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Autore: Mizar    04/09/2010    8 recensioni
I pensieri di Sirius segregato a Grimmauld Place. Storia partecipante al contest "Tributo ai Malandrini: croce e delizia della storia di Harry Potter" indetto da HarryPotterianaDOC
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Harry Potter e tutti i personaggi della saga sono di proprietà di JK Rowling e di chiunque ne possieda i diritti. Questa storia non ha alcun fine di lucro, né intende infrangere alcuna legge su diritti di pubblicazione e copyright.



Pioggia




Nuvole che passano e scaricano pioggia come sassi
e ad ogni passo noi dimentichiamo i nostri passi
la strada che noi abbiamo fatto insieme
gettando sulla pietra il nostro seme…
(Cade La Pioggia Negramaro)



Piove.

Sento il ticchettio della pioggia rimbalzare sui tetti di questa vecchia casa che ho sempre odiato sin dall’infanzia e dove ora mi trovo prigioniero.

Me ne sto rintanato nella soffitta polverosa, ormai mio unico rifugio, perso tra i ricordi di una vita che mi sembra vecchia di secoli.
Attorno a me, sparpagliate, le foto sbiadite di quattro ragazzi sorridenti.
Belli.
Forti.
Spavaldi.
Così stupidamente certi che il futuro sarebbe stato loro…
Prendo in mano un’istantanea che mi ritrae sedicenne con James Potter, il mio migliore amico.
La mia anima nera, come diceva la McGrannit.
Il mio vero fratello, come ho sempre pensato io.
Lui era l’idolo della scuola, il campione di Quidditch, il prefetto dei Grifondoro.
Ammirato, invidiato, desiderato.
Aveva tutto.
Bellezza, simpatia, talento, amore.
Persino un figlio.
Il mondo pareva piegarsi ai suoi desideri e tutto nella sua vita era perfetto.
Ora, invece, cosa rimane di lui?
Solo una manciata di polvere, in una fredda tomba di marmo.
E io?
Io non conoscevo la parola amore e della vita avevo una visione assolutamente distorta.
Mi era stato insegnato che i sentimenti rendevano deboli e che era da sciocchi abbandonarvisi.
Vivevo cogliendo l’attimo e, con l’arroganza tipica dei miei avi, prendevo tutto quello che desideravo, fossero oggetti che potevo comperare con i miei galeoni o persone a cui infrangere il cuore con noncuranza.
Che ragazzino incredibilmente presuntuoso ero e quante discussioni ho avuto con James per questo.
Lui mi metteva in guardia ricordandomi che, alla fine, mi sarei ritrovato solo, ma io ridevo a queste parole.
L’unico legame vero l’avevo con i Malandrini ed era un’amicizia così forte che mi ricompensava di tutta la solitudine passata, presente o futura.
Pensavo di poter continuare a vivere così, per sempre, invece ho scoperto che la resa dei conti viene per tutti.

Guardo l’acqua scivolare sui vetri sudici e creare rivoli di luce più chiara mentre la mia mente vola lontano, in un tempo più bello e più felice…

Amo la pioggia.
Mi ricorda le lunghe giornate della mia adolescenza a Hogwarts, quando tutto sembrava ancora possibile e la vita non m’aveva ancora piegato con un fardello di dolore troppo grosso per le mie spalle.
Potessi ritornare a quegli anni mi comporterei molto diversamente e, col senno di poi, probabilmente eviterei i molti errori che hanno portato al disfacimento delle nostre vite, ma il tempo non si può riavvolgere e io posso solo ricordare, soffrire e raccontarmi che forse è stato giusto così.
Il mio destino era diventare quel patetico relitto d’uomo che vedo riflesso in questi vetri sporchi, perché sono sempre stato una persona sbagliata.
Quando ero un bambino, mia madre m’insegnava che noi, la famiglia più pura e nobile dell’intero Mondo Magico, dovevamo essere d’esempio agli altri Purosangue ma io, nonostante ce la mettessi tutta, non sono mai risultato all’altezza delle sue aspettative.
Sono cresciuto convinto di non valere nulla e i suoi aspri rimproveri, uniti alla disapprovazione che ho sempre letto nei suoi occhi, mi hanno inferto ferite che ancora oggi mi porto dentro l’anima.
Mi sentivo sbagliato e quando il Cappello Parlante mi smistò in Grifondoro ebbi la conferma ai miei timori: nessun Black era mai stato disonorato in quel modo.
I miei genitori, che già mi consideravano un fallimento, videro in questo l’ennesimo mio insuccesso e i nostri rapporti si logorarono ulteriormente.
Ormai tra noi era una guerra aperta, ma io non ero più solo.
Gli anni settanta, che tutti rammentano come il gran periodo nero del Mondo Magico, furono per me gli anni più felici.
Mentre cresceva la disoccupazione e l’inflazione galoppava, a causa del malgoverno di ministri incapaci e corrotti, io per la prima volta uscivo dalle austere mura di Grimmauld Place, dove ero considerato un reietto da compatire e maltrattare, e scoprivo un mondo nuovo.
Hogwarts mi regalò la libertà d’essere me stesso e lì conobbi per la prima volta l’amicizia, la stima e l’ammirazione.
Trovai anche l’amore, ma a sedici anni ero troppo sciocco per rendermi conto di quanto era importante quel sentimento.

Ancora quel leggero ticchettio sui tetti, accompagnato dal fruscio del vento.

Pioveva e c’era vento anche quel giorno di novembre quando, bagnati fradici, io e Remus c’eravamo rifugiati sotto quell’albero.
Avevamo il fiato grosso per la corsa appena fatta e ridevamo per non so più quale scherzo combinato ai danni dei Serpeverde.
Lui era bellissimo, fragile e pieno di sogni.
Un angelo caduto, con un terribile segreto che gli spezzava l’anima.
Quando mi guardava, con quei dolci occhi color del miele, mi sentivo rimescolare dentro, ma non riuscivo a trovare un nome per ciò che mi si agitava nelle viscere.
Quel pomeriggio lo capii: era desiderio.
Lo volevo e lo presi.
Un bacio, uno sfiorarsi di labbra timide, un po’ goffe, sotto l’acqua che scrosciava; cominciò così la nostra storia: un bacio bagnato dalla pioggia e una promessa d’amore che sapevo non avrei potuto mantenere.
Volevo un gran bene a Remus, ma non riuscivo lasciarmi andare.
Avevo troppa paura.
Temevo che, non appena avesse scoperto quanto poco valessi, m’avrebbe rifiutato come avevano fatto i miei genitori in passato.
Cercavo d’essere distaccato, cinico, ma quando lui divenne mio, con la dolcezza e la fiducia del primo grande amore, capii d’essere perduto.
Lo amavo, ma non potevo accettare quel sentimento e allora lo infangai, tradendolo con una ragazzina di cui non m’importava nulla.
Lui lo scoprì e ne soffrì terribilmente.
Litigammo e poi facemmo pace e continuammo così per tutto il periodo della scuola.
I miei tradimenti.
La sua umiliazione.
Le litigate furiose, in cui tiravamo fuori il peggio di noi stessi e le grandi riappacificazioni, quando pazzi di desiderio ci stringevamo spasmodicamente uno all’altro per diventare una sola carne.
Mi spaventava quel sentimento forte che ci legava e non mi sentivo all’altezza dell’amore che leggevo negli occhi di Remus.
Preferivo fare lo scemo e raccontarmi che ero libero da legami perché ero troppo Black per preoccuparmi di qualcuno che non fossi io, eppure nel mio cuore sapevo di mentire.

Un groppo alla gola m’impedisce di deglutire. Cerco nel ritmo ipnotico delle gocce che cadono quella calma che mi serve per poter ricordare tutto.

A Hogwart la vita scorreva tranquilla come sempre, mentre nel Mondo Magico uno sconosciuto leader politico, sostenuto dalle grandi famiglie Purosangue, presentava un nuovo partito con obiettivi improntati al razzismo.
In concomitanza con la sua ascesa al potere cominciarono a verificarsi una serie d’attentati, condotti da un'organizzazione terroristica denominata “I Mangiamorte”.
Le notizie dei disordini cittadini arrivavano al castello sotto forma d’articoli di giornale, ma pareva quasi impossibile che quei venti di guerra potessero toccarci davvero e i professori sembravano impegnati a cancellare dalle nostre menti tutte le cose che potevano distoglierci da ciò che era il nostro unico dovere: lo studio della magia.
Se ripenso a quegli anni, ricordo solo il sorriso malandrino di James, la vocetta timida di Peter e la dolcezza di Remus.
Quanti sogni avevamo e quante false certezze.
Ci bastava allungare una mano per prendere ciò che desideravamo.
Personalmente non m’importava che il paese fosse allo sbando.
Il mio mondo era lì, racchiuso negli occhi ridenti di James, Remus e Peter, e nessuno poteva togliermelo.
Durante le vacanze estive, quando tornavo a Grimmauld Place, la triste realtà di figlio reietto mi ripiombava sulle spalle, ma per la maggior parte dell’anno ero felice; poi arrivò l’estate dei miei sedici anni e segnò una svolta decisiva nella mia vita.
I miei genitori m’imposero di schierarmi tra le file dei seguaci di Lord Voldemort, come avevano fatto la maggior parte degli altri ragazzi del mio ceto sociale.
Rifiutai.
Non credevo in quegli ideali d’intolleranza e aborrivo quel regime fanatico a cui i Purosangue aspiravano.
Ne seguì una lite furibonda e così, dopo una snervante lotta psicologica che s’era perpetrata per anni, la donna che mi aveva generato bruciò il mio nome dall’arazzo di famiglia, diseredandomi e disconoscendomi come figlio.
Fuggii da casa e mi rifugiai da James e con lui rimasi fino al diploma, quando la nostra vita di studenti finì.
Il mondo che trovammo fuori dei cancelli di Hogwarts era estremamente duro e la situazione politica sempre più precaria, ma non per questo smettemmo di sognare.
Silente ci aveva arruolato tutti nell’Ordine della Fenice, un'organizzazione segreta che cercava di contrastare Lord Voldemort, e noi avevamo molti progetti per il nuovo Mondo Magico, che volevamo più libero e cosmopolita.
In quell’anno James riuscì a realizzare il suo sogno più grande: avere Lily Evans tutta per sé, e il matrimonio fu celebrato in un assolato pomeriggio di luglio, nei bellissimi giardini di Villa Potter.
Il loro pareva “l'amor che move il sole e l'altre stelle”, come diceva scherzosamente Remus citando i versi di un antico poeta italiano, e James era più che mai deciso ad essere il migliore dei mariti.
S’impegnò così a fondo che, dopo pochi mesi, c’era già un piccolo Potter in arrivo.
Festeggiammo la notizia durante il veglione di capodanno, insieme con quella del fidanzamento di Peter con Diana Carrow.
Il piccolo Potter nacque il 31 luglio 1980, esattamente un anno dopo la festa di nozze, e io fui nominato suo padrino.
Harry era un cosino piccolo e tenero e io me ne innamorai perdutamente.
Passavo ore a casa di James a coccolarlo e Remus mi prendeva in giro, affermando che, sotto la mia scorza dura, si celava un cuore di mamma.
Ero conscio d’essere patetico, ma a me non importava.
Noi Malandrini eravamo riusciti a ritagliarci un po’ di felicità in un momento in cui c’era veramente poco di cui gioire e quello mi bastava.

…Ma la felicità è un’illusione ed è effimera come questa pioggerellina fine che continua a cadere, nonostante stia spuntando il sole all’orizzonte.

Fu Peter a distruggere tutto il nostro mondo, sbattendoci in faccia ciò che sembrava una verità assoluta, ma che si rivelò la più grossa menzogna della nostra vita.
“Ieri pomeriggio ho visto Remus insieme a Mocciosus in un bar di Nocturne Alley.
Non sapevo che si frequentassero”, buttò lì casualmente una sera che c’eravamo incontrati a casa Potter.
Io stavo giocando sul tappeto con il mio figlioccio, chiacchierando con James.
Queste mie visite erano diventate un rito consolidato.
Sentivamo il bisogno di stringerci l’uno all’altro in quei momenti bui e non c’era giorno che, al rientro dal lavoro, non mi fermassi un po’da lui.
Lily, bonariamente, mi chiamava “lo scocciatore”, ma poi insisteva sempre per avermi a cena, estendendo l’invito anche a Remus.
Peter, invece, era lì per caso.
Ultimamente lo vedevamo poco e trovava sempre qualche scusa per non uscire in nostra compagnia.
Era molto cambiato in quegli anni.
Del ragazzino goffo e simpatico che ci faceva divertire con la sua dabbenaggine, era rimasto ben poco e adesso ci ritrovavamo davanti un giovane tronfio e ambizioso che si vantava continuamente dei salotti altolocati a cui aveva accesso grazie alle amicizie della sua fidanzata.
Per anni mi sono domandato come sia stato possibile non renderci conto della sua vera personalità, ma a quei tempi eravamo degli ingenui e credevamo fermamente nell’amicizia e nella nobiltà d’animo.
Amavamo Peter, lo avevamo sempre protetto e difeso sin dall’infanzia e il pensiero che lui potesse farci del male non ci sfiorava neppure, per questo nessuno di noi mise in dubbio le sue parole e non ci venne neppure in mente di chiedergli cosa ci facesse lui a Nocturne Alley.
Lo lasciammo libero di gettare nel nostro cuore i semi del dubbio e questo ci costò assai caro.

Quanto male può fare la menzogna? Quanto stupidi si può essere a vent’anni? Io e James volevamo proteggere Remus, ma non ci passò mai per la mente di parlargli apertamente, di chiedergli spiegazioni.

Remus era molto cambiato nell’ultimo anno.
Tutti i colloqui di lavoro a cui si sottoponeva terminavano non appena l’occhio dell’esaminatore si soffermava sulla parola “Ibrido”, scritta subito dopo le generalità e gli ottimi voti con cui s’era diplomato non gli erano stati d’aiuto per trovare un’occupazione.
S’accontentava di vivere in un fatiscente pensionato di periferia, svolgendo mestieri umili e mal pagati per mantenersi, ma era sempre più depresso e arrabbiato.
Il suo carattere mite s’era indurito e lo scontento trapelava da ogni suo discorso.
Alla luce delle nuove scoperte cominciammo a dare un significato diverso alle sue amare parole di critica al Ministero e a vederle come segni del tradimento e dell’oscurità incombente su di lui, dimenticando che aveva vent’anni e tutti i suoi sogni di riscatto erano stati spezzati da stupide leggi razziali che gli impedivano di farsi un futuro.
Minus, che stranamente aveva ricominciato ad uscire con noi, continuava a fomentare le nostre paure con insinuazioni velate e mezze parole.
Ci condusse anche al bar di Nocturne Alley dove vedemmo con i nostri occhi Remus incontrare Piton in più occasioni.
Nonostante l’evidenza, però, io e James non volevamo arrenderci.
Cercavamo scusanti, inventavamo scenari alternativi in cui il nostro amico era vittima di qualche oscura maledizione, ma quando Silente annunciò che nell’Ordine della Fenice si nascondeva una spia, capimmo che non potevamo più mentire a noi stessi.
Sarebbe bastato parlare col preside, perché i nostri dubbi fossero fugati, poiché lui aveva ordinato a Remus di mantenere i contatti con Mocciosus, ma non lo facemmo.
Ci mancò il coraggio di esporgli le nostre paure, perché temevamo di mettere il nostro amico nei guai, e questi ci fu fatale.
Intanto, a causa di una profezia che riguardava il piccolo Harry, i Mangiamorte erano sulle tracce della famiglia di James e Silente ci consigliò di ricorrere all’Incanto Fidelius per proteggerli.
Insieme concordammo che sarei stato io il custode segreto, ma all’ultimo momento, quando si trattò di portare a compimento la magia, passai l’incarico a Peter.
Remus non era presente quel giorno.
Era in missione per conto dell’Ordine e io convinsi Lily e James che Minus era la loro unica salvezza.
Speravo così di ingannare Lord Voldemort e fare in modo che desse la caccia a me, che non essendo il vero Custode non avrei mai potuto rivelare il nascondiglio dei Potter, nemmeno sotto tortura.
Non mi curavo del pericolo a cui mi esponevo, l’importante era salvare James e la sua famiglia.
Rimasi sorpreso dalla sicurezza insolita che Peter dimostrò in quel frangente.
Lui, che aveva sempre avuto paura di tutto, aveva accettato quella responsabilità mortale senza nessun tentennamento e, anzi, s’era mostrato fiero di sacrificarsi per il bene dei nostri amici.
Sciocco!
Avrei dovuto insospettirmi di un cambiamento di carattere così repentino.
Avrei dovuto capire che mentiva e, soprattutto, avrei dovuto dare più fiducia al mio compagno.
I grandi e nobili ideali, che cullava da sempre nell’animo, non gli avrebbero mai permesso di tradirci ed allearsi con le forze oscure.
Con la mia stupida trovata firmai la condanna a morte di James e distrussi le nostre vite per sempre.

Lacrime, come pioggia sul mio viso.Non potrò mai dimenticare la notte del 31 ottobre del 1981: la casa dei Potter fatta a pezzi, i corpi senza vita di James e Lily e le urla disperate del loro bambino, unico sopravvissuto a quella carneficina.

Harry invocava singhiozzando la mamma e il papà, e io lo raccolsi dalla culla fatta a pezzi e lo strinsi a me, cercando di riportare un po’ di calma in quel cuoricino che sentivo battere impazzito.

Mi si rannicchiò al petto tremante e io, piangendo, gli mormorai parole di conforto sino a che s’addormentò tra le mie braccia con il pollice in bocca, sfinito dalle troppe emozioni.
Il dolore minacciava di sopraffarmi, ma non potevo lasciarmi andare.
Peter ci aveva tradito e io dovevo vendicarmi.
Dopo aver affidato il mio figlioccio a Hagrid, perché lo portasse da Silente, vagai per ore nella città che si stava svegliando, alla ricerca di Minus.
Lo trovai in una piccola e affollata strada di Londra, vicino al quartiere dove abitava.
Volevo fare a pezzi quello sporco traditore, strappargli le viscere dal corpo con le mie mani, ma lui mi sorprese ancora una volta.
Con un’astuzia e un sangue freddo, che mai avrei creduto possedesse, sguainò la bacchetta e, dopo aver gridato che ero un terrorista, face esplodere il vicolo, uccidendo una moltitudine di persone innocenti.
Un eco del potente incantesimo mi colpì, e io caddi a terra svenuto, mentre i pochi superstiti mi riconoscevano come l’attentatore che aveva causato la strage.
Fui catturato dagli Auror e sbattuto in prigione senza alcun processo.
Nessuno credeva alla mia innocenza, perché ero un Black e tutti sapevano da che parte era schierata la mia famiglia; neppure Silente ebbe il minimo dubbio sulla mia colpevolezza: era certo fossi il Custode Segreto dei Potter e, quindi, l’unica persona al mondo in grado di rivelare l’esatta ubicazione del loro nascondiglio.
Remus fu l’unico che mi concesse il beneficio del dubbio e cercò in ogni modo di avere un colloquio con me, ma gli fu impedito di vedermi.
Alla fine gli Auror lo convinsero a desistere, portando davanti ai suoi occhi le prove inoppugnabili del mio crimine: la mia bacchetta magica, da cui era uscito come ultimo incantesimo un Avadakedavra e il dito mozzato di Peter, tutto ciò che rimaneva del ragazzo che aveva osato sfidarmi.
Rimasto completamente solo, in quella maledetta prigione, la mia mente cominciò a vacillare in preda ai sensi di colpa.
Ero stato io a designare Peter come Custode Segreto.
Io avevo voluto ingannare Remus, credendolo la spia dei Mangiamorte.
Era solo colpa mia se tutto era andato a rotoli, perchè ero un ragazzo sbagliato, un errore, un abominio, come mia madre mi aveva sempre ripetuto.
Vissi gli anni della detenzione in prostrazione totale.
I Dissennatori mi straziavano l’anima, rubandomi tutti i ricordi felici e amplificando i miei incubi.
L’immagine di James morto, riverso sul pavimento dell’ingresso di casa sua, mi s’impresse indelebilmente nella mente, spezzando la mia ragione e il mio cuore.
Le giornate scorrevano lente, riempite solamente dai miei deliri e dai lamenti strazianti degli altri detenuti.
Non esistevano pensieri, né ricordi, solo un immenso dolore appena mitigato dal lento e ipnotico sciabordio delle onde che s’infrangevano sugli scogli sottostanti.
Ero un morto che ancora respirava, abbandonato e dimenticato da tutti.
L’unico mio desiderio era chiudere gli occhi per sempre e poter finalmente smettere di soffrire, ma il destino aveva in serbo una sorpresa per me.

Quante volte ho osservato il cielo dalla feritoia di una cella? Dodici anni sono quasi una vita, eppure mi sono scivolati addosso come queste gocce di pioggia sui vetri.

Fu per caso che l’immagine di Peter Minus, trasformato nel topolino di uno dei ragazzi Weasley, arrivò nella mia cella.
Era sul giornale del Ministro Caramell, in visita alle prigioni.
Un’ondata d’odio invase le mie vene e mi diede la forza di ribellarmi al mio destino.
Vedere che chi aveva distrutto le nostre vite era ancora in libertà, riuscì a darmi la forza per fare ciò che il mio fisico stremato aveva dimenticato: mi trasformai in animagus.
I Dissennatori non sono in grado di captare i semplici pensieri degli animali e sono completamente ciechi perciò non fu difficile uscire dalla fortezza.
Una volta sugli scogli, mi tuffai nell’acqua gelida che circondava la scogliera e nuotai per ore, trascinato dalla corrente.
Raggiunsi la terraferma così stremato che mi ci vollero giorni per riprendermi, ma riuscii a sopravvivere.
Andai a Hogwarts, certo di poter catturare Peter Minus, ma lui mi beffò ancora una volta.

Il mio soggiorno ad Azkaban, non mi ha aiutato a diventare una persona migliore. Sono il solito patetico sognatore, solo un po’ più instabile e rabbioso, oltre che brutto e vecchio.

Ora sono qui.
La mia nuova prigione è Grimmauld Place, il vecchio palazzo dei Black, adesso mio, essendo l’unico sopravvissuto della famiglia.
Generosamente l’ho messo a disposizione di Silente come sede per la resistenza, ma la mia non è stata bontà d’animo.
E’ l’unica opportunità che ho per vedere gente e sentirmi un po’ meno morto.
Ad attendermi nel mondo “libero” ho trovato una nuova guerra, un nuovo Ordine della Fenice e un nuovo amico: Harry Potter, il figlio di James.
Ho ritrovato anche Remus, ma è molto diverso dal ragazzo che ricordavo.
Nei suoi occhi c’è la stessa malinconia che divora anche me, insieme al rimpianto per una vita che troppo presto lo ha deluso e spezzato.
Ci amiamo, ma non riusciamo a fare progetti per il futuro.
Abbiamo paura, come se una sorta di scaramanzia c’impedisse di guardare avanti.
Preferiamo rimandare tutto alla fine della guerra, quando io sarò finalmente riabilitato come innocente, ammesso che nel frattempo riusciamo a rimanere vivi.
Solo con Harry riesco a ritrovare un po’ di serenità; è uguale a James e, con lui, anche se solo per pochi momenti, torno ad essere un Malandrino.
Per il resto del tempo, la mia vita scorre lenta e inutile, segregato in questa vecchia e nobile palazzina decadente come me.
Giorno dopo giorno cerco di aggrapparmi al passato, per non affondare del tutto e, mentre la pioggia continua a cadere, rimango a guardare i ritagli della mia vita di un tempo, ormai sbiaditi ed inutili.
James, Lily, i Malandrini… Non esiste più nulla del mio mondo e anch’io, lentamente, mi sto trasformando in un’ombra.
Un fantasma di cui nessuno ha più bisogno, fuori del suo tempo e prigioniero dei ricordi che presto si dissolverà, in quest’aria polverosa che sa d’amaro e di sconfitta.


Fine


   
 
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