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Autore: piccolaelisewin    03/09/2010    0 recensioni
“Le notti, se sono quelle che vuoi io potrei darti tutte le notti e non ti chiederei nulla in cambio”
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ciao”

“Ciao!”, teneva la mano destra sospesa a qualche centimetro dalla sabbia, come se volesse toccarmi senza però esserne abbastanza convinto. “Sembri sorpresa di vedermi, forse avresti preferito restare sola”.

“E’ questo che sembro? Il mio viso esprime stupore?”

“Il tuo viso? No, non è il tuo viso, sono i tuoi occhi. C’è sorpresa, sorpresa non stupore, e c’è dolcezza e risolutezza e qualcosa che non sono in grado di definire a parole ma che pare avvicinarsi alla felicità. Probabilmente sono in errore ed è solo la proiezione di ciò che mi piacerebbe vedere,”

Di nuovo quegli occhi mi tenevano inchiodata nella mia posizione, non avrei potuto distogliere lo sguardo nemmeno se lo avessi voluto con tutta me stessa, e non lo volevo. Ero come vittima di una forza magnetica sconosciuta.

E così nei miei occhi sembrava esserci felicità. Non ero propriamente felice, quella che sentivo sulla pelle era più euforia, un’eccitazione inquieta che andava fondendosi con una nuova sensazione che si faceva ora spazio dentro di me, una sorta di senso di appartenenza, qualcosa di molto simile alla sensazione che si prova rincasando dopo un lungo viaggio; scommetto che gli inglesi hanno qualche parola bellissima per esprimere tutto ciò.

“Scusami,” fu lui a distogliere lo sguardo, mentre le sue labbra abbozzavano un sorriso lieve e sfuggente “non volevo metterti in imbarazzo. Forse ho detto troppo. L’ho fatto?”

“Sì…”

“Sì?” un’espressione addolorata si fece spazio sul suo viso perfetto. “Perdonami, capita che le parole prendano il sopravvento quando ti sembra di averle dimenticate tutte. Cercherò di stare attento la prossima volta.”

“Sì, cioè no! Non hai esagerato, intendevo – sì, è felicità – o almeno qualcosa che ci si avvicina molto, come hai detto anche tu… credo. Ero rimasta alla domanda precendente.” Mi scusai impacciatamente. Questo genere di gaffe non mi era nuovo.

“Credi?”

“Sono contenta che tu sia qui” e lo ero davvero. Osservavo il suo viso attraente, respiravo il suo alito tiepido che mi soffiava sul viso ora che era più vicino, il mio cuore era un tumulto di sensazioni contrastanti ma non c’era altro luogo in cui avrei voluto essere in quel momento, né in qualsiasi altro momento.

“Anche io sono contento di essere qui, ma forse sarebbe meglio se non ci fossi”

“Perché?” la mia voce tradiva tutta l’ansia scatenata da quest’ultima affermazione, forse avevo gioito troppo presto di questa presenza nella notte. In effetti come poteva un uomo così attraente, magnetico, dolorosamente perfetto ad essere senza legami, doveva esserci un’altra donna.

“Non lo so, non credi che questa situazione ti metta un po’ in pericolo? Cosa sai in fondo di me?”

Non era di una donna che si trattava allora. In pericolo? Cosa intendeva? Forse era un delinquente, oppure una spia, no troppi telefilm. Mentre passavo in rassegna tutte le opzioni possibili e impossibili, lui continuava a fissarmi con aria greve e interrogativa.

“Se pensi che metta in pericolo la mia storia, lascia perdere. Meglio lasciarla fuori da tutto questo.” Ero sicura che non era la risposta giusta ma speravo che lasciasse cadere l’argomento, almeno per ora, così da assaporare questo momento senza turbamenti, evenienza pressoché rarissima nella mia vita costellata di drammi.

Stavolta fui esaudita. “Se sta bene a te, allora va bene”,

Volevo parlare ancora, chiedergli se era davvero per me che si trovava in spiaggia, cosa intendeva la volta precedente, cosa lo portava davvero in città e tanto altro. Le domande affollavano in modo disordinato la mia mente senza che nessuna di essere riuscisse a prevalere.

“Come ti chiami?” chiesi infine.

“Dante” scandì il nome con cura e lentezza, lo sguardo perso nel vuoto, sembrava guardarmi attraverso.

“E’ un bel nome, scommetto che tua madre è una patita della letteratura italiana”.

“E’ un nome che si tramanda nella mia famiglia da molto tempo. Ma il tuo nome deve essere molto più bello del mio, non vuoi dirmi qual è?”

“Clara, è così che mi chiamo”

“Visto? Avevo ragione. È un nome molto bello e ti si addice, la luce che irradi è potente”. “Clara” ripeté “sei una piccola strega”.

Mi misi a ridere “ Piccola lo sono di certo, ma strega? È di certo allettante ma… la mia vita non ha proprio nulla che trascenda dall’ordinario”

“Io non basto?” ridacchio tra sé, mi guardava ma non ero coinvolta in quella che aveva il tono di una burla.

“Non lo sei vero? Ordinario. Neanche un po’?” la mia suonava più come una constatazione che come una domanda e la sua risposta non fu come l’attendevo. Le sue labbra tornarono subito serie e l’espressione degli occhi divenne dura, quasi cattiva, dov’era l’uomo dolce e malinconico che mi aveva offerto asilo per tutte le notti a venire? Quello che avevo davanti assomigliava di più a un individuo sinistro che potresti incontrare di notte in una strada buia. Un brivido mi percorse la schiena quando lo vidi avvicinarsi ancora di più al mio viso.

“Neanche un po’. No” era severo e mi fece sussultare.

“Scusa” in una frazione di secondo la sua voce era tornata normale, non aveva più alcun tono di rimprovero, era nuovamente quella voce profonda e che sembrava provenire da lontano che mi aveva affascinato la prima volta. “non volevo farti paura.” Ora il dorso della sua mano sfiorava delicatamente il mio viso e io mi ci appoggiai con tutto il mio peso per rendere quel contatto più vero.

Quando si lasciò andare e si stese sulla sabbia umida e scura, stava di nuovo sorridendo, in attesa di una nuova domanda, ma io non proferii parola; feci qualcosa che con la mia indole timida non avrei mai immaginato di saper fare. Mi stesi accanto a lui, la testa adagiata sulla sua spalla, il viso immerso nella sua giacca di pelle nera.

Forse lo colsi di sorpresa perché la sua espressione diventò enigmatica, gli occhi gelidi e senza espressione, le labbra serrate, ma fu solo un attimo, poi si voltò dal lato opposto mentre con il braccio mi circondò le spalle e mi strinse più vicino. La sua stretta non era quello che si definirebbe un tenero abbraccio tra fidanzati, mi stringeva per tenermi vicina, sì, ma allo stesso tempo sembrava volersi aggrappare a me, come se fossi l’unica cosa a trattenerlo sul bordo di un precipizio. Continuava a non guardarmi e io non riuscivo a vedere l’espressione del suo volto. Chiusi gli occhi e iniziai e respirare il suo profumo, che si mescolava all’odore familiare della pelle della sua giacca, il risultato era qualcosa di assolutamente originale, odorava di mare e di freddo e di resina e di pelle, era inebriante e cercai di respirare quanto più profondamente possibile per catturare quell’armonia olfattiva fino in fondo.

I miei occhi erano ancora chiusi, ero concentrata si quella stretta rassicurante che mi sosteneva e mi proteggeva. Gli misi una mano sul torace e in un attimo la sua mano libera era lì a coprire e stringere la mia.

Non so per quanto tempo restammo in quella posizione, forse pochi minuti o forse qualche ora ma quel senso di appartenenza che sentivo nascere dentro di me poco prima diventava sempre più forte e potente. Quando aprii gli occhi sorrideva e il suo sorriso mi accarezzava i capelli agitati dal vento.

  
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