Dovrei
piangere? Dopotutto, stanno morendo così
tante persone…
Riesco
a sentire le loro urla, a percepire il
loro dolore…
O
forse; forse dovrei ridere? Dopotutto, è
successo per mano mia…
Questi
erano gli unici pensieri che mi
passavano per la testa, mentre, tenedo strette al petto le ginocchia, e
poggiando la testa su di esse, me ne stavo seduta, sotto la pioggia
fredda e
battente, sul soffice prato di un’alta collina ad osservare
la fine. O il nuovo
inizio.
Ero
arrivata li da appena un minuto. Un lunghissimo
ed eterno minuto.
Li
mi sentivo ed ero al sicuro, così, quando
arrivai, non persi tempo e mi buttai a terra in fretta, ancora con il
fiatone
della corsa… per non perdermi lo spettacolo.
E
adesso ero li, ad osservare.
Osservare.
Forse l’unica cosa che sono
veramente capace di fare.
Osservare,
così simile a gurdare, eppure
completamente diverso.
Osservare
significa saper cogliere ogni
dettaglio, assimilarlo e oltrepassare l’evidenza per
comprendere cosa esso ci
rivela veramente.
Lo
facevo da sempre, e forse a causa di questa
capacità la mia era stata una vita tremenda…
-
Mamma, mi vuoi bene?-
-
Certo tesoro mio…- rispose la voce calda e materna di quella
donna alla voce
squillante ed emozionata della bambina.
-
E, e non mi lascerai mai vero?- chiese ancora, già
entusiasta della risposta
ricevuta precedentemente.
-
Come potrei fare una cosa del genere…- la
rassicurò.
Poi
la baciò sulla fronte, come faceva sempre prima di mandarla
a dormire.
-
E ora dentro il letto, su… -
disse,
alzando le coperte, in modo che la bambina vi si ci coricasse sotto con
più
facilità.
Appena
si sistemò rimboccò con tenerezza le morbide
coperte.
-
Forza tesoro mio, ora dormi… Ci vediamo domani
mattina…-
Le
diede un altro bacio sulla fronte, e mentre la piccola bimba si girava
e
chiudeva gli occhi trasportata dal torpore delle coperte e dai pensieri
della
giornata stancante, la donna spense la luce della stanza, lasciandola
protetta
dal buio della sua stanza.
Una
lacrima mi rigò il viso, confusa tra le
goccie che cadevano pesanti e grosse dal cielo.
All’improvviso
sentii freddo. Un brivido
percorse tutta la schiena, e solo allora mi accorsi dei vestiti e dei
capelli
bagnati e della pioggia pesante che continuava a cadere.
-
Sei una puttana! E’ questo quello che sei!-
La
voce possente di un uomo furioso aveva interrotto il sonno della
piccola bimba.
-
Roger, calmati ti prego…- la voce calma della mamma provava
ad ammansirlo.
-
Calmarmi?!? Tu sei matta! Dopo quello che è
successo…-
-
C’è la bambina che dorme la dentro…- lo
interruppe.
Curiosa,
si liberò delle coperte pesanti che la tenevano a letto e,
quasi correndo si
avvicinò alla porta per origliare.
-
Non me ne importa niente!- continuò a gridare
l’uomo.
-
Papà?- si chiese la bambina.
Aprì
la porta, entusiasta della scoperta che aveva fatto quella notte. Suo
padre era
venuto a trovarla! E a sorpresa! E gli avrebbe mostrato che lo aveva
scoperto
prima del previsto, ma…
Adesso
piangevo. Forti singhiozzi irrombevano
il silenzio che mi circontava, oltre al continuo ritmo della pioggia
battente.
Non
sopportavo il dolore che continuava a
tormentarmi il petto, e neanche i crampi che mi attanagliavano lo
stomaco.
Furiosa
contro me stessa, per ciò che la mente
mi mostrava e il corpo mi faceva, mi alzai di scatto, quasi senza
pensarci, ed
iniziai ad urlare.
Un
urlo di rabbia e dolore, di sofferenza e
furia, di vendetta e perdono che neanche io riuscivo a capire.
-
Perché lo hai fatto papà, perché lo
hai
fatto!- continuai, gridando verso il cielo silenzioso e cupo.
Le
lacrime continuavano a scorrere senza sosta,
mentre aspettavo una risposta dalle nuvole che oscuravano la luce della
luna e
delle stelle, che rimasi ad osservare.
Nulla.
Solo la pioggia mi era di compagnia in
quella trementa e gelida serata.
-
Perché hai ucciso la mamma e sei scappato
via! Perché! Perché non mi hai portato con te!
Perché mi hai lasciato qui tra
gli sguardi idignati, le voci sparlottiere e le risate fastidiose!-
continuaii
ad urlare contro il cielo, mentre le braccia, distaccate dalla mente,
compivano
gesti con velocità impressionante.
Attesi
di nuovo una risposta. Volevo una
risposta…
Nulla,
fu quello che ottenni nuovamente.
-
Sappi che se io ho fatto questo…- dissi
indicando ciò che poco prima era solo uno spettacolo
entusiasmante- è solo per
colpa tua! Tua, hai sentito!-
Ma
le mie urla non erano le uniche a rompere il
silenzio della notte.
Con
le lacrime che ancora continuavano a
rigarmi il viso e le mani conservate nelle tasche dei pantaloni
bagnati, mi
voltai a guardare ancora una volta lo spettacolo.
L’intera
città in cui ero nata e cresciuta,
adesso, bruciava avvolta da alte fiamme, che ondeggiavano eleganti
distruggendo
ogni cosa.
Osservai
per un minuto quella scena.
Un
minuto eterno dove la danza del fuoco mi
ipnotizzò, con le sue dolci movenze, e poi alzando lo
sguardo vidi la risposta
tanto desiderata: la pioggia che sempre più forte cadeva
sulle fiamme tentando
di salvare il disastro.
-
Papà… Ormai è troppo tardi per
cambiare le
cose…- sussurrai a una presenza che solo ora sentii vicino.
E
continuando a piangere, con la mia
solitudine, ormai eterna migliore amica, diedi le spalle a quello che
ormai
anche per me era diventato un accapricciante spettacolo, e iniziai a
camminare,
senza meta, verso a quella che ormai, si sarebbe rivelata una nuova
vita.
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