebbe riuscito a dimenticare.
Che idea folle, pensò.
Non sarebbe mai riuscito a dimenticare. Come poteva farlo? Le era
venuto meno
un punto di riferimento, la donna che aveva amato… che amava
ancora.
Con occhi velati di tristezza, guardo il suo bicchiere e, ancora mezzo
pieno,
lo poggiò sul tavolino.
«Io vado, ragazzi.» disse alzandosi.
«Di già?» chiese sbalordito Gerard.
«Sono molto stanco.» mormorò passandosi
una mano su viso.
Mikey si morso il labbro inferiore. Ray abbassò lo sguardo
sulle sue ginocchia.
Bob guardò verso la finestra. Era come se tutti
partecipassero alla malinconia
di Frank, come se tutti ne fossero contagiati. Non riuscivano a
guardarlo.
Gerard sospirò. «Ti accompagno alla
porta.»
Frank salutò gli amici che gli rivolsero caldi sorrisi.
Arrivato alla porta,
Frank si voltò verso Gerard.
«Mi dispiace.» mormorò.
«Tranquillo.» sorrise.
«Ho bisogno di tempo, Gee.» sussurrò con
voce roca.
«Lo so, lo so, Frankie. Ma, per favore, non lasciarti andare,
okay? Sono
passati quattro mesi e…»
«Non sono sufficienti per cancellare tanti anni,
amico.»
«Lo so.»
«Sto bene.»
«Certo, certo.» mormorò Gerard dandogli
una spinta amichevole.
«Grazie, di tutto.»
L’altro fece spallucce. «Togliti dai piedi,
Frank.» ridacchiò.
Lui scosse il capo e rise. «Ci vediamo domani.»
«A domani. E vedi di prendere tutto questa volta. Non ti
voglio ancora in crisi
per aver lasciato a casa i tuoi fumetti.» disse Gerard mentre
Frank si avviava
lungo il vialetto.
Sorrise. «Tranquillo». Ora che la casa
è
vuota, non posso dimenticare nulla, avrebbe voluto aggiungere.
Ma non lo
fece.
Entrò in auto. Con le chiavi in mano, non accese subito il
motore. Attese, per
attimi che gli parvero interminabili, che gocce salate gli rigassero il
viso.
Ma non successe. Oramai, Frank Iero, aveva pianto tutte le sue lacrime.
*
ElfoMikey: Honey! Il tuo parere, è il tuo parere, lo sappiamo. Sono contentissima di sapere che la storia per il momento ti piace. *-* Solo tu vedi questi miglioramenti, com’è possibile? Ma sono contenta che tu pensi questo, davvero… mi rende felicissima. Grazie di cuore, Grè. T’amo, alto fino alla luna a grande quanto il mare.
Lady Numb: ciao! Grazie mille per la recensione! Sono contenta di piaccia il prologo. Beh, sì, la storia sarà improntata su un tono piuttosto malinconico, ma non sempre. Ora non posso dirti di più, ma presto capirai. Spero di non averi annoiata con questo capitolo. Grazie ancora per la recensione. A presto!
A voi,
Rò.