Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: vale91tvb    05/09/2010    1 recensioni
Una storia d'amore tra Meg una ragazza di diciasette anni del tutto normale e James un ragazzo molto speciale che nasconde un antico segreto dietro i suoi bellissimi occhi verdi...Racconto che vede come protagonisti sentimenti forti e valori come l'amore, l'amicizia, la solitudine, la famiglia e il destino: a volte come complice, altre come un perenne ostacolo...
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 2          Cambiamenti

 

Il risveglio della mattina successiva fu più facile di quanto mi aspettassi e stranamente ero di buon umore. Scesi le scale e mi diressi in cucina. Mentre versavo il latte nella tazza controllai l’orologio a forma di gallo appeso al muro: erano le sette e due minuti. Solo allora mi resi conto che quello era il mio primo giorno di scuola del mio penultimo anno. Mi prese una piacevole angoscia.

Mi sedetti sullo sgabello e cominciai a mangiare. Mia madre era già partita. Odiava le persone che arrivavano in ritardo, perciò arrivava sempre due ore prima l’inizio delle sue lezioni.

Misi la tazza nel lavandino e corsi in camera. Aprii tre cassetti del mio armadio quasi simultaneamente alla ricerca dei vestiti da mettere. Presi una t-shirt blu e un paio di vecchi jeans che non mettevo da un po’. Mi infilai il tutto e mi precipitai in bagno. Feci il minimo indispensabile per non sembrare un mostro: mi pettinai i capelli e accomodai la frangia dietro all’orecchio sinistro sistemandola con una forcina. Alla fine dell’estate i miei capelli assumevano sempre qualche sfumatura rossastra che mi piaceva molto.

Misi in spalle lo zaino e mi precipitai fuori dalla porta. Mi voltai automaticamente verso il garage. Solo dopo mi ricordai dell’incidente e delle foto della mia povera macchina distrutta. Sbuffai e guardai l’orologio al mio polso: erano le sette e venticinque. Avevo solo cinque minuti per arrivare in fondo alla via, dove si trovava la fermata dello scuola-bus.

Non mi ricordavo più cosa volesse dire andare a scuola con il bus finché lo sportello del veicolo non mi si parò davanti e si spalancò. Solo allora fui presa da un insensato panico: erano tutti ragazzi del primo anno, in fondo si nascondeva qualcuno del secondo che molto probabilmente non era riuscito a trovare un passaggio. Scrutai gli unici tre posti che erano rimasti vuoti: dovevo scegliere se sedermi vicino a un ragazzo con il cappuccio della felpa che gli copriva il viso, una ragazza bionda dall’aria snob che ascoltava l’mp3 oppure vicino a un ragazzo più grande rispetto agli altri che guardava nella mia direzione. Scelsi la terza opzione e mi sedetti accanto allo sconosciuto. Per tutto il tragitto non ebbi il coraggio di voltarmi verso di lui. Tenni il viso chino e  feci finta di leggere la copertina del mio libro di matematica.

Ogni tanto riuscivo a dagli una sbirciata. Era un bel ragazzo con la pelle abbronzata, i capelli ricci di un color castano chiaro e piuttosto muscoloso. Non ero riuscita a notare nient’altro però avrei riconosciuto le sue mani tra mille. Quest’ossessione l’avevo sempre avuta. Le mani del ragazzo erano grandi, maschili ma curate e all’apparenza morbide.

Arrivati al parcheggio della scuola, scesi dal bus, misi lo zaino sulle spalle e mi voltai per poter osservare meglio lo sconosciuto ma lui era già sparito.

Proprio in quel momento suonò la campanella della prima ora. Presi il mio orario dalla tasca dei jeans e lo studiai mentre mi dirigevo verso l’edificio D. Iniziare il nuovo anno scolastico con matematica mi sembrava piuttosto deprimente ma finché il sole fosse stato fuori dalla portata delle nuvole, niente avrebbe potuto rovinarmi quella giornata.

Arrivai in classe quando la maggior parte dei miei compagni avevano già preso posto. Mi sedetti in seconda fila, vicino alla finestra e attesi di vedere chi sarebbe stato lo sfortunato che arrivando in ritardo avrebbe dovuto sedersi accanto a me. Il professor Herrè entrò accompagnato da una ragazza poco più bassa di me, con i capelli castani chiari che le arrivavano all’altezza del mento e accentuavano le curve del suo bellissimo viso.

La ragazza nuova si guardò attorno e si sedette nel banco affianco al mio. Passò il resto della lezione a disegnare stelline e cuoricini sul suo taccuino. Solo quando  la campanella suonò di nuovo, si girò verso di me e mi fissò per due interminabili secondi, sorridendo.

– Ciao! Io sono Janet! Tu devi essere Margaret Taylor, giusto? –

In un primo momenti non risposi. Era raro che una persona conoscesse il mio nome, non ero certo una delle ragazze popolari della scuola.

– Chiamami Meg. Come fai a sapere il mio nome? –

– L’ho letto sulla copertina del tuo libro! – rispose indicando il mio banco.

– Già è vero – Avrei voluto chiederle ancora molto cose, ma avevo paura di passare per una ragazza logorroica e di far scappare anche l’unica persona che mi aveva rivolto la parola dopo un anno. Così misi in pila i miei libri e mi diressi verso l’uscita dell’edificio.

– Quale’è la tua prossima lezione? –

La ragazza mi aveva raggiunto e ora mi affiancava continuando a sorridere.

     Ehm… Credo sia Inglese. –

– Splendido! Anch’io ho inglese. Potresti mostrarmi l’aula? –

– Okay…– risposi. Non volevo sembrare maleducata ma ero abituata alla solitudine e le sue domande, se pur semplici, mi mettevano ansia.

– Scusa se te lo chiedo. Quanti anni hai? Sembri più piccola di me. –

– Ne ho quindici. – Non sembrava scocciata dalla domanda, come se fosse abituata a sentirselo dire. – Diciamo solo che nella scuola che frequentavo prima ho fatto parecchi corsi accelerati, ecco perché frequento le tue stesse classi. –

Ora era chiaro: anche lei era un’emarginata. Molto probabilmente le altre persone della scuola, come avevano fatto con me, non le avevano rivolto la parola.

Lo trovavo stupido e infantile. Le persone di Fort Fairfield non erano aperte alle novità e tendevano ad emarginare le nuove persone.

Percorremmo il resto del corridoio in silenzio. Negli occhi di Janet si rifletteva lo stesso entusiasmo che si poteva vedere nei miei un anno fa. Ma per lei era diverso, non le avrei certo fatto passare tutti i momenti di solitudine che avevano riempito le miei giornate per un anno. Ero decisa a fare di lei la mia nuova amica.

– Eccoci! Questa è l’aula di inglese…– dissi con un leggero tono di euforia. Infatti le lezioni del signor Peterson entravano a far parte delle mie preferite.

Ci sedemmo in fondo all’aula. Aspettando che il resto della classe prendesse posto.

– Dimmi qualcosa di te – sussurrai, cercando di sembrare il meno imbranata possibile.

– Cosa vuoi sapere? – mi chiese, guardandomi come una bambina alla sua prima interrogazione.

  – Non saprei… dove vivevi prima? – iniziai con una domanda semplice sperando di far scaturire qualcosa di più. Per mia fortuna fu così.

– La mia famiglia e io viaggiamo molto, e ci trasferiamo in continuazione da un paese all’altro. Prima di Fort Fairfield c’è stato Portland, prima ancora eravamo a Buffalo o forse a Atlanta. Come ti ho già detto cambiamo posto di continuo, posso dirti con precisione che questo è il mio diciassettesimo paese. –

Rimasi un po’ perplessa. Reazione dovuta alla strana situazione o forse alla possibilità di trovarmi di nuovo sola. Quanto tempo sarebbe rimasta? Quando i suoi avrebbero optato per un nuovo paese?

– I miei genitori mi hanno promesso che questo è il nostro ultimo trasferimento… credo che anche loro siano stufi di cambiare! – mi disse sempre sorridendo. Mi rilassai e feci in modo che il mio respiro tornasse regolare. Molto probabilmente Janet se ne accorse e emise una leggera risata. Mi voltai verso di lei e le sorrisi.

– Perché vi siete spostati spesso? –

– Mio padre William lavora per una ditta di automobili molto famosa e che ha molte sedi in tutto il Paese, dobbiamo trasferirci in base alle esigenze del suo capo. – Sembrava contrariata di questo ma decisi di non indagare oltre.

Il professore entrò nell’aula e chiamò la classe all’attenzione.

– Oggi ragazzi, andiamo tutti in giardino! Non dobbiamo perderci neanche un solo minuto di questo preziosissimo sole. Veloci! Prendete i libri e seguitemi! –

Ecco perché adoravo il professor Peterson: era bizzarro, divertente e le sue lezioni erano davvero coinvolgenti.

Ci alzammo tutti contemporaneamente e seguimmo il professore fino al piccolo giardino che si affacciava sulla palestra della scuola. Posammo i libri a terra e ci sedemmo.

– Andate a pagina ventitre, oggi iniziamo la parte che riguarda la nascita del teatro in Inghilterra… – disse mentre anche lui si sedeva con le gambe incrociate.

– Oh, adoro il teatro! A Buffalo avevo partecipato alla messa in scena di Sogno di una notte di mezza estate, io interpretavo Ipolita – disse Janet mentre il professore parlava con Anne, una delle ragazze più brave della mia classe. Sorrisi alla dichiarazione e mi voltai nuovamente verso il professor Peterson che aveva ricominciato a parlare alla classe.

Restammo in silenzio, ascoltando la lezione e aspettando che suonasse la campana della scuola.

Quando la lezione finì, percorremmo il corridoio orientale per raggiungere il mio armadietto.

– Io devo andare a ginnastica, tu? – domandai un po’ impacciata.

Sbirciò il foglio stropicciato che aveva tra i libri e si voltò verso di me.

– Devo andare a Biologia, credo si trovi nell’edificio C o sbaglio? –

– No, hai ragione. Non è lontano da qui, devi solo imboccare il prossimo corridoio e continuare finché non ti trovi nelle vicinanze della mensa – cercai di parlare gesticolando il meno possibile.

– Okay, credo di aver capito. Ci vediamo dopo! – mi disse sorridendo.

– A dopo! – dissi, mentre già mi stavo dirigendo verso la palestra.

Entrai nello spogliatoio e cominciai a togliermi la maglietta e a infilarmi quella della tuta. Condividevamo la palestra con un'altra classe perciò lo spogliatoio era pieno di chiacchiere e di risate, una però era più forte e fragorosa delle altre.       Mi girai in quella direzione e sbirciai da dietro gli armadietti. C’era un gruppo di ragazze del mio stesso anno che conoscevo, tra loro riconobbi Lyra e Andrea. Sapevo che avrei sicuramente frequentato qualche classe con Lyra ma speravo non fosse ginnastica. In quell’ora sarebbe stato inevitabile non incontrarci e non c’erano file di banchi e di studenti a proteggermi da lei.

Mi appoggiai all’ultimo degli armadietti e mi protesi in avanti per ascoltare la conversazione. Il discorso era continuamente interrotto da sospiri e risate, ma riuscii comunque a capire di cosa stessero parlando. Tutte le ragazze parlavano della stessa cosa fin dal prima giorno di scuola: il ballo di fine anno. Discutevano sul perché andarci, sul come e la cosa più importante con chi. Lyra era particolarmente interessata a un ragazzo che si era appena trasferito a Fort Fairfield ed era già sicura di poterlo avere.

 Inciampai nei miei piedi e nel tentativo di non rompermi una gamba, afferrai lo sportello del mio armadietto, non caddi per terra ma non potei evitare il rumore. Tutte le ragazze della stanza si voltarono verso di me scambiandosi sguardi misti di pietà, compassione e cattiveria. Erano queste le reazioni che scatenavo nelle mie coetanee?

Uscii dallo spogliatoio e mi diressi verso l’angolo più lontano della palestra.

Basket sarebbe stato lo sport in cui ci saremmo cimentati quel giorno; lo capii dalle grosse ceste di palloni disposte ai lati del campo. Non era il mio passatempo preferito ma gli esercizi che di solito dovevamo svolgere erano per la maggior parte semplici e da fare in coppia o da soli. Quindi avrei avuto poche possibilità di incontrare Lyra.

La professoressa si avvicinò con un elenco in mano e il fischietto al collo.

 –­­ Ben tornati ragazzi! Come avrete capito quest’anno inizieremo con il basket! Sento tra di voi il malcontento delle ragazze, ma non preoccupatevi arriveremo anche al mese in cui i maschietti dovranno affrontare la ginnastica artistica! –

Sorrisi al pensiero dei miei compagni che si sforzavano di fare una spaccata.

 – Chiamerò due nomi alla volta, la coppia deve prendere una palla dal cesto e cominciare a fare dei passaggi, mi avete capito? –

La professoressa Endess era la preferita di molti studenti della scuola eppure nella sua sforzata ironia, io trovavo un non so ché di inquietante.

– Taylor, sei dei nostri? – mi stava scrutando in modo severo ma manteneva il sorriso – Devi andare con Smith! ­­–

Mi alzai e mi diressi verso il ragazzo che mi aveva indicato. Avevo conosciuto Aaron l’anno prima, frequentavamo la stessa classe di matematica. Era il capitano della squadra di football e il suo fisico ne era la dimostrazione. Solo quando mi avvicinai a lui notai che la mia testa arrivava solo ai suoi pettorali.

L’ora di ginnastica mi agitava sempre, ma essere compagna di Aaron la faceva diventare l’ora più pericolosa che avrei potuto trascorrere all’interno della scuola. Il ragazzo probabilmente aveva notato la mia disperazione, perché mi si avvicinò e mi mise una mano sulla spalla sinistra .

 – Tranquilla, ci andrò piano con te! – mi disse strizzandomi l’occhio.

Certo questo non migliorava il mio umore anzi mi fece aumentare i battiti cardiaci. Percorremmo il perimetro della palestra fino ad arrivare a uno dei canestri disposti a fianco della parete.

     Attacco o difesa? –  mi disse Aaron mentre palleggiava.

     Ehm… Difesa? – al momento mi sembrò il ruolo in cui avrei potuto evitare il maggior numero di colpi.

Mi posizionai vicino al canestro e aspettai che Aaron segnasse. Lo fece per ben quindici volte e quando si accorse che il gioco non sarebbe andato avanti mi propose di invertirci i ruoli.

Afferrai la palla e comincia a palleggiare avvicinandomi al canestro. Avevo gli occhi puntati sulla palla e non mi accorsi che mi trovavo proprio di fronte a Aaron. Cercai di scartarlo, ma lui mi precedette e mi sorrise divertito. Sbuffai e riprovai a scartarlo ma fu l’ennesimo tentativo fallito. A quel punto decisi che la cosa migliore era provare a fare un tiro a parabola da quella posizione. Saltai nel disperato tentativo di superare il ragazzo ma scivolai e finì su qualcosa di duro. Aprii gli occhi e mi ritrovai faccia a faccia con Aaron. Sentii un leggero calore sulle miei guance e con un unico gesto rotolai sul fianco e mi distesi sul pavimento freddo della palestra. Poi mi girai verso Aaron, ci fissammo per un minuto e poi scoppiamo in una fragorosa risata, mentre continuavamo a ridere lui si alzò e mi tese la mano per aiutarmi.

– Tu si che sei un vero uragano! Hai mai pensato di iscriverti nella squadra di basket della scuola? – Scoppiai nuovamente a ridere e recuperai la palla per tentare un nuovo tiro. La professoressa Endess fischiò proprio in quel momento.

– Ragazzi mettete via il materiale e andate negli spogliatoi! –

Per fortuna quella tortura era finita anche se dovevo ammettere che era stata meno terribile di quanto l’avessi immaginata.

Fuori dagli spogliatoi un gruppo di ragazzi della squadra di football stava chiacchierando e tra loro intravidi anche Aaron. Quando gli passai accanto mi strizzò l’occhio. Arrossii e proseguii lungo il corridoio tenendo lo sguardo fisso sui miei piedi.

Io, Meg Taylor, interessavo a uno dei ragazzi più ambiti della scuola? Non riuscivo a crederci. Aaron non era affatto il tipo di ragazzo con cui mi sarebbe piaciuto trascorrere il resto della mia vita ma di una cosa ero certa: avevo diciassette anni e non avevo mai avuto un ragazzo!

Fantasticai su Aaron per il resto della mattinata finche finalmente non arrivò l’ora di pranzo.

Raggiunsi la mensa sperando di trovare Janet. La conoscevo da pochissimo tempo eppure sentivo la necessità di parlargli e di raccontagli tutto quanto.

Arrivata nella grossa sala piena di ragazzi intenti a consumare i loro pranzi, scrutai speranzosa tutti i tavoli finché finalmente la trovai. Era seduta con un ragazzo che mi dava le spalle. Riuscii solo a capire che si trattava di un ragazzo più grande, con i capelli castano chiaro, un fisico slanciato e abbastanza muscoloso. Anche se non ero riuscita ad identificarlo avrei giurato che quello fosse il ragazzo che avevo incontrato sul bus. Peccato!

Pensai che nel poco tempo che avevamo avuto per conoscerci, Janet si fosse dimenticata di dirmi della sua relazione. Ma non ci badai più del dovuto, presi il vassoio e mi incamminai verso il loro tavolo. Arrivata a metà della stanza Aaron mi venne in contro e cingendomi le spalle con il suo braccio mi accompagnò verso il suo tavolo.

Il pensiero di pranzare sola con Aaron sotto lo sguardo di tutta la scuola mi faceva paura ma allo stesso tempo mi divertiva l’idea di vedere la faccia di Kristen mentre sedevo con il suo ex.

– Vieni! Ti ho tenuto il posto! – ­

– Non pranzi con gli altri della squadra? – dissi imbarazzata.

– No. Preferisco te! – disse sorridendomi.

Una vampata di calore mi arrossì gli zigomi. Sorrisi e mi voltai verso il tavolo di Kristen. Stava ancora parlando con Mark ma nei suoi occhi leggevo del disprezzo mentre mi guardava.

– Allora, cosa hai preso per pranzo? – mi chiese Aaron con un tono del tutto disinvolto.

– Un sandwich con il formaggio… – cercai di essere il più naturale possibile anche se la mia voce tremava e mi faceva sembrare molto impacciata.

  Meg, voglio essere del tutto onesto con te. Tu mi piaci molto e mi piacerebbe conoscerti meglio. – lo disse con una tale sicurezza che mi lasciò senza parole. Aaron mi prese la mano e me la accarezzò dolcemente, poi con l’altra mi sistemo la frangia dietro l’orecchio.

Avevo caldo, mi sudavano le mani e il mio battito cardiaco era aumentato drasticamente. Non ero certo abituata a questo tipo di attenzioni.

– Ti andrebbe di andare al cinema questo weekend? – mi chiese mentre continuava a cercare il mio sguardo per capire forse ciò che provavo. Sapevo che non ci sarebbe riuscito. Nemmeno la sottoscritta sapeva che cosa le stava passando  per la testa, figuriamoci un estraneo.

Mi piaceva quel ragazzo? Non ne ero certa ma comunque decisi che valeva la pena di provarci.

– Mi piacerebbe uscire con te Aaron, che ne dici di venerdì sera? – pensai che sarebbe stato meglio toglierci lo sfizio subito.

La campana che segnava la fine della pausa suonò riportandomi alla vita normale.

– Passo a prenderti alle sette! Così avremo il tempo anche per mangiare un boccone –

Non mi diede il tempo per rispondere. Si alzò dalla sedia e mi prese la mano. Sentivo nuovamente il calore che coloriva le mie guancie. Era così strano che stesse succedendo tutto così velocemente.

– Ehm… io ora dovrei andare… – sperai che non insistesse e per fortuna fu così.

Mi cinse la vita con il braccio sinistro e mi baciò sulla testa. Poi si allontanò soddisfatto. Bastava poco per rendere felice un ragazzo e per mettere me nella più totale confusione.

Mi voltai e mi diressi verso l’aula di Arte. Entrata mi sedetti in ultima fila dove sarei riuscita meglio a crogiolarmi nei miei pensieri e a lasciare vagare liberamente le mie fantasie.

Dovevo ammetterlo: Aaron era veramente bello e da poco avevo scoperto che era anche molto dolce e gentile a differenza di quello che sembrava ai suoi nemici sul campo di football.

Le ore successive passarono veramente molto velocemente e quando l’ultima campana suonò mi ci volle un po’ di tempo per capire che le lezioni era terminate.

Arrivata nel cortile ovest mi ricordai della mia agenda e quando tornai nel parcheggio della scuola l’autobus era già partito.

Sbuffai  e pensai ai chilometri che avrei dovuto farmi per raggiungere casa.

Mi voltai verso la scuola e vidi un enorme Mercedes nera con i finestrini oscurati. Non sapevo che nella nostra scuola ci fosse qualcuno in grado di permettersi una macchina come quella.

La vettura partì molto velocemente e solo quando arrivò vicino a me rallentò. Il finestrino posteriore si abbassò e spuntò il viso di Janet.

– Ehi! Ciao! Dove eri finita? È tutto il giorno che ti cerco! Sali ti diamo un passaggio –

La portiera si aprì e Janet mi fece spazio accanto a lei.

– Innanzitutto le presentazioni: Meg, questo è mio padre William! –

– Molto lieto! Nessuno mi chiama più William da vent’anni, chiamami Bill, ti prego! – mi disse voltandosi verso di me.

– E’ un piacere conoscerla.. – risposi sorridendo mentre mi voltavo verso l’altro ragazzo seduto accanto al posto di guida.

– Finalmente ti conosco! È tutto il giorno che Janet mi parla di te! Il mio nome è James. Io sono … –

– … il ragazzo di Janet. – le parole mi uscirono di bocca contro la mia volontà e diventai immediatamente rossa in viso.

Un insieme di risate riempì l’interno dell’auto, seguito da sguardi divertiti.

– Io sono cosa? O mio Dio, no! Non potrei mai uscire con mia sorella! È questo che racconti alle tue amiche per sembrare più grande? –

Ero totalmente senza parole. Suo fratello? Erano completamente diversi a parte il colore dei capelli! E da quello che avevo visto alla televisione i fratelli e le sorelle non andavano mai d’accordo. La sintonia che avevo visto tra loro durante l’ora di pranzo era innaturale per un rapporto di parentela.

– Guarda che io non ho detto proprio niente! – intervenne Janet sbuffando.

– Scusatemi, è tutta colpa mia. È solo che vi ho visto andare così d’accordo che ho supposto foste fidanzati.. – arrossii nuovamente. Dire che ero imbarazzata non avrebbe espresso in modo realistico il colorito che avevo assunto.

– Bene. Ora che tutto è chiarito potresti dirmi dove abiti? – intervenne Bill.

Solo allora mi accorsi che eravamo ancora fermi nel parcheggio della scuola. Gli indicai la strada e in pochi minuti la macchina era già accostata lungo il vialetto di casa mia.

– Grazie per il passaggio! Ci vediamo domani Janet! – chiusi la portiera e mi avvicinai alla porta di casa.

– Meg! – urlò la mia nuova amica dal finestrino. – Volevo chiederti se sabato ti andrebbe di venire a casa nostra? –

Annuì col capo e sorrisi. Poi mi fermai sotto il portico ad osservare la Mercedes che abbandonava la via principale.

Entrata in casa mi accorsi che Vivien era già arrivata.

Non feci in tempo ad appoggiare la cartella sul pavimento che l’interrogatorio iniziò.

– Di chi era quella macchina? – cominciò.

– Era del padre di Janet, una mia nuova compagna di classe. – fuori la prima, pensai.

– Come mai ti ha portato a casa? –

– Cortesia, credo. –

Non sembrava molto convinta. Che altro voleva sapere?

– Hai conosciuto qualcun altro di interessante? –

– Ehm… Mamma venerdì sera verrà a prendermi un mio amico. Abbiamo in programma di mangiare qualcosa fuori e poi di andare al cinema. – dissi tutto d’un fiato.

Le espressione di dubbi di un momento prima si trasformarono in un sorriso radioso.

– Hai un appuntamento? – disse divertita.

– Una specie … – cercai di essere il più evasiva possibile.

– E lui come si chiama? Quanti anni ha? –

– Mamma! Per favore! Si chiama Aaron e ha la mia stessa età. Ora se non ti dispiace.. – finii la frase mentre salivo velocemente le scale.

Nuovamente libera. Mi tolsi i vestiti sporchi e mi dedicai completamente al suono rilassante dell’acqua calda che colpiva il mio corpo e scivolava fino ai miei piedi.

Quando uscii dalla doccia mi sentivo molto più rilassata. Mi infilai i vecchi pantaloni della tuta grigi e una maglietta rosa antico. Poi entrai in camera e chiusi la porta dietro le mie spalle.

Accesi il mio portatile e controllai i nuovi film proiettati al cinema quella settimana. Non c’era niente che valeva la pena di guardare quindi decisi che avrei fatto scegliere a Aaron.

Trovai appoggiata su uno scaffale vicino alla scrivania la mia macchina fotografica e così decisi di caricare le fotografie della mia estate. Mentre le facevo scorrere sul mio computer mi accorsi di quanto mi mancava Philadelphia con il suo orizzonte pieno di grattaceli, i monumenti, la mia scuola, le luci e le musiche che si sentivano di notte lungo le strade e soprattutto le miei amiche.

Fui interrotta dalla mia malinconia dalla voce di mia madre che mi chiamava a tavola per la cena.

Papà era già seduto a tavola e sfogliava il giornale locale mentre mia madre serviva del pollo con patate in salsa agrodolce. Era uno dei piatti preferiti di Robert e lo cucina per delle occasioni speciali. Mi ero persa qualcosa?

–Papà ha ottenuto una promozione ora è secondo al vicedirettore– disse Vivien sfoderando un enorme sorriso.

– Wow, complimenti papà! Il che vuol dire che possiamo tornare a  Philadelphia? –  

– Non è cosi semplice tesoro. Non ti piace Fort Fairfield? – disse speranzoso.

– Ehm.. non esattamente. Non importa papà era solo una semplice domanda! – tagliai corto. Non volevo certo rovinare il suo buon umore.

Finii di cenare in silenzio e poi mi diressi in camera mia.

Accesi il televisore e guardai una serie televisiva degli anni ottanta.

Prima di addormentarmi ripensai a quella incredibile giornata e a quante cose fossero cambiate dall’anno precedente. Innanzitutto con Janet e James la scuola sarebbe stata senza dubbio meno noiosa e soprattutto sarei stata spesso in compagnia. James non era il fidanzato della mia amica ma suo fratello, il che mi lasciava qualche possibilità di uscire con lui e infine il prossimo venerdì sarei uscita con il ragazzo più bello della scuola, ovviamente prima che arrivasse James!

Chiusi gli occhi e mi girai su un fianco. Pensai per l’ultima volta al magnifico volto del mio nuovo compagno di scuola e poi mi addormentai.

Ma nonostante tutto anche quella notte non riuscii a sognare.

 

Scusatemi avevo scritto ke la storia era completa ma avevo sbagliato! DOnt't worry stò continuando a scriverla! =)
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: vale91tvb