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Autore: Otella    27/08/2010    6 recensioni
"Pur essendosi sempre saputa, mai s'era potuta riconoscere così" In tempi di rivoluzione,Maria Antonietta si aggira per le strade di Parigi, riscoprendola meravigliosamente sua e conoscendo finalmente se stessa. Una donna coraggiosa.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Marie Antoinette
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maria Antonietta. Un personaggio storico a mio parere sottovalutato e non sempre riconosciuto per quel che era. La mia one-shot, scritta di getto con La vie en rose in sottofondo, riporta i suoi pensieri e i suoi ricordi all'alba di un nuovo scontro, in una Parigi che,nonostante la rivoluzione, continua a vivere.

Le citazioni e i piccoli accorgimenti li troverete alla fine della fanfiction.

La mia Parigi e me

-Unico atto-

Parigi splendeva maestosa nel suo acceso romanticismo. Non era ancora l’alba, eppure già teneri raggi accarezzavano le vie della città, elegante nel suo brusio. Non si udivano,infatti,molte voci. Soltanto rumori lontani, che provenivano dalle casupole malridotte,o da angoli indefiniti della strada. Notre Dame, al contrario, si ergeva silenziosa, nessun sussurro al suo interno. Ne uscì una donna alta e slanciata, certamente una nobile a giudicare dal vaporoso vestito di mussola azzurro, che sprizzava innocenza e sobrietà. L’andatura appariva elegante e aggraziata, tuttavia aguzzando lo sguardo si poteva notare un leggero zoppicamento.  Un mantello scuro, non certo nero, ma scuro, l’avvolgeva, impedendo a chiunque di rilevare l’identità di quella misteriosa figura.

Neppure lei la conosceva. L’aveva dimenticata. Maria Antonietta d’Asburgo Lorena. Principessa d’Austria. Madame la Dauphine. La Reine di Francia. E infine cittadina Capeto, moglie di Luigi Capeto. Gli abiti erano cambiati, il contegno che aveva assunto non era stato mai lo stesso, mutava a seconda del ruolo che ricopriva. Ed in tutto ciò si sforzava d’esser anche una buona madre, come Maria Teresa lo fu per lei, e una buona moglie, nonostante la sofferenza per il matrimonio combinato. Voleva bene a suo marito, tant’è che gli stava ancora accanto,invece di fuggire a Metz, una delle roccaforti più imprendibili d’Europa. Eppure quella mattina, quell’alba voleva che fosse soltanto sua. Con la complicità della figlia maggiore, Mousseline, e di Madame Campan era riuscita a fuggire per un po’ dal palazzo delle Tuileries, dove il popolo teneva prigioniero il re Luigi XVI e la sua famiglia. Sapeva che se la Guardia Nazionale o ,peggio, qualche rivoluzionario l’avessero trovata sarebbe finita nei guai. Probabilmente uccisa prima del giorno previsto, seppur ancora non vi era alcuna notizia della sua esecuzione. La speranza non l’abbandonava. Parigi le dava speranza.

Ormai lontana dalla cattedrale, si ritrovò a percorrere gli Champs Elysees, con la morte nel cuore. L’Avenue des Champs Elysees era divenuta una via alla moda, negli ultimi tempi, lungo la quale la Regina soleva passeggiare con le amiche, ammirandone gli alberi, alcuni ancora in piedi,altri semidistrutti. La rivoluzione non aveva del tutto intaccato la purezza di quell’isola felice. Non si poteva dire lo stesso del Grand Hotel de Crillon. Sede delle tanto amate lezioni di musica, adesso non ne restavano che rovine. Probabilmente i gestori erano fuggiti o l’ondata d’odio della povera gente aveva colpito anche loro. Maria Antonietta sospirò nel fermarvisi di fronte. Una lacrima le si formò all’angolo dell’occhio sinistro e scivolò lungo la guancia, non più liscia e fresca come quella di un tempo. Ed infine cadde, perfetta, al suolo, tra quelle macerie, una sorta di omaggio della Regina, un segno del suo passaggio che nessuno avrebbe mai notato. Riprese a camminare. Non le restava molto tempo, tra un’ora o poco più le guardie sarebbero andate a perlustrare la stanza, svegliandola, e costringendola ad affrettare la cerimonia della vestizione. La cerimonia della vestizione. Ricordava bene quella di quand’era ancora l’ingenua e curiosa Dauphine. La contessa di Noailles, Gran Maestra della casa di Versailles, dava inizio alla giornata della sovrana insieme a numerose dame d’alto rango, che le facevano indossare i suoi abiti da mattina, le sue scarpine col tacco fino, le porgevano asciugamano e guanti. Adesso tale cerimonia era divenuta una sofferenza. Nonostante la comprensione e la pazienza di alcune cameriere, Maria Antonietta impiegava un’eternità a vestirsi: si muoveva con difficoltà a causa della sua gamba malata. Eppure un tempo aveva danzato, piroettato come una ballerina professionista nei grandi saloni di Versailles, nelle occasioni di numerosi balli indetti da lei stessa. Ve ne era uno per ogni evento: il compleanno del marito o dei figli, l’inaugurazione del Trianon o di Hameau, un semplice personale capriccio.

Pose un freno ai suoi pensieri una volta giunta di fronte alla Conciergerie. L’anticamera della ghigliottina. Maria Antonietta sapeva che il suo popolo l’avrebbe presto condotta in quella prigione, per poi farla uscire soltanto nel giorno della morte. Sapeva che il suo popolo mai l’avrebbe perdonata, per il suo irrefrenabile desiderio d’esserci, per il suo sfrontato egoismo, per la sua eccentrica vanità. Ma nonostante ella si disprezzasse profondamente, non riconosceva se stessa in nessuno di questi crimini, vizi, difetti. Il suo popolo, i suoi cortigiani, gran parte delle sue dame e neppure il marito avevano mai scoperto l’identità della loro Regina. Le avevano ricoperto il volto con troppe maschere, che mutavano a seconda delle circostanze. Maria Antonietta, pur adeguandosi alle esigenze eccentriche di questi matti (“Fai sempre quel che dicono i francesi,per quanto ti possa apparir ridicolo!” le suggerì sua madre, Maria Teresa d’Austria, prima del matrimonio), non dimenticava la propria identità. Sapeva che il suo desiderio d’esserci era puro, senza alcuna implicazione negativa che la incriminasse. Sapeva che il suo sfrontato egoismo era soltanto istinto di sopravvivenza, fondamentale in quella corte, dove la presenza dell’Autrichienne veniva continuamente bistrattata e minacciata. E sapeva,infine,che la sua vanità altro non era che insicurezza, senso di inadeguatezza in un mondo così lontano dal suo, da Schonbrunn, da Vienna, teatro della sua bontà, dalla amata madre. Ma il coraggio le venne in aiuto. Soldato del reggimento, sii forte, sussurrò fra sé, rimembrando le parole di una ballata che cantava quand’era una bambina.

Il sole si fece più splendente. Con passo deciso, seppur lievemente zoppicante, la Regina Maria Antonietta di Francia si diresse verso il Palazzo delle Tuileries , andando incontro al suo destino. Adesso sapeva d’esser stata una donna coraggiosa. Nessuno sarebbe venuta a salvarla. Né Fersen, né Oscar, ne Giuseppe, suo fratello. Avrebbe dovuto provvedere lei stessa a preservare la sua anima e ad offrire la sua innocenza a Dio e al popolo. Che meravigliosa sensazione. Lei conobbe se stessa,perché pur essendosi saputa,mai s’era potuta riconoscere così.

Piccole note:

-I luoghi citati esistono realmente. Non so se Maria Antonietta avesse mai varcato la soglia della Cattedrale di Notre Dame (suppongo di sì!), ma adorava davvero passeggiare lungo gli Champs Elysees, così come prendeva lezioni di musica al Grand Hotel Carillon.

-La cerimonia della vestizione è una libera ispirazione ad una scena analoga del film "Marie Antoinette", diretto dalla meravigliosa Sofia Coppola.

-I personaggi citati, a parte, ovviamente, Lady Oscar, esistono realmente.

-La frase pronunciata dalla regina Maria Teresa ("Fai sempre quel che dicono i francesi, per quanto ti possa apparir ridicolo!"), il soprannome di Mousseline attribuito alla figlia di Maria Antonietta e la canzoncina "Soldato del reggimento,sii forte" , sono tratte dall'opera narrativa "Il diario segreto di Maria Antonietta" di Carolly Erickson.

-Infine, la citazione finale " Lei conobbe se stessa,perchè pur essendosi sempre saputa,mai s'era potuta riconoscere così" è di Italo Calvino, da "Il barone rampante".

  
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