II.
[ Lost ]
I tacchi delle scarpe nere scamosciate
s’infrangevano sull’asfalto delle strade parigine con la stessa intensità di
una lancetta che scandiva il tempo.
Per quanto fosse particolarmente allenata
nella corsa – suo abituale allenamento mattutino dei vecchi tempi – sapeva che
non sarebbe riuscita a mantenere ancora a lungo quella velocità concessale
dalla fortuna.
Le scarpe che indossava, per quanto basse e
particolarmente comode, mettevano a repentaglio il suo già precario equilibrio,
rallentandone ulteriormente l’andatura.
Aveva avuto l’idea di fermarsi a toglierle,
ma temeva che in quel frangente si fossero potute accorciare le distanze tra
lei e i suoi inseguitori, la cui automobile, sgommando incessantemente quando
si trovava in prossimità della sua locazione, le faceva intendere di star
ancora interpretando il ruolo della volpe in quella folle caccia.
Era chiaro che se non avesse
deciso di sfruttare i vicoletti delle strade
secondarie, attraverso cui le auto potevano difficilmente passare, a quest’ora sarebbe già morta.
Non era astuta quanto l’animale a cui s’era
paragonata, non aveva idea di come poter raggirare
quegli assassini, così come non aveva idea di quanto sarebbe riuscita ancora a
correre.
Assolutamente scoraggiata da tutta quella
serie di circostanze che l’attanagliavano, si fermò.
I polmoni sembravano stessero andando in fiamme, pronti ad esplodere, mentre la gola secca le fece
avvertire l’orribile sensazione di star soffocando.
Espresse il desiderio di finirla lì,
subito, anziché attendere quelli che sarebbero stati gli attimi immediatamente
successivi al rumore fin troppo
familiare che avvertì alle proprie spalle.
-
Peccato
ti sia fermata, ci stavamo divertendo – udì pronunciare dalla voce dell’uomo
che le si stava avvicinando lentamente alle spalle,
mentre i rumori secchi procurati dall’inserimento dei proiettili nella pistola
di cui era armato si perdevano nell’aria.
Rimase a contemplare ancora per un attimo
il grigiore della stradina isolata nel quale s’era incautamente infilata, prima
di voltarsi verso il suo inseguitore. Non riuscì a impedirsi
di tremare.
In maniera del tutto inconscia fece un
passo indietro, facendo sì che il ghigno dipinto sul
volto dell’uomo si allargasse ulteriormente.
-
T-ti prego… - si ritrovò
a sussurrare con voce tremula, mentre alcune lacrime presero a bagnarle le
guance pallide. Per tutta risposta l’uomo caricò la pistola. –
Hector… t-ti p-prego… - ripetè
con voce rotta, prendendo a singhiozzare sommessamente, abbracciandosi le
spalle nel tentativo di infondersi un po’ di conforto.
Osservava la canna della pistola con
orrore, ricordando in brevi flash gli attimi che avevano condotto sua madre
alla morte.
Rivide rosso ovunque.
-
Ehi!
- .
Sobbalzò, rendendosi conto solo in quel
momento di aver chiuso gli occhi, in attesa.
-
Che
sta face-… - .
Sentì un rumore assordante squassarle i
timpani e un bruciore provenire dalla sua guancia sinistra.
Hector aveva sparato, ma
non a lei.
Si voltò tremante, lentamente, spalancando
gli occhi orripilata quando concluse che l’ennesimo innocente aveva perso la
vita a causa sua.
Probabilmente un semplice e innocuo
passante che si era ritrovato lì al momento sbagliato.
-
Bastardo...
– disse tra le lacrime. – Fottuto
bastardo! – urlò girandosi verso di lui, ritrovandosi ad urlare nuovamente
subito dopo, ma a causa del dolore.
La mano dell’uomo le aveva afferrato i capelli tanto violentemente da farle dimenticare
per un attimo dell’omicidio appena consumatosi alle sue spalle.
Si ritrovò costretta ad osservare gli occhi
di Hector Kunz ad una
distanza ridottissima rispetto a quella che era stata solita tenere con l’uomo
tempo addietro, e in quel momento non potè non
correre nuovamente col ricordo alla madre.
Chissà se si era
ritrovata a pensare di essere incappata in uno dei demoni che popolavano
l’inferno nel quale credeva. Non vi era nulla di umano negli occhi di Kunz,
nulla che potesse rievocare anche solo lontanamente i tratti distintivi di un
qualunque essere che potesse essere definito tale.
Per puro paradosso e ironia della vita, il
suo aspetto – al contrario – mostrava tutte le caratteristiche angeliche che potesse
possedere un uomo particolarmente attraente.
I capelli biondi, gli occhi azzurri, i
denti bianchi perfettamente allineati… forse una bellezza un po’ ordinaria, nel
complesso, quanto estremamente agghiacciante.
Ora che aveva modo di osservarlo più da vicino poteva essere assolutamente certa di affermare che
quegli occhi non erano azzurri, ma grigi, di un grigio tanto chiaro da richiamare
il ghiaccio in tutte le sue sfaccettature, trasmettendo un senso di freddo tale
da accapponare la pelle.
Ma un freddo più concreto le si presentò subito dopo, sottoforma di metallo, andando a
percorrerle il profondo solco che le si era aperto precedentemente sulla
guancia.
-
Piccola
Kate… - sussurrò dolcemente Kunz,
passandole la canna della pistola sul volto come per carezzarla.
-
…Non
osare chiamarmi in quel modo, feccia! – controbbattè
dopo un attimo di smarrimento, sorprendendosi da sola per l’istintiva sagacia
che era riuscita a padroneggiare in un momento del genere.
-
Qual
è il codice? – le chiese l’assassino arrivando subito
al dunque, recuperando il suo tono autoritario agghiacciante, particolarmente
infastidito per la reazione inaspettata che aveva avuto la ragazza. Per
incuterle nuovamente terrore le puntò la pistola alla fronte, ricevendo in
cambio uno sguardo tra l’impaurito e lo smarrito.
-
C-cos-… - .
-
Non
giocare con me, Catherine Brown.
– la interruppe prontamente, imprimendo nella voce nuovamente quella sottile
ironia che era solito caratterizzarlo. – Ho fatto un
buco in testa alla mamma e ho tagliato la gola a papà… - s’interruppe, per assicurarsi che
la donna avesse afferrato il pieno senso dell’ultima frase. Quando
vide il suo volto impallidire ulteriormente e gli occhi spalancarsi a
dismisura, fu certo che avesse afferrato.
-
Nulla
m’impedisce di-… - .
Senza sapere come, si ritrovò sbalzata
all’indietro. L’asfalto freddo sotto le sue mani, poggiatesi
sopra per frenare la caduta, a confermarglielo.
Hector sembrava
impazzito.
Gli occhi cerulei si muovevano velocemente,
cercando d’individuare il punto da cui era partito il colpo che l’aveva
disarmato e che contemporaneamente gli aveva sottratto la preda.
Si trattava di un cecchino senz’ombra di
dubbio, si ritrovò a pensare febbrilmente, anche se una parte
di lui si rifiutava di accettarlo.
Ma chi altri avrebbe
mai potuto sparare un colpo centrando in pieno il calcio della pistola che
impugnava, disarmandolo e mancando nettamente il volto della ragazza, a pochi
centimetri di distanza?
Un folle. O uno
che sapeva fare bene il suo mestiere.
Ricordò di avere un’altra pistola nascosta
all’interno della giacca del completo nero che indossava, ma non riuscì ad
estrarla in tempo che sentì qualcosa di pesante colpirlo alle spalle,
sbilanciandolo e facendolo precipitare a terra, su di un fianco.
Da quella posizione riuscì ad intravedere
una moto di grossa cilindrata atterrare davanti a lui e frenare con una
sgommata in prossimità della ragazza, che sembrava essere scioccata quanto lui
da quell’intervento tempestivo,
a tal punto dal non accettare, inizialmente, la mano che il conducente del
motoveicolo le stava tendendo.
Approfittò di quel momento per tentare di
recuperare nuovamente la pistola ed, estrattala dalla giacca, la puntò
esattamente alle spalle dell’intruso.
Se non avesse avuto
il casco, avrebbe puntato direttamente alla testa.
Ma prima ancora di
prendere la mira si vide sfuggire nuovamente l’arma dalle mani, solo che quella
volta il fottuto
cecchino non gli risparmiò l’arto.
Impegnato a controllare i danni che aveva subito la mano, intravide con la coda degli occhi la
moto allontanarsi a gran velocità, insieme alla ragazza.
Catherine non riusciva
ancora a comprendere cosa fosse successo.
Un attimo prima era completamente
in balia di Kunz, l’attimo dopo si ritrovava a
sfrecciare a gran velocità nelle strade di Parigi – alcune delle quale lei, in
quel momento, non ricordava affatto - su una moto guidata da un perfetto sconosciuto.
Il vento freddo della sera le sferzava la
pelle… solo in quel momento si rese conto che aveva smesso di piovere.
Per quanto fosse assolutamente fuori luogo,
non potè far almeno di considerare quello come
l’ennesimo segno, sul quale si
ripromise di ritornare più tardi, in un secondo momento, quando sarebbe stata
assolutamente sicura di essere – anche se solo momentaneamente
– in salvo.
Doveva ancora capire chi si fosse preso la briga di mettersi tanto in pericolo per lei,
l’unica cosa di cui poteva essere certa era che – anche se inizialmente fosse
potuto sembrare il contrario – le forme che era riuscita a individuare, per
puro caso – nell’avvinghiarsi più strettamente possibile al corpo del
conducente, per il timore di cadere – smentivano la supposizione secondo la
quale fosse un maschio.
Presa da quelle innumerevoli
fantasticherie, non riuscì a impedirsi di lanciare un
urlo quando vide affiancarsi alla moto un’auto nera.
-
Don’t worry – fu sicura di sentir pronunciare dalla salvatrice.
Non poteva esserne totalmente sicura, il
vento soffiava in maniera incredibilmente forte da confonderla, ma quello che
aveva udito non sembrava essere affatto un accento
inglese, sebbene la donna si fosse espressa in quella lingua. Che semplicemente non sapesse parlare francese?
-
D-dove stiamo andando? – si azzardò a
formulare per constatare se le sue supposizioni fossero valide.
La risposta si fece attendere un po’.
-
Non
temere – si limitò a replicare la donna, rispondendo positivamente in maniera
implicita alla sua domanda ma non soddisfacendo la sua
seconda curiosità, quella che in realtà le premeva di più.
Dovette accontentarsi di attendere il
prossimo risvolto di quella strana vicenda, mentre
l’auto nera della quale si era tanto spaventata prendeva un’altra direzione,
scomparendo alla sua vista ma ricomparendovi subito dopo, seppur in lontananza.
***
Quillsh abbandonò l’auto
nel parcheggio sotterraneo dell’hotel in cui alloggiava con Lawliet,
facendo poi in modo che i numeri della targa si tramutassero in altri grazie ad
uno dei particolari dispositivi che vantava di aver ideato e progettato.
Quando varcò la soglia della camera del
ragazzo, lo vide raggomitolato nella sua solita posizione davanti al pc, questa volta attento e vigile
come ricordava averlo visto fare tante altre volte.
Lui stesso aveva tenuto a specificargli che
non si trattava di un caso complesso e che, al contrario, se si fosse trattata
di un’altra circostanza gli avrebbe consigliato di lasciar
perdere. Ma quella volta non aveva potuto.
-
È
appena rientrata anche Wedy – lo informò Lawliet in quel momento, osservando il motoveicolo della
ladra percorrere lentamente l’area di parcheggio di cui si erano assicurati
l’esclusività, compreso il servizio di sicurezza notturno – composto da telecamere a infrarossi – di cui solo loro potevano
disporre.
Non era stato difficile assicurarsi tutti
quei privilegi in un arco di tempo tanto limitato, ne tantomeno
rintracciare la donna – dal momento che Lawliet ne
ricordava perfettamente la fisionomia, avendola incontrata personalmente per un
caso puramente fortuito poco tempo prima – quanto, invece, organizzare
velocemente, su due piedi, una ricerca che risultasse più fruttuosa di quella
degli uomini che si erano trovati a contrastare.
A questo proposito, Lawliet
si era ritrovato a sorridere divertito nel constatare la fortuna che avevano
avuto nel trovarsi in una città che vantava uno dei più decantati musei del
mondo.
Quando era riuscita a contattarla, Wedy era in procinto di effettuare
un taglio circolare in una delle seicentosessantasei lastre di vetro che
costituivano la piramide del Louvre, per puntare poi
a diversi Delacroix di suo interesse. In cambio della
sua collaborazione, ovviamente, L le aveva garantito la copertura necessaria da
farla allontanare – successivamente al furto – quel
tanto che le bastava per potersi rilassare e godersi in santa pace il frutto
del suo ennesimo furto.
Al contrario, non era
stato affatto facile rintracciare Aiber,
impegnato ad organizzare una mega truffa a danno di
diversi miliardari a Las Vegas. Troppo lontano per poterlo impiegare nel suo
piano, aveva dovuto sostituirlo Watari, propostosi
personalmente al posto del giovane uomo quando aveva
compreso il rischio di perdere tempo.
Catherine Brown era stata tratta in salvo giusto in tempo, anche se
ormai Lawliet era sicuro al quaranta per cento che le
priorità degli uomini dai quali era inseguita non
consistessero nell’ucciderla.
Le ricerche che aveva
svolto sul conto della donna l’avevano condotto ad una delle maggiori famiglie
di spicco dell’alta borghesia tedesca, il cui bilancio annuo – se fosse stato
sottoposto ad un occhio non tanto più attento, quanto più pulito – sarebbe risultato anomalo a primo acchito.
La famiglia Kunz
– dal momento che Catherine
aveva ereditato il cognome unicamente dalla madre – era coinvolta in
innumerevoli traffici di armi e stupefacenti, egregiamente occultati da diversi
membri delle più alte sfere della società ammanettate – a loro volta – ad
altrettante persone di svariato spessore politico, che potessero garantir loro
l’imputabilità in cambio di svariati favori.
Un circolo sconfinato di corruzione che no,
non l’aveva di certo sorpreso – abituato com’era ad aver a che fare coi criminali della peggior specie - quanto infastidito.
Un bussare alla porta lo
dissuase dal condurre avanti le sue congetture.
-
Ciao,
Ryuzaki - .
-
Grazie
per la collaborazione, Wedy - .
La donna si tolse finalmente il casco,
liberando una cascata di capelli biondi e salutando con un cenno del capo Watari.
-
È
nella stanza accanto, come mi avevi chiesto – si rivolse
a quest’ultimo la donna, vedendolo risponderle con un
sorriso accennato, mentre le sue mani – smessi i guanti da cecchino –
indossavano quelli da semplice maggiordomo, offrendole una fetta di torta alle
fragole che lei tenne a rifiutare con garbo, sorridendo e sollevando una mano
per sottrarsi all’offerta.
-
Se
è tutto, andrei - .
-
I
Delacroix sono coperti da un fitto sistema di
sorveglianza a infrarossi zigzagato – la informò il
detective, spingendosi in bocca un pasticcino alla crema chantilly mentre con
l’indice e il medio della mano destra si concentrava sulla barra di scorrimento
che gli consentiva di inquadrare totalmente la sala in cui erano i disposti i
quadri di cui parlava.
Wedy
sorrise compiaciuta.
-
Ne ero a conoscenza – rispose, dando
una rapida occhiata al monitor su cui era concentrato Ryuzaki
– che doveva aver fatto quelle ricerche per lei, pensò, per ricambiarle
momentaneamente il favore - accingendosi poi ad infilare nuovamente il casco
per abbandonare la stanza e ritornare al suo lavoro. – Così come sono a
conoscenza delle quattro telecamere disposte agli angoli del perimetro
circondante La furia di Medea – .
-
Cinque
- .
-
Cosa?!
– chiesa la ladra, presa completamente alla sprovvista, avvicinandosi
rapidamente al detective e attendendo che proseguisse.
-
Sono
cinque le telecamere che circondano La
furia di Medea - .
-
Ma
come… ?- .
-
Hanno
attivato la quinta nelle ultime dodici ore. – tenne ad aggiungere rapidamente Ryuzaki, comprendendo le perplessità della donna.
Non l’aveva scelta in
qualità di sua occasionale aiutante per puro caso. Wedy
era una professionista il cui margine di errore
sfiorava – e mai superava – il sette per cento e che la rendeva migliore del
sessanta per cento della cerchia di professionisti del settore di cui avesse
potuto decidere di servirsi.
Doveva aver programmato quel furto da
tempo, se si dimostrava tanto sbalordita.
-
È
una misura cautelare aggiuntiva che hanno ritenuto opportuno aggiungere, dal momento che non è la prima volta che il quadro viene
preso di mira – si dilungò nella spiegazione Lawliet,
afferrando un biscotto ricoperto di glassa al cioccolato mentre alle sue spalle
Wedy contraeva il bel viso in una smorfia
d’indignazione.
-
Stupidi
dilettanti! – non fece a meno di esclamare riferendosi a quanti, prima di lei, avessero tentato di mettere le mani su ciò a cui aspirava,
fallendo miseramente e procurandole quel problema. Avrebbe dovuto pensare ad
una maniera alternativa di arrivare al suo obiettivo.
-
Grazie,
Ryuzaki – aggiunse infine, recuperando un tono calmo
e professionale, dirigendosi a passo svelto verso l’uscita per potersi dedicare
ad un piano B.
-
A
presto – le rispose Lawliet col suo tono di voce basso prima che la donna abbandonasse la camera.
Afferrò poi un altro biscotto e si sollevò dal divano per raggiungere la
finestra.
Il cielo plumbeo conferiva a Parigi un
aspetto affascinante per quanto – si ritrovò subito dopo a pensare – surreale.
Dovette distogliere lo sguardo dallo spettacolo che gli si parava davanti per
impedirsi di ritornare con la mente a quanto di più surreale gli fosse poco tempo prima accaduto.
In lontananza un fulmine squarciò con la
propria luce il cielo nero.
Gli occhi neri di Lawliet
si fermarono su Quillsh, indugiando sul riflesso che
il vetro dinanzi a se, striato da lunghe e spesse gocce della pioggia che
riprendeva a precipitare, rimandava dell’uomo. Non riuscendo a spiegarsene il
motivo, gli risultava difficile sostenere la visione
dell’uomo nello stato di profondo smarrimento in cui sembrava riversare. Erano
abbastanza lontani, eppure Ryuzaki riusciva a vedere
distintamente gli occhi chiari del suo tutore scrutare con apprensione la
minuta figura femminile al di là del televisore che
avevano collegato alle telecamere della stanza che occupava, esattamente
accanto alla loro.
-
Sei
riuscito a individuare il punto debole dell’organizzazione?
- .
-
È
il gestore del commercio oltre frontiera, Kurt Schimmer. – gli rispose subito Lawliet.
- Basterà inviargli qualcuno abbastanza abile da fargli credere di volergli
offrire il doppio degli introiti annui che è solito incassare limitandosi a lavorare
con i Kunz. Ho già inviato ad Aiber
tutti i dati di cui necessita, salvo imprevisti
toccherà il suolo germanico tra quarantotto ore. Entro settantadue, l’ottanta
per cento dei Kunz sarà dietro le sbarre - .
Quillsh Wammy sospirò profondamente.
Lawliet si strofinò i
piedi, avvertendo improvvisamente lo stomaco farsi stranamente pesante.
-
In
merito al codice che Hector Kunz
ha chiesto alla ragazza – raggiunse nuovamente il mac su cui era solito lavorare, digitando una serie di
codici per avere accesso ad un’area riservata. – C’è il quarantacinque per
cento di probabilità che si riferisca ad un caveau situato
in Svizzera, di cui era titolare la madre di Catherine
- .
Strofinò nuovamente i piedi tra di loro.
-
Evidentemente
è convinto che Catherine possieda la combinazione per
entrare in possesso del contenuto del caveau -.
Lawliet stette in
silenzio, limitandosi ad annuire, cercando di scacciare quella strana
sensazione che sembrava avergli attanagliato il petto.
La pioggia si sostituì alle loro voci,
riempiendo il silenzio che calò tra i due, poco dopo.
-
Forse
è il caso che le vada a parlare - .
Lawliet lo vide sparire
poco dopo attraverso la porta, sapendo in anticipo cosa avesse
deciso di fare Quillsh in merito a ciò di cui
avevano parlato prima di mettersi sulle tracce della ragazza.
Non era nella posizione di poter dire se fosse o meno la scelta giusta, era una cosa che spettava
solo e unicamente a Wammy. Nessuno comunque
ne sarebbe mai venuto a conoscenza.
Il coinvolgimento di Aiber serviva a creare una falla tale da far smascherare
l’organizzazione da un membro interno a quest’ultima,
escludendo quindi a priori un ipotetico coinvolgimenti del grande detective L.
V’era dunque l’un per cento di probabilità
che la donna, una volta risoltasi la situazione, fosse stata
creduta nell’eventualità in cui avesse deciso di andare a spifferare in giro di
essere stata aiutata dal detective migliore del mondo.
Non comprendeva dunque, ancora una volta,
il motivo per cui si sentisse tanto turbato.
Distolse lo sguardo spento dalla porta che
aveva varcato ormai da un po’ Watari, voltandosi e
dirigendosi nuovamente verso la finestra.
Nel farlo passò accanto ad una pila di
dolci di svariato genere, ma non se ne curò.
Si ritrovò quasi inconsciamente a sollevare
un braccio e appoggiarlo alla finestra, per poi poggiarci sopra la fronte,
evitando di osservare il proprio riflesso ogni volta che un fulmine tornava a
squarciare il cielo, illuminandolo, facilitandolo quindi nell’impresa.
Chiuse gli occhi, per poi riaprirli e
fissarli sul cielo scuro.
Le campane avevano ripreso a suonare.
Delucidazioni:
-
Don’t worry = “Non preoccuparti.”
-
Delacroix = artista e pittore francese di fine
settecento/inizio ottocento.
-
La furia di Medea = una delle svariate
opere di Delacroix conservate nel Louvre
di Parigi (chiedete a Wikipedia e vi sarà dato).
-
Tutto ciò che
concerne la sicurezza per la salvaguardia dei dipinti
all’interno del Louvre di Paris = è inventato xD
non ho la più pallida idea di come funzioni la sicurezza lì dentro, mi sono
concessa una lieve quanto insignificante licenza d’autore ^ ^
-
Wedy e Aiber = rispettivamente
ladra di professione e truffatore, ma immagino che li conosciate già ^ ^ sono presenti sia
nel manga che nell’anime di Death Note, ordunque non
sono personaggi miei. Qualora voleste dare una spulciatina
sul web per avere più informazioni su questi due fate pure,
ma sappiate che per quanto mi riguarda mi basta che ricordiate di cosa si
occupino ^ ^’
Ringraziamenti:
-
Lirin Lawliet: Hai inserito la
storia tra le preferite… *____* Grazie infinite! <3 Ti dirò,
è la prima volta che creo un personaggio femminile con questi requisiti,
solitamente le mie povere sventurate son tutte brune
^ ^ non so perché me la sia immaginata
così… Io solitamente mi concentro sugli occhi. In un’atmosfera che richiama delle tonalità spente e neutre come quelle del
grigio volevo qualcosa che spiccasse… ecco anche la scelta di far indossare
alla protagonista un soprabito bianco (che, per giunta, l’accomuna tanto all’abbigliamento
di L, che indossa una t-shirt candida ^
^). Magari tutto questo ti sembrerà – com’è ovvio che sia – un vuoto
farneticare >///< spero solo di aver fatto comprendere – a te come a
chiunque altro stia leggendo la storia – che le mie
scelte, anche le più banali, non sono casuali ^
^ per ogni cosa c’è un perché… spero che questo non renda troppo
difficoltosa la comprensione >__>… ad ogni modo, grazie per aver
recensito nuovamente! *___*
Ps: Oh My God,
la ff su Saiyuki! xD “Il filo rosso del destino”
presumo ^ ^ accidenti, grazie! Visto
che hai introdotto l’argomento colgo l’occasione per farti sapere che quella
non è stata abbandonata, ma a lungo andare il mio modo
di scrivere si è trasformato un tantino… non mi riconoscevo più in quello che scrivevo
e siccome tengo molto alla storia (dal momento che è stata la prima storia in
assoluto che abbia deciso di pubblicare su efp) ho
deciso di concedermi una pausa per poterla revisionare e trascriverla
nuovamente, quindi presto o tardi ve la ritroverete di nuovo tra i piedi ^ ^
-
Fe85: Tranquilla, anch’io
non mastico il francese ^
^ per la frase – a mio dire - più complessa (quella, per
l’appunto, della sigaretta xD) ho utilizzato uno dei
banalissimi traduttori che mette a disposizione il web ^ ^’
Io mi chiedo: come
si fa a non adorare Watari? *___* viene
calcolato pochissimo nella storia originale, proprio per questo motivo ho
deciso di coinvolgerlo nella mia… chissà…
Grazie per tutti
questi complimenti ^///^ alla prossima!
-
kiriku: Benvenuta! *___*
Grazie per esserti soffermata a leggere la mia ff e
grazie per tutti i complimenti! >///< guarda, ti posso assicurare già da
adesso che non passeranno anni tra un capitolo e l’altro J solitamente ciò mi
capita quando mi metto in testa di scrivere una ff abbastanza lunga, cosa che – almeno provvisoriamente,
chissà che poi non cambi idea! – non ho intenzione di fare con questa. Come
avrai potuto leggere (spero) fondamentalmente L è già
arrivato al nocciolo di tutti i problemi della povera disgraziata a cui s’è
trovato a dare asilo. I capitoli saranno concentrati sul percorso introspettivo
che si ritroveranno a fare un po’ tutti quelli che fino ad ora ho coinvolto… quindi… spero vivamente di non annoiarti
^ ^’ conto comunque sul fatto che tu,
eventualmente, me lo faccia sapere! Ciao e grazie per aver aggiunto la mia
storia tra le preferite! *___*
Un grazie a GokuMiciaNera per aver aggiunto
la mia storia tra le seguite *inchino* e un grazie immenso,
infine, ai lettori silenziosi che continuano a leggere questo mio bizzarro
parto ^ ^
HOPE87