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Autore: Nihal    26/08/2010    2 recensioni
La mano passò attraverso i capelli facilmente, senza trovare alcun ostacolo, nessun granello di sabbia ad intralciarle il cammino. Strano, non le era mai capitato prima di avere i capelli in ordine dopo una giornata al mare.
Un sussurro alle sue spalle la fece sussultare.
«Finalmente ti sei svegliata, Melinda.»
Non voleva voltarsi. Tutto dentro di lei le diceva di rimanere nella posizione in cui si trovava, di non affrontare quell’individuo che dietro di lei, silenzioso, attendeva una risposta. Ciò nonostante il suo corpo sembrava non voler prendere in considerazione gli ammonimenti della sua mente, quasi costringendola a voltarsi per guardare negli occhi il proprietario di quella voce suadente ma al contempo inquietante, per lei.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Where do we go from here?


Onde che si infrangono sulla spiaggia.
Vento che sferza il viso.
E buio.
Aprì lentamente gli occhi e si tirò a sedere, trovandosi di fronte allo spettacolo di un mare agitato che si apriva sconfinato e di un tramonto che con i suoi colori tingeva di rosso le acque che le arrivavano quasi vicino ai piedi, lasciandole una sensazione di freschezza, sebbene non l’avessero neanche sfiorata.
All’inizio non ricordava perché si trovasse lì e soprattutto perché si trovasse lì da sola. Tutto era confuso e il fatto che la spiaggia fosse deserta non l’aiutava di certo a capire.
Tutto, intorno a lei, sembrava ovattato.
Poi, all’improvviso, un ricordo le attraversò la mente, fugace. Un’immagine di lei con la sua famiglia in acqua a giocare, finché la spossatezza non lì aveva costretti a lasciare l’acqua e a rifugiarsi sulla spiaggia calda per riposarsi.
Eppure, c’era qualcosa di strano. Dov’erano i suoi genitori e perché si trovava ancora lì al tramonto, quando invece avrebbe dovuto essere a casa sua ormai da tempo? Avevano per caso deciso di restare in quel luogo più a lungo, per godersi lo spettacolo di un mare sotto le stelle? Forse i suoi genitori erano andati a passeggiare, lasciandola sola a riposare.
Si passò una mano tra i capelli neri meccanicamente, per eliminare i granelli di sabbia che si depositavano lì ogni volta che andava su quella spiaggia, tutti gli anni.
La mano passò attraverso i capelli facilmente, senza trovare alcun ostacolo, nessun granello di sabbia ad intralciarle il cammino. Strano, non le era mai capitato prima di avere i capelli in ordine dopo una giornata al mare.
Un sussurro alle sue spalle la fece sussultare.
«Finalmente ti sei svegliata, Melinda.»
Non voleva voltarsi. Tutto dentro di lei le diceva di rimanere nella posizione in cui si trovava, di non affrontare quell’individuo che dietro di lei, silenzioso, attendeva una risposta. Ciò nonostante il suo corpo sembrava non voler prendere in considerazione gli ammonimenti della sua mente, quasi costringendola a voltarsi per guardare negli occhi il proprietario di quella voce suadente ma al contempo inquietante, per lei.
Si voltò, trovandosi di fronte un ragazzo che le sorrideva. Le sorrideva di un sorriso enigmatico che per Melinda avrebbe potuto dire tutto o non dire nulla. I capelli, corvini, gli incorniciavano il viso esile e i suoi occhi, di un colore indefinito – grigio, forse – la fissavano calmi, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare. Sembrava comprendere la reticenza di Melinda e non faceva pressione affinché lei dicesse qualcosa. Le tese una mano con un gesto cordiale, per aiutarla ad alzarsi, poiché in quel momento era ancora seduta scompostamente sulla sabbia, ad osservare il ragazzo gentile che sembrava conoscerla, ma che lei non conosceva.
Afferrò la mano – dal tocco liscio e delicato – e si lasciò trascinare in piedi, per poi trovarsi esattamente di fronte al suo interlocutore, che continuava a scrutarla. Tante domande le si affacciarono alla mente e per un momento perse il controllo dei suoi pensieri, troppo numerosi e troppo confusi per poterli controllare.
Optò per la domanda più semplice, che era anche quella che più premeva per uscire, desiderosa di ottenere una risposta.
«Chi sei?» Chiese quindi con un filo di voce, ancora disorientata dal risveglio e dall’assenza dei suoi cari.
Il ragazzo le tese nuovamente la mano destra con fare gentile, per presentarsi. Melinda l’afferrò interdetta, attendendo quella risposta che avrebbe potuto quietare almeno uno dei suoi dubbi. Stranamente l’angoscia che aveva provato inizialmente sembrava essersi sopita, lasciando il posto ad una strana sensazione. Adesso quel ragazzo le sembrava familiare, sebbene fosse sicura di non averlo mai visto in vita sua.
«Io sono Julian, piacere.»
Julian. Strano, anche il nome le suonava familiare. Era forse un suo amico di infanzia? O forse il figlio di qualche conoscente dei suoi genitori?
Ad un tratto si sentì imbarazzata. Lei non si ricordava di lui, quando evidentemente lui la conosceva benissimo a giudicare dal suo comportamento.
«Bel nome.» Non trovò nulla di meglio da dire. Sebbene il nome Julian le fosse sempre piaciuto, le sembrava inappropriato in quel momento parlare di nomi, benché non conoscesse il motivo di quella sua impressione.
«Questo è il nome che tu vuoi che io abbia.» Commentò lui serafico, inarcando appena le labbra in un impercettibile sorriso.
Melinda, a quell’affermazione, socchiuse gli occhi dubbiosa. La stava forse prendendo in giro?
Esitò un attimo, non sicura di voler continuare la conversazione che stava assumendo una piega assai inquietante a suo avviso.
«Quindi non ti chiami Julian.» Replicò tranquilla, attenta a non far trasparire il timore che riusciva a provocarle soltanto pronunciando alcune frasi.
«In questo momento sono Julian, quindi puoi chiamarmi così se vuoi.»
Julian sorrise. Un sorriso che forse voleva calmarla, per farle capire che non doveva preoccuparsi e che ciò che lui stava dicendo aveva un senso, nonostante lei non potesse ancora capirlo. Aveva intuito ciò da quel sorriso e, sebbene ancora un po’ reticente, rispose: «Julian, tu mi conosci.»
Non era una domanda. Julian aveva ampiamente dimostrato quel punto, chiamandola per nome prima e conversando a quel modo dopo. Tuttavia, per quanto sforzasse la sua memoria, non riusciva a ricordare nessun volto simile al suo, nessuna voce del genere, al contempo suadente e inquietante. Era giunta alla conclusione di non aver mai visto in vita sua quel ragazzo così familiare e perciò desiderava – anzi pretendeva – sapere il motivo per cui lui sapesse chi lei fosse.
Arricciò una ciocca di lunghi capelli intorno alle dita, come era solita fare quando era nervosa. E ancora una volta si stupì dell’assenza di sabbia. Tutto intorno a loro era sabbia, eppure neanche un granello si era depositato sui due ragazzi.
«Ti ho appena conosciuta. Ti osservavo quando eri addormentata sulla spiaggia.»
La prima, stupida, sensazione era stata positiva: si sentiva lusingata che quel ragazzo così bello che aveva appena conosciuto, fosse rimasta ad osservarla dormire. La seconda, invece, era stata negativa: la intimoriva il fatto che lui fosse rimasto a guardarla senza una ragione apparente. C’è sempre una ragione dietro tutto e se ti dicono che non è così, allora stanno mentendo.
Glielo diceva sempre sua madre e in quel momento le sembrava estremamente vero.
«In parole povere mi stavi spiando.» Controbatté sospettosa, un certo tono lamentoso nella voce.
Julian le sorrise gentilmente.
«Non ti stavo spiando, ti stavo osservando. È diverso.»
«Non è molto diverso invece.» Obiettò ostinata.
Per un attimo si scrutarono l’un l’altro. Melinda con un’espressione seria che stava a significare che non voleva essere presa in giro da uno sconosciuto qualunque e Julian con un sorriso enigmatico che Melinda stava imparando a temere, sebbene non ne conoscesse il motivo.
«Lo è, credimi. Ti osservavo per un motivo.»
Adesso il suo tono si era fatto remoto, quasi malinconico. Non riusciva a comprendere quel repentino cambio d’umore. Sembrava essere divenuto tutto d’un tratto triste per qualcosa: in quel momento il suo era lo sguardo di chi è consapevole che deve compiere un’azione, ma non per questo prova piacere nel farlo.
O almeno era quello che Melinda aveva letto nei suoi occhi e non poteva esserne del tutto sicura, dal momento che in pochi secondi aveva scacciato quello sguardo per ritornare al sorriso enigmatico di prima.
Melinda fece per aprire la bocca e chiedere quale fosse il motivo, poi, però, prima che potesse replicare, la domanda che si era nascosta nei meandri della sua mente per dare spazio alla pressante curiosità si ripresentò prepotente e, prima di poter dire qualsiasi altra cosa, si ritrovò a chiedere: «Dove sono i miei genitori?»
In tutto quel tempo le sembrava strano che non fossero ritornati. Anche se si erano allontanati, sarebbero dovuti essere già di ritorno, oramai erano passati diversi minuti dal suo risveglio e dall’inizio di quella strana conversazione con Julian.
Eppure, più ci pensava e più le sembrava di non essere stata in spiaggia con i suoi genitori. Non ricordava il loro arrivo quella mattina e i ricordi delle loro azioni le sembravano sfocati nella sua testa.
«Non sono qui.»
Il tono della risposta, pacato, sottintendeva che anche Melinda avrebbe dovuto aspettarsi quella risposta. Lei, però, non capiva cosa si sarebbe dovuta aspettare, cosa avrebbe dovuto sapere. Non era possibile che lei si trovasse lì da sola, i suoi genitori non se ne sarebbero mai andati senza di lei. Erano forse stati costretti? La spiaggia era deserta e ciò era quantomeno innaturale a quell’ora.
Avrebbe voluto chiedere a Julian – che sembrava saperne molto più di lei – dove fossero i suoi genitori, dal momento che apparentemente non si trovavano lì, ma la domanda che le uscì dalle labbra stupì lei stessa: «In che stagione siamo?»
Julian le sorrise incoraggiante, come per dire che era sulla buona strada, anche se lei non capiva dove quella strada la stesse conducendo.
«Nel luogo in cui vivi è inverno.»
Melinda si sfregò un braccio, interdetta. Non faceva freddo, tutt’altro. Dal calore e dalla brezza che soffiava si poteva facilmente dedurre che fossero in estate. Pensandoci bene, però, non le sembrava di ricordare in che stagione fossero.
«Qui fa caldo.» Ribatté, insicura.
«Qui non è il luogo in cui vivi.»
«Almeno che non mi trovi in un altro emisfero, la stagione dovrebbe essere uguale in tutti i luoghi della Terra.» Affermò, sempre più convinta che Julian la stesse prendendo in giro.
Doveva essere un ottimo attore, peraltro. Sembrava così convinto di quello che diceva che alla fine riusciva quasi a convincere anche lei che, solitamente, non era una persona che prendeva per vero tutto ciò che le veniva detto, soprattutto se le informazioni provenivano da un individuo che aveva conosciuto da poco tempo.
Minuti?
Ore?
Se doveva essere sincera non riusciva a tenere conto del tempo in maniera precisa, ma ciò sicuramente accadeva soltanto per il fatto che era ancora intontita dal sonno, ne era certa.
«Io non ho mai detto che qui siamo sulla Terra.» Sottolineò, sorridendo nuovamente.
Melinda appoggiò una mano sulla testa, confusa. Tutto ciò che Julian stava dicendo le sembrava così insensato e surreale eppure non riusciva a dirglielo, poiché c’era qualcosa dentro di lei che le diceva di ascoltarlo e di comprendere ciò che lui voleva che lei comprendesse.
E lei voleva davvero comprendere, solo che non ci riusciva, per quanto si sforzasse.
«Julian… se non siamo sulla Terra, allora dove siamo?»
«Siamo qui
«Dove?» Insisté lei, impaziente di avere una risposta.
Che fosse tutta una presa in giro o no, era intenzionata ad andare fino in fondo alla faccenda, prima di dire addio a quello sconosciuto tanto strano e tornarsene a casa per condurre la sua vita dimenticandosi di quell’episodio.
«In un luogo in cui prima o poi passano tutti.»
Cosa voleva dire?
«Io non capisco.»
«Questo luogo, il mio aspetto, la mia voce, il mio nome. Queste cose le decidi tu, Melinda.»
«Cosa?»
«Melinda, io sono la tua morte.»
Melinda indietreggiò di qualche passo, affondando i piedi nudi nella sabbia, allontanandosi – seppur simbolicamente – da quello che per lei era divenuto nient’altro che un pazzo.
Cosa voleva dire con quella frase? Era per caso intenzionato ad ucciderla? I suoi genitori erano spariti perché lui li aveva eliminati?
Spalancò gli occhi, adesso pieni di paura, quando Julian – se quello era il suo nome, cosa di cui dubitava fortemente – si mosse verso di lei impercettibilmente.
«Non aver paura. Non è come pensi, Melinda.» Tentò di rassicurarla lui, che sembrava aver capito cosa lei stesse pensando in quel momento.
Lei urlò quando lui le porse la mano e indietreggiò ancora, salvo poi ricordarsi che in quella spiaggia deserta c’erano soltanto loro due quindi nessuno avrebbe potuto sentirla.
«Melinda.»
«Per favore, lasciami stare!» Gridò lei in preda al panico, arretrando finché non sentì le acque del mare lambirgli i piedi.
«Melinda, io non ti posso uccidere.»
Le si avvicinò lentamente, finché non si trovarono nuovamente uno di fronte all’altro. Melinda non si mosse, ora paralizzata dalla paura.
«Non puoi uccidermi?» Ripeté sconvolta.
«No.»
«Perché?»
«Perché tu sei già morta, Melinda.»
No.
Cosa stava dicendo? Lei non poteva essere morta… insomma era lì, in carne e ossa, stavano parlando… come poteva essere morta?
Era evidente che Julian non aveva ben presente il concetto: essere deceduti implicava il fatto di non essere più in possesso del proprio corpo. Inoltre se fosse morta l’avrebbe ricordato, no?
«No, non è possibile.»
«Hai avuto una dipartita traumatica, Melinda. È per questo che ti è difficile ricordare ciò che è accaduto e ora ti trovi qui. Pensaci. Ricorda.»
Melinda chiuse gli occhi, concentrandosi, senza neanche sapere perché eseguiva ciò che Julian le aveva detto di fare.
All’inizio non le venne in mente nulla. La sua testa era piena del rumore delle onde che si frangevano sulla spiaggia, ma null’altro.
«Sforzati, Melinda.»
La sua voce, ora dolce, la esortava a concentrarsi.
E ad un tratto le venne in mente. Lei che passeggiava per le vie della città, la macchina e poi… più nulla.
Calde lacrime iniziarono a solcarle il viso, copiose.
«Non è possibile, sono ancora giovane…» Mormorò sconvolta.
Julian le accarezzò, per tentare di calmarla.
«La mia famiglia, i miei amici…» Continuò lei, ancora incredula.
Non poteva essere vero.
Eppure ora ricordava.
«E adesso cosa succede?» Chiese, cercando invano di frenare il pianto.
«Adesso andrai in un altro luogo.»
«Non restiamo qui?»
«Qui è solo un passaggio.»
Le porse la mano e lei, ancora tra le lacrime, la afferrò.
«Ma io non voglio abbandonare tutti!» Protestò ancora.
Julian sorrise. Era abituato a reazioni del genere, soprattutto quando coloro con cui aveva a che fare erano morti di una morte improvvisa e inaspettata.
«Non devi preoccuparti, vi ritroverete.» Le assicurò incamminandosi con lei al seguito.
Con la mano libera asciugò le lacrime.
«Dove andiamo?»
«In un posto migliore, Melinda.»

***



Alcool e velocità.
Non si rese neanche conto della ragazza che stava attraversando le strisce per tornare a casa, dopo una serata passata con le sue amiche in pizzeria.
Melinda non fece neanche in tempo ad urlare che fu travolta dall’auto in corsa che, all’urto, frenò di colpo.
L’ambulanza arrivò in pochi minuti ma ormai per la ragazza, priva di vita, non c’era più nulla da fare.
Il guidatore, sconvolto, aveva tentato di soccorrerla prima dell’arrivo dei soccorsi, ma non era servito a nulla.
«Oh, mio Dio! L’ho uccisa! Non l’avevo vista, è sbucata fuori all’improvviso, io…»
Un paramedico prese l’uomo, in evidente stato di shock, per le spalle e lo condusse all’ambulanza per accertarsi che non fosse ferito.
Quest’ultimo continuava a farneticare scuse alla ragazza riversa al suolo in maniera scomposta. Sicuramente quelle scuse non le sarebbero mai arrivate.





Salve!^^ Ecco… questa specie di storia mi è venuta in mente mentre ero al mare. Ecco cosa succede quando vado in vacanza!xD È un po’ così come one shot, però in un certo senso sono soddisfatta: è la prima originale seria che scrivo, solitamente mi cimento con le fan fiction però volevo tentare qualcosa con dei miei personaggi. Non è niente di che, lo so!^^’ Però già il fatto che sia riuscita a superare la soglia delle due righe nette mi rende felice!*w* E, beh, lascio ai lettori l’ardua sentenza!^^
P.S: il titolo viene da una canzone che c’era in una puntata di Buffy, ma non chiedetemi quale please!^^’


Nihal
  
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