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Autore: Mitsutsuki    31/08/2010    3 recensioni
Un drago intrappolato in un graffito, un distributore automatico, e una domanda come un’altra per fare conversazione.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Serie: Original
Partecipante a: Original Concorso 8 - La Stazione e... il Drago, indetto da Eylis
Prompt: Come da titolo al concorso.
Capitolo: 1/2
Contatore: Pages - 2.638 Parole
Note: Mi piace, in linea di massima. E questo mi preoccupa.
Disclaimers: Tutto mio.
Pubblicazione: Settimanale (Martedì o dintorni)

Treno Primo


— Come va? —
— Non c'è male. Per essere un distributore automatico di biglietti guasto, s'intende. —
Così avevano imparato a fare conversazione dalle persone che passavano di lì. E per un po’ non erano stati in grado di andare oltre.
Fecero un grande - e metaforico - passo in avanti quando si scambiarono i ruoli e a cominciare fu il distributore automatico.
— Come va? —
— Non c’è male. Per essere il drago di un graffito, s’intende. — Si capì che si fosse preparato la risposta dal modo quasi spasmodico in cui la pronunciò, fiero di aver finalmente dato sfogo alle sue indiscutibili capacità di apprendimento.
Era stato lui il primo a parlare. Anche se ancora non aveva capito come muovere la bocca, era riuscito a modulare una domanda di senso compiuto, copiando pronuncia e accenti dai passanti. Destino volle che la maggior parte di loro fossero inglesi, così apprese un curioso accento anglosassone, anche se graficamente rappresentava un drago orientale. Di quelli lunghi e filiformi, serpeggianti e squamosi, tinto di un bel verde smeraldo.
Al distributore automatico ci volle più tempo. Abbastanza perché il drago pensasse che il guasto - causato da un qualche ubriacone una notte - l’avesse ucciso.
Infine, con un tono così flebile che a malapena riuscì a sentirlo, gli aveva risposto. Aveva aspettato di saper dire “non c’è male” perché era il modo più cortese e garbato che avessero udito rispondere ai viaggiatori scesi dai treni. Era un distributore piuttosto riservato, non avrebbe mai detto: “Sto alla grande!” o “Non mi sento molto bene” perché avrebbero scoperto quello che provava, dietro il ferro e la fessura per i soldi.
Il drago, dal canto suo, si era adeguato di conseguenza. Se lui non voleva dirgli come stava veramente, nulla obbligava lui stesso a farlo.
“Non c’è male”, dopotutto, voleva dire tutto e niente.

Aveva sempre pensato di vivere in un treno.
Questo perché la stragrande maggioranza delle madri rincorreva i figli gridando loro: “Perderai il treno!” o “Guarda il treno!
Al drago era stato subito ovvio che quel luogo, quello dove stavano il suo muro, il distributore guasto e tutte quelle persone sempre diverse, dovesse chiamarsi “treno”.
— Elementare. — Aveva rimarcato, orgoglioso della sua scoperta.
Gli era sembrato che dal buco per il resto del distributore fosse venuto uno sbuffo annoiato, ma non ci aveva fatto troppo caso. Era un tale invidioso!
Poi, un giorno, aveva trovato divertente contraddirlo.
— Siamo in una stazione. — Gli aveva detto.
Il drago, irrimediabilmente convinto di avere sempre ragione, aveva scosso il muso come aveva visto fare alle donne davanti ai racconti di fantascienza dei figli, incapaci di limitare il proprio viaggio ad una banalissima gita in treno.
Però volle ascoltarlo comunque, immaginando che un maestro dovesse essere sempre disposto ad ascoltare i discepoli, in modo da correggere i loro errori.
— Come fai a dirlo? — Aveva domandato allora, lisciandosi uno dei lunghi baffi.
— Quel signore, quello con la divisa blu che si vede sempre qui attorno, si lamenta spesso dicendo che farebbe di tutto pur di andarsene da questa stazione. Credo si chiami “guardiano”. —
Il drago dovette dargli ragione, sebbene solo il giorno dopo, quando ebbe modo di verificare lui stesso la veridicità delle sue parole.

Una mattina di luglio, il drago imparò finalmente una nuova domanda. Elettrizzato all’idea che una nuova domanda portasse inevitabilmente con sé una nuova risposta, non attese un solo istante per porla al distributore automatico.
— Come ti chiami? — Ruggì, quasi, e avrebbe volentieri sputato fiamme se ne fosse stato capace.
Poi si mise in attesa, ammirando come la gente si spintonasse l’una con l’altra nella foga di prendere posto sul treno.
Trascinavano sempre con loro - e spesso con immensa fatica - dei blocchi rettangolari, colorati di varie tonalità. Alcuni li facevano camminare sulle ruote sotto di essi, altri ne erano sprovvisti e dovevano tenerli per le maniglie.
Buffi” pensò, mentre uno di loro rovinava a terra, inciampando in uno dei tanti blocchi colorati abbandonati sul marciapiedi.
— Non credo di avere un nome. — Rispose mestamente il distributore.
Il drago gli lanciò un’occhiata obliqua — Come sarebbe a dire? E quelle scritte sulla fiancata? —
L’altro fece un immenso sforzo per leggere. Dopotutto era un autodidatta. Neanche troppo bravo a dire il vero.
Louis e Roberta — sillabò — incorniciati da un cuore? —
— Un po’ lungo come nome. — Osservò il drago soffiando.
Il distributore lo fissò perplesso, accedendo a intermittenza le luci di scelta dei biglietti, spiazzato dalla serietà del graffito.
— Infatti — replicò — non è il mio nome. E’ una scritta da fidanzati. —
— I tuoi genitori? — Domandò entusiasta il drago come avrebbe fatto una ragazzina innamorata davanti ad una scena del Titanic.
Tutto si sarebbe aspettato da quel disegno sul muro, meno che fosse un tale fan delle storie romantiche. Anche se, a ben vedere, non c’era nulla di dolce e zuccheroso nell’imbrattargli la fiancata.
— No. — Rispose fiaccamente.
Il drago sembrò soppesare la cosa qualche istante.
Nel frattempo, qualcuno si assicurava che nessuno avesse dimenticato il resto nei distributori automatici che avevano ancora la fortuna di funzionare.
Infine, con quello che sarebbe stato un sorriso se non fosse stato intrappolato nell’immobilità di un graffito, il drago annunciò allegro — Allora, se non sono tuoi parenti, e nemmeno li conosci, non si offenderanno se gli prenderai il nome. —
Il distributore sospirò — D’accordo. Chiamami Louis. —
— Perché non Roberta? —
— E’ un nome da femmina. —
— E tu come fai a sapere di essere maschio? — Insistette il drago, perplesso, cercando un qualche segno caratteristico nell’amico.
Questi lo fissò in silenzio qualche istante — Non è che sia maschio. L’ho deciso io. Gli oggetti non hanno un sesso, non vedo dove stia il problema. —

Il mese successivo, il distributore capì che il drago fremeva dalla voglia di avere anche lui un nome tutto suo, così gli pose la fatidica domanda.
— Aser! — Gli rispose prontamente.
Il distributore, che aveva trovato ridicolo battezzarsi Louis, trovò quel nome ancora più stupido del proprio.
— Perché? — Domandò, più per far piacere a lui che per effettivo interesse.
Il graffito indicò una scritta a caratteri giganteschi, disegnata poco distante dal suo muso. Era piuttosto illeggibile a dire il vero, sui toni del blu e dell’azzurro.
— E’ il meglio che sono riuscito a tirare fuori da lì. — Disse — E poi lo trovo un nome da drago! —
— Ne hai conosciuti altri? —
— No, per questo dico che è un nome da drago. Sono l’unico nei paraggi, chi vuoi che mi contraddica? —

Poi venne settembre, mese di grandi rientri.
La quantità di persone che scendeva dai treni aumentò immensamente, in modo quasi proporzionale al diminuire di chi invece vi saliva
A rigor di logica, la loro stazione non doveva appartenere a nessuna caratteristica località di villeggiatura estiva.
Alla luce di quella personale considerazione, al drago dispiacque abbastanza da voler cercare distrazione nell’ennesima conversazione con Louis.
— Da dove vieni? — Gli chiese curioso, agitando le lunghe zampe davanti impaziente. Se il suo gesto avesse avuto un riscontro visivo, si sarebbe detto che le stesse battendo come un bambino in attesa del dolce della domenica.
Il distributore spostò annoiato lo sguardo dalla ferrovia al graffito.
— Sono abbastanza sicuro di essere nato e cresciuto qui. Non ho memoria di altro luogo esterno alla stazione. — Rispose piattamente, serrando la fessura per i soldi così da far intendere di non avere alcuna voglia di parlare.
Ma Aser non vi fece caso e proseguì — Io invece sono certo di venire dalla grande Cina! — Esclamò fiero.
— Sei stato dipinto su quel muro e da lì non ti sei mai mosso, come puoi venire da così lontano? — Replicò Louis, sebbene non avesse la più pallida idea di dove fosse la Cina né di dove fosse la loro stazione. Gli sembrò solo sottolineasse le assurdità che il drago andava rifilandogli.
— Sono o non sono un drago orientale? —
Il distributore si sarebbe volentieri sbattuto una mano sulla fronte, se avesse avuto una mano e anche una fronte. Sicuramente era il modo migliore con cui i passanti esternavano la propria rassegnazione.

  
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