La
protesta delle storie non scritte
L’apologia
di uno scrittore bacchettato dalla sua fantasia.
Torno
a casa, chiudo il mondo fuori, oltre la porta d’ingresso che sbatte alle mie
spalle.
Vado
nella mia stanza. Il mio regno.
Da dividere con mio fratello, anche se lui ci
resta poco; è diverso da me, a lui le mura intorno danno fastidio, io invece so
restare avvolto nell’abbraccio di casa mia, so apprezzare la calma di un posto
tuo, in cui puoi tornare, per metterti a pensare, immaginare, creare.
Metto gli abiti comodi, abiti da casa, accendo il
portatile, e cerco un po’ di musica.
Ma decidersi è dura. I brani sono tanti, e tante
le tonalità e gli umori, e i ricordi che mi ispirano.
Ricordi di storie, scritte mentre le ascoltavo:
colonne sonore, con cui oggi posso identificare un dato momento, un dato luogo,
un dato personaggio, e le mie dita che battevano sui tasti a renderlo vivo, sul
foglio bianco virtuale del computer.
Bei tempi! Scrivere allora era semplicissimo,
divertentissimo, leggero come una penna d’oca intinta d’inchiostro.
Tanti brani, tante note. Ma alcune interrompono i
miei ricordi con pizzichi dal sapore amaro.
Mi ricordano le storie non finite.
Ascoltavo e scrivevo.
Scrivevo e ascoltavo.
Le parole, i personaggi, i temi e le trame si
intingevano di quella musica, al punto da diventare inscindibili, perché erano
così adatti insieme.
Ma poi i tasti smisero di ticchettare.
E cessò anche la musica. Sicché ora che la
risento, sbirciando a caso nel computer o nel mio fornito ipod, mi assale il
rimorso, e un certo rancore.
Chiudo gli occhi, inspiro.
La mia stanza è intorno a me, conosciutissima in
ogni suo dettaglio, in ogni familiriassimo oggetto, libro, pupazzo, poster,
foto…
La finestra è aperta per lasciar entrare un fresco
venticello su cui volar liberi. La musica parte nel lettore multimediale.
Apro gli occhi, ed arriva il primo.
È una lei, viene dalla serie Naruto, il manga che
tanto mi ha preso che ancora oggi che non mi piace ormai come prima continuo a
seguirlo con fedeltà.
È una che di musica ci capisce, ha i capelli rossi
e stavo giusto scrivendo di lei prima di prendermi una pausa per via dell’esame
di maturità.
Una pausa che è diventata una sospensione.
Una sospensione che è diventata un abbandono.
I hate the world today
You're so good to me
I know but I can't change
tried to tell you but you look at me like maybe I'm an angel
underneath
innocent and sweet
Mi metto comodo sulla sedia della scrivania, lei invece
preferisce restare in piedi a squadrarmi: forse dall’alto si sente in una
posizione di superiorità.
Dopotutto quella non è certo una visita di
cortesia.
“Quando continuerai la tua fanfic su di me e
Shikamaru?”
Sospiro: “Non lo so.”
“Tsk, ti pareva, la solita risposta! Credevi di
illudere solo i tuoi lettori promettendo di continuarla durante l’estate? Beh,
di estati ne sono passate due, e loro sono ancora lì, ci sono anch’io… e anche
tu.”
Sbuffo. La musica continua impietosa: è grazie a
lei che mi è tornata in mente, e non sarebbe certo cortese zittirla per provare
a farla sparire ora che è qui.
I'm a bitch, I'm a lover
I'm a child, I'm a mother
I'm a sinner, I'm a saint
I do not feel ashamed
I'm your health, I'm your dream
I'm nothing in between
You know you wouldn't want it any other way
Ecco comparire il secondo diretto interessato,
Shikamaru.
“Sai com’è Tayuya, può capitare a tutti di
impigrirsi nel bel mezzo di un lavoro.”
“Ma che fai, lo difendi? Non sei arrabbiato con
lui?”
“Un po’… Mi stavo abituando all’idea di essere
stato inserito in una fic sentimentale. Anche se un po’ “originale”…”
Tayuya non gradisce quell’”originale”: è
chiaramente riferito alla sua da me riesumata presenza.
“Ragazzi, sono desolato, e non credete che a me
non dispiaccia aver perso l’ispirazione a continuare la mia… vostra fic… Ma
cosa ci posso fare? Non posso forzare la mia creatività. Almeno però vi ho
lasciato con un bel capitolo; emozionante, dal lieto fine…”
“E senza seguito!” mi ribatte acida lei.
Faccio spallucce. Intanto Shikamaru non fa
complimenti e si stende dove dormo io: il piano di sotto di un letto a
castello.
“Tayuya, quante volte dovrò chiederti scusa per
aver approfondito la tua personalità, averti dato un passato, uno spessore di
personaggio per poi lasciare incompiuto tutto?”
Per tutta risposta si sgranchisce le nocche;
meglio appuntarsi di tenere a freno la lingua.
“Coglionazzo che non sei altro! A causa tua i
lettori non sapranno mai tutta la verità sul mio passato, né se entrerò
definitivamente a far parte dei buoni, se io e Shikamaru ci metteremo insieme…”
“Beh, io sto a posto anche così.”
Il commento fuori luogo gli vale un libro di
Stefano Benni scagliato con gran precisione tra le sue gambe, per fortuna non è
un volume voluminoso.
“Avevo creduto sul serio nella vostra storia.”
“E poi che è successo?”
“Non so… Volevo continuare. Ma poi il tempo è passato, troppo tempo perché non
mi passaste di mente.”
“Però Naruto e Hinata non ti sono mai passati di
mente mentre scrivevi quelle belle e zuccherose romantiche su di loro, eh?”
“Ehm…”
“E se speri che vengano qui a salvarti ti sbagli
di grosso. Quest’oggi devi fare i conti, e non solo con me.”
Credo di sapere cosa mi aspetta.
Il tempo di un battito di ciglia, e nella mia
stanza ci sono altre due persone.
Le altre mie storie in corso. Diciamo pure
incompiute.
Una è un ragazza: ha gli occhiali, i capelli biondi e un camice.
L’altra invece ha un aspetto più maturo, più
antico, più vero, più problematico.
La prima, inizialmente persasi a guardare
Shikamaru, si ricorda che è venuta lì per espormi le sue lamentele.
“Che ne è del mio primo appuntamento?” sbotta
cercando di apparire più triste e arrabbiata che può.
Al che Shikamaru torna a farsi sentire, stavolta
in modo meno distaccato: “Ora che ci penso, come mai quando si tratta di me non
riesci mai ad arrivare fino in fondo?”
“Con Ino ci sono riuscito…”
“Non cercare scuse nel passato, stiamo parlando di presente! E nel presente mi
hai sospeso e mandato in bianco in ben due tue storie! Sigh!”
Shiho ne approfitta per sedersi accanto al suo
adorato Shikamaru, provocando però un’occhiattaccia mal celata da parte della
rossa che era lì prima di lei.
“Se ricordi bene mi sono ritirato da quel contest
poco dopo essermi iscritto…”
“Si, ma anche se non ci avresti più partecipato, potevi almeno degnarti di
finire quei due o tre capitoli che avevi in mente!” mi dice aggiustandosi
nervosamente i tondi e buffi occhiali da vista.
Non posso che constatare che ogni mio tentativo di
togliermi dalle spalle al muro viene rispedito al mittente terribilmente in
fretta. E c’è ancora da ascoltare lei.
“Era un progetto ambizioso, sai? Insolito… Stavi
riscuotendo interesse.”
“Ero in tema col periodo. Poi però le feste
finirono, tornai a scuola, e persi l’atmosfera.”
“Ma la Pasqua tornò l’anno seguente.”
“Oh, Gesù…”
È proprio il caso di dirlo…
“Potevi esplorare a fondo le tue idee e la tua
fede, avrebbe potuto farti bene.”
Maddalena non finisce neanche di parlare che Tayuya
si fa avanti un’altra volta: “Come puoi vedere siamo tutti qui, siamo ancora
qui, in attesa di un continuo, e di un finale.”
“Tutta questa situazione mi ricorda un dramma di un certo qualcuno…”
“Qualcuno che lasciava a metà le cose che
iniziava?”
“No no, lui le sue opere concludeva, sennò non sarebbe certo finito sui libri
di italiano.”
Mi alzo in piedi: “E comunque, le concludo
anch’io. Ho molte altre storie all’attivo, storie concluse, di cui nessuno si è
mai lamentato.”
“E che motivo ne hanno?” chiede la donna.
“Voi siete le mie storie inconcluse, e non mi
vergogno ad ammettere che siete dei miei fallimenti. Ma se quella mia vena da
cui usciste si è prosciugata, oramai, non posso far nulla se non aspettare il
giorno in cui ritroverò il me stesso di allora, e quanto ho perso da qualche
tempo a questa parte.”
“E quand’è che lo ritroverai? Di tempo ne è
passato.” risponde il pigrone, in cui al momento mi sento alquanto immedesimato
“Sarà che non ti dai abbastanza da fare per cercarlo?”
Ho bisogno di qualche attimo per pensare a una
risposta.
Da ciò loro capiscono di aver fatto centro, e io
capisco che non sono esente da colpe.
Shikamaru si stiracchia e mi si avvicina: “Hai una
testa fra le nuvole invidiabile. Eppure quelli che hai davanti a te non sono
gli unici che potrebbero venir qui a farti la ramanzina. Anzi, noi non siamo che
una minima parte.
La musica cambia. Un motivo di un altro paese, uno
di quei paesi il cui solo nome ti fa viaggiare sognare.
Chiudo gli occhi.
Storie.
Personaggi.
Fantasmi.
E la mia stanza li contiene tutti, grandi e
piccoli, dal primo all’ultimo, sul mio letto, sotto la scrivania, appoggiati al
muro, dietro la porta, in piedi, seduti.
“Ti ricordi di noi?”
“Certo che mi ricordo” rispondo.
“Siete i miei personaggi. Qualcuno di voi è stato
non è stato creato da me, eppure siete miei, perché mie sono le scene, le
situazioni, le lotte e gli amori in cui vi ho inserito.
Ci sei tu, la madre di Hinata, mai apparsa e forse
scomparsa, di cui volevo scrivere il passato, raccontare il dolore di un amore
imposto e la gioia di quando divenne vero, di un giovane e più umano Hiashi,
delle origini e dei perché del clan Hyuga.
Ci siete voi, i sei figli di Sasuke e Karin.
Fugaku, Shisui, Mikoto, Seshiro, Shidako, Hidetsu: scrissi i vostri nomi,
disegnai i vostri volti, vi diedi un età, delle abilità, un carattere. Volevo
dare anche a quel noioso bastardo di un Uchiha un futuro felice, e far ridere i
lettori con le avventure della sua famiglia.
Ci sei tu, Yachiru Kusajishi da Bleach, in
versione cresciuta, su cui volevo costruire un mondo futuro, con facce nuove e
facce vecchie, in cui qualcuno partiva, per tornare o non tornar più.
Ci siete voi, Santi d’Oro dei Cavalieri dello
Zodiaco, che desiderai parodiare e comicizzare in una fic delirio, senza
pretese e tutte risate, cosicché foste meno scandalosi che nel manga dove siete
nati e vi han costretto ad avere parte…
Ci sei tu asinello ubriaco di Darcy, corridore
quasi instancabile, personaggio tutto mio, primo, e per ora unico, di un ciclo
di storie dal sapore verde di prati, vento, birra, folletti e persone semplici
e narratori appassionati, da far danzare sul foglio ascoltando le ballate
trascinanti e commoventi della vostra fantastica terra.
Ci sei tu, ombra oscura che salta sui tetti
ridendo che tutta nera disegnai su un foglio, lato oscuro dell’essere umano,
simboleggiato su una carta arcana.
Ci sei tu, strega buona che corri in bicicletta a
riunirti alle tue compagne per una serata al Circolo del Noce, ritrovo a modo e
alla moda per chi fattucchiera si sente ed è in un mondo troppo banale.
Ci siete voi, personaggi di tutti gli anime e i
manga che adoro tanto, riuniti in squadre, dai mille colori, pronti ad un
improbabile campionato del mondo di calcio laggiù in Africa.
Ci siete voi, maschere e ombre avvolte nel fumo e
distorte dal magma della mia fantasia: vi ho creati e pertanto siete, abitate
ancora adesso, nei vostri mondi nuovi e immensi che si estendono negli angolini
della mia mente, stipati, in paziente attesa.
Mi circondano e mi osservano, mentre dal lettore
esce altra musica. Un brano il cui testo un po’ mi riporta coi piedi per terra,
facendomi sentire piccolo, ma capace di guardarsi e sorridere ancora.
Out the door just in time
Head down the 405
Gotta meet the new boss by eight am
The phone rings in the car
The wife is working hard
She's running late tonight again
Io osservo loro, fiero ma triste, poiché sono a me
per dirmi che la loro pazienza è veramente tanta.
Mi aspettano, ansiosi. Aspettano il battere delle
mie dita sulla tastiera per divertar vivi, tangibili, ma soprattutto,
leggibili.
Essere letti.
Portare sorrisi e lacrime non solo a me, ma a
tutti coloro con cui vorrò condividerli.
È una cosa stupenda: è ciò che desidero per loro e
loro lo desiderano per sé.
Sono i personaggi delle mie storie interrotte e
quelli delle mie storie mai iniziate.
Al vederli mi sento come un armadio pieno zeppo.
Io lo so che non pretendono nulla da me, perché
una sola pagina per ciascuno di loro sarebbe anche troppo; e non sarebbe
nemmeno giusto, poiché meritano certo molte, moltissime righe in più.
Io lo so cosa sono venuti a rimproverarmi.
Hai creato così tanto, e scritto così poco?
Perché l’armadio è così zeppo da potersi a
malapena chiudere?
Perché le tue dita non battono come un tempo, mi chiedono.
Sono cambiato.
Qualcosa ho guadagnato e qualcos’altro ho perduto,
cosicché non è più come una volta.
Di cosa ho bisogno?
Più tempo libero?
Più tempo per me?
Meno preoccupazioni?
Meno pigrizia?
O la maturità di seguire le proprie passioni senza
che la parte più accidiosa e arida di te le spenga?
Well, I know what I've been
told
You've got to work to feed the soul
But I can't do this all on my own
No, I know
I'm no Superman
I'm no Superman
Mi inginocchio davanti a loro: adesso loro sono il
re, e io il suddito.
Li guardo tutti, sorridendo come un papà
piccolissimo e indegno.
“Tutto ciò che posso dirvi, è che siete in me e
siete parte di me. I vostri continui, i vostri inizi, e voi tutti, con il mondo
che ciascuno di voi si porta appresso, è in me, custodito gelosamente.
Anch’io attendo, come attendete voi, di smetterla
di perdere il mio tempo, e dedicarmi a me stesso e ciò che ho da offrire.
Tutto ciò che posso dirvi, per chiedervi scusa, è
che so che messaggio portate e cosa rappresentate, e che ho scritto di voi
nella mia mente dove siete nati, anche se, per un motivo o per l’altro non vi
ho lasciati uscire.
Tutto ciò che posso promettervi, è che vi terrò
sempre in mente.
Vi vorrò sempre bene, anche se finora, per il mio
egoismo, io solo ho potuto leggervi, ascoltarvi, capirvi.”
“Grazie a voi ho regalato sorrisi e fatto
amicizie, mi avete regalato l’ebrezza di chi realizza qualcosa con le proprie
forze, mi avete fatto sentire chiaramente ciò che sussurrava dentro di me.
E spero di fare e sentire tutto questo ancora a
lungo.”
Li guardo ancora, tra una risata e una lacrima di
commozione, che tutti loro ricambiano…
Riaprendo gli occhi vedo la mia stanza così com’è.
Niente più voci, niente più sguardi, solo la
musica che prosegue dalle casse del portatile. Ma non mi hanno lasciato solo:
sono semplicemente tornati a casa. In me, e in quei fogli virtuali, alcuni
finiti, altri incompleti o ancora bianchi, dove riposano.
La mia conosciutissima stanza.
Lì abitiamo io e la mia fantasia.
Lì faccio volare la mia anima sul vento fresco che
entra dalla finestra.
Lì fantastico, creo, e talvolta realizzo.
E realizzerò il più possibile, poco ma sicuro!
Someday we'll be together
I'm no Superman
Someday
Someday we'll be together
Someday
I'm no Superman
Tra queste mura,
Le nostre mura,
Mille mondi e mille storie,
Mille personaggi e mille passioni
Mille progetti e mille sogni
Risiedono.
In attesa di esplodere fuori, laddove tutti
possano vederli.
A noi spetta l’ultima decisione: tenerli per noi,
o lasciarli andare?
Tenerci stretti a terra
O lasciarci volare?
ANGOLO DELL’AUTORE
Cari lettori
È già
qualche anno ormai che, grazie ad un amico, ho provato a narrare e raccontare,
scoprendo una nuova passione nella gioia di condividere un po’ di semplice
divertimento o un pensiero più serio.
Ed è già da
qualche che sento di non essere più quel cantastorie libero e disincantato di
un tempo.
Ultimamente
scrivo e posto sempre meno; quasi mai mi capita, come un tempo, di alzarmi la
mattina, pensando a cosa tirar fuori dal mio cilindro e servire ai miei cari
lettori ed amici.
Col passare
del tempo è naturale che i ritmi e le abitudini cambino, ma sento che nel mio
caso sento di essermi lasciato andare più del dovuto.
La mia vita
sta prendendo una strana piega, e mi rendo conto di trovarmi come smarrito da
una tempesta.
Mi tirerò
fuori? Supererò quest’onda, tornando a navigare col sorriso di chi ha trovato in
sé l’equilibrio e la voglia di esprimersi, senza lasciarsi distrarre da nulla?
La volontà,
ancora presente in me, di finire di ciò che inizio, ed iniziare ciò che
desidero, mi renderà una persona e un narratore migliore?
Domandatevi
anche voi quali “storie” sono nascoste nel vostro cuore, e quali sono rimaste
in sospeso.
Potrebbe proprio
essere il caso di continuarle.
Un saluto
affettuoso, e alla prossima
Tony, alias
NaruXHina