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Autore: Irina_89    02/09/2010    6 recensioni
“Ecco, lo vedi?” fece Simone.
“Cosa?” rispose brusca lei. Non era sua intenzione rivolgersi a Simone con quel tono, ma non sopportava che lei la trattasse così.
“Hai bisogno di riposarti.”
“No, ho solo bisogno di stendermi.” Replicò la rossa.
“E non è la stessa cosa?” alzò un sopracciglio la donna.
“No.” rispose decisa Inge. “Non è la stessa cosa.”
“Inge,” roteò gli occhi. “Perché non metti da parte la tua testardaggine e lasci che ti si aiuti?” il suo tono era leggermente più irritato.
“Perché non ne ho bisogno!” insistette lei, muovendo le mani scocciata.
“Scommetto che non l’hai ancora detto a nessuno.” Disse improvvisamente, senza, però, cambiare il contesto del discorso.
“E allora?” si stava arrabbiando. Le faceva sempre questo effetto stare con Simone a parlare di queste cose. Anche due settimane fa, quando venne per stare un po’ con Alex, le fece una paternale del genere ed Inge si dovette controllare per evitare di tirarle qualcosa addosso. Non che fosse insopportabile, anzi! Simone era una delle persone più belle al mondo. Disponibile, sempre carina… Insomma, era fantastica, ma quando entrava in questo argomento – e il più delle volte anche senza entrarci, bastavano i suoi occhi saccenti ed eloquenti in un qualunque momento della giornata – la ragazza si sentiva messa alle strette, come se non avesse altra scelta che fare come voleva lei.
[Sequel di Just A Kid]
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Home'
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Right Things To Do

Right Things To Do 

Era lì fermo, davanti alla porta, senza sapere bene cosa sarebbe successo ora che aveva almeno preso la decisione di andare in fondo alla questione.

“Inge,” la chiamò. Non bussò questa volta, sperò solo nella sua comprensione. Ma la risposta non arrivò. “Inge, per favore.” Disse con tono serio. Non sapeva perché, ma l’idea di dover affrontare quell’argomento a cui per tutti quei giorni non aveva nemmeno voluto pensare, gli aveva fatto tremare la voce. “Possiamo parlare?”

E la chiave girò nella toppa, mentre la porta si socchiuse e gli occhi verdi di Inge facevano capitolino, sebbene con un velo di tristezza.

“Credevo non me l’avresti mai chiesto.” E azzardò un timido sorriso. “Vuoi entrare?”

“Credevo non me l’avresti mai chiesto.” Abbozzò un sorriso a sua volta. Era incredibile come in questi pochi giorni le cose tra loro fossero cambiate. Entrambi sembravano retrocessi all’età adolescenziale, in cui il primo appuntamento rappresenta uno scoglio di imbarazzo quasi insormontabile.

Inge si sedette sul letto, con un paio di cuscini dietro la schiena per stare più comoda, mentre Tom si accomodò sulla sedia presso la scrivania, avvicinandosi al letto per stare più vicino alla ragazza. Lei aveva le occhiaie sotto gli occhi di un colore scuro, tendente al violaceo, e sembrava dimagrita – contrariamente alle conseguenze della gravidanza.

“Come stai?” le chiese.

“Bene.” Rispose lei, mentre piegava le ginocchia e le cingeva con le braccia.

“Bene.” E portò lo sguardo sulle proprie mani.

Il silenzio li avvolse e sembrava non voler concedere loro nemmeno una tregua. Lei non parlava e anche Tom si sentiva a secco di parole. Solo qualche minuto prima sembrava sapere il fatto suo, sembrava quasi che le parole fossero addirittura troppe, ma ora si era ritrovato paradossalmente senza niente da dire. O meglio, in realtà c’era molto da dire, ma non trovava il coraggio per iniziare quella conversazione che, finché non ci fosse stato dentro, non avrebbe saputo a cosa avrebbe portato.

“Inge, io…” tentò.

“Ho paura, Tom.” Confessò lei. I suoi occhi ancora fuggivano dal suo sguardo.

“C-cosa?” balbettò lui, colto alla sprovvista.

“Hai capito bene.” Fece lei. “Ho paura.” Ripeté. “Per me – come per te – questa è una situazione nuova, non so cosa fare… E tu non mi sei minimamente d’aiuto.” Erano parole dure che Tom non poté far altro che incassare.

“Scusa.” Ora era il suo turno di ammissione delle colpe. Era vero, lui era stato per tutti questi due giorni completamente assente.

“Io lo so che non vuoi questa responsabilità, ma io…” si zittì, come incapace di continuare. “Davvero, io non ce la faccio a pensare che possa perderli.”

“Inge, anche io…” Anche io cosa? Nemmeno sapeva cosa dire. Sentiva solo che doveva fare qualcosa. Il punto era: cosa? L’idea di ritrovarsi con altri due bambini – e questa volta sarebbero stati bambini veri, piccoli, suoi dall’inizio – lo terrorizzava. Sarebbe cambiato tutto. E forse sarebbe dovuto cambiare anche lui.

Inge lo guardò negli occhi, speranzosa di poter ascoltare quelle parole che era palese volesse sentire. Ma Tom non se la sentiva. Poteva anche dirgliele, ma non sarebbero suonate sincere. Eppure, guardando Inge con quell’espressione quasi supplicante, non riuscì a trattenerle.

“Inge, anche io non vorrei perderli.”

Fu la reazione della ragazza a non essere minimamente prevedibile: sbuffò, quasi come se volesse deriderlo.

“Andiamo, Tom. Non dire cazzate.” Lo riprese.

“Cosa?” si alterò. Lui faceva di tutto per cercare di farla felice e lei lo scherniva?

“No, Tom, hai ragione.” Si fece seria lei, guardandolo dritto negli occhi. “Pensaci: da quanto tempo è che non ti comporti con Alex come un padre?” Tom non riuscì a rispondere. Cosa voleva dire con questa domanda? Lui era un padre a tutti gli effetti con Alex, anche biologicamente parlando. “Vedi? Non mi sai rispondere.” Sorrise amareggiata. “Tu lo stai considerando come un fratellino. Quando è stata l’ultima volta che l’hai preso in braccio e l’hai baciato dicendogli quanto bene tu gli voglia?”

Il ragazzo si trovò a boccheggiare in cerca di una risposta che non riusciva a trovare.

“Tom, questo dovrebbe farti riflettere.” Proseguì la ragazza, distogliendo poi i suoi occhi verdi e posandoli sulla sua pancia, mentre l’avvolgeva con le mani. “E dovrebbe far riflettere pure me.” Aggiunse con un filo di voce. “Tu non sei pronto per altri due figli. Sei troppo immaturo.”

“Ehi, aspetta un po’!” ribatté il ragazzo. “Va bene rinfacciarmi tutti i miei difetti in quanto padre, ma questa offesa gratuita potevi risparmiartela!”

“E perché? Ho forse torto?” ridusse gli occhi a due fessure e aspettò che lui rispondesse, ma ancora una volta si ritrovò a non sapere come ribattere. E questo lo faceva irritare ancora di più. Avrebbe voluto dire molte cose per rispondere a quell’offesa, ma tutte erano inopportune in una situazione del genere. 

“Ascolta, Tom,” continuò con tono più remissivo. “Solo perché tu lo sappia: io li voglio tenere.” I suoi occhi verdi splendevano di una determinazione che li faceva brillare, forse più per un pianto trattenuto che per altro. E Tom capì che Inge non avrebbe cambiato idea nemmeno sotto tortura. Nel guardarla così combattiva, così risoluta nel difendere il suo futuro, Tom non riuscì a nascondere a se stesso quanto amasse quella ragazza. Per questo capì che qualunque fosse stata la sua decisione, lui le sarebbe dovuto stare vicino.

Si alzò dalla sedia e le si avvicinò, sistemandosi sul letto affianco a lei e la strinse forte a sé, dandole un bacio in fronte.

“Inge,” le sussurrò all’orecchio. “Io sono qui.” E sentì la ragazza che si abbandonò tra le sue braccia. Nessuna parola poteva essere più esauriente di quel semplice gesto. Lei si fidava di lui.

 “Scusa per i pugni e i calci.” Sussurrò contenta.

“E dello sputo che mi dici?” sorrise lui, nonostante le paure non smettessero di ronzargli in testa. “Quello è stato il colpo più umiliante per me.”

Questa volta Inge rise di gusto e gli diede un bacio sulla guancia, per poi accoccolarsi contro di lui. Tom la guardò mentre chiudeva gli occhi, il sorriso ancora sulle labbra, e la strinse a sé, sentendosi una merda. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere. Certo, le sarebbe stato accanto, l’aveva promesso, ma che potere poteva avere una promessa di cui persino lui stesso non era convinto? Si scoprì inadeguato per quel ruolo che aveva accettato di recitare, essendo lui stesso il primo che dubitava delle sue parole.

 

***

 

Era incredibile come quelle tre parole potessero averlo condizionato tanto. Da quando le aveva pronunciate, Tom era totalmente cambiato. Ogni volta che Inge scendeva le scale, o le saliva, o faceva qualsiasi altra azione quotidiana, lui era sempre lì a chiederle se avesse bisogno di aiuto. Inizialmente Inge non poteva che essere entusiasta del suo comportamento, sembrava che lui avesse seriamente compreso quello di cui lei aveva bisogno, ma con il passare dei giorni si era ritrovata a non sopportarlo più. Non la lasciava nemmeno un attimo da sola: le proponeva di accompagnarla al lavoro, di aiutarla in cucina – non sempre con risultati commestibili – di stare con Alex al suo posto per non farla stancare, di portarle le borse con i documenti di qualche progetto… Era assillante, e Inge si sentiva ogni giorno sempre più oppressa, come se non avesse più la possibilità di essere libera, indipendente come era sempre stata.

Ogni tanto, però si sforzava di guardare quella situazione da un altro punto di vista, quello comico, ritrovando così il buon umore e la possibilità di schernire il ragazzo tutte le volte che voleva e poteva, certe volte anche chiedendogli cose inconcepibili per lui, come massaggiarle i piedi.

“Dimmi almeno che te li sei lavati.” Supplicava lui.

“Certo che no! Altrimenti dove sarebbe il divertimento?”

Solitamente seguiva tutta una serie di battute maliziose che li portava ad abbracciarsi, coccolarsi, baciarsi. Ma non capitava più che facessero sesso. Inge non sapeva se dare la colpa alla trasformazione che stava subendo – sebbene non fosse molto evidente, visto che era passata solo una settimana – o se fosse la parola “incinta” a frenare i suoi istinti, ma ogni volta che entrambi si trovavano in atteggiamenti intimi, Tom riusciva sempre a trovare una scusa per allontanarsi e distruggere quell’atmosfera intrigante che veniva a crearsi tra loro, facendo svanire tutta l’eccitazione che essa portava.

“Alex dove è?” chiese Inge una mattina.

“Bill l’ha portato allo studio.” Il ragazzo era stravaccato sul divano, dilettandosi in uno dei suoi sport preferiti, lo zapping mattutino.

“E perché tu non sei andato con loro?”

“E ti lasciavo sola in casa?”

“Be’, credevo di essere maggiorenne già da un po’.” Rifletté lei, sedendosi affianco al ragazzo, poggiando la testa sulla sua spalla, mentre lui l’abbracciava e continuava a fissare la tv.

“Io infatti mi preoccupavo per i bambini.” Sorrise beffardo.

“Quindi sono più importanti loro di me?”  lo stuzzicò. Le piaceva quando Tom parlava di quei piccoli esserini che giorno dopo giorno crescevano nella sua pancia. Tom si limitò ad alzare le spalle e non rispose. Lei ridacchiò e chiuse gli occhi, seguendo i respiri del petto del ragazzo. Se c’era qualcosa che le piaceva ancora di più, era il suo imbarazzo.

“Senti, a proposito di bambini,” iniziò Tom, schiarendosi la voce. Aveva ancora il viso rivolto allo schermo. “Ho cercato qualche informazione sugli asili privati…” buttò lì.

Inge non rispose. Sapeva bene dove voleva andare a parare lui, ma non fiatò. Non le piaceva l’idea che Alex potesse andare via di casa. Forse tra un annetto, ma non in quel momento. Non era ancora convinta che i giornalisti avessero lasciato perdere la faccenda, e gli asili erano per lei i luoghi meno sicuri che potessero esserci. Alex aveva bisogno di qualcuno che gli stesse dietro tutto il tempo, qualcuno solo per lui. In un asilo, invece, lui sarebbe stato solo uno dei tanti che ogni tanto veniva adocchiato da una persona adulta. Poteva succedere di tutto.

“Ce n’è uno vicino a dove abitiamo che potrebbe fare al caso nostro.” Continuò lui. “Si raggiunge in dieci minuti in macchina. Ce lo potremmo portare noi quando andiamo la mattina allo studio e andarlo a prendere al ritorno, tu non dovresti fare niente.”

“Tom,” mormorò Inge. “Non è il fatto di andarlo a prendere o portarcelo.” Chiarì sospirando. “Quello lo potrei fare tranquillamente, anche se immagino che tu mi seguiresti per impedirlo e farmi rimanere a casa. E se si aspettasse ancora un po’ prima di portarlo laggiù?”

“E quanto? Che ne dici di mandarcelo per il suo diciottesimo compleanno?” fece Tom sarcastico.

“Tom, non iniziare.” Sospirò.

“Io non inizio proprio niente, sei tu che ogni volta che si entra in argomento cerchi sempre delle scuse!” spense la televisione e la guardò negli occhi.

“E non pensi che io abbia un motivo per farlo?”

“Sei troppo attaccata a lui, ecco il motivo.”

“Io mi preoccupo e basta!” ribatté lei, allontanandosi da lui, annusando aria di discussione.

“Ok,” respirò profondamente. “Ti propongo un patto.” Inge aspettò che Tom gli esponesse quel suo grande piano che avrebbe potuto sistemare la cosa, ma già sapeva che non le sarebbe andato bene. Purtroppo, però, non se la sentiva di contrastarlo così fortemente come avrebbe fatto qualche tempo fa, perché il timore di allontanarlo ancora una volta da sé era sempre presente.

“Dimmi.” Fece Inge, senza però gettare le armi.

“Facciamo andare Alex una volta laggiù, solo per vedere come ci si trova. Se a lui piace l’ambiente, allora provvederemo al resto.”

Inge non rispose, riflettendo sulla cosa. Avrebbe voluto ribattere, dirgli che non le andava bene, però in effetti sarebbe stata poi una decisione che doveva guardare anche ad Alex, quindi il fatto che fosse poi lui a decidere, poteva andarle bene, nonostante era molto probabile che un ambiente nuovo pieno di bambini gli potesse piacere e farlo emozionare fin dal primo giorno, conoscendolo. Ad ogni modo, Inge sapeva da tempo che il suo tentativo di lasciare Alex a casa, era una guerra persa in partenza, quindi accettò, sebbene di malavoglia, il patto.

“Ok, vediamo cosa ne penserà Alex.” Acconsentì, senza però tornare ad avvicinarsi a Tom.

“Non ti vedo molto convinta.”

“Che ti devo dire? Io preferirei che stesse a casa.”

“Pensa però che così avremo tutta la casa libera.” Le sorrise. Inge scorse quella luce maliziosa negli occhi e decise di sfruttarla più che poteva. Le mancavano molto quei momenti di intimità in cui lei e Tom potevano tornare ad essere una cosa sola.

“E cosa avresti intenzione di fare con la casa tutta libera?” lo invogliò, appoggiandosi con la schiena sul cuscino del divano, attirando il ragazzo con gli occhi.

“Molte cose.” Lui si lasciò trascinare dall’aria sensuale che li aveva avvolti con così tanta fluidità che nemmeno sembrava di aver toccato l’orlo di una difficile discussione proprio pochi minuti prima.

“Sai, vorrei proprio vederle.” Inge cinse la schiena del ragazzo e lo baciò, mentre lui le accarezzava i capelli, poi la guancia, il collo, la spalla. Quei movimenti erano brividi lungo la sua schiena, e per Inge erano come una droga. Ma proprio quando la ragazza pensava che quella volta sarebbe stata quella che li avrebbe riuniti, Tom sospirò e si alzò, allontanandosi da lei, si mise seduto sul divano, le sorrise senza convinzione e si alzò.

Come le altre volte, non disse più niente. Si diresse in cucina e Inge lo sentì aprire il frigorifero, stappare una bottiglia… Le sembravano tutti dei gesti intenti a coprire quel silenzio che si era improvvisamente creato tra loro. Lei era ancora sdraiata sul divano e non accennava a muoversi, domandandosi perché Tom si comportasse così. Inconcepibilmente, si dava la colpa di ogni cosa, motivo per cui era quasi arrivata ad odiarsi. Lei non avrebbe mai fatto una cosa del genere. Da quando si era scoperta incinta, invece, i suoi comportamenti erano completamente e profondamente cambiati. Quasi non si riconosceva più. E la stessa cosa valeva anche per Tom.

“Tom,” non riuscì a trattenere quelle parole. “Vieni qui.” Era atona.

Lui sbucò dietro di lei con una bottiglia di birra in mano. Sembrava volesse far finta che tutto andasse bene, ma i suoi occhi tradivano l’espressione del suo volto.

“Cosa ci succede?” fece lei, abbassando la testa. “Cosa ti succede?”

Lui non rispose.

Prevedibile…

“Davvero, Tom.” Riprese Inge. “Perché ti sei allontanato?” e lo guardò negli occhi. Voleva una risposta e non ammetteva scuse. “Non riusciamo più a fare sesso da quando ti ho detto che sono incinta.” Lui nascose il viso dietro la bottiglia che si portò alle labbra, per poi appoggiarsi allo schienale del divano, dandole le spalle. “Suppongo, allora, che le tue parole fossero solo balle.”

Il ragazzo sospirò e il lamento che seguì era un misto tra esasperazione e frustrazione.

“Inge, non è come pensi.” Disse infine.

“Allora dimmelo tu come è.” Replicò lei, appoggiandosi allo schienale e sporgendosi per poterlo vedere in faccia. “Cosa ti prende?”

“Inge,” iniziò lui. La voce risuonava titubante, come se avesse paura a pronunciare le parole che si stava sforzando di dire. “Sei incinta.” E sembrò aver concluso la sua spiegazione.

“Be’, grazie di averlo detto.” Inarcò le sopracciglia con sarcasmo. “Sai, non me ne ero accorta.”

“Io sono serio.” La riprese lui, senza distogliere lo sguardo dalla bottiglia che aveva tra le mani.

“Anche io.” Gli fece notare con durezza. “Quindi spiegami cosa c’è che non va. Nemmeno un paio di mesi di gravidanza e mi trovi già orribile?” sbuffò.

“No, non è quello.” Inge si sorprese nel vedere l’espressione assunta da Tom: sembrava imbarazzato.

“Non mi dire che non riesci più a -”

“No!” era quasi scandalizzato da un’affermazione del genere. “Lui va alla grande!” mise in chiaro. “È che, insomma… ci sono anche…” farfugliò, accompagnando il tutto con eloquenti gesti in aria.

E Inge comprese, senza poter evitare una risatina di derisione. “Ho capito, pensi che potrebbero sentire, eh?”

“E che ne so io! La mia conoscenza dell’anatomia femminile è molto superficiale, mi serve solo per -”

“Sì, so a cosa ti serve.” Lo sbeffeggiò Inge, sedendosi sul divano e continuando a guardare il viso imbarazzato e rosso di Tom, che in tutta risposta si voltò dandole le spalle.

“Non guardarmi così!” borbottò. “Per quel che ne so io, potevo anche fare qualche danno.”

La ragazza ridacchiò divertita, per poi alzarsi in piedi sul divano e raggiungere Tom. Lo abbracciò da dietro e gli diede un bacio sulla guancia.

“Basta solo essere più cauti.” Gli sussurrò all’orecchio. “E poi, lo sai che noi donne in gravidanza siamo vogliose, no?”

Lui sorrise malizioso, sempre voltato. “Interessante.”

“E sai di cosa ho voglia, ora?” lui si voltò e la prese in braccio, per poi buttarsi sul divano con lei.

Tornarono a baciarsi, accarezzarsi, e questa volta nessuno dei due si sarebbe tirato indietro.

 

***

 

“Sai, non pensavo che potessi trasformarti così tanto in sole due settimane.”

Bill sorseggiò entusiasta il suo succo di mirtilli, mentre Alex si stava impegnando a spalmare della marmellata di fragole su una fetta di pane abbrustolita, oltre che sulla tovaglia. Inge, intanto, si era rintanata nella camera di Tom per un motivo che al momento sfuggiva al ragazzo.

“Perché lo pensi?” chiese Tom, alzando lo sguardo su suo fratello, lasciando perdere l’intervista riguardante loro che stava leggendo su una delle tante riviste che ormai avevano affollato casa loro.

“Solo qualche tempo fa l’aria era troppo tesa. Avevo il terribile presentimento che tu e Inge vi sareste lasciati definitivamente.” Spiegò. Si sentiva cattivo ad aver solo pensato una cosa del genere riguardo suo fratello e la sua ragazza, ma in effetti era esattamente quello che si sarebbero aspettati tutti. Ora, però, Bill doveva ricredersi: non solo lui e Inge erano ancora insieme, ma erano addirittura tornati quasi come prima, teoria sostenuta dai mugolii che aveva sentito provenire da camera loro la notte scorsa. Anche Alex li aveva sentiti e il ragazzo fu costretto ad architettare una scusa che includeva battaglie di cuscini e risate stridule per dissuadere il piccolo dalla realtà delle cose.

“Be’, dovesti esserne contento, no?”

Contrariamente a quello che avrebbe voluto pensare Bill, Tom non sembrava esattamente il ritratto della felicità. A dirla tutta, Tom sembrava stanco, esausto. E forse anche infelice. Tutto il contrario di quello che si sarebbe aspettato lui.

“E tu?” lo interrogò. “Sei contento?”

“Perché non dovrei esserlo?” rispose Tom dopo un attimo di pausa.

“Non so, ma me lo fai pensare da come ti vedo.”

“Bill, papà è felice!” replicò Alex, ammonendo il ragazzo con un dito sporco di marmellata. “Ieri facevano la battaglia dei cuscini!”

“A questo proposito, Tom,” sussurrò il ragazzo, avvicinandosi furtivamente al fratello. “Per piacere, fate più piano la prossima volta.”

“Devi dirlo ad Inge, non a me.”

“Be’, sembrava che anche tu ti stessi impegnando.” Lo squadrò inquisitore.

“Ero solo trasportato dal momento.” Sviò lui, tornando a nascondersi dietro la rivista.

“Ad ogni modo, sono contento di come si siano sistemate le cose tra voi!” gli sorrise Bill.

Quello che però non volle dirgli, tanto per non mettergli ulteriore agitazione addosso, era che sebbene avesse intravisto anche la sua titubanza, Tom avrebbe dovuto mettere da parte ogni lato negativo della faccenda, perché presto sarebbe stata l’ora della prima ecografia, e non era ammissibile che lui non l’accompagnasse.

Tom annuì, senza riuscire a nascondere un certo imbarazzo. Prima o poi Bill avrebbe preso il fratello e gli avrebbe fatto un interrogatorio degno del migliore detective del mondo, lampada accecante negli occhi compresa. Conosceva troppo bene suo fratello per non preoccuparsi di quel suo silenzio. Solitamente avrebbe scherzato, ribattuto. Invece annuiva solamente, talvolta sorrideva. Non era il solito Tom e sembrava che la situazione proprio non lo aiutava ad essere se stesso.

“Eccomi, ragazzi.” Si annunciò Inge con un piccolo zaino tra le mani, mentre correva giù per le scale. Si era anche cambiata. Aveva ora un paio di pantaloni a coprirle le gambe che solitamente venivano coperte solo dalle maglie extra-large di Tom, sopra i quali portava una maglietta a maniche lunga in tinta unita.

“E tu dove vuoi andare?” fece Tom, andandole incontro e prendendole lo zaino.

“Ad accompagnare Alex, mi sembra scontato.” Gli sorrise lei, baciandogli una guancia.

“Non se ne parla, tu rimani qui. Torna a cambiarti, che oggi non devi nemmeno andare al lavoro.” Ed indicò il piano superiore con l’indice. Aveva il viso duro, sebbene in realtà non lo fosse minimamente. In quelle due settimane Bill aveva benissimo notato come lui cercasse di fare ogni cosa affinché Inge non se la prendesse. Sembrava che suo fratello le provasse tutte per evitare che lei si arrabbiasse.

“Nemmeno se mi preghi in ginocchio. Voglio accompagnare questo diavoletto al suo primo giorno di asilo.” Lo oltrepassò e raggiunse Alex, che le corse incontro con un raggiante sorriso sulle labbra, sporche di marmellata. Inge lo prese in braccio e lo portò nel bagno del piano terra, aiutandolo a lavarsi, poi gli diede un grande bacio sulla fronte e lo lasciò andare su in camera sua a cambiarsi. Come minimo gli aveva già preparato i vestiti sul letto, come faceva ogni volta che Alex usciva di casa.

“Evita allora di fare scene di pianti vari.” Le sorrise, prendendola per le spalle e accompagnandola in sala, dove la fece sedere sul divano, lui affianco a lei. Il gesto implicito che accompagnava quel suo insolito atto di galanteria era una semplice preoccupazione: voleva che se ne stesse buona e seduta, senza stancarsi. E da come aveva sbuffato Inge, molto probabilmente se ne era accorta pure lei.

“Tom, non sono moribonda.” Gli fece notare, scocciata.

“Mica ti ho detto che lo sei!” si stizzì lui, allontanandosi in difesa.

“Ma ti si legge in faccia!” gli sorrise strafottente.

“Allora non leggere e fai finta di niente.” La schernì a sua volta.

E puntualmente, come se quel suo sorriso sghembo e provocante fosse un magnete, Inge gli si buttò addosso, abbracciandolo e ridendo. Solo i potenti colpi di tosse di Bill riuscirono ad interrompere il loro rito d’accoppiamento, facendoli tornare seduti sul divano con una minima parvenza di controllo, mentre Alex scendeva trotterellando le scale, eccitato per quella novità che Tom gli aveva spiegato la sera prima.

“Sei pronto campione?” lo salutò Bill.

“Sì!”

“Bene, allora ci si vede stasera.” Si accucciò. “Dai un bacio allo zio Bill.” Ridacchiò. Alex non se lo fece ripetere e gli lasciò il segno del dentifricio su una guancia. Bill lo prese e gli pulì la bocca con una mano, per poi salutarlo e vederlo uscire di casa saltellando, seguito da Inge e Tom, mano nella mano.

La porta si chiuse e il ragazzo tirò un sospiro di sollievo. Per quanto le cose potessero sembrare di essere tornate alla  quotidianità, la sensazione che ci fosse qualcosa che non andava ancora non abbandonava la testa di Bill, che però si costrinse a non pensarci.

 

***

 

Per tutta la mattinata Inge non aveva fatto altro che sospirare seduta sul divano, un libro tra le mani che nemmeno toccava, presa com’era a pensare a Alex. Tom non le si era avvicinato che una misera volta, tanto per appurare che non fosse sull’orlo di una crisi, poi tornò nello studio con Bill per discutere del programma che aveva fatto aver loro Jost, mentre Georg era in linea telefonica con loro – Gustav era partito per stare il finesettimana dalla sua famiglia.

A pranzo aveva parlato poco o niente, e Bill sembrava quasi più preoccupato di Tom al riguardo. In effetti non era da Inge comportarsi così, ma in quell’ultimo periodo aveva cambiato atteggiamento così tante volte che lui ormai nemmeno ci faceva troppo caso, erano come al solito quei stramaledetti ormoni, che oltre che dare fastidio a lei, provocavano seri danni alla loro relazione, visto che Tom non sapeva neanche più come rispondere a semplici domande, intimorito dal fatto che lei avesse potuto fraintendere e fargli una sfuriata. Era già successo: lei gli aveva chiesto se poteva andare a prendere nell’armadio un paio di cuscini per stare più comoda sul letto, e lui gli aveva risposto scherzosamente che poteva anche andarseli a prendere da sola, visto che si lamentava di avere troppe attenzioni addosso. Non ricordava come fosse successo, ma si era ritrovato giù dal letto con l’impronta di un libro sul petto nudo.

Inge tornò in sé solo quando verso le quattro Tom tornò a casa con Alex, che tutto eccitato corse incontro a Inge – obbligata a rimanere a casa – e le iniziò a raccontare come si fosse divertito. Aveva già conosciuto molto bambini e aveva giocato tantissimo, disse.

“E poi Arthur ha preso il pallone e abbiamo giocato in giardino!”

“Vi siete coperti bene? Fa ancora un po’ freddo.” Lo ammonì Inge. “Avevate qualcuno che vi guardava?”

“Sì, la signorina Fischer è sempre stata con loro.” Rispose Tom, sospirando. La ragazza stava sottoponendo il povero Alex ad un indiretto interrogatorio su tutta la giornata, purtroppo per lei, lui dava solo dimostrazione di quanto quell’esperienza gli fosse piaciuta.

“Non ho chiesto a te, ho chiesto a lui.”

“D’accordo, Alex rispondi a Inge, la signorina Fischer è sempre stata con voi?”

Il bambino annuì sorridente e spiegò come anche lei fosse simpatica, gli raccontava anche delle storie e inventava giochi divertentissimi.

“E poi siamo andati a disegnare!” continuò il bambino. “Sai che sono il più bravo?” annunciò con orgoglio. “Ho disegnato tanto e ho fatto un disegno anche alla signorina Fischer!”

“E lei cosa ha detto del disegno?”

“Ha detto che lo attacca a casa sua!”

Tom non sbagliava a pensare che Inge avrebbe preso fuoco da un momento all’altro. La sua espressione si stava sempre più trasformando in una smorfia di intolleranza nei confronti di quella donna, mentre cercava di mantenere il sorriso per accontentare Alex. Non avrebbe sbagliato nemmeno a pensare che Inge iniziasse ad odiare quella signorina Fischer anche senza averla conosciuta di persona.

“Bene, quindi ti è piaciuto andare lì?”

“Sì, voglio tornarci anche domani!”

“Alex, domani è chiuso,” disse Tom, stravaccandosi meglio sulla poltrona. “Ci tornerai Lunedì, se vuoi.”

“Sì, voglio tornarci! Così posso giocare ancora con Arthur e Carl!”

Tom dovette trattenersi dallo sfoderare la sua trionfante espressione di vittoria in presenza di Inge. Sapeva che la ragazza non riusciva a digerire il fatto che Alex si fosse divertito. Ma doveva accettare la situazione: Alex stava crescendo e doveva iniziare anche lui a fare le sue esperienze. Purtroppo, per quanto Tom potesse essere contento della meta raggiunta, non poteva che sentirsi dispiaciuto per Inge. Dopotutto lei era molto affezionata al bambino e l’idea di separarsene – lo sapeva – la faceva soffrire. Le avrebbe dovuto parlare al riguardo, tanto per mettere in chiaro che quella decisione era stata presa, e non da lui, ma da Alex stesso.

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Bu! Rieccomi! Premetto subito che questo capitolo non ha un vero e proprio tema principale. Accade un po' di tutto... La prima parte doveva essere inserita nel capitolo scorso, ma siccome era troppo lungo, allora l'ho fatta slittare in questo. Poi c'è la parte della relazione tra Inge e Tom - che volendo avrei anche potuto sorvolare, ma sono stata troppo attratta dalla prospettiva di descrivere un Tom imbarazzato XD - e la parte finale. Sì, quella forse è l'unica che tiene unite un po' la vicenda principale. Vabbè, tutto questo per dirvi che il titolo è stato scelto praticamente a caso, pescandolo alla cieca da una decina di altri titoli che mi erano venuti in mente. Boh, alla fine, essendo molto generale, si potrebbe anche far andare bene per tutte e tre le scene.

Comuuuuuunque! Domani avrei una revisione, e infatti sto facendo di tutto tranne che terminare le tavole che mi rimangono, ma pace. Era troppo tempo che non pubblicavo e non ce la facevo più a stare china sui fogli a rovinarmi la vista u.u Quindi eccomi qui, pronta a rispondere anche ai vostri commenti:

memy881: Be', da una parte Inge e Tom hanno fatto pace, ma dall'altro... Eh, il loro rapporto dovrà sopportare molto altro, purtroppo. Nonostante tutto, però, sembra che almeno per il momento siano tutti un po' più felici. Meglio così, no? ;) Prossimamente ci sarà la prima vera e propria ecografia... Chissà cosa succederà in quel momento!

_KyRa_: Sara cara! Ehh, ma chi non ama quel bambino? Alex è un'esplosione di vitalità davvero incredibile! E poi io adoro scrivere di lui, con tutta l'innocenza che può avere un bambino :) Per quanto riguardo il suo rapporto con Tom... Be', Inge la pensa diversamente, e anche Tom si sente un po' attaccato su quel lato, senza davvero sapere cosa rispondere. Ma avrà l'occasione per dimostrare il contrario, questo è poco ma sicuro! E grazie per i complimenti, cara!

LoveEngland: Ciao! Mi fa piacere che ti piaccia questa storia! Spero continuerai a seguirla, perché ne devono ancora capitare di belle - e di brutte... (So che non c'entra molto, ma anche io adoro l'Inghilterra! *-*)

Ehh, insomma, possiamo anche concludere qui per questo aggiornamento, che dite? Così io torno a torturarmi gli occhi sulle tavole - anche se tanto domani quando tornerò avrò da rifare tutto, come vederlo -.- Ad ogni modo, prima di dileguarmi definitivamente, voglio ringraziare anche quelle persone che hanno inserito questa storia tra i preferiti, le seguite e le ricordate. Grazie! ;)

Besos! Alla prossima, gente!

Irina

 

  
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