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Autore: Josie_n_June    01/09/2010    1 recensioni
"Non c'entra niente da chi sei stato generato, o perché. Tu sei chi sei. [...]Non è la discendenza a stabilire ciò che siamo, è quello che facciamo della nostra vita. [...] Tu puoi scegliere la tua parte. Anzi, l'hai già fatto." Un Cavaliere di Drago. Una sacerdotessa. Un mago. Un'Assassina. A dieci anni dalla Grande Battaglia d'Inverno, un nuovo periodo oscuro travolge il Mondo Emerso. Non ci sono più eroi a combattere. Quattro ragazzi si trovano dentro una guerra che non si è mai conclusa, senza alcuna garanzia di vederne la fine. E sta a loro, decidere il loro destino. Una storia a due mani scritta qualche capitolo a testa, e quindi imprevedibile anche per noi che siamo le autrici. Se vi abbiamo incuriosito almeno un po', perché non date una sbirciata?
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Namhar si guardò ancora una volta alle spalle per assicurarsi di essere solo. Sorrise. Nessuno.

Era riuscito di nuovo a sgattaiolare fuori da palazzo senza essere visto. Tutte le guardie del corpo che gli affibbiavano erano dei tali carciofi che bastava uno stupidissimo incantesimo di levitazione per calarsi dalla finestra del suo alloggio fino a terra, e scomparire nel bosco.

Il giovane mago prese un respiro profondo, assaporando l’aria fresca profumata di alberi ed erba. Era da troppo tempo che era costretto dentro le mura del castello. La prossima volta non avrebbe aspettato così a lungo prima di scappare di nuovo.

Il ragazzo camminava nel bosco con una soddisfazione paragonabile all’euforia, affondando piacevolmente i piedi nudi nel terreno morbido ricoperto di foglie cadute.

Si sentiva di nuovo come quando scendeva in battaglia al fronte, fino all’anno prima. Allora sì che si sentiva utile. Che si sentiva vivo.

C’era la paura, certo, e l’orrore della battaglia. Non aveva mai pensato che combattere o uccidere fosse appagante, anzi, spesso avrebbe preferito non farlo. Ma nella Terra dei Giorni, a contatto con la guerra vera e propria, riusciva a rendersi conto che esistevano persone più infelici di lui, e che avevano bisogno del suo aiuto.

Riusciva a non pensare alla sua famiglia nella Terra del Mare, e al Maestro Flaren.

Ci stai pensando, si disse Namhar.

Il ragazzo fece una smorfia, e calciò un sassolino sul sentiero.

Erano passati tre anni da quando il suo Maestro era morto per salvargli la vita. Flaren e Namhar stavano tornando a Laodamea dalla Terra dei Giorni; il suo Maestro era un componente del Consiglio delle Acque, uno dei maghi più potenti e più saggi. Era stato uno dei primi ad opporsi esplicitamente a Dohor, e quando Namhar l’aveva incontrato, otto anni prima, era perché era stato costretto a trasferirsi nella Terra del Mare per sfuggire all’ira del despota.

Il ragazzo sorrise al ricordo di quella volta in cui, quando era ancora soltanto un bambino che aveva paura di se stesso, si era arrampicato da solo sulla cima di un albero ma, non essendo molto agile, era caduto di sotto. Si sarebbe sicuramente rotto qualcosa, ma inaspettatamente, la caduta era stata lenta, ed era atterrato sull’erba come una piuma. Si era guardato intorno, sperando che non l’avesse visto nessuno, e invece…

Invece, che lo guardava da lontano, c’era Flaren, che sorrideva. Gli aveva spiegato che quello che sapeva fare non era una cosa brutta, e che esistevano tante altre persone come lui. Flaren, per l’appunto, era come Namhar. Infine, il mago si era offerto di insegnargli.

Da allora non si erano separati mai. Era diventato un padre per lui.

Fino a quel pomeriggio di tre anni prima, quando erano ormai quasi arrivati a Laodamea, ed erano stati aggrediti da due sicari. Da due Assassini della Gilda.

Il mago strinse i pugni a quel pensiero.

Da allora, da quando Flaren era morto, si era dato anima e corpo alla battaglia e al Mondo Emerso. Finché, poco meno di un anno prima, i Consiglieri l’avevano richiamato a Laodamea.

Avevano ritrovato il testamento di Flaren. E nel testamento, era chiaramente espresso il volere che fosse lui a sostituirlo nel caso della sua morte.

Così, Namhar era stato riportato nella Marca dei Boschi e messo a sedere sullo scranno che era appartenuto al suo Maestro. E, adesso, era il secondo Consigliere più giovane mai esistito, dopo Sennar.

All’inizio gli era piaciuta l’idea. Adesso, la detestava.

I Consiglieri non si fidavano di lui. Lo trattavano come un bambino, e da quando abitava di nuovo a Laodamea lo facevano seguire costantemente da uno dei loro carciofi in armatura.

Namhar sapeva che temevano per la sua sicurezza. Avevano paura che la Gilda tentasse di far fuori anche lui.

Ma il ragazzo la trovava una grande cavolata. Lui non aveva niente che potesse spaventare la Gilda. E quegli energumeni che gli facevano da guardie del corpo gli toglievano l’aria.

Così era diventata un’abitudine, quella di sgattaiolare via.

Namhar si era anche trovato un posto perfetto, in mezzo alla foresta che si estendeva oltre il lato ovest del palazzo.

E quando vi arrivò, fece un sorriso.

L’ampia radura ricoperta di foglie rosse, gialle e arancioni l’accolse con una gelida folata di vento, che gli sollevò i ricci corvini. Namhar chiuse i grandi e profondi occhi blu e respirò profondamente, prima di camminare fino al centro esatto della radura.

Lì, si sedette a gambe incrociate, senza aprire gli occhi. E, sempre con il sorriso sulle labbra, aprì la mente.

 

 

Algeiba uscì soltanto un momento alla luce. Il sole del tardo pomeriggio le illuminò la parte del viso scoperta dal cappuccio del mantello, e le labbra serrate.

Poi, sempre senza staccare lo sguardo dal ragazzo seduto al centro della radura, spiccò un salto e si nascose tra le fronte degli alberi.

Namhar, diciannove anni. Nato a Lome, nella Terra del Mare. Residente a Laodamea, nella Marca dei Boschi. Mago. Pericoloso.

Algeiba non lo trovava affatto pericoloso, a vederlo così…

Finiscila!

Si riscosse, e si disse di darsi una calmata. Doveva pensare ai dettagli tecnici, come si sforzava di fare da una settimana a quella parte.

Non era stato difficile trovare Namhar. Quando era arrivata a Laodamea, aveva passato un giorno per capire dove abitasse di preciso. Poi, aveva sentito una conversazione tra due soldati. Dovevano sorvegliare il mago Namhar perché non scappasse, al palazzo della regina, sulla cima della cascata. E lì si era diretta Algeiba.

Non aveva neanche dovuto infiltrarsi a Palazzo. Era stato sufficiente appostarsi fuori, e aspettarlo invisibile nell’ombra.

Il ragazzo era proprio come se l’era immaginato. Capelli neri, viso giovanile, espressione scocciata, per via del tizio in armatura che gli faceva la guardia. Occhi blu estremamente svegli e profondi…

Algeiba aveva subito capito che quella volta non sarebbe stato facile. E la cosa, in un certo senso, non le dispiaceva affatto.

Inizialmente aveva cercato un modo per avvicinarsi a lui. Poi, però, aveva scoperto che sarebbe stato lui ad avvicinarsi a lei.

La sentinella del ragazzo parlava irritata con un compagno delle precedenti scappatelle del suo protetto, commentando che era impossibile prevedere quando l’avrebbe fatto di nuovo, e perciò altrettanto impossibile evitarlo. Così, tutto era divenuto ad un tratto più facile.

Bastava che Namhar fuggisse e sarebbe stato da solo, totalmente indifeso.

Il momento era arrivato. Quando Algeiba l’aveva visto calarsi con la magia fuori dalla finestra, il cuore le era balzato in gola. Sapeva che non avrebbe più potuto rimandare. Era l’unica opportunità che aveva di portare a termine il lavoro.

Perciò, senza farsi vedere, l’aveva seguito.

E adesso lo guardava dall’alto, accovacciata sul ramo di un grosso albero, in attesa. Namhar era un mago potente, non avrebbe potuto combattere contro di lui se fosse stato pronto a difendersi. Perciò, doveva aspettare che fosse del tutto immerso nella meditazione.

Allora, quando non avrebbe avuto nessuno scudo, l’avrebbe ucciso.

La ragazza deglutì, e trattenne un sospiro. Con un movimento fluido appoggiò una mano sul pugnale, mentre il sole era sempre più basso sull’occidente.

 

 

Il carciofo in armatura camminava spedito nel bosco, con un’espressione furiosa ed esasperata dipinta sul volto.

Giuro che se lo trovo vivo l’ammazzo io!, pensò Taras, i cui pensieri erano parecchio più violenti da qualche tempo a quella parte.

Il ragazzo era arrivato a Laodamea un giorno dopo il previsto. Per via di Argogas… Le sue cure avevano preso un po’ di tempo.

Le sue condizioni non erano gravi. Fortunatamente la ferita non era profonda, e con tutta probabilità sarebbe guarito a grande velocità.

Ma Taras si sentiva come se l’avesse ucciso.

La scena del bosco gli si ripresentò nella mente per l’ennesima volta, e il ragazzo strinse i pugni. Si rivedeva lì, impalato davanti al corpo di Argogas, che fissava negli occhi Fanela. Quegli occhi azzurri, in cui gli era sembrato di vedere qualcosa di familiare, freddi come il ghiaccio, e molto più impenetrabili.

Un’Assassina.

Non c’erano dubbi, per Taras. Non esisteva nessuno capace di movimenti così fulminei, di una tale agilità…

E di una finzione tanto convincente.

Il ragazzo fece una smorfia.

Taras veniva dalla Terra della Notte. Lì, tutti sapevano, anche se preferivano non ammetterlo, dell’esistenza della Gilda degli Assassini. Nessuno sapeva dove vivessero o perché agissero, ma girava voce che esplicassero il culto di Thenaar, un dio violento e sanguinario che aveva il suo unico tempio proprio nella parte più interna della Terra della Notte.

Taras, così come suo padre, aveva imparato a provare un odio smisurato e automatico per quelle persone. Se così potevano essere definite.

Ma la cosa che detestava di più, era di essersi fatto ingannare.

E non solo. L’aveva lasciata andare.

Taras sapeva che era inutile mentirsi. E la verità, era che non aveva avuto la forza di arrestarla. Non ci aveva neanche provato. Qualcosa l’aveva bloccato, e anche se ci avesse ragionato per cent’anni, il ragazzo era sicuro che non avrebbe mai scoperto di che cosa si trattava.  

Rimaneva il fatto, però, che aveva lasciato fuggire una pericolosa criminale. Qualcuno che poteva mettere a rischio la vita di un’incredibile quantità di persone completamente sola, e che già l’aveva fatto, con Argogas.

Per questo motivo, il senso di colpa continuava a tormentare Taras più di quanto non avessero fatto i suoi compagni di scorta.

Infatti, durante il viaggio di ritorno verso Laodamea, gli altri soldati erano stati stranamente più cordiali con lui. Taras supponeva che fosse perché aveva salvato Argogas.

E dato che lui era troppo ubriaco per ricordarsi cosa fosse successo di preciso, il ragazzo aveva taciuto che, in qualche modo, era lui la causa di tutto.

Inizialmente per arroganza. Poi, probabilmente, per convincersi che fosse ancora per arroganza.

Appena arrivato, Taras era andato a salutare Hìrador. Il suo drago, un enorme animale dalle squame dorate e dagli occhi smeraldini, l’aveva accolto con aria offesa ed altera. Il ragazzo aveva cercato di scusarsi, di fargli capire che non era colpa sua se era stato via così tanto, e alla fine il drago si era convinto, e avevano fatto pace.

Ma i sensi di colpa tormentavano Taras a tal punto che la sera stessa del suo arrivo era salito a Palazzo, e aveva chiesto di parlare col Generale Malver.

Malver era un Consigliere, e il Generale dei Cavalieri di Drago Azzurro della Terra del Mare; era a lui che tutti i Cavalieri ribelli si riferivano. Taras, dopo che Parascheuazo l’aveva mandato a sedici anni a Laodamea, si era affidato totalmente alla sua guida, e in qualche modo Malver l’aveva accolto sotto la sua ala protettrice.

Ma sfortunatamente, il Generale non aveva potuto riceverlo subito. A quanto aveva capito Taras, era occupato nella sua Accademia nella Terra del Mare, e non sarebbe tornato a Laodamea di lì a quattro giorni.

Taras l’aveva aspettato, praticamente sempre in sola compagnia di Hìrador, e il quarto giorno dal suo arrivo, valeva a dire due giorni prima, era stato chiamato negli alloggi del Consigliere.

Malver l’aveva salutato con una certa freddezza –non era il tipo da effusioni- ma Taras aveva letto nei suoi occhi che era felice di vederlo. Dopodiché gli aveva chiesto perché volesse parlargli.

“Voglio andarmene.” aveva risposto Taras “Tornare nella Terra dei Giorni col mio drago, a combattere. E’ questo l’unico motivo per cui mi sono unito alla scorta di Tèedin. Tornare qui e chiedervi di rimandarmi al fronte.”

Ma non sarebbe stato così facile. Malver gli aveva spiegato che non poteva partire da solo; sorvolare il Mondo Emerso con un drago fuorilegge, Taras lo sapeva bene, era estremamente rischioso. Di solito, quando le condizioni erano favorevoli, partivano da Laodamea grandi compagnie di Cavalieri di Drago e soldati, che sfruttavano le veloci cavalcature per arrivare più in fretta al fronte. Se erano in tanti, nessuno avrebbe osato attaccarli.

Ma per il momento non c’erano abbastanza persone per mettere insieme una compagnia. Il gruppo sarebbe partito il mese dopo, quando altri soldati si sarebbero arruolati nell’esercito del Consiglio delle Acque, e altri Cavalieri avrebbero dovuto rientrare al fronte.

Taras aveva protestato che aveva già aspettato per più di due mesi nella Terra del Vento, e non poteva attendere oltre.

Così –Taras sospettava che l’avesse fatto per punire la sua insolenza- Malver gli aveva detto che aveva un compito per lui. Sorvegliare il Consigliere Namhar.

Il Maestro del ragazzo, gli aveva spiegato Malver, era stato ucciso in un attentato da parte di alcuni sicari, che il mago si ostinava a dire provenissero dalla Gilda degli Assassini.

Taras, nonostante lo scetticismo di Malver, non la trovava tuttora un’idea così assurda.

Per cui, il giovane mago aveva bisogno di una scorta perenne, ovunque andasse. Taras, insieme a un altro soldato che si sarebbe occupato del turno di notte, era appena diventato quella scorta.

Il ragazzo non era impazzito di gioia all’idea. L’inattività e l’esasperazione, miste al senso di colpa, lo uccidevano.

Ma un maghetto viziato a cui piace sgattaiolare fuori da palazzo mi mancava.

Si era accorto della sua assenza soltanto quando le imposte della finestra avevano sbattuto violentemente, e si era affacciato in camera per vedere se fosse tutto a posto. Così, aveva scoperto che le imposte avevano sbattuto per via del vento, e che la stanza era vuota.

Al che si era affacciato dalla finestra, e aveva notato il sentiero che conduceva dentro il bosco. Si era precipitato subito giù, sperando di riuscire a ritrovarlo prima del cambio di guardia.

Quel mago me la paga.

Non aveva idea di dove fosse andato, ed erano due ore che camminava senza meta nel bosco, alla ricerca di una qualche traccia. Ma sembrava che Namhar avesse camminato scalzo. Se non altro era sveglio.

Taras sbuffò sonoramente, ricordando il suo recente colloquio con Vitis.

Anche lei è una maga.

E in passato, anche la sua migliore amica.

Si rivide insieme a lei, ragazzini, che correvano di soppiatto per gli intricati vicoli di Makrat, mentre lui avrebbe dovuto essere in Accademia e lei col suo Maestro Groven. Vitis era sempre stata una ragazzina solare. Taras non poté fare a meno di sorridere con amarezza al ricordo del suo viso grazioso incorniciato dai capelli biondi, e della sua risata così spontanea che le faceva venire quelle fossette sotto le lentiggini.

Erano scappati dalla Terra del Sole insieme, quando dei soldati erano entrati in casa di Groven per arrestarlo per tradimento. Era stato Taras a salvarli; aveva combattuto contro i soldati e li aveva feriti, dopo essere stato ferito a sua volta, e poi erano corsi in Accademia nel cuore della notte. Lì Parascheuazo li aveva aiutati; li aveva nascosti per un po’, aveva curato velocemente Taras e poi aveva tenuto lontano le guardie dalle stalle, mentre il ragazzo aiutava il vecchio mago e la sua amica a salire su Hìrador, e partivano verso Laodamea.

L’amicizia di Taras e Vitis era continuata fino a un mese dopo, quando Malver aveva mandato il ragazzo sul fronte. Vitis era parsa insofferente, e non era andata a salutarlo. E quando lui era tornato, dopo quasi un anno di guerra, e gli aveva chiesto perché fosse arrabbiata con lui, lei gli aveva urlato che l’aveva lasciata sola. Che lui era andato a combattere, mentre lei non aveva potuto fare altro che continuare a stare lì, inutile, quando come maga avrebbe potuto fare così tanto in battaglia per il Consiglio. Era arrabbiata perché non aveva fatto il modo di portarla con lui.

Avevano litigato, ed era finita lì. Taras era ripartito dopo pochi giorni, e non si erano più rivisti… fino al giorno prima.

Taras era davanti alla stanza di Namhar, a fare la guardia. Vitis era passata per il corridoio, e all’inizio, il ragazzo non l’aveva riconosciuta. Si era sorpreso di quanto fosse diventata bella.

La ragazza si era fermata di fronte a lui, stupita. Aveva un libro tra le braccia; Taras la ricordava proprio così, con un grosso tomo, spesso di botanica, stretto al petto.

“Ciao.” aveva detto, senza riuscire a trattenersi.

“Ciao.” aveva mormorato a sua volta Vitis “Che ci fai qui?”

“Faccio la guardia al Consigliere Namhar.” aveva provato a sorridere “Mi sento un po’ come un cane. L’unica differenza è che non abbaio a chiunque passi di qui.”

Lei non aveva sorriso. “Intendevo qui, a Laodamea. Perché non sei nella Terra dei Giorni?”

Taras si era incupito. “Ci tornerò presto, non temere.”

“Non è una cosa che temo.” aveva ribattuto lei, dopo un istante “Anzi, spero che tu te ne vada al più presto. E’ la cosa che fai meglio, no? Andartene.”

Taras aveva aperto bocca per risponderle per le rime, ma lei l’aveva interrotto.

“Immagino che rimanere bloccato qui sia frustrante per te.” aveva detto, con un’amarezza falsa, che non le riconosceva “Mischiarti con noi semplici pianificatori, limitarti a guardare. Vero?” aveva proseguito, sempre più aspra “Torna a fare l’eroe, Taras. Ti si addice di più.”

E senza dargli il tempo di fermarla, aveva girato l’angolo e se n’era andata.

Taras sentì una fitta di tristezza, che andò a sommarsi spiacevolmente ai sensi di colpa, e scosse forte la testa.

Decise di non pensarci. Era inutile. Vitis lo odiava… L’avrebbe odiata anche lui. O perlomeno, ci avrebbe provato. E il primo passo, era smettere di pensare a lei.

Improvvisamente, qualcosa distolse la sua mente da quell’idea.

Si ritrovò al margine di una stretta radura, bagnata dagli ultimi raggi dorati del sole. Al centro di essa, c’era il Consigliere Namhar, seduto a gambe incrociate sul tappeto di foglie secche, con gli occhi chiusi e l’aria completamente assente.

Taras fece un sospiro di sollievo, forse misto a uno sbuffo, ma il fiato gli si bloccò in gola.

Una figura nera si avvicinava furtivamente alle spalle di Namhar. La vide muovere il braccio dall’altezza della cintura fino alla spalla, e il sole illuminò la sua mano di una scintilla metallica.

Qualcosa scattò velocemente in Taras. E corse.

 

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Note:

Salve a tutti, ed ecco un nuovo capitolo, un nuovo personaggio e due non nuovi che tornano in scena. Ho avuto parecchio da fare in questi giorni, scusate se ci ho messo tanto a postare il quarto capitolo... E scusate anche se al momento non possiamo commentare personalmente le vostre recensioni, che sono sempre geniali e divertenti. Grazie davvero di leggere gli aborti della nostra mente, ci rendiamo conto che non è affatto facile XD Al prossimo capitolo che postiamo vi risponderemo più profusamente, promesso! A presto!

Josie e June

  
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