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Autore: HOPE87    27/08/2010    4 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA. MI SCUSO INFINITAMENTE PER IL DISAGIO, MA QUANDO LA VITA PRECIPITA LE SI DEVE DARE NECESSARIAMENTE LA PRECEDENZA. A PRESTO! ;)
Dedicata a YamaMaxwell.
"Prima di rendersene conto aveva salutato professionalmente tutti gli uomini del gruppo d’indagine che avevano deciso di lavorare al suo fianco, leggendo negli sguardi di ognuno di essi il riflesso degli occhi vitrei di Light.
Poi s’era condotto – quasi inconsciamente – una mano al petto, avvertendo il cuore battere, incredulo.
Era stato allora che era avvenuto qualcosa.
Assorto nei suoi pensieri, non si era accorto dell’arrivo di Watari. Gli si era messo di fronte e quando lui aveva sollevato la testa per guardarlo, gli aveva sorriso.
Ma lui non aveva ricambiato."
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, L, Watari
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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II

II.

[ Lost ]

 

 

 

 

 

I tacchi delle scarpe nere scamosciate s’infrangevano sull’asfalto delle strade parigine con la stessa intensità di una lancetta che scandiva il tempo.

Per quanto fosse particolarmente allenata nella corsa – suo abituale allenamento mattutino dei vecchi tempi – sapeva che non sarebbe riuscita a mantenere ancora a lungo quella velocità concessale dalla fortuna.

Le scarpe che indossava, per quanto basse e particolarmente comode, mettevano a repentaglio il suo già precario equilibrio, rallentandone ulteriormente l’andatura.

Aveva avuto l’idea di fermarsi a toglierle, ma temeva che in quel frangente si fossero potute accorciare le distanze tra lei e i suoi inseguitori, la cui automobile, sgommando incessantemente quando si trovava in prossimità della sua locazione, le faceva intendere di star ancora interpretando il ruolo della volpe in quella folle caccia.

Era chiaro che se non avesse deciso di sfruttare i vicoletti delle strade secondarie, attraverso cui le auto potevano difficilmente passare, a quest’ora sarebbe già morta.

Non era astuta quanto l’animale a cui s’era paragonata, non aveva idea di come poter raggirare quegli assassini, così come non aveva idea di quanto sarebbe riuscita ancora a correre.

Assolutamente scoraggiata da tutta quella serie di circostanze che l’attanagliavano, si fermò.

I polmoni sembravano stessero andando in fiamme, pronti ad esplodere, mentre la gola secca le fece avvertire l’orribile sensazione di star soffocando.

Espresse il desiderio di finirla lì, subito, anziché attendere quelli che sarebbero stati gli attimi immediatamente successivi al rumore fin troppo familiare che avvertì alle proprie spalle.

-          Peccato ti sia fermata, ci stavamo divertendo – udì pronunciare dalla voce dell’uomo che le si stava avvicinando lentamente alle spalle, mentre i rumori secchi procurati dall’inserimento dei proiettili nella pistola di cui era armato si perdevano nell’aria.

Rimase a contemplare ancora per un attimo il grigiore della stradina isolata nel quale s’era incautamente infilata, prima di voltarsi verso il suo inseguitore. Non riuscì a impedirsi di tremare.

In maniera del tutto inconscia fece un passo indietro, facendo sì che il ghigno dipinto sul volto dell’uomo si allargasse ulteriormente.

-          T-ti prego… - si ritrovò a sussurrare con voce tremula, mentre alcune lacrime presero a bagnarle le guance pallide. Per tutta risposta l’uomo caricò la pistola. Hector… t-ti p-prego… - ripetè con voce rotta, prendendo a singhiozzare sommessamente, abbracciandosi le spalle nel tentativo di infondersi un po’ di conforto.

Osservava la canna della pistola con orrore, ricordando in brevi flash gli attimi che avevano condotto sua madre alla morte.

Rivide rosso ovunque.

-          Ehi! - .

Sobbalzò, rendendosi conto solo in quel momento di aver chiuso gli occhi, in attesa.

-          Che sta face-… - .

Sentì un rumore assordante squassarle i timpani e un bruciore provenire dalla sua guancia sinistra.

Hector aveva sparato, ma non a lei.

Si voltò tremante, lentamente, spalancando gli occhi orripilata quando concluse che l’ennesimo innocente aveva perso la vita a causa sua.

Probabilmente un semplice e innocuo passante che si era ritrovato lì al momento sbagliato.

-          Bastardo... – disse tra le lacrime. – Fottuto bastardo! – urlò girandosi verso di lui, ritrovandosi ad urlare nuovamente subito dopo, ma a causa del dolore.

La mano dell’uomo le aveva afferrato i capelli tanto violentemente da farle dimenticare per un attimo dell’omicidio appena consumatosi alle sue spalle.

Si ritrovò costretta ad osservare gli occhi di Hector Kunz ad una distanza ridottissima rispetto a quella che era stata solita tenere con l’uomo tempo addietro, e in quel momento non potè non correre nuovamente col ricordo alla madre.

Chissà se si era ritrovata a pensare di essere incappata in uno dei demoni che popolavano l’inferno nel quale credeva. Non vi era nulla di umano negli occhi di Kunz, nulla che potesse rievocare anche solo lontanamente i tratti distintivi di un qualunque essere che potesse essere definito tale.

Per puro paradosso e ironia della vita, il suo aspetto – al contrario – mostrava tutte le caratteristiche angeliche che potesse possedere un uomo particolarmente attraente.

I capelli biondi, gli occhi azzurri, i denti bianchi perfettamente allineati… forse una bellezza un po’ ordinaria, nel complesso, quanto estremamente agghiacciante.

Ora che aveva modo di osservarlo più da vicino poteva essere assolutamente certa di affermare che quegli occhi non erano azzurri, ma grigi, di un grigio tanto chiaro da richiamare il ghiaccio in tutte le sue sfaccettature, trasmettendo un senso di freddo tale da accapponare la pelle.

Ma un freddo più concreto le si presentò subito dopo, sottoforma di metallo, andando a percorrerle il profondo solco che le si era aperto precedentemente sulla guancia.

-          Piccola Kate… - sussurrò dolcemente Kunz, passandole la canna della pistola sul volto come per carezzarla.

-          …Non osare chiamarmi in quel modo, feccia! – controbbattè dopo un attimo di smarrimento, sorprendendosi da sola per l’istintiva sagacia che era riuscita a padroneggiare in un momento del genere.

-          Qual è il codice? – le chiese l’assassino arrivando subito al dunque, recuperando il suo tono autoritario agghiacciante, particolarmente infastidito per la reazione inaspettata che aveva avuto la ragazza. Per incuterle nuovamente terrore le puntò la pistola alla fronte, ricevendo in cambio uno sguardo tra l’impaurito e lo smarrito.

-          C-cos-… - .

-          Non giocare con me, Catherine Brown. – la interruppe prontamente, imprimendo nella voce nuovamente quella sottile ironia che era solito caratterizzarlo. – Ho fatto un buco in testa alla mamma e ho tagliato la gola a papà… - s’interruppe, per assicurarsi che la donna avesse afferrato il pieno senso dell’ultima frase. Quando vide il suo volto impallidire ulteriormente e gli occhi spalancarsi a dismisura, fu certo che avesse afferrato.

-          Nulla m’impedisce di-… - .

Senza sapere come, si ritrovò sbalzata all’indietro. L’asfalto freddo sotto le sue mani, poggiatesi sopra per frenare la caduta, a confermarglielo.

 

Hector sembrava impazzito.

Gli occhi cerulei si muovevano velocemente, cercando d’individuare il punto da cui era partito il colpo che l’aveva disarmato e che contemporaneamente gli aveva sottratto la preda.

Si trattava di un cecchino senz’ombra di dubbio, si ritrovò a pensare febbrilmente, anche se una parte di lui si rifiutava di accettarlo.

Ma chi altri avrebbe mai potuto sparare un colpo centrando in pieno il calcio della pistola che impugnava, disarmandolo e mancando nettamente il volto della ragazza, a pochi centimetri di distanza?

Un folle. O uno che sapeva fare bene il suo mestiere.

Ricordò di avere un’altra pistola nascosta all’interno della giacca del completo nero che indossava, ma non riuscì ad estrarla in tempo che sentì qualcosa di pesante colpirlo alle spalle, sbilanciandolo e facendolo precipitare a terra, su di un fianco.

Da quella posizione riuscì ad intravedere una moto di grossa cilindrata atterrare davanti a lui e frenare con una sgommata in prossimità della ragazza, che sembrava essere scioccata quanto lui da quell’intervento tempestivo, a tal punto dal non accettare, inizialmente, la mano che il conducente del motoveicolo le stava tendendo.

Approfittò di quel momento per tentare di recuperare nuovamente la pistola ed, estrattala dalla giacca, la puntò esattamente alle spalle dell’intruso.

Se non avesse avuto il casco, avrebbe puntato direttamente alla testa.

Ma prima ancora di prendere la mira si vide sfuggire nuovamente l’arma dalle mani, solo che quella volta il fottuto cecchino non gli risparmiò l’arto.

Impegnato a controllare i danni che aveva subito la mano, intravide con la coda degli occhi la moto allontanarsi a gran velocità, insieme alla ragazza.

 

Catherine non riusciva ancora a comprendere cosa fosse successo.

Un attimo prima era completamente in balia di Kunz, l’attimo dopo si ritrovava a sfrecciare a gran velocità nelle strade di Parigi – alcune delle quale lei, in quel momento, non ricordava affatto - su una moto guidata da un perfetto sconosciuto.

Il vento freddo della sera le sferzava la pelle… solo in quel momento si rese conto che aveva smesso di piovere.

Per quanto fosse assolutamente fuori luogo, non potè far almeno di considerare quello come l’ennesimo segno, sul quale si ripromise di ritornare più tardi, in un secondo momento, quando sarebbe stata assolutamente sicura di essere – anche se solo momentaneamente – in salvo.

Doveva ancora capire chi si fosse preso la briga di mettersi tanto in pericolo per lei, l’unica cosa di cui poteva essere certa era che – anche se inizialmente fosse potuto sembrare il contrario – le forme che era riuscita a individuare, per puro caso – nell’avvinghiarsi più strettamente possibile al corpo del conducente, per il timore di cadere – smentivano la supposizione secondo la quale fosse un maschio.

Presa da quelle innumerevoli fantasticherie, non riuscì a impedirsi di lanciare un urlo quando vide affiancarsi alla moto un’auto nera.

-          Don’t worry – fu sicura di sentir pronunciare dalla salvatrice.

Non poteva esserne totalmente sicura, il vento soffiava in maniera incredibilmente forte da confonderla, ma quello che aveva udito non sembrava essere affatto un accento inglese, sebbene la donna si fosse espressa in quella lingua. Che semplicemente non sapesse parlare francese?

-          D-dove stiamo andando? – si azzardò a formulare per constatare se le sue supposizioni fossero valide.

La risposta si fece attendere un po’.

-          Non temere – si limitò a replicare la donna, rispondendo positivamente in maniera implicita alla sua domanda ma non soddisfacendo la sua seconda curiosità, quella che in realtà le premeva di più.

Dovette accontentarsi di attendere il prossimo risvolto di quella strana vicenda, mentre l’auto nera della quale si era tanto spaventata prendeva un’altra direzione, scomparendo alla sua vista ma ricomparendovi subito dopo, seppur in lontananza.

 

 

 

***

 

 

 

Quillsh abbandonò l’auto nel parcheggio sotterraneo dell’hotel in cui alloggiava con Lawliet, facendo poi in modo che i numeri della targa si tramutassero in altri grazie ad uno dei particolari dispositivi che vantava di aver ideato e progettato.

Quando varcò la soglia della camera del ragazzo, lo vide raggomitolato nella sua solita posizione davanti al pc, questa volta attento e vigile come ricordava averlo visto fare tante altre volte.

Lui stesso aveva tenuto a specificargli che non si trattava di un caso complesso e che, al contrario, se si fosse trattata di un’altra circostanza gli avrebbe consigliato di lasciar perdere. Ma quella volta non aveva potuto.

-          È appena rientrata anche Wedy – lo informò Lawliet in quel momento, osservando il motoveicolo della ladra percorrere lentamente l’area di parcheggio di cui si erano assicurati l’esclusività, compreso il servizio di sicurezza notturno – composto da telecamere a infrarossi – di cui solo loro potevano disporre.

Non era stato difficile assicurarsi tutti quei privilegi in un arco di tempo tanto limitato, ne tantomeno rintracciare la donna – dal momento che Lawliet ne ricordava perfettamente la fisionomia, avendola incontrata personalmente per un caso puramente fortuito poco tempo prima – quanto, invece, organizzare velocemente, su due piedi, una ricerca che risultasse più fruttuosa di quella degli uomini che si erano trovati a contrastare.

A questo proposito, Lawliet si era ritrovato a sorridere divertito nel constatare la fortuna che avevano avuto nel trovarsi in una città che vantava uno dei più decantati musei del mondo.

Quando era riuscita a contattarla, Wedy era in procinto di effettuare un taglio circolare in una delle seicentosessantasei lastre di vetro che costituivano la piramide del Louvre, per puntare poi a diversi Delacroix di suo interesse. In cambio della sua collaborazione, ovviamente, L le aveva garantito la copertura necessaria da farla allontanare – successivamente al furto – quel tanto che le bastava per potersi rilassare e godersi in santa pace il frutto del suo ennesimo furto.

Al contrario, non era stato affatto facile rintracciare Aiber, impegnato ad organizzare una mega truffa a danno di diversi miliardari a Las Vegas. Troppo lontano per poterlo impiegare nel suo piano, aveva dovuto sostituirlo Watari, propostosi personalmente al posto del giovane uomo quando aveva compreso il rischio di perdere tempo.

Catherine Brown era stata tratta in salvo giusto in tempo, anche se ormai Lawliet era sicuro al quaranta per cento che le priorità degli uomini dai quali era inseguita non consistessero nell’ucciderla.

Le ricerche che aveva svolto sul conto della donna l’avevano condotto ad una delle maggiori famiglie di spicco dell’alta borghesia tedesca, il cui bilancio annuo – se fosse stato sottoposto ad un occhio non tanto più attento, quanto più pulito – sarebbe risultato anomalo a primo acchito.

La famiglia Kunzdal momento che Catherine aveva ereditato il cognome unicamente dalla madre – era coinvolta in innumerevoli traffici di armi e stupefacenti, egregiamente occultati da diversi membri delle più alte sfere della società ammanettate – a loro volta – ad altrettante persone di svariato spessore politico, che potessero garantir loro l’imputabilità in cambio di svariati favori.

Un circolo sconfinato di corruzione che no, non l’aveva di certo sorpreso – abituato com’era ad aver a che fare coi criminali della peggior specie - quanto infastidito.

Un bussare alla porta lo dissuase dal condurre avanti le sue congetture.

-          Ciao, Ryuzaki - .

-          Grazie per la collaborazione, Wedy - .

La donna si tolse finalmente il casco, liberando una cascata di capelli biondi e salutando con un cenno del capo Watari.

-          È nella stanza accanto, come mi avevi chiesto – si rivolse a quest’ultimo la donna, vedendolo risponderle con un sorriso accennato, mentre le sue mani – smessi i guanti da cecchino – indossavano quelli da semplice maggiordomo, offrendole una fetta di torta alle fragole che lei tenne a rifiutare con garbo, sorridendo e sollevando una mano per sottrarsi all’offerta.

-          Se è tutto, andrei - .

-          I Delacroix sono coperti da un fitto sistema di sorveglianza a infrarossi zigzagato – la informò il detective, spingendosi in bocca un pasticcino alla crema chantilly mentre con l’indice e il medio della mano destra si concentrava sulla barra di scorrimento che gli consentiva di inquadrare totalmente la sala in cui erano i disposti i quadri di cui parlava.

Wedy sorrise compiaciuta.

-          Ne ero a conoscenza – rispose, dando una rapida occhiata al monitor su cui era concentrato Ryuzaki – che doveva aver fatto quelle ricerche per lei, pensò, per ricambiarle momentaneamente il favore - accingendosi poi ad infilare nuovamente il casco per abbandonare la stanza e ritornare al suo lavoro. – Così come sono a conoscenza delle quattro telecamere disposte agli angoli del perimetro circondante La furia di Medea – .

-          Cinque - .

-          Cosa?! – chiesa la ladra, presa completamente alla sprovvista, avvicinandosi rapidamente al detective e attendendo che proseguisse.

-          Sono cinque le telecamere che circondano La furia di Medea - .

-          Ma come… ?- .

-          Hanno attivato la quinta nelle ultime dodici ore. – tenne ad aggiungere rapidamente Ryuzaki, comprendendo le perplessità della donna.

Non l’aveva scelta in qualità di sua occasionale aiutante per puro caso. Wedy era una professionista il cui margine di errore sfiorava – e mai superava – il sette per cento e che la rendeva migliore del sessanta per cento della cerchia di professionisti del settore di cui avesse potuto decidere di servirsi.

Doveva aver programmato quel furto da tempo, se si dimostrava tanto sbalordita.

-          È una misura cautelare aggiuntiva che hanno ritenuto opportuno aggiungere, dal momento che non è la prima volta che il quadro viene preso di mira – si dilungò nella spiegazione Lawliet, afferrando un biscotto ricoperto di glassa al cioccolato mentre alle sue spalle Wedy contraeva il bel viso in una smorfia d’indignazione.

-          Stupidi dilettanti! – non fece a meno di esclamare riferendosi a quanti, prima di lei, avessero tentato di mettere le mani su ciò a cui aspirava, fallendo miseramente e procurandole quel problema. Avrebbe dovuto pensare ad una maniera alternativa di arrivare al suo obiettivo.

-          Grazie, Ryuzaki – aggiunse infine, recuperando un tono calmo e professionale, dirigendosi a passo svelto verso l’uscita per potersi dedicare ad un piano B.

-          A presto – le rispose Lawliet col suo tono di voce basso prima che la donna abbandonasse la camera. Afferrò poi un altro biscotto e si sollevò dal divano per raggiungere la finestra.

Il cielo plumbeo conferiva a Parigi un aspetto affascinante per quanto – si ritrovò subito dopo a pensare – surreale. Dovette distogliere lo sguardo dallo spettacolo che gli si parava davanti per impedirsi di ritornare con la mente a quanto di più surreale gli fosse poco tempo prima accaduto.

In lontananza un fulmine squarciò con la propria luce il cielo nero.

Gli occhi neri di Lawliet si fermarono su Quillsh, indugiando sul riflesso che il vetro dinanzi a se, striato da lunghe e spesse gocce della pioggia che riprendeva a precipitare, rimandava dell’uomo. Non riuscendo a spiegarsene il motivo, gli risultava difficile sostenere la visione dell’uomo nello stato di profondo smarrimento in cui sembrava riversare. Erano abbastanza lontani, eppure Ryuzaki riusciva a vedere distintamente gli occhi chiari del suo tutore scrutare con apprensione la minuta figura femminile al di là del televisore che avevano collegato alle telecamere della stanza che occupava, esattamente accanto alla loro.

-          Sei riuscito a individuare il punto debole dell’organizzazione? - .

-          È il gestore del commercio oltre frontiera, Kurt Schimmer. – gli rispose subito Lawliet. - Basterà inviargli qualcuno abbastanza abile da fargli credere di volergli offrire il doppio degli introiti annui che è solito incassare limitandosi a lavorare con i Kunz. Ho già inviato ad Aiber tutti i dati di cui necessita, salvo imprevisti toccherà il suolo germanico tra quarantotto ore. Entro settantadue, l’ottanta per cento dei Kunz sarà dietro le sbarre - .

Quillsh Wammy sospirò profondamente.

Lawliet si strofinò i piedi, avvertendo improvvisamente lo stomaco farsi stranamente pesante.

-          In merito al codice che Hector Kunz ha chiesto alla ragazza – raggiunse nuovamente il mac su cui era solito lavorare, digitando una serie di codici per avere accesso ad un’area riservata. – C’è il quarantacinque per cento di probabilità che si riferisca ad un caveau situato in Svizzera, di cui era titolare la madre di Catherine - .

Strofinò nuovamente i piedi tra di loro.

-          Evidentemente è convinto che Catherine possieda la combinazione per entrare in possesso del contenuto del caveau -.

Lawliet stette in silenzio, limitandosi ad annuire, cercando di scacciare quella strana sensazione che sembrava avergli attanagliato il petto.

La pioggia si sostituì alle loro voci, riempiendo il silenzio che calò tra i due, poco dopo.

-          Forse è il caso che le vada a parlare - .

Lawliet lo vide sparire poco dopo attraverso la porta, sapendo in anticipo cosa avesse deciso di fare Quillsh in merito a ciò di cui avevano parlato prima di mettersi sulle tracce della ragazza.

Non era nella posizione di poter dire se fosse o meno la scelta giusta, era una cosa che spettava solo e unicamente a Wammy. Nessuno comunque ne sarebbe mai venuto a conoscenza.

Il coinvolgimento di Aiber serviva a creare una falla tale da far smascherare l’organizzazione da un membro interno a quest’ultima, escludendo quindi a priori un ipotetico coinvolgimenti del grande detective L.

V’era dunque l’un per cento di probabilità che la donna, una volta risoltasi la situazione, fosse stata creduta nell’eventualità in cui avesse deciso di andare a spifferare in giro di essere stata aiutata dal detective migliore del mondo.

Non comprendeva dunque, ancora una volta, il motivo per cui si sentisse tanto turbato.

Distolse lo sguardo spento dalla porta che aveva varcato ormai da un po’ Watari, voltandosi e dirigendosi nuovamente verso la finestra.

Nel farlo passò accanto ad una pila di dolci di svariato genere, ma non se ne curò.

Si ritrovò quasi inconsciamente a sollevare un braccio e appoggiarlo alla finestra, per poi poggiarci sopra la fronte, evitando di osservare il proprio riflesso ogni volta che un fulmine tornava a squarciare il cielo, illuminandolo, facilitandolo quindi nell’impresa.

Chiuse gli occhi, per poi riaprirli e fissarli sul cielo scuro.

Le campane avevano ripreso a suonare.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Delucidazioni:

 

-          Don’t worry = “Non preoccuparti.”

-          Delacroix =  artista e pittore francese di fine settecento/inizio ottocento.

-          La furia di Medea =  una delle svariate opere di Delacroix conservate nel Louvre di Parigi (chiedete a Wikipedia e vi sarà dato).

-          Tutto ciò che concerne la sicurezza per la salvaguardia dei dipinti all’interno del Louvre di Paris =  è inventato xD non ho la più pallida idea di come funzioni la sicurezza lì dentro, mi sono concessa una lieve quanto insignificante licenza d’autore ^  ^

-          Wedy e Aiber = rispettivamente ladra di professione e truffatore, ma immagino che li conosciate già ^  ^ sono presenti sia nel manga che nell’anime di Death Note, ordunque non sono personaggi miei. Qualora voleste dare una spulciatina sul web per avere più informazioni su questi due fate pure, ma sappiate che per quanto mi riguarda mi basta che ricordiate di cosa si occupino ^  ^’

 

 

 

Ringraziamenti:

 

-          Lirin Lawliet: Hai inserito la storia tra le preferite… *____* Grazie infinite! <3 Ti dirò, è la prima volta che creo un personaggio femminile con questi requisiti, solitamente le mie povere sventurate son tutte brune ^  ^ non so perché me la sia immaginata così… Io solitamente mi concentro sugli occhi. In un’atmosfera che richiama delle tonalità spente e neutre come quelle del grigio volevo qualcosa che spiccasse… ecco anche la scelta di far indossare alla protagonista un soprabito bianco (che, per giunta, l’accomuna tanto all’abbigliamento di L, che indossa una t-shirt candida ^  ^). Magari tutto questo ti sembrerà – com’è ovvio che sia – un vuoto farneticare >///< spero solo di aver fatto comprendere – a te come a chiunque altro stia leggendo la storia – che le mie scelte, anche le più banali, non sono casuali ^  ^ per ogni cosa c’è un perché… spero che questo non renda troppo difficoltosa la comprensione >__>… ad ogni modo, grazie per aver recensito nuovamente! *___*

Ps: Oh My God, la ff su Saiyuki! xD “Il filo rosso del destino” presumo ^   ^ accidenti, grazie! Visto che hai introdotto l’argomento colgo l’occasione per farti sapere che quella non è stata abbandonata, ma a lungo andare il mio modo di scrivere si è trasformato un tantino… non mi riconoscevo più in quello che scrivevo e siccome tengo molto alla storia (dal momento che è stata la prima storia in assoluto che abbia deciso di pubblicare su efp) ho deciso di concedermi una pausa per poterla revisionare e trascriverla nuovamente, quindi presto o tardi ve la ritroverete di nuovo tra i piedi ^  ^

 

-          Fe85: Tranquilla, anch’io non mastico il francese ^  ^ per la frase – a mio dire - più complessa (quella, per l’appunto, della sigaretta xD) ho utilizzato uno dei banalissimi traduttori che mette a disposizione il web ^  ^’

Io mi chiedo: come si fa a non adorare Watari? *___* viene calcolato pochissimo nella storia originale, proprio per questo motivo ho deciso di coinvolgerlo nella mia… chissà…

Grazie per tutti questi complimenti ^///^ alla prossima!

 

-          kiriku: Benvenuta! *___* Grazie per esserti soffermata a leggere la mia ff e grazie per tutti i complimenti! >///< guarda, ti posso assicurare già da adesso che non passeranno anni tra un capitolo e l’altro J solitamente ciò mi capita quando mi metto in testa di scrivere una ff abbastanza lunga, cosa che – almeno provvisoriamente, chissà che poi non cambi idea! – non ho intenzione di fare con questa. Come avrai potuto leggere (spero) fondamentalmente L è già arrivato al nocciolo di tutti i problemi della povera disgraziata a cui s’è trovato a dare asilo. I capitoli saranno concentrati sul percorso introspettivo che si ritroveranno a fare un po’ tutti quelli che fino ad ora ho coinvolto… quindi… spero vivamente di non annoiarti ^  ^’ conto comunque sul fatto che tu, eventualmente, me lo faccia sapere! Ciao e grazie per aver aggiunto la mia storia tra le preferite! *___*

 

Un grazie a GokuMiciaNera per aver aggiunto la mia storia tra le seguite *inchino* e un grazie immenso, infine, ai lettori silenziosi che continuano a leggere questo mio bizzarro parto ^   ^

 

 

 

 

HOPE87

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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