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Autore: livia    03/09/2010    4 recensioni

Questo è un racconto che può essere definito autobiografico-fantastico, poiché mescola elementi della mia vita reale con altri inventati di sana pianta, e conditi con alcune delle ricette di cucina che amo di più. Non è una fan-fiction, ma si può dire che alcuni personaggi sono una vera "citazione" di altri ben noti, che sono sicura riconoscerete benissimo....
Ciao,
Livia
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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E' quasi buio. Il cielo ha raggiunto quell'ombra luminosa di blu profondo che precede di poco la notte completa.
Sono stata a un internet point in paese, oggi, rischiando la vita sulla vecchia bicicletta che non inforcavo da almeno un anno e che ho il coraggio di usare solo qui. Niente posta da Filippo, nemmeno per chiedermi se sono arrivata bene.
Le cose tra noi sono cambiate, Livia....Ho bisogno di staccare, di stare da solo per un po'....
D'accordo, lo sapevo che “staccare” era un eufemismo per “chiudere per sempre”, ma almeno un messaggio per sapere se ero arrivata bene, cazzo, per quello si poteva sprecare Monsieur le Professeur!
In compenso c'era una e-mail del mio capo: “Livia, appena puoi fammi avere qualcosa. Giampaolo.”
E così eccomi qui, in quella che è stata la camera di mia madre da ragazza per poi essere declassata a a camera degli ospiti e di nuovo promossa al grado di camera della sottoscritta. Saldamente posizionata sul letto, a gambe incrociate come un grande capo indiano, a guardare minacciosa il computer portatile davanti a me. A noi due, Jean-Paul Debras.
Dopo sette anni di onesto lavoro da schiavetta alla casa editrice, dove le mie mansioni hanno spaziato da correggere le bozze degli altrui lavori fino a fare la coda all'ufficio postale e lavare i pavimenti se necessario, qualcuno si è finalmente accorto che possiedo una laurea in lingue straniere nonché una specializzazione in traduzione letteraria, e così mi è stato proposto, udite udite, di tradurre un romanzo, sì, proprio così, tradurre un romanzo!
L'eccitazione mi si è sciolta come neve al sole quando l'ho visto, il, chiamiamolo così, “romanzo”. Definirlo tale è un'offesa a tutti gli illustri rappresentanti di questo genere, da Moll Flanders a Germinal passando per La Regenta. Lo sapevo che ci doveva essere la fregatura. Il “romanzo” (ehm...) di questo tizio, ex insegnante, ex attore di teatro, ex musicista – troppi ex nella sua biografia, per i miei gusti... - , è un opuscoletto striminzito di sì e no ottanta pagine scritte in un francese pesante come un macigno al quale l'autore ha visto bene di dare l'incombente titolo di Arriverà. Chi o che cosa, dopo una decina di pagine tradotte, non l'ho ancora capito, e ancora più oscure mi sono le motivazioni per cui il mio capo avrebbe accettato di pubblicare questo obbrobrio.
Inizio a leggere, ma dopo due pagine sono già in piedi, affacciata alla finestra a guardare la sera che diventa notte. In lontananza posso scorgere un'altra costruzione, bassa e quadrata, quasi una piccola fattoria, e oltre a quella il paese: la guglia della chiesa, le strade che si snodano verso le guglie coltivate, le case. Un profumo d'estate si alza dal terreno umido e percepisco come un palpito nel profondo delle cose, quasi un battito lieve. “Casa”, lo dici da quando ti conosco, “è dove c'è il cuore”, e stasera non ho dubbi che il cuore sia qui.
Caro Debras, anche per stasera rinuncio. Ci penserò domani, come disse Rossella O'Hara. Preferisco pensare alla cena che abbiamo gustato stasera, un vero risotto alla provenzale come comanda la tradizione.
Bisogna lavare accuratamente le seppie e tagliarle a pezzetti che non siano né troppo grandi né troppo piccoli, ti ho osservato mentre eri intenta nell'operazione, curva sul tavolo con i capelli che ti sfuggivano dalla cuffietta; ti è sfuggita una lacrima mentre mondavi il porro e la cipolla e li tritavi insieme all'aglio e al sedano, ciononostante i tuoi occhi vigili non hanno mai smesso di sorvegliare i pomodori che avevi messo a sbollentare sul fuoco, e quando ti sei accertata con il cucchiaio di legno che potesse bastare, li hai pelati e hai tritato la polpa con gesti precisi come un dono che arrivava da molto lontano, da tutti gli anni passati in cucina. Sei poi passata ad affrontare i cuori di finocchio, che hai impietosamente tagliato in quattro dopo aver dato loro una bella lavata, e nel frattempo le seppie rosolavano allegramente nell'olio, sfrigolando al solletico della fiamma vivace. Con mano rapida le hai salate, pepate e vi hai aggiunto il trito di vegetali assieme ai cuori di finocchio, poi hai aperto lo stipo delle meraviglie e hai estratto ciuffi di timo e foglie di alloro che hanno profumato la stanza con la loro magia, e alla fine hai unito il pomodoro e hai coperto tutto con acqua calda. Come una strega buona che prepara un filtro d'amore hai versato il riso e hai rimestato energicamente finché è stato pronto per essere servito, e lo hai spolverizzato trionfale con una grossa manciata di prezzemolo.
E allora mi hai chiesto di Filippo, e io ti ho spiegato senza troppi giri di parole che siamo in una specie di stand-by, una pausa di riflessione che speriamo possa servire a entrambi a chiarirsi le idee riguardo a una storia che così com'è non funziona più.
Hai ascoltato in silenzio, con quei tuoi occhietti che mi scrutavano attenti, poi hai mandato giù un abbondante sorso di vino, mi hai guardato ancora per un attimo e se scoppiata a ridere.
Già.
Una cascata inarrestabile di risate che ha scosso tutto il tuo corpicino rotondo fino a farti sussultare, con gli occhi che ti lacrimavano copiosamente.
- Scusa, bébé -, hai balbettato quando ti sei ripresa, mentre con un lembo del grembiule asciugavi le lenti degli occhiali che ti si erano vistosamente appannate, - ma proprio non ho potuto farne a meno. Dev'essere questo vino, sai? - e hai additato alla bottiglia di Semillon come se stessi indicando un borseggiatore colto in flagrante – Del resto non se ne può fare a meno, lo sai come si dice, no? Il riso nasce nell'acqua ma muore nel vino...
Hai fatto una breve pausa, come per ripensare alle parole che avevi appena pronunciato, poi hai scosso la testa e dalla bocca ti è uscito un altro risolino che non hai saputo trattenere.
- Il fatto è...-, hai continuato, - il fatto è che mi è venuta in mente l'estate scorsa, quando tu e Filippo siete usciti per un giro in bici e lui...è caduto in quei rovi....e tu non sapevi come fare per togliergli tutte quelle spine....
Di nuovo le risate ti hanno scosso dall'interno, e ti sei piegata su te stessa nello sforzo di trattenerti, guardandomi con un'espressione di scusa.
- ….e allora sono intervenuta io con le mie pinzette... - più che una risata, la tua era oramai una valanga - ...e lui gridava come se lo stessero scuoiando..sono più coraggiosi i ragazzini di qui, abitati a rovi e spine come sono....E sai...?
Mi hai guardato perplessa, chiedendoti se dovessi continuare o no, ma in un attimo ti sei decisa e hai proseguito dritta, con le guance rosse come mele.
-...e sai, una spina dove ce l'aveva? Proprio nel bel mezzo del cu...
- Nonna! - ti ho interrotto io, mentre ti eri alzata da tavola e con l'indice mi mostravi eloquentemente la parte del corpo che avevi chiamato in causa. Solo che a quel punto non ce l'ho fatta più, e anch'io sono scoppiata a ridere fragorosamente, mentre alle orecchie mi giungeva la tua voce che quasi scoppiava:
- E allora gli ho detto, voltati, e...
Nonna, nonna: lo sapevo che mi avrebbe fatto bene venire qua. La tua capacità di ridere di qualunque cosa è un vero toccasana per una come me che si sente tutta soqquadrata. Sei un vero balsamo per l'anima. Vedi? Sono appena arrivata e sto già pensando che potrei fermarmi un po' di più, e magari potrei dare una sistemata al vecchio capanno degli attrezzi del nonno per trasformarlo nel mio studio, chissà che al mio Debras non possa servire. Ma tu mi hai guardato sorniona quando te l'ho proposto, dopo che finalmente eravamo riuscite a riprenderci dall'ilarità che ci suscitava il pensiero della chiappa infilzata del professeur.
- Non è necessario, bébé -, hai risposto, e la tua voce ha assunto un tono strano, - il capanno è perfetto, me lo ha sistemato tutto il commissaire...
- E chi é? -, ti ho chiesto, incuriosita.
- Oh, è un commissario di Parigi, che è venuto in pensione qui...
Questa è bella! Mia nonna ha una tresca! Sposata per cinquant'anni con mio nonno, sempre vissuta nel suo paesello in Provenza e ora si scopre non solo che ha visto il posteriore del mio ex fidanzato, ma anche che ha uno spasimante! E io sono qui a languire in una vita che fa acqua da tutte le parti, roba da matti...Questo posto è fantastico, penso, mentre scivolo sotto le lenzuola con buona pace di Debras. Non era solo una sensazione di quando ero bambina, è la pura realtà: qui c'è la magia, la magia vera, altroché. Non vedo l'ora di vederlo, il commissario....
  
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