Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Globulo Rosso    30/08/2010    3 recensioni
La sua vita era un ripercorrere incessante gli anni ormai passati. Il presente aveva ceduto il passo all’epoca ormai trascorsa, e gli occhi di Nonna Adelaide, ora, vedevano il mondo attraverso la patina grigia della nostalgia.
{Prima classificata al contest indetto da hotaru sul forum di EFP, "Il Cielo sopra Berlino", e ha ricevuto il Premio per lo Stile}
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Autore: Globulo rosso
Titolo:
Come dall’Inizio
Fandom scelto:
Originali
Frase scelta:  
23.Il mondo sembra oscurarsi al crepuscolo, ma io lo racconto,

come all'inizio, con la mia cantilena che mi tiene in vita.

Personaggi: Nonna Adelaide, Nipote –senza nome-
Rating:
Verde
Genere:
Introspettivo, Malinconico, Triste
Avvertimenti:
One-Shot, Fluff*, Missing Moment
Introduzione:

 

La sua vita era un ripercorrere incessante gli anni ormai passati. Il presente aveva ceduto il passo all’epoca ormai trascorsa, e gli occhi di Nonna Adelaide, ora, vedevano il mondo attraverso la patina grigia della nostalgia.


Note dell'Autore:
Questa storia è decisamente triste. Ho voluto dare voce ad una persona che con la sua non riusciva più a esprimere nulla. I ricordi, il passato. Una donna anziana che non fa altro che vivere di memorie sbiadite. La nipote, che non ha nome, l’ascolta ininterrottamente, animata dal suo amore verso Nonna Adelaide, verso le sue membra stanche che hanno sempre affrontato la vita in modo deciso e determinato. Insomma, è solo un qualsiasi ‘missing moment ’, che può avvenire a chiunque e in qualsiasi momento. Una specie di quadretto. Ho inserito il genere Fluff perché credo che il legame tra le due donne sia pregno di tenerezza e dolcezza. Spero non sia una sciocchezza. E’ una sorta di tributo ad una vita che si sta spegnendo. Bene. Buona lettura : D

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Come dall’Inizio

 

 

“Quest’esistenza è passata amaramente. Non mi ha soddisfatto.”

Nonna Adelaide è vecchia. Le ossa le scricchiolano ad ogni movimento, le mani tremano quando si tendono insicure verso il bicchiere d’acqua, posto a pochi centimetri da lei.

Nonna Adelaide ha tante cose da dire e così poco tempo per farlo. A volte, nel mezzo di un discorso importante, cessa bruscamente di parlare, spaesata. Si guarda intorno, la bocca aperta in una smorfia di inquietudine, e poi stringe i braccioli della sua carrozzella, come se volesse scusarsi.

“Scusa tesoro. Di cosa parlavamo?”

Sorride sempre. La dentiera le fa sporgere le labbra in avanti, trasformando quell’espressione in qualcosa di artificiale, quasi fittizio.

Sulla sua sedia a rotelle, Nonna Adelaide fissa fuori dalla finestra.

“Perché dici questo, nonna?” le chiedo, ma so già la risposta. Me l’ha detto milioni di volte. Continua a farlo, lo ripete incessantemente, come se volesse imprimermi nella mente che in quel mondo é passata anche lei.

“Ma come, dolcezza, me lo chiedi pure?” Già. Credo che la maggior parte delle volte sappia di ripetersi, ma che lo faccia volontariamente. E’ come un nastro rotto che continua a far vedere la stessa immagine. E a forza di fissarla, te la sogni di notte.

“Non lo so, non me l’hai mai detto.” Il medico ha raccomandato di assecondarla, di cercare di farla parlare. Più parla più la si costringe a concentrarsi. Più si concentra, più non fa caso al dolore.

Il tumore le divora i reni, come un verme che le mangia lentamente l’anima. Lei soffre, ma stringe i braccioli.  Quella poltrona è il simbolo della sua lotta.

“Non devi vivere di ricordi, sai, cara? Il passato non bussa alla porta del presente.”

“Non dovrebbe. Nel tuo caso lo ha fatto.” Avvicino il bicchiere alla sua mano, fissando da un’altra parte. Nonna Adelaide odia la compassione.

“Hai ragione. Questo è vero.” Afferra il bicchiere con estrema lentezza. L’acqua tremola sotto la sua debole presa.

“Allora? Mi racconti quando è successo?”

“Scusa tesoro. Di cosa parlavamo?”

Sospiro, scrollando la testa. Non ce la fa, lo sa pure lei. Manca poco.

“Parlavamo del nonno. Cioè, voglio sapere come vi siete incontrati. Perché il passato ti è venuto a trovare.” Sembra sorridere. Le labbra livide rivelano la dentatura artificiale.

“Bè. Non è una storia di guerra. Non è una storia di amore romantico o che altro. E’ solo una storia e basta. Se vuoi saperlo, comunque. L’ho incontrato nei campi. Era un bell’uomo. Davvero magnifico.” Per un istante leva gli occhi alla finestra, abbandonando l’oggetto del suo interesse, ovvero il bicchiere d’acqua. Poi torna repentinamente a fissare me, dall’altra parte del tavolo. Sembra più stanca, più debole, più prossima al sonno eterno. Così lo chiama lei, sonno eterno. Dice che è meno brutale e crudele. Fa sembrare l’addio al mondo qualcosa di umanamente piacevole. Come un cuscino su cui ti adagi e da cui non riesci più a sollevare la testa. Qualcosa di meraviglioso.

“Racconta, dai.” Le dico, cercando di farla parlare. “L’hai incontrato in un campo di grano. Perché?”

“Lui voleva chiedere a mio padre di far accoppiare il nostro toro con la sua vacca. Ecco perché. Però si è fermato prima. Mi ricorderò sempre cosa mi ha detto…”

Credevo che qui coltivassero solo grano, girasoli e orzo. Invece coltivano anche gigli.

“Credevo che qui coltivassero solo grano, girasoli e orzo. Invece coltivano anche gigli.” Sorrisi, mestamente. La nonna si beava di quel ricordo. Socchiudeva sempre le labbra, trasognata.

“E poi?”

“E poi è andato da mio padre. Ha ottenuto il permesso di far accoppiare i due animali. Ci siamo visti sempre più spesso. A quanto pare la sua vacca era un po’ difficile da fecondare.” Ridacchia. Sa benissimo che quelle erano semplici scuse per rivederla. Le piace che però lo faccia notare io, questo particolare.

“Nonna, lo sai vero che veniva perché si era innamorato di te?”

“Immagino di sì. Il parto non coincideva con il concepimento del vitello. E con tutto il resto.” Sorride ancora persa nei ricordi. Sì, sono i suoi filmini sbiaditi e discontinui che la sua memoria ha salvato dalla vecchiaia e dalla malattia.

Un giorno sussurrò una frase, la mormorò appena. Probabilmente non aveva intenzione di farla sentire a qualcuno. Mi colpì all’istante.

“Il mondo sembra oscurarsi al crepuscolo, ma io lo racconto, come all'inizio, con la mia cantilena che mi tiene in vita.”

La sua vita era un ripercorrere incessante gli anni ormai passati. Il presente aveva ceduto il passo all’epoca ormai trascorsa, e gli occhi di Nonna Adelaide, ora, vedevano il mondo attraverso la patina grigia della nostalgia.

Così lei amava chiamare il principio di cataratte. Si sa che quando una parte di te inizia a vacillare, tutto l’organismo lo segue caracollando. E poi lei non voleva farsi aiutare. Aveva il terrore di rimanere secca sotto i ferri. Voleva rivivere la sua vita finché ne avrebbe avuto la possibilità.

“Tutto il resto…?” chiesi io, con un tono fintamente interrogativo. Sapevo già come andava a finire, ma le sue labbra fremevano dallo stupore quando lo raccontava.

“Sì, cara, con tutto il resto. Dai, non mi dire che alla tua età di porcherie del genere non ne hai fatte.”

Il bello è che sono sposata, ho ventotto anni e ho un figlio. Questo sembra dimenticarselo, ogni tanto.

“Insomma.” Incalza, con un energia che acquista solo in certe occasioni “Ci siamo amati. Sotto un pioppo. Sì, so cosa pensi. I pioppi? In mezzo al campo di grano? L’aveva piantato mio padre quando aveva abbattuto il vecchio mulino. Un segno di ciò che era stato, e che in fondo viveva ancora nelle menti e nel cuore.”

Pensandoci, questa famiglia è fatta di ricordi. E’ pura memoria. Sospesa tra realtà e fantasia. Ci si mette poco a confondere l’una con l’altra. E si finisce come la nonna, ad arricchire fatti sterili di emozioni e sentimenti che non hanno mai racchiuso. A parte questo, però.

“E alla fine incinta ci rimasi anche io, oltre alla vacca.” Sorrise, amaramente. Non che non volesse avere mio padre, però avrebbe voluto che fosse nato in circostanze diverse.

“D’altronde tuo nonno è sparito, dopo averlo saputo.”

Ora sì che c’entra la guerra.

“E’ andato in guerra ed è tornato dopo cinque anni. Mi ha sposato e abbiamo avuto Jimmy.”

Jim Arnold, altrimenti conosciuto come Jimmy: il più grande zio che una nipote potesse mai desiderare. Ad ogni anniversario o festa importante, lo zio era mio padrino. Mi sono quasi divertita più con lui che con i miei genitori. Io e mia cugina andiamo molto d’accordo, sarà perché assomiglia maledettamente allo zio.

“E papà? Cioè, Alex, come l’ha presa?” Lei soffia, stizzita. A volte, certi suoi atteggiamenti, proprio non li comprendo.

“Al? Il mio adorato Al? Aveva un padre, delizia, che aveva combattuto per cinque anni ed era tornato integro. Come vuoi che la prendesse?”

“Sono sempre stato orgoglioso di mio padre. Lo stimavo, ma sono ben lontano dall’amarlo.” Queste erano le parole di mio padre, ma le bloccai in gola, nonostante spingessero per essere pronunciate.

“Bene, no?”

“Benissimo. Alex ha adorato suo padre. Lo seguiva ovunque e lo amava incondizionatamente.” Già, infatti è scappato di casa.

Credo che questo sia un tentativo del cervello di Nonna di rendere più piacevole quei momenti.

Bevve un po’ d’acqua: le labbra sottilissime si appoggiarono delicate sul bordo di vetro del bicchiere, e deglutì rumorosamente un sorso del contenuto. Qualsiasi cosa per lei era più difficile. Anche bere un bicchiere d’acqua era un’impresa niente male.

“Tesoro, ti ho già parlato del fatto che mio padre mi ha diseredato, dopo che ho dato alla luce Alex?”

“No, raccontamelo.”

Lei sorrise, ancora. Ogni suo tentativo di apparire felice mi struggeva il cuore. Avrei voluto alzarmi dalla sedia e uscire da quella casa. Non mi piaceva vederla in quello stato. Solo negli ultimi anni l’ombra del suo dolore l’aveva costretta a fingere.

Fingere di non provare dolore. Fingere di ricordare. Fingere di essere rimasta come sempre.

Rimasi lì, il capo basso e gli occhi alla superficie del tavolo d’ebano, cercando di apparire meditabonda.

“Mio padre era sempre stato buono con me. Lui mi considerava la figlia più ben riuscita. Quando il pancione fu palesemente visibile, mio padre cacciò un urlo e mi sbatté fuori di casa. Ricordo ancora di aver aspettato qualche minuto davanti alla porta. Magari cambiava idea. Avevo visto il suo sguardo rabbioso da una finestra del secondo piano, mi erano sembrati indulgenti, quegli occhi. Invece mi sbagliavo. Era salito in camera mia e mi aveva gettato un fagotto di vestiti e biancheria. Me ne andai. Non ho mai più rivisto Edmund e Lucy.” Scrolla le spalle ossute. I suoi occhi diventano fessure e il suo volto muta in un’espressione indecifrabile.

Edmund e Lucy sono i suoi fratelli, ovvero i miei pro zii. Non li ho mai conosciuti, e non me ne rammarico. A quanto pare dalle storie di Nonna, erano uno la copia esatta del padre iracondo, l’altra della sgualdrinella fortunata. La pro zia non aveva conosciuto l’effetto di una gravidanza prima del matrimonio, cosa che invece avrebbe dovuto affrontare, data la sua facilità nell’innamorarsi.

La fortuna va sempre a chi non se lo merita.

“Comunque, Alex e io vivemmo in una stanza di un alberghetto, in Città. Avevo trovato impiego come oste, e detti alla luce mio figlio nella vasca da bagno.”

Qualche anno dopo il nonno sarebbe giunto trionfante dalla guerra, e tutto si sarebbe sistemato.

“Qualche anno dopo il nonno sarebbe giunto trionfante dalla guerra, e tutto si sarebbe sistemato.” La conoscevo troppo bene per non sapere cosa avrebbe pronunciato dopo ogni frase, anche se i resoconti della nonna erano sempre differenti. Quel mondo che dipingeva era una nenia sempre nuova, arricchita o completamente inventata. I suoi sogni divenivano il suo passato. Quello che sarebbe potuto essere è ora l’unica verità. Nonostante ciò, sapevo benissimo dove inserire il tassello del puzzle che mancava, e ricollocare quindi i suoi ricordi in un determinato arco di tempo.

Mi rincresce vederla sfatta, abbruttita, sofferente. Era una bellissima donna. Anche molto determinata. Papà mi ha detto che quando aspettava Jimmy, con la pancia gonfia e la schiena a pezzi, la Nonna si alzava presto e andava a lavorare, le caraffe e le pinte di birra sul suo vassoio. Non temeva nulla, perché, come diceva sempre lei, quell’amara esistenza l’aveva abituata alle avversità della povertà.

Secondo me era semplicemente sfortunata. Immensamente sfortunata.

“Cara, è quasi il tramonto.” Disse, la sua voce roca risuonò nel vecchio salotto fatiscente. In quella casa anche il capitello delle colonne barocche dell’ingresso erano impregnate di ricordi. Come se un barile pieno di materia grigia fosse stato versato sulle finestre, sulle tende, su ogni singola piastrella del pavimento. In quella sala da pranzo, sugli scaffali, erano poggiati libri di varie forme e dimensioni, piatti di ceramica dipinti a mano e vecchie fotografie ingiallite dal tempo. Su un mobile a ridosso del muro, però, qualche immagine a colori aveva portato un po’ di presente nella Casa del passato di Nonna. C’ero anche io.

Io con mio marito Ben e il mio piccolo Lucas.  Poi mio padre e mia Madre e me. Poi mio zio Jim e mia cugina Sara.

Un po’ di presente nella Casa del passato di Nonna.

“Andiamo?”

“Certo.” Mi alzai e accompagnai la nonna in veranda. Era leggera, nonostante il ferro della carrozzella su cui era seduta.

“Mi sono sempre piaciuti i tramonti.” La crocchia bianca lasciava alcune ciocche di capelli libere. Il vento le spostava leggero i ciuffi sottili, le sfiorava il viso raggrinzito e austero.

Amerò sempre quelle rughe che le circondavano gli occhi. Dimostravano le intemperie della vita che aveva vissuto.

Il mondo sembra oscurarsi al crepuscolo, ma io lo racconto, come all'inizio, con la mia cantilena che mi tiene in vita.”

Questa volta voleva farsi udire. Aveva pronunciato quelle parole con voce stranamente ferma e gli occhi fissi alla cielo rosato.

“Cos’hai, Nonna? Come mai tutta questa malinconia?” cercai di sdrammatizzare, carezzandole il volto grinzoso che tanto amavo. Lei sorrise, un sorriso che non avevo mai colto in tutti quegli anni di vita passata a contatto con la sua fierezza esagerata.

Rassegnazione.

“Tesoro mio, domani non verrò a vedere il crepuscolo. Quest’aria mi sferza il viso come se ci fosse una bufera.” Il sorriso era sparito, era tornata la malinconia.

Di lei rimasero solo quei ricordi, quella nenia lontana fatta di parole e vicende sempre nuove. E quel crepuscolo, quel tramonto, quella giornata che terminava in un bagliore rosato e aranciato.

Se lo sentiva. Fin dentro alle viscere. Lo stomaco che si afflosciava nel suo ultimo spasmo. Il respiro che sempre più lento, si lasciava cullare dal silenzio della Casa del passato.  Il cuore che smetteva di battere e gli occhi che si chiudevano.

Alla fine era giunta al sonno eterno addormentandosi.

Forse la vita non era stata così crudele con lei. Una puntina di dolcezza in quell’esistenza amara della Nonna era stata aggiunta proprio alla fine.

Se mio figlio mi chiederà qualcosa a proposito di Nonna Adelaide, probabilmente inizierò la cantilena dall’inizio.

Come faceva lei.

Sempre, solo, dall’inizio.

 

 

 

Fine



Questa fanfiction é giunta prima al contest indetto da hotaru "Il Cielo sopra Berlino", sul forum di EFP.
Sono molto contenta, davvero. Come ho già scritto, era da un po' che volevo scrivere del genere, ed essere arrivata prima è magnifico. Certamente, bè, non me l'aspettavo. E' anche la prima fic originale della mia breve esistenza! : D
Spero sia riuscita nel mio intento: é un semplice tributo a chi, come Nonna Adelaide, ha vissuto un'esistenza difficile, ma che valeva la pena di essere vissuta.
Bene, faccio tutti i miei complimenti alle podiste, alle partecipanti e alla giudice che ha impiegato il suo tempo per stilare i nostri giudizi.
Passerò a leggerle e a commentarle tutte :D  

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Globulo Rosso