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Autore: KairiXDD    02/09/2010    4 recensioni
"Salve a tutti. Mi chiamo Hyotaru, e questa è la mia storia. Beh, in realtà, non proprio la mia. Io sono stato solo partecipe del cosiddetto “Sogno”. Il vero protagonista è stato il mio cane, Haru, un presunto cucciolo di Shikoku inu, ormai morto, o forse ancora vivo, chi lo sa, ad affrontare una nuova avventura. Non sono pazzo, e ciò che sto per raccontarvi l’ho visto davvero con i miei occhi. " FF creata ispirandomi alla trama di Wolf's Rain, non molto attinente però alla trama principale.
Genere: Guerra, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il canto della Foresta.

 

Salve a tutti. Mi chiamo Hyotaru, e questa è la mia storia. Beh, in realtà, non proprio la mia. Io sono stato solo partecipe del cosiddetto “Sogno”. Il vero protagonista è stato il mio cane, Haru, un presunto cucciolo di Shikoku inu, ormai morto, o forse ancora vivo, chi lo sa, ad affrontare una nuova avventura. Non sono pazzo, e ciò che sto per raccontarvi l’ho visto davvero con i miei occhi. Il fruscio delle foglie secche calpestate dai lupi, che in una gelida notte di inverno cercavano di raggiungere la Luna, accompagnati da una scia di fiori lucenti ed una incantevole melodia, non lo dimenticherò mai. E questa, è una prova certa dell’esperienza che mi ha sconvolto il passato.

Quel giorno, era la sera di una calda estate. Ero appena ritornato con i miei amici dalle vacanze, trascorse in un campeggio, quando avevo preso un brutto malanno. La febbre mi saliva ogni giorno sempre di più, ed io ero costretto a rimanere segregato in un piccolo ed angusto letto. Alla televisione non facevano altro che trasmettere notizie riguardanti la Terza Guerra Mondiale, giorno e notte. Il Giappone era caduto in una bruttissima bancarotta, molti impiegati avevano perso il posto di lavoro. Mio padre, seppur occupasse una posizione importante all’interno della Politica, si è ritrovato senza paga da un giorno all’altro, cosicché io e la mia famiglia siamo dovuti trasferirci vicino all’Alemania. Qui, inizialmente, la situazione era un po’ migliore, ma col passare dei mesi, pure la Germania si trovava di fronte ad una grave crisi. D’altronde, durante una guerra ad armi batteriologiche, chi poteva resistere per più di un anno? Malgrado tutti gli sforzi che questa Nazione avesse fatto, si è dovuta piegare di fronte alle varie epidemie ed alla riduzione degli scambi commerciali per prevenire diversi contagi. Mamma, infine, da altruista che è, era entrata a far parte della Protezione Civile, e la sua vita sembrava appesa ad un filo sottilissimo, che si sarebbe spezzato da un momento all’altro. Fortunatamente (ma neanche tanto), io ero ancora un bambino e vagavo nel mio mondo. A scuola avevo molti amici, quindi, se non era per via dei compiti, ero sempre impegnato a giocare con gli altri.  Un giorno, però, papà venne a prendermi prima del solito, spezzando quel bell’incantesimo che mi rendeva un giovincello spensierato. C’era stato un attacco kamikaze nell’Ospedale dell’Alemania, ed era stata coinvolta pure la mamma. Ci siamo subito recati nel luogo della disfatta, ed abbiamo trovato il corpo senza vita di Hikaru abbracciato ad un cucciolo di cane. Haru teneva stretto fra i denti una collana, quella che mia madre teneva al collo, che “l’avrebbe sempre protetta da ogni imprevisto, grazie all’amore di papà”. Era rimasta intatta assieme alla fede nuziale. Il cucciolo piangeva, leccava il volto di Hikaru, in preda alla disperazione. Sembrava davvero che potesse provare dei sentimenti. Yeijiro si buttò subito accanto alla mamma, prendendole la mano, ancora accecato dalla luce della speranza. Io invece ero rimasto in piedi, a fissare la scena, quasi in trance. Non sapevo cosa fare, né cosa dire o pensare. Mi rifiutavo di capire. Anche la vista mi si era offuscata. Solo ad un certo punto ritornai in me, quando vidi un signore dalla tuta blu avvicinarsi, scuotendomi. Non riuscii a fare altro che puntare il dito contro mio padre. Poi, sentii il suo corpo allontanarsi dal mio, ed un sussurro, quasi impercettibile, mi arrivò sino all’orecchio, intrappolandolo per sempre nella ragnatela dei miei ricordi.

“Yeijiro… prendi con te la collana… ed il cane… è lui che mi ha salvata e fatta uscire dall’edificio in fiamme…”

Il cucciolo mugolava ancora, ed i suoi lamenti si confondevano col pianto di mio padre, creando un canto intriso di affranto. Le parole di conforto che il membro della Protezione Civile ci rivolgeva erano come una melodia stonata, che non riusciva a competere contro la nostra Opera. Non la volevamo ascoltare, non la riuscivamo a sentire, il nostro udito non ce lo permetteva. Hikaru morì dopo aver pronunciato quella frase, e niente poteva riportare indietro il tempo. Di lei era rimasta soltanto una traccia- Haru, quel misterioso cane trovato accanto a mia madre. Era grande, con occhi azzurri e profondi: bastava semplicemente fissarlo, e lui, grazie al suo sguardo intenso, ti comunicava ciò che avrebbe voluto esprimere “a parole”. Aveva il manto soffice e bianco, con alcune simpatiche chiazze scure attorno al muso e sulla schiena. Decidemmo di chiamarlo Haru, perché fu proprio Hikaru a trovarlo.

-La mamma…- dissi, stringendo fra le mani la sua collana.

Papà mi fece un leggero sorriso.

-Non ti preoccupare, anche se la mamma non è qui con noi, ci proteggerà sempre.

A quei tempi, mi bastava anche solo una frase del genere per sentirmi meglio. Avevo bisogno di qualcosa in cui credere, sulla quale aggrapparmi, che mi proteggesse dagli angoli spigolosi del mondo.

-Ora riposa, vado a prepararti una minestra- concluse infine Yeijiro.

Con la mano libera, accarezzai il muso di Haru. Lui ricambiò, guardandomi con sguardo dolce. Eravamo diventati inseparabili da ormai 5 anni. Per me, era come un fratello, l’anello mancante che avrebbe saldato nuovamente la nostra famiglia. Lo portavo a spasso ogni sera, gli raccontavo ciò che accadeva durante la giornata, correvo con lui in mezzo ai campi, gli ho fatto conoscere i miei amici… Con questo, non intendevo dire che Haru avesse rimpiazzato la mamma, Hikaru. Anzi, non sarebbe mai riuscito a farlo. Dico solo che io e Yeijiro, grazie a lui, siamo riusciti a riprenderci dallo shock più facilmente. Ed io ora, mi sentivo così inutile. Con la febbre che avevo, non potevo divertirmi con Haru. Non potevo fare proprio un bel niente, oltre che a guardare quella stupida di una TV, ed era così frustrante sentire tutte le notizie che passavano per mezzo di quella scatola nera. Omicidi, rapimenti, incendi… In quel momento, giurai dentro di me che avrei fatto qualsiasi cosa pur di fermare quell’inutile guerra, che aveva causato così tanti morti e nessun rimedio efficiente.

Haru alzò leggermente il muso, mugolando. Aveva sicuramente capito a ciò che stavo pensando.
- Ah, non ti preoccupare – lo rassicurai io – Per il momento non farò un bel niente.

Spostai lo sguardo sul pavimento e gli scompigliai il pelo.

-Per ora devo riposarmi… - dissi, ed un attimo dopo, chiusi gli occhi, entrando in un sonno profondo.

Al mio risveglio, un’ondata di freddo gelò il mio corpo. Mi guardai attorno. L’atmosfera era decisamente cupa, e la luce della lampada da tavolo sembrava oscurarsi secondo dopo secondo.

Abbassai lo sguardo sul pavimento.

Haru non era più con me.

Dove era finito?
“Ah, non mi devo allarmare”, pensai “Sarà sicuramente in cucina a papparsi la mia minestra!”
Ridendo al solo pensiero di vedere il muso di Haru sporco di minestra, entrai in cucina.

Il piatto era sul tavolo, e sembrava decisamente freddo. Papà non c’era, e non aveva lasciato alcun biglietto sul tavolo.

Guardai l’orologio.

Era notte fonda.

Forse era uscito a fare quattro passi con Haru, dato che io non ero in condizioni di farlo.

Però, che strano, mi era sembrato di aver dormito pochissimo. Eppure mi sentivo già in perfetta forma. Non contando il freddo cane che faceva, ovviamente…

“Sarà meglio aspettare papà e non prendere decisioni avventate… se non mi trova a letto si preoccuperà sicuramente…”

Detto fatto, mi voltai e ritornai nella mia camera, sedendomi sul letto. Presi il giubbotto vicino al letto e me lo misi sulle spalle, fissando il pavimento.

“Che notte spaventosa…”, pensai.

Mi chinai su me stesso per coprirmi meglio, fino a che non notai un curioso biglietto scivolarmi dalla tasca anteriore e posarsi per terra.

-Uh? Cos’è..?

Non ebbi neanche il tempo di prenderlo in mano che un ululato si sollevò dall’altra parte della finestra.

Mi alzai di scatto e sporsi la mia testa all’aria aperta. Una forte ventata d’aria mi colpì in pieno viso, costringendomi a socchiudere gli occhi. Eppure, riuscivo a distinguere perfettamente la forma che c’era in mezzo al prato. Era il mio cane, Haru.

-HARU!!!- urlai a squarciagola.

Il cane voltò il muso verso di me.

-HARU, TORNA QUI!

Mi puntò gli occhi addosso. Le sue pupille profonde sembravano volermi avvertire. “C’è qualcosa qui vicino”.

Alzò le orecchie, per esprimere meglio il concetto. Poi ruotò verso Ovest, ed iniziò a correre.

-HARU, DOVE VAI? DOBBIAMO ASPETTARE PAPA’!

Ma lui stava già proseguendo da solo. Si vedeva solo la coda muoversi a ritmo delle sue zampate veloci.

Io avevo ancora 10 anni. A quell’età avevo capito ben poco dalla vita. Per me, l’unica cosa che importava era raggiungerlo.

Non persi neanche tempo ad imprecare, infilai direttamente la giacca che avevo sulle spalle e mi precipitai a basso, prendendo il borsellino con soldi e chiavi. Poi chiusi la porta, ed iniziai a correre nella stessa direzione che aveva preso Haru.

Dovete sapere che, non molto lontano dalla nostra casa, si estendeva una foresta enorme, conosciuta anche come Foresta Negra. Andavo spesso a giocare lì assieme ai miei compagni di classe, però non ci ero mai entrato davvero, perché i nostri genitori dicevano che era pericoloso. Ci hanno raccontato un sacco di storie riguardo a quella Foresta. “Se ti perdi dentro ti mangeranno i lupi cattivi!” “Se rimani di notte sentirai le voci dei morti!” “Gli orsi ti potrebbero attaccare!” e robe simili.

Beh, quando mi accorsi bene verso COSA mi stavo dirigendo, le gambe iniziarono a tremarmi. Perché ero così facilmente condizionabile da tutte quelle false dicerie? Cercai di incoraggiarmi con questo pensiero. Dovevo andare da Haru. Lui era tutto per me, e poi non mi avrebbe mai lasciato solo, qualsiasi cosa sarebbe accaduta!

Presi il sentiero dall’altra parte della strada e mi addentrai nella foresta. Attorno a me, il silenzio. Non passava alcuna macchina, le luci delle case erano spente, solamente la luna illuminava il cammino. Una luna strana. Alzai lo sguardo verso il cielo. Una luna tendente al colore rosso.

-Cosa sta accadendo…- sussurrai sottovoce.

Abbassai il capo, quando notai la coda di Haru dinnanzi a me.

-Haru!- esultai, chinandomi per abbracciarlo.

Lui non si mosse.

-Oh Haru… ti prego fa freddo oggi… torniamo a casa… papà ci starà aspett—

Haru scivolò via dalle mie braccia e mi fissò negli occhi, prima ancora di finire la frase.

-Non posso ancora andarmene.. qui c’è qualcosa…

Sbarrai gli occhi e scrutai Haru.

Nah, ero pazzo, non poteva avermi parlato. Un cane non parla!

“Sarà semplicemente stato un mio pensiero, sarà stata la mia interpretazione dello sguardo di Haru, che mi è sembrata talmente reale da pensare di poterlo sentire sul serio”, pensai.

Lui quindi, si voltò. Rimase fermo un altro po’.

“Vorrà dirmi che lo devo seguire…”

Così facendo, io ed Haru ci inoltrammo nel cuore della Foresta, incerti di ciò che ci sarebbe accaduto.

Certe volte pensai pure di tornarmene indietro. Sentivo strani rumori, vedevo bizzarri occhi spuntare dai cespugli –forse per colpa di tutte quelle leggende che mi avevano raccontato. Ma alla fine, osservando Haru accanto a me che proseguiva con profonda determinazione, prendevo un po’ di più coraggio. Eravamo come fratelli, e se mi fosse accaduto qualcosa, sono sicuro che sarebbe corso in mio aiuto.

-Fiori! – sentii esclamare ad un certo punto.

Mi guardai attorno, spaventato.

-Chi va là? – urlai, stringendomi ad Haru.

Lui, per tutta risposta, abbaiò, e prese a correre verso un sentiero buio.

-Haru!! Dove stai andando?- chiesi, in preda al panico.

-Haru aspettami sto arrivando!

Seguii lo stesso percorso che aveva preso Haru. Mi impigliai più volte nei rami degli alberi, che lì raggiungevano pure terra. Mi graffiai, caddi al suolo. Ma non mi fermai.

Dopo pochi istanti, mi fermai, sfinito. Davanti a me, Haru che scodinzolava.

-Haru… - sussurrai con le poche forze che avevo.

Con il muso, Haru spostò dei tronchi davanti a noi, e li scavalcò.

“Non ce la faccio più…”, pensai.

-Dove mi starai portando…- sospirai, alzando di un poco lo sguardo.

Davanti a me non c’era più la foresta. Solo un grande, ed enorme lago emergeva dal verde, e si innalzava verso il chiarore lunare. Una fanciulla, dall’altra sponda del lago, canticchiava una piacevole sinfonia.

Rimasi lì in piedi fermo per un po’, ad osservare quello stupendo e misterioso paesaggio. Mi sentivo rigenerare man mano che il tempo passava. Era tutto tremendamente perfetto.

-La ragazza dei Fiori!- qualcuno esclamò.

Mi voltai di scatto verso Haru. Lui stava scodinzolando, felice. Abbaiò una volta, come per attirare l’attenzione della fanciulla.

Lei, sentendo il richiamo del mio cane, smise di cantare e voltò lo sguardo verso di noi, accennandoci un lieve sorriso. Nello stesso istante, una fresca brezza attraversò il lago, accarezzandomi il corpo.

Haru non si fece pregare nemmeno un istante che era già arrivato dalla ragazza. Li vidi in lontananza.

Sembrava quasi che lei riuscisse a comunicare addirittura meglio di me con Haru.

Una leggera scossa mi attraversò la schiena. Ero davvero geloso di Haru, non mi piaceva vederlo con una tipa del genere.

Così, con passo deciso, percorsi la baia del lago fino a raggiungerli. La ragazzina stava accarezzando Haru. Di viso asciutto, aveva i capelli rosa tenue, lisci e che le ricadevano sul volto con un caschetto. Gli occhi erano grandi e incredibilmente rossi, quasi fossero i petali di una rosa. Era circondata da un buonissimo profumo di fiori. La sua strana tuta scintillava sotto la luna. Sembrava felice, non era preoccupata di trovarsi in mezzo alla foresta da sola, benché avesse praticamente la mia stessa età.

-Ciao. – mi disse sorridendo.

-Tu sei Hyotaru, vero?

“Come fa a conoscermi?”, mi chiesi.

Cercai di scappare alla sua domanda con un’altra.

-Tu… Tu non sei di queste parti, vero?

-Non credo lo sia nemmeno tu, Hyotaru…

“Ma chi è questa?”

-Tu..!
La ragazza si portò l’indice alle labbra.

-Shh… - sussurrò con un tono tranquillo.

Poi si voltò verso Haru.

-Lei si chiama Cheza. – rispose, quasi si rivolgesse solo al mio cane -… Tu credi in Haru, vero?

Fui colto alla sprovvista.

-Uh..?

Cosa intendeva dire?

-Beh certo che credo in lui, è il mio cane da 5 anni e poi aveva provato a salvare mia madre—

Cheza fece segno di bloccarmi.

Haru teneva basse le orecchie, come se non volesse ascoltare.

Io mi rivolsi verso lui.

-Ehi, Haru, non ti preoccupare, sono contentissimo di averti trovato.

A quelle parole, Haru alzò il suo muso scodinzolando. Sembrava che lo avessi tranquillizzato, un po’. Forse anche grazie alla presenza di quella misteriosa ragazza.

-Vi volete davvero bene… - constatò Cheza.

Io la guardai sorridendo leggermente.

Lei allungò una mano verso di me, e la appoggiò sui graffi che mi ero fatto.

-Uhm..?
Una luce verde sfavillò dal suo palmo, ed iniziò a cantare.

“Che… bella voce…”, pensai, arrossendo un po’.

Poi, vidi le ferite scomparire mano a mano.

Agitato, fissai negli occhi Cheza.

-Cosa..?

-Lei ti racconterà tutto. Se Haru crede in te, anche lei può fidarsi di te, Hyotaru.

Incantato da quella splendida creatura, rimasi in piedi, ad ascoltarla.

-Lei è nata dal fiore della luna, creata da un gruppo di nobili scienziati. Lei è solo un esperimento. Il suo scopo è quello di condurre i lupi al Rakuen. Una strada di fiori lucenti mostrerà la via durante una notte di luna piena.

-Non capisco… - sussurrai sottovoce.

-Haru…- iniziò lei - è un lupo.

Sollevai lo sguardo e puntai gli occhi in quelli di Haru.

-Ma è un cane di razza Shikoku inu! I-i lupi sono praticamente estinti!

Cheza sorrise.

-No, Hyotaru. I lupi non si sono estinti. I lupi vivono ancora, in molti, ed il loro vero obiettivo rimane quello di raggiungere il Rakuen. Molti, però, trasformano le loro sembianze da lupi a uomini, perché la razza umana ha iniziato a sterminarli in gran massa. Haru probabilmente non si è ancora trasformato bene in un lupo, perché ha vissuto a stretto contatto con voi per un lungo periodo – accarezzò il manto bianco di Haru – Lui è un lupo di Honshu.

- Cosa? – chiesi esterrefatto.

- Si è avvicinato a lei perché lei ha bisogno di lui, e lui di lei, per raggiungere il Rakuen. – continuò Cheza.

Continuai a fissare Haru. Era… una cosa senza senso. Cioè, nei limiti della logica, non era possibile. Era inimmaginabile. Una razza estinta da tempo… come aveva fatto Haru a sopravvivere? Non ci credevo… e se lui era vivo, vuol dire che anche i suoi genitori erano lì da qualche parte, in Alemania. Dei lupi di Honshu in Alemania..? Ma che stava succedendo? La guerra aveva scombussolato davvero l’intero pianeta, compresi  gli animali?

Cheza sembrò quasi leggermi nel pensiero.

-Il Rakuen è quello che voi umani potreste comunemente chiamare “Paradiso”. Nemmeno lei però sa con esattezza cosa sia. Nel Libro della Luna, però, lei ha sentito dire che è… una “rinascita”.

Alzai lo sguardo verso la luna. In quel luogo, non aveva più il colore insolito del rosso. Scintillava assieme agli altri astri nel cielo. Il manto scuro della notte sembrava un enorme campo di fiori, il quale più bello era proprio la Luna. Perché l’uomo aveva sempre cercato di raggiungerla, e non aveva dato importanza alle altre stelle? Forse perché era la più vicina al Pianeta? O forse per la sua strana natura? Un giorno la vedevi piena, un altro per metà, un altro ancora scompariva… Forse era questo il vero fascino che ti catturava. Ma chi era davvero il creatore di quello splendore? Forse Cheza, ed i lupi? Sembrava conoscere l’Universo meglio di noi umani, anche se non avevano le nostre stesse capacità.  

“Credo proprio che l’uomo sia stato superato sia dai vegetali che dai lupi. Siamo proprio caduti in basso, eh”, pensai.

-È giunto il momento.- disse d’improvviso Cheza, alzandosi dalla radice di un grosso albero sopra la quale si era poggiata.

-Il momento…? – domandai.

La ragazzina, con un sorriso, si voltò verso di me.

-Potrai assistere all’apparizione del sentiero che porta al Rakuen.

Degli ululati si levarono dall’oscurità della foresta.

-Non avere paura, - mi disse – i lupi non ti faranno nulla, sono miei carissimi amici.

Una sensazione di calma interiore mi pervase tutto il corpo. Lei… era così strana.

-Tu.. hai un carattere simile a quello dei lupi. Li capisci. Forse per questo lei è riuscita a curarti.

E così dicendo, Cheza avanzò leggiadra verso il lago. Haru la seguiva, contento come non mai.

Ad un certo punto, quando Cheza iniziò a ballare seguendo il ritmo della sua canzone, un’ondata di vento freddo portò con sé gli ululati dei lupi. Sembrava provenissero da tutto il mondo.

Quella a cui stavo assistendo era una perfetta opera in tutta la sua completezza. La luce della Luna risplendeva chiara sulla superfice dell’acqua, rendendo l’atmosfera ancora più rilassante. In quel momento, mi dimenticai di tutto. Qualsiasi preoccupazione svanì, e nella mia mente rimaneva impresso solo il canto di quella nottata. Per me, il Paradiso era questo. Mi sentivo così leggero, che mi sembrava di volare. Di poter toccare la Luna con un dito.

Improvvisamente Cheza smise sia di cantare che di danzare. Una luce fioca scaturita dalla luna splendette sull’orlo dell’acqua, ed, ove toccava terra, creava una scia di fiori luminescenti. Fu uno spettacolo a dir poco fantastico.

Puntai il dito verso i fiori, ed esclamai: - Il Rakuen! È da quella parte! Raggiungiamolo assieme!

Ero felicissimo, mi sentivo fuori di me dall’euforia. Sapete, il detto “Sprizzare di gioia da tutti i pori?”. Ecco, ora, prendetelo letteralmente. Perché anche io, in quella notte, ero diventato particolarmente luminoso. Ero radiante di gioia, vera e propria.

Cheza abbassò lo sguardo sorridendo aspramente.

-Per te, il Sogno si conclude qui, Hyotaru.

Esitai.

-… Che significa…?

-Purtroppo il Rakuen non è stato progettato per essere raggiunto da tutti. Nel libro della Luna di cui lei ha sentito parlare, gli umani non possono raggiungerlo. Solo i lupi, e la ragazza dei fiori come lei sono in grado di farlo. Pur quanto un’anima sia generosa e di buon cuore, se non è un lupo od uno come lei, non può fare nulla… - alcune lacrime le scesero dagli occhi – Hyotaru, mi dispiace…

-M-ma come?- chiesi – Non avevi detto che il Rakuen era il Paradiso…?

-Hyotaru…

Un’altra voce si elevò sopra quella di Cheza. Era la stessa che avevo sentito anche prima.

-Haru tu… non avrai intenzione di seguirla…?

Nessuna risposta.

Gli occhi mi si inumidirono, la vista si fece annebbiata. Non ci capivo più nulla.
“Il cervello umano non è fatto per contenere così tante diverse informazioni!”, pensai ricordandomi di ciò che avevo studiato a lezioni di Scienze –una cosa letteralmente stupida; bizzarra in quel momento.

All’improvviso, un corpo caldo mi strinse in un abbraccio.

Non era il corpo di Cheza.

… Sembrava la versione umana di Haru, invece.

Le lacrime che stavano per scendermi lungo il viso mi si bloccarono intrappolate fra la palpebra inferiore e le ciglia.

Un adolescente, dai capelli biondi ed il fisico asciutto mi fissava, sconsolato.

-Hyotaru, fratello mio… mi dispiace, ma… devo andare assieme a Cheza.

Tutti i giorni passati insieme ad Haru… che fine faranno? Io non lo voglio perdere…

-Perché… Haru…?- chiesi, ormai il volto sfigurato dalle lacrime.

-Hyotaru.. – sussurrò lui, con voce terribilmente dolce –Tu sei sempre stato il mio compagno di giochi. Sei sempre stato accanto a me. Mi hai amato, mi hai accudito, mi hai fatto conoscere un mondo stupendo, seppur non fossi riuscito a salvare tua madre.

- No, Haru! Non dire così perché tu…

-Lasciami finire, ti prego. – mi bloccò lui – Tu sei stato per me davvero come un fratello, Hyotaru. E mi sei stato da grande esempio. Ho imparato molto da te… E mi dispiace vederti così ora. Io so che tu vuoi fermare la guerra.

I suoi occhi si inumidirono.

-Io raggiungerò il Rakuen per te, farò rinascere il mondo, metterò fine a questa guerra! E quando sarò lì, farò di tutto purché tu e Yeijiro riusciate a seguirmi! Questo sarà il mio modo per ringraziarti, Hyotaru… Da bravo fratello maggiore che sono, devo fare qualcosa per te.

Si sciolse dall’abbraccio, e si avvicinò a Cheza, i capelli sbarazzini che seguivano il movimento del vento.

-Haru… qui l’unico che dovrebbe ringraziarti sono io, per essere stato sempre al mio fianco! – cercai di protestare.

Haru si fermò a metà strada. Il tempo pareva essersi finalmente fermato.

Poi, sorridendomi, posò i suoi occhi azzurri sul mio volto.

-L’hai già fatto. – le parole che mi rimasero impresse.

Avrei voluto fermarlo, avrei voluto seguirlo. Tutto ciò si concluse solamente con un pensiero nella mia mente.
“Haru…”

Mi volse nuovamente le spalle, e con le mani in tasca, iniziò ad incamminarsi lungo il percorso che avevano tracciato quei fiori luminosi.

Allungai una mano verso Haru.

-Non seguirci, Hyotaru. Presto… ci rincontreremo... – sussurrò Cheza allontanandosi.

Haru ululò, era la prima volta che lo vidi così. Insieme a lui, altri ululati si susseguirono. E il silenzio ormai era rotto dal loro Canto. Le foglie scricchiolavano sotto le zampe degli animali, che correvano il più veloce possibile, cercando di raggiungere quel Luogo chiamato Rakuen. I fiori della Luna al loro passaggio si piegavano, ma non si spezzavano; e crescevano, sotto la luce della Luna.

Non potevo rimanere lì impalato mentre il  mio lupo se ne stava andando. La distanza era la cosa che più temevo, non ero ancora pronto ad affrontarla; l’esperienza vissuta con mia madre mi aveva già sconvolto abbastanza.

“Invece no, lo seguirò!”, pensai, accelerando il passo. Il pelo bianco di Haru serpeggiava nel verde della boscaglia, mentre io, con il ciuffo scombussolato dall’aria che mi annebbiava anche la vista, cercavo di raggiungerlo.

Cheza sentì i miei passi, e mi bloccò con lo sguardo prima ancora di riuscire a toccare Haru.

-Hyotaru… Lei ha creato questo Sogno affinché tu non seguissi Haru…

-Perché, Cheza, perché? – sbraitai.

-Il Rakuen non può essere raggiunto dagli umani… se proseguirai questo cammino assieme a noi potresti imbatterti in situazioni pericolose…

Fissai Haru con la coda dell’occhio.

-Perché lui deve imbattersi in situazioni pericolose?

-Loro sono lupi… il loro obiettivo principale è arrivare al Rakuen.

-Non… non è giusto… Io voglio rimanere accanto ad Haru!

In quell’esatto istante, eccolo: il mio Haru, fissarmi con occhi dolci. Una voce attraversò la mia mente.

-Hyotaru, per favore, accetta il mio modo di ringraziarti. Ci rivedremo, è una promessa!

-No Haru..! – protestai, con occhi supplichevoli -Torna qui, immediatamente!
Cheza fissò la scena, poi alzò un braccio, impedendomi di proseguire oltre.

-Mi dispiace Hyotaru. Lei è costretta a far finire il Sogno qui.

-Cheza… cosa significa questo?

Sorrise.

-A presto Hyotaru…

Con un rapido gesto del braccio, cercai di afferrare il polso di Cheza, ma una luce abbagliante mi avvolse. Avrei voluto urlare, scalciare, piangere, scappare. Ma nessuna di queste azioni mi era possibile, nessuna. Ero completamente paralizzato. Gli arti indolenziti, avevo voglia che tutto questo finisse. Volevo sperare che tutto quello fosse davvero un sogno…

Strinsi forte gli occhi, per proteggermi da tutta quella luminosità accecante. Speravo tanto che quando li riaprissi mi accorgessi che era stata tutta un’illusione.

Ad un certo punto, fui inghiottito dall’oscurità, e una sensazione di calore sfiorò il mio corpo immobile.

-Haru!

Aprii gli occhi e sobbalzai. Mi trovavo all’interno della mia camera, sotto le coperte. La finestra era chiusa, le luci accese, la TV pure. In cucina si sentiva il rumore del mestolo sbattere contro la padella. Papà stava sicuramente scaldando la minsetra.

-Era tutto davvero un sogno…- sospirai.

Abbassai il braccio, per accarezzare Haru, quando mi accorsi che sotto di me c’era solamente la moquette.

-Uh?

Andai nel panico.

-Papà? – chiesi.

Yeijiro aprì la porta della stanza.

-Sì, Hyotaru?

Esitai un attimo.

-Dove… dove è Haru?

Papà mi guardò come se stessi parlando di un qualcosa a lui sconosciuto.

-Haru…?
Lo fissai negli occhi, quasi incredulo. Davvero non sapeva chi fosse?
Sorrisi disperato.

- Sì, Haru, il nostro cane! Quello che abbiamo trovato assieme ad Hikaru!

Yeijiro mi fissò senza dire nulla.

“Forse è solo uno scherzo… ma sì…”, pensai, cercando di tranquillizzarmi.

La risposta però tardava ad arrivare.

Avevo sempre più paura.

-Hyotaru… - iniziò il papà - … Non è stato mai ritrovato alcun cane assieme ad Hikaru.

“Cosa…?”

-M-ma come è possibile?- urlai, alzandomi dal letto.

-Hyotaru calmati stai poco bene…!- cercò di fermarmi Yeijiro.

-Come posso calmarmi, papà? Haru qui non c’è… Haru è scomparso! Haru era come un fratello per me! Haru, io…!
-Adesso basta Hyotaru!- mi sgridò papà –Vai a letto e riposati, fra poco ho finito di preparare la minestra. Vedrai che dopo aver dormito starai meglio.

Yeijiro mi voltò le spalle, per poi rientrare in cucina.

Rimasi da solo, in piedi, in mezzo alla stanza. Non capivo più niente, da quando era iniziato tutto non avevo capito più niente. Cos’era successo? Perché sembrava tutto come prima? Perché Yeijiro non si ricordava più di Haru? Perché diavolo è accaduto tutto questo a me? Perché…

Caddi con le ginocchia a terra. Le mani ancora leggermente graffiate. Abbassai il capo e mi rannicchiai su me stesso.

-Perché…- singhiozzai –Perché…!!!

Non avevo altre parole da dire. In breve tempo gli occhi mi si riempirono di lacrime, ed iniziai a detestare tutto ciò che mi stava attorno. Avrei spaccato quella dannata televisione, avrei rotto le finestre, sarei corso via da qui, avrei raggiunto la Foresta, ed avrei maledetto tutti. Volevo solamente morire. Volevo iniziare tutto daccapo. Volevo una vita migliore. La pretendevo. Volevo conoscere la felicità. Volevo…

Volevo rivedere loro. La mamma. Ed Haru.

Loro…

Strinsi a me la collana di Hikaru ed iniziai a piangere come non mai. Anche se la cantilena della televisione non accennava a fermarsi, anche con il rumore di papà che lavorava in cucina, dentro di me regnava il silenzio. E tanti ricordi mi tornarono alla testa. Ricordi gioiosi, che in quella occasione assumevano una tristezza unica.

 

 

I giorni successivi appesi diversi manifesti lungo le vie della città. Speravo di riuscire ad ottenere qualcosa, con quel metodo. Speravo che qualche mio conoscente si ricordasse di Haru. Ma tutto ciò che trovai furono delle informazioni false, o non corrette. Alcuni, pur di ricevere la ricompensa, si inventavano notizie sul momento.

Così, gli anni passarono, sia per mio padre, che per me e la gente che conoscevo.

Yeijiro morì di vecchiaia all’età di 82 anni, io scappai di casa.

“Non vale la pena vivere qui”, pensavo. “La guerra sta tirando avanti da troppi anni oramai, e prima o poi, pure io morirò.”

Allora, mi misi in viaggio. Non avevo una meta precisa. Il mio vero obiettivo non era più quello di vivere allegro e spensierato, come era successo da piccolo. Bensì cercare quel misterioso libro della Luna, per raggiungere il Rakuen. Non mi sarei più tirato indietro, tanto non avevo più nulla da perdere.

 

 

• Giorno 117.

 

E così ora mi trovo qui, all’interno di una grotta di neve, nel bel mezzo di un deserto freddo. È giunto l’inverno. La natura muore, per poi riprendere un nuovo ciclo di vita. Il silenzio dilaga in questa valle desolata. Sono solo, in mezzo al nulla. Chissà perché, ho con me questo taccuino, e il mio diario di quando ero ancora un bambino. Ho riletto ciò che avevo scritto. Mi sono messo a piangere.

La guerra non è ancora terminata, il tramonto si sta facendo vicino. Quando la smetteremo di ucciderci a vicenda?

Non ho raggiunto nessuno dei miei obiettivi.

Quanto non darei, caro amico, per ritornare indietro, nel passato. Vorrei davvero rifare tutto daccapo. Vorrei… ritornare un bambino, e giocare spensierato, insieme ad Haru, Yeijiro e Hikaru. Lo desidero… con tutto me stesso…

 

-Oh… - alzo gli occhi al cielo.

- Che strano… è rosso come lo era quella maledetta Luna… Beh, recentemente, si sa, sono avvenuti strani fatti…

Sospiro.

-Chissà cosa starà accadendo in Alemania…

Un sorriso solca il mio volto. Un sorriso malinconico.

-Hyotaru…

Qualcuno mi chiama. Chi sarà mai?

Mi guardo attorno per vedere se c’è qualcuno.

Sento la terra tremare, vedo il cielo brillare, proprio come quel giorno.

D’improvviso, l’igloo che mi ero creato mi cade addosso, facendomi sprofondare in un sonno eterno.

 

 

-Hyotaru!! Dove ti sei cacciato?
-Mamma!! Papà!!

Un cucciolo abbaia

-Guardate cosa ho trovato!! Un cane!!! E tutto per merito di Hikaru, che mi ha fatto venire fin qua!

Delle risate, dei sorrisi.

-Oh, è davvero stupendo Yeijiro, non trovi?

Un abbraccio caloroso.

-Sì, Hikaru, è davvero bello.

-Papà, papà! Posso tenerlo, vero?

Degli sguardi di felicità.

-Ma certo che lo teniamo!
-Che bello!!! Grazie mille Pa’!!!

I saltelli allegri di un bambino, dall’età di circa cinque anni.

-Però… come lo chiamiamo?
-Uhm… Che ne dite di Haru?
Il cane abbaia.

-Haru… Sì è un bel nome, mi piace!

Il vento fa ondeggiare le spighe di grano, la brezza rinfresca e purifica l’aria.

-Allora, Haru, andiamo a giocare insieme!

Gli occhi azzurri del cane fissano quelli verdi e vispi del fanciullo.

“Sì, ci sto, Hyotaru!”

Il bambino ed il suo nuovo cagnolino si inseguono in mezzo ai campi.

 

Ed un nuovo giorno ha inizio.

 

Grazie per la lettura <3



   
 
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