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Autore: harinezumi    29/08/2010    2 recensioni
Arthur Kirkland è un impegnato banchiere a Londra, che sembra impiegare il proprio tempo solo ad accumulare denaro. ma un giorno eredita la villa dello zio in Francia, dove riscopre emozioni che aveva da tempo soppresso.. {una rivisitazione in chiave "hetaliana" del film omonimo del 2006; probabilmente lo ammazzerò a colpi d'ascia, siete avvertiti *-*}
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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capitolo due – in cui Arthur viaggia in una cassa verdognola

 

Arthur uscì con aria seccata dalla porta girevole dell’aeroporto di Avignon, alzando gli occhi sul parcheggio davanti a sé. Erano tutte auto nuove con targa e guida all’europea, prenotate da uomini d’affari in viaggio quale era lui; proprio per questo erano più che altro grosse Audi o Mercedes, ed Arthur non si sarebbe mai aspettato di arrivare al suo parcheggio numerato e di trovarvi una Smart color pisello.

Rimase a fissarla a bocca aperta per un po’, senza capire se quella fosse la realtà o un incubo, poi telefonò immediatamente a Matthew.

«Idiota!! Che razza di auto mi hai preso?!» gli sbraitò al telefono, mentre l’assistente cercava di squittirgli delle scuse in proposito.

Arthur era riuscito a salire in macchina, nonostante fosse poco più grande di un cassonetto, ma per quanto ci provasse non capiva come spegnere lo stereo, che come se non bastasse era bloccato su un programma radio il cui cronista parlava in forbito francese.

Cercò anche di prenderlo calci, dopo che si fu liberato del cellulare, dato che le scuse di Matthew lo avevano fatto infuriare ancora di più.

«Oh, andiamo, non esiste…» strillò, quando il volume dello stereo prese ad alzarsi da solo nel mezzo di una canzone. E non trovava nemmeno un’uscita dal dannato parcheggio dell’aeroporto, aveva la sensazione di essere passato almeno un milione di volte a tutti gli stop e non riusciva a capire un accidenti di cosa dicessero i cartelli.

Cercava di seguire le istruzioni riportate da Matthew su una cartina per raggiungere la villa, ma non riusciva a leggere i nomi delle strade con chiarezza, essendo impegnato a reggere la mappa sul volante e a guidare. Fu più di una volta sul punto di gettarla fuori dal finestrino, che teneva aperto come il lunotto sul tettuccio, dato che faceva piuttosto caldo a girare le stradine di campagna in cui si era perso.

Ad un certo punto, notò un gruppo di ciclisti a lato della strada, e con un sorrisino demoniaco alzò il braccio facendolo sbucare dal tettuccio, il dito medio alzato.

«Louis Armstrong!*» urlò contro ai francesi, che presero immediatamente ad insultarlo pesantemente, mentre sfrecciava via con il braccio bellamente sollevato.

Si arrese dal cercare pochi minuti dopo, fermandosi ad un incrocio deserto per l’ennesima volta. Aveva probabilmente perso l’appuntamento con il notaio nel suo girare a vuoto per la campagna francese; così telefonò nuovamente a Matthew.

«Devi aiutarmi» gli disse, in tono molto conciliante nonostante si ricordasse ancora in che auto del cavolo lo aveva spedito via l’assistente. «Usa il tuo GPS… il mio spiega schifosamente in francese e la radio non si spegne, ci parla sopra! E sposta il mio appuntamento con il notaio a domani».

«Ti fermerai lì per la notte? D’accordo, ora gira a destra…» mormorò diligentemente Matthew, seguendo probabilmente il percorso di Arthur dal proprio iPhone.

«Non vedo alternative! Chissà perché ho la sensazione che sia tutta colpa tua, ho seguito le TUE istruzioni!»

«Ehm… o-ora gira di nuovo a destra, dovrebbe essere in quella via dove sei, una laterale…»

***

Arthur non credeva che sarebbe riuscito a notare la famosa laterale di Matthew, una specie di sentiero allargato con a fianco un cartello nascosto dalle erbacce. Lo sorpassò prima di fare retromarcia, invitato dal GPS francese, che solo in quel momento servì a qualcosa.

Con un sospiro di sollievo, di lì a cinque minuti aveva parcheggiato lungo il viale alberato della villa di zio Henry, che troneggiava immersa nel verde su un vigneto. Il sole stava tramontando, rendendo quel piccolo pezzo di campagna francese meraviglioso e sterminato agli occhi di Arthur, abituato alla freddezza delle strade di Londra.

Il cielo era arancione e il sole stava sparendo dietro alle collinette verdi, quasi totalmente prive di abitazioni. C’era profumo di terra e gli uccelli cinguettavano tra le fronde, mosse dal familiare vento che Arthur ricordava così bene.

Proprio perché incantato da quella visione, non entrò subito in casa, prese soltanto le chiavi che aveva chiesto gli fossero lasciate sotto una pietra. Si mise in cammino per il parco, rimasto in camicia dato che la giacca del completo l’aveva abbandonata in auto, e si sorprese a ricordare tutto ciò che aveva vissuto in quel giardino assieme ad Henry.

Salì sul trampolino della piscina ora vuota e piena di melma e sterpi, molleggiandosi un paio di volte; fece visita al campo da tennis, gli sembrava quasi di sentire lo zio dirgli, dopo la sua sconfitta, “non è importante vincere sempre, l’importante è non perdere troppo spesso”. Si ritrovò a passeggiare lungo i vigneti, sfiorandone le foglie con una mano e un sorriso sulle labbra.

Si chinò, afferrando una manciata di terra sotto ad una delle vigne, ed annusandola. Starnutì immediatamente, gettando via quella robaccia con un’espressione disgustata, quando una voce lo sorprese, parlando da dietro di lui.

«C’è il fertilizzante, imbecille».

I suoi occhi si spostarono dietro di sé, su di un ragazzo bassino che lo fissava, il volto abbronzato sporco di terra e un’espressione imbronciata sul viso. Aveva gli occhi scuri, ambrati e penetranti e un buffo ciuffo di capelli castani arricciato che gli spuntava sulla fronte. Sicuramente era più giovane di Arthur, e aveva tutta l’aria di un povero straccione, luridi com’erano i suoi abiti.

«Non puoi essere Vargas…» mormorò Arthur, senza prestare troppa attenzione all’insulto che gli era stato rivolto (lo aveva capito anche se non era nella sua lingua), tanto era sorpreso.

«Ed invece sono proprio io! Chi saresti? E che cazzo ci fai qui?» sbottò il ragazzo in un inglese stentato. Prima si era rivolto a lui in un francese altrettanto stentato.

«Sono Kirkland. Pensavo di passare qui la notte».

Il ragazzo emise uno sbuffo seccato. «Non bighellonare per le mie vigne, idiota! Sono il nipote di Vargas, che si occupava della produzione del vino quando tu sei stato qui. Mi avevano avvertito che saresti arrivato».

«Come ti chiami? Ah, e conoscevi mio zio?» chiese Arthur, sentendosi subito dopo piuttosto idiota a porre una domanda simile. Anche il ragazzo sembrò pensarlo, e le sue sopracciglia si aggrottarono.

«Mi pare evidente che lo conoscevo! Ma voi inglesi siete tardi o cosa? Mi chiamo Lovino» rispose, presentandosi visibilmente controvoglia. «Io e quel povero idiota di Antonio ci prendiamo cura del vigneto e della casa. A dire la verità, qui ci sto solo io perché il bastardo preferisce fare la cameriera e rassettare».

«Ah! Mi ricordo di Antonio!» esclamò Arthur. «Dov’è adesso?» chiese, sperando di liberarsi di quel ragazzino, troppo irascibile per i suoi gusti. Era certo poi che dall’espressione di Lovino la voglia di fuggire fosse lontano reciproca.

Vide l’altro arrossire fino alla punta dei capelli e abbassare lo sguardo, restando in silenzio per un po’. «E che m’importa!!» gridò inaspettatamente il ragazzo alla fine, girando i tacchi e correndo via, lasciandolo solo e imbambolato.

«Ho fatto soltanto una domanda…» mormorò Arthur, mentre seguiva confuso con gli occhi Lovino che spariva dietro la villa. Ricordava che il signor Vargas abitava in una casetta poco distante, collegata alla tenuta da un sentiero, un breve tratto di strada; ma non aveva molta voglia di seguire quel ragazzino così ostile, così tornò sui suoi passi.

Con un sospiro, notò che si era macchiato la camicia di terra, e la tolse con stizza, gettandola sul letto di quella che era stata la stanza di Henry. Era ancora tutto come lo zio l’aveva lasciato, c’era persino un bigliettino sul tavolo della cucina per lui. Probabilmente era stato Antonio scriverlo e a lasciare per lui una cena molto migliore di quella che si sarebbe potuto preparare da solo.

Gli fece una certa impressione dormire alla villa, e per quanto stanco fosse non riuscì ad addormentarsi per parecchio tempo. Continuava a fissare il soffitto, sperando di poter fuggire presto da quella tortura. Non avrebbe ammesso neppure a sé stesso quanto quel luogo gli fosse mancato.

***

La mattina Arthur si svegliò molto più allegro del giorno prima, perché quello era il giorno in cui avrebbe detto addio per sempre ai troppi ricordi che lo avevano tormentato fino a notte inoltrata. Con un sorriso enorme, nonostante nessuno potesse vederlo, scese in cucina e cominciò a cercare del tè.

Purtroppo per lui sembrava che lo zio Henry fosse un caffeinomane incallito, perché c’erano unicamente pacchetti di quella bevanda in ogni sportello della cucina in cui aveva guardato, ma di tè neanche l’ombra.

Arthur cominciò a inveire pesantemente contro la cucina, gettando sul tavolo tutte le inutili moke e macinacaffè che riusciva a trovare. Si arrese solo quando, aprendo il frigorifero, vide che era rimasta almeno una bottiglia di latte.

Senza nemmeno leggere la data di scadenza, cominciò a berlo a canna, quando qualcuno dietro di lui lanciò un urlo di gioia. Ovviamente ad Arthur andò di traverso tutto ciò che stava bevendo e si versò anche il resto del latte in faccia, mentre sbattendo le palpebre e tossendo si voltava verso la causa del suo soffocamento.

«Arthur! Sono così felice di vederti!!» esclamò il ragazzo abbronzato che era appena entrato in cucina. Quando lo aveva visto, aveva lasciato immediatamente la cassa di pomodori che reggeva tra le mani ed era corso ad abbracciarlo, dando all’inglese giusto il tempo di riconoscerlo.

Mentre Arthur cercava di divincolarsi gentilmente dalla presa di Antonio, quello continuò a dire quanto fosse felice di averlo lì, che Lovino non era per niente carino con lui e dopo la dipartita di Henry si era sentito così solo… fortunatamente Arthur sarebbe rimasto con loro adesso! Etc etc; da parte sua, Arthur aveva balbettato soltanto qualche parola di circostanza, e tirò un sospiro di sollievo quando Antonio decise di preparargli la colazione.

Era esattamente come se lo ricordava, a parte il fatto che era cresciuto in altezza; aveva ancora quei capelli castani e spettinati, quegli enormi occhi verdi e un’espressione da bambino sempre stampata sulla faccia.

«Mi parlavi di Lovino prima… Quel ragazzino si occupa veramente di tutto il vigneto adesso? Che fine ha fatto suo nonno?» domandò Arthur, una volta che si fu seduto fuori a fare colazione, nel medesimo tavolino dove tanto tempo fa giocava a scacchi con lo zio. In qualche strana maniera, Antonio aveva trovato il tè e ora gliene aveva servita una bella tazza fumante.

«Nonno Vargas? Nessuno sa dove sia. Lovino è italiano, è arrivato poco dopo che tu sei tornato in Inghilterra» spiegò allegramente Antonio, legandosi una bandana alla fronte e impugnando una scopa, parlandogli dalla porta della cucina. Sembrava trovare divertente il mettere in ordine quella villa enorme. «È così carino quando vuole! Ma immagino ti abbia trattato in maniera improponibile appena ti ha visto. È fatto così».

«Sta ancora nella casa del nonno?»

«Si, tutto solo, pensa! Ogni tanto vado a trovarlo, ma rifiuta il mio aiuto… da quando i miei sono tornati in Spagna, io sto con un ragazzo in paese».

Arthur rabbrividì, sperando ardentemente di aver capito male. Certo Antonio non era il tipo che si faceva problemi a parlare di tutto, ma lui di certo avrebbe preferito non conoscere certi… particolari privati.

«È così gentile da farmi abitare con lui, anche se ha sempre molto da fare con il suo bistrot… non ha nemmeno il tempo per trovarsi qualcuno!» rise Antonio, fugando i dubbi di Arthur, che sospirò di sollievo. «Anche se credo sia gay».

Arthur cercò di non soffocarsi di nuovo con il tè, ma fortunatamente conversazione con Antonio s’interruppe lì, quando il suo cellulare squillò. «P-pronto?» chiese l’inglese, senza fiato.

«Ah! Ehm, ti volevo dire che il capo ha chiesto di vederti, questo pomeriggio alle cinque» balbettò la voce di Matthew, come sempre fin troppo timido e nervoso. «Dovresti farcela, l’appuntamento con il notaio è alle undici di questa mattina, perciò hai ancora più di un’ora…»

Arthur, che fino a quel momento era stato a sentire con pazienza anche se si trattava di Matthew, lo interruppe con orrore. «L’appuntamento è all’ora tua o ora mia?»

Dall’altro capo del telefono si allungò un silenzio inquietamente. Poi, l’assistente si schiarì la voce timidamente, rispondendo con un filo di voce: «Ora tua…».**

«Cazzo! Matthew!» sbraitò Arthur, sbattendogli il telefono in faccia e alzandosi in piedi di scatto per raggiungere la camera di zio Henry ed infilarsi i vestiti in fretta, tanto che per poco non si mise i pantaloni al contrario. Ignorando Antonio che gli aveva posto una domanda, uscì di casa e si mise alla guida della sua Smart-pisello, premendo l’acceleratore a tavoletta.

Matthew osò richiamarlo proprio mentre cercava di rintracciare la strada per il paesino vicino alla villa di Henry, balbettando qualcosa a proposito di un enologo per controllare il vigneto e di foto della tenuta che intendeva utilizzare per la vendita. Arthur cercò di scrivere l’e-mail alla quale inviarle e nel contempo guardare la strada, ma la sua impresa fallì miseramente.

Il cellulare gli cadde di mano finendo sul tappeto del sedile del passeggero, così con un poco elegante «Cazzo!», Arthur si chinò ad afferrarlo, dato che il tratto di strada era rettilineo e non prospettava di finire fuori strada.

Non aveva notato il ragazzo in bici che arrivava dalla parte opposta della stretta stradina di campagna. Quel tipo fischiettava allegro, in occhiali da sole e con tanto di jeans e camicia aperta svolazzante attorno ai suoi fianchi. Aveva i capelli biondi lunghi sulle spalle e un’espressione totalmente priva di pensieri, almeno finché non vide la Smart di Arthur venirgli addosso.

Il suo braccio andò pesantemente a sbattere contro uno degli specchietti, e il ragazzo perse il controllo del manubrio, finendo fuori strada ad una velocità strabiliante, senza nemmeno avere il tempo di sorprendersi per cotanta idiozia mostrata dal suo investitore, che non si stava nemmeno fermando a soccorrerlo.

Arthur infatti rialzò la testa solo quando fu almeno cento metri più in là, stringendo vittorioso il cellulare tra le mani e ignaro del francese steso a terra sul fieno poco più indietro che lo malediva in un sacco di modi coloriti.  

Certo non si sarebbe scordato facilmente di quel pisello verdognolo che l’aveva quasi ammazzato.

***

Arthur era ancora abbastanza seccato quando parcheggiò davanti allo studio del notaio, ma era riuscito ad arrivare in ritardo di soltanto pochi minuti. Non si era affatto aspettato di trovare una donna ad aprirgli, ed in più che lei stessa si rivelasse essere il notaio.

Era molto giovane e molto carina, e nonostante fosse vestita con una certa professionalità, Arthur non mancò di notare gli eleganti tatuaggi che aveva intorno alle caviglie.

E quella lì sarebbe un notaio?, pensò, alzando un sopracciglio, ma rimase ad ascoltare tutto quello che lei aveva da dire. L’unico punto che gli stava veramente a cuore era comunque come vendere il prima possibile la villa di Henry ed andarsene da quei ricordi per sempre.

«Lei sa, naturalmente, che la famiglia Vargas coltiva quel vigneto da più di trent’anni, producendo il vino della tenuta…» disse ad un certo punto la donna, risvegliando Arthur dai suoi pensieri piuttosto poco raffinati sulla sua scollatura. «Cosa intende fare a proposito?»

«Non m’interessa che Lovino Vargas mantenga il suo lavoro, se è questo che intende. Voglio soltanto vendere… in questi casi si consegna agli interessati una liquidazione» sbottò Arthur, fissandola ora negli occhi, cinico e lapidario.

La donna si sistemò gli occhiali sul naso, senza commentare. Eppure Arthur ebbe la sensazione che lei si stesse facendo un’opinione ben poco nobile di lui; del resto, quello che contava di più era soltanto tornare a casa il prima possibile. «Abbiamo finito, quindi» gli rispose, con un sorriso glaciale.

***

 Arthur gettò con uno sbuffo la propria valigia nel portabagagli di quella che si spacciava per un’auto, tornando indietro per chiudere la porta della villa a chiave. Purtroppo per lui, s’imbatté in Lovino prima di poter entrare in macchina.

Il ragazzo veniva di corsa dal vigneto e attirò la sua attenzione con un «Ehi! Fermati, bastardo» poco gentile, ma che costrinse Arthur a fermarsi e a voltarsi verso di lui.

«Vuoi vendere La Siroque***?» domandò Lovino, con il fiato corto, fermandosi fremente a pochi passi da lui.

«Le notizie corrono veloci…» fu tutta la risposta di Arthur, che aprì lo sportello dell’auto.

«Ehi, non provare a scappare! Non è questo che tuo zio avrebbe voluto!» Lovino si avvicinò ancora, ma l’inglese era già salito in macchina e aveva richiuso la portiera. «Io amo questo posto, amo far crescere le viti… Non pensi a me?! E ad Antonio, l’unico posto dove può stare è qui! I suoi genitori non lo possono neppure mandare ad un’università decente e… sarà costretto a tornare in Spagna…». Il tono di Lovino si era curiosamente fatto emotivo nel nominare Antonio, e il ragazzo si era aggrappato al vetro del finestrino mezzo aperto, ma Arthur sbuffò soltanto.

«Senti, ho intenzione di darvi dei soldi…» mormorò, mettendo in moto con aria seccata.

«Pensi di andartene da qui e toglierci tutto questo così?» urlò Lovino, staccandosi finalmente dall’auto e tirando un calcio ad uno dei pneumatici, rosso in volto.

«Spiacente. Ci vediamo» rispose con un sorriso Arthur, inforcando gli occhiali da sole e partendo.

Fu soltanto quando si ricordò delle foto che doveva scattare per la vendita della tenuta che frenò bruscamente, sbuffando con rassegnazione e raccogliendo il cellulare, uscendo di nuovo dall’auto. Lovino fortunatamente si era già levato dai piedi nel tempo che ci aveva messo a percorrere il viale fino in fondo.

Cominciò a scattare foto a caso con il suo iPhone, cercando di essere almeno in parte artistico nei suoi scatti, che però restavano comunque penosi. In particolare, se le foto del parco erano accettabili, quelle della villa erano orrende.

Ma da trampolino della piscina c’era sempre stata un’ottima visuale della facciata della casa, così Arthur vi salì sopra, sollevato di essersi ricordato quella trovata. Non fece caso allo scricchiolio che si sentì provenire dall’asse, era troppo impegnato ad trovare una buona inquadratura.

Il trampolino si spezzò proprio quando stava per fare un passo verso la “terra ferma”, lasciandolo cadere con un rovinoso schianto a faccia in giù nello strato di melma che popolava la piscina vuota.

Arthur ci mise un po’ per rendersi conto di cos’era successo, era stato sul punto di perdere seriamente i sensi per quello scherzo che gli era stato giocato da quel dannato trampolino. Ma si sentì decisamente più male quando vide che non c’era nessuna scaletta intorno per farlo uscire da quella prigione; i bordi della piscina, del resto, erano troppo in alto perché lui riuscisse anche solo a sfiorarli.

E il cellulare?, si ricordò con un barlume di speranza negli occhi.

Il cellulare era volato sul bordo della piscina e non dava cenno di cadervi all’interno, per quando spuntasse leggermente. Arthur imprecò. Sentiva che il telefono stava vibrando per una chiamata, ma comunque non sarebbe bastato per sbilanciarlo e farlo finire nella piscina.

Probabilmente era Matthew a telefonare, preoccupato che prendesse l’aereo; e Arthur temeva che l’avrebbe perso veramente, visto che nessuno aveva sentito le sue grida e non si sentiva certo tanto atletico da arrampicarsi lungo una viscida parete verticalmente, per quanto disperatamente ci provasse.

Rimanere intrappolato, però, gli sembrava decisamente una prospettiva peggiore che non prendere un aereo.

***

Arthur si risvegliò dalla sua disperazione quando sentì una voce schiarirsi sopra di sé. Alzò gli occhi, che andarono a posarsi su un ragazzo biondo dagli occhi celesti, che lo osservava con sufficienza e le braccia incrociate. Si trattenne dal chiedergli se fosse un parente di Lovino, a guardarlo così.

Dopo qualche attimo che si fissavano, Arthur, stizzito, si decise a parlare: «Oh, non si preoccupi per me. Sono l’addetto alla piscina! Mi intrappolo qui ogni giovedì, non serve salvarmi!»

Allargò le braccia con un sorrisino ironico, mostrando lo spettacolo dei suoi vestiti ormai sudici. Ma il ragazzo a bordo piscina non sembrava aver intenzione di parlare; per quanto irritante Arthur trovasse il suo comportamento, doveva ammettere che aveva un bel viso. E la camicia bianca che aveva indosso era quasi trasparente, non lasciava un granché all’immaginazione mentre il vento la teneva premuta sul petto del ragazzo.

L’inglese si riscosse in fretta da quei pensieri, ricordandosi improvvisamente che quel dannato tizio non lo stava aiutando per niente.

«È tua quella lavatrice verde parcheggiata accanto alla strada****?» domandò soltanto il biondino, squadrandolo con quello che sembrava un po’ troppo astio per un primo incontro. Aveva uno spiccato accento francese, con tanto di “r” leggermente moscia, ma gli si era rivolto in inglese.

«Come? Si…» mormorò Arthur, dimenticandosi di chiedere aiuto da quanto lo aveva sorpreso quella domanda.

«Capisco». Arthur cominciava seriamente ad arrabbiarsi per quell’espressione indignata sul volto del francese, che si avvicinò ai rubinetti della piscina, tornando un’ultima volta a rivolgersi all’inglese. «Sai nuotare?»

«Eh? Ma sei stupido? Certo che so nuotare…» fece appena in tempo a dire Arthur, quando quello gli lanciò un sorrisetto e aprì il rubinetto dell’acqua.

Senza pensare poi a godersi lo spettacolo, si voltò e tornò sui suoi passi, ignorando gli strepiti di Arthur che era appena finito sotto uno dei potenti getti d’acqua. Ci sarebbero volute probabilmente delle ore, ma per quanto bagnato come un pulcino sarebbe uscito da quella dannata piscina.

***

Arthur aveva speso tutto il considerevole tempo che aveva impiegato la piscina a riempirsi per inventarsi stupidi giochi. Spruzzava con la bocca getti d’acqua qua e là, tenendosi appena a galla. Fu un sollievo per lui riuscire ad afferrare il bordo della piscina e uscire, solo per stendersi spossato sul prato.

Chi diavolo era quello stupido francese che aveva tentato di ucciderlo?! Ma soprattutto, in che modo avrebbe spiegato al suo capo perché non era venuto all’appuntamento?

Sconsolato, prese il cellulare che stava ancora fieramente a bordo piscina e telefonò a Matthew, che lo informò che era stato sospeso per una settimana intera.

Fantastico. Avrebbe dovuto passare una settimana tra killer francesi per quanto sexy e quell’italiano così scorbutico, che già lo odiava di brutto per la faccenda della vigna… non che Antonio fosse una compagnia migliore, con quella sua esuberanza. E poi Arthur avrebbe dovuto tenersi tutti quei ricordi con zio Henry così vicini per tutto quel tempo.

Sarebbe stata la settimana peggiore della sua vita.

 

 

* questa scena c’è nel film e io la considero splendida xD Louis Armstrong, per chi non lo sapesse, è un ciclista americano che ha vinto il Tour de France diverse volte (e immagino non sia molto onorevole per i francesi che uno dei più importanti Tour ciclistici europei sia stato vinto da un americano!!).

** qui Arthur si arrabbia perché in Inghilterra sarebbero ancora circa le dieci, mentre in Francia sono già le undici per via del fuso orario. so che non c’era bisogno di questa precisazione, ma io continuavo a confondermi leggendo questo pezzo, quindi mi scuso se si rivela sbagliato °-° io e i fusi orari non ci capiamo.

*** La Siroque è il nome della villa di Henry nel film :D

**** non ho saputo resistere a fare questo commento idiota xD “lavatrice” è il termine che utilizzano di solito i conduttori del programma Top Gear per definire le auto di questo tipo *-*

 

 

____________________

ecco il secondo capitolo! mi scuso per lo stile così veloce nello scrivere u.u’ dovrò rivederlo. ma il problema principale mentre lo stendevo è stato quello di non allungare le cose :) in quanto voglio scrivere meno di dieci capitoli!

prima di tutto, due precisazioni:

so che a Lovino in realtà hanno dato 22 anni circa (quindi solo uno in meno di Arthur!), ma in questa storia avrà la stessa età di Feliciano, quindi è plausibile che Arthur pensi a lui come un “ragazzino”. Lovino inoltre è estremamente OC per quanto riguarda il suo rapporto con Arthur: anche se è molto orgoglioso, in Hetalia non si sogna mai di contraddire Inghilterra, ma qui purtroppo era necessario ^^

sono abbastanza perplessa anche sul comportamento di Arthur, comunque più avanti credo di aver scritto un po’ meglio, quindi anche il suo personaggio si sistema (e poi il mio beta non mi ha ancora corretto nulla perché è pigro u.u’ perciò questa è ancora la propria bozza della storia xD – aggiunta ora causa esami imminenti)..

volevo ringraziare chi ha letto il prologo e soprattutto rispondere *-*

to Ichibanme_Arisu: grazie mille della recensione :D poi.. n-no no, non è affatto una UsUk *cerca con gli occhi delle vie di fuga*.. a parte gli scherzi, la fine non l’ho del tutto scritta e sono ancora combattuta xD si vedrà! intanto direi che puoi goderti la stronzaggine di Arthur ancora a lungo u.u

that’s all folks!

harinezumi

  
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